Per
istinto e pensiero
di ellephedre
3/4 Novembre 1997 - A Boston, in
America
In tre giorni probabilmente Alexander aveva speso
più di
cento dollari in chiamate intercontinentali, ma non se ne pentiva.
«Da quanto stiamo parlando?» gli
domandò Ami.
«Quattro ore.»
«Da te sono le due del mattino. Non devi andare a
dormire?»
«Posso resistere ancora un po'.»
Udì un sorriso. «Vorrei lasciarti
riposare, ma...
mi sei mancato così tanto. Sento che non finirò
mai di
avere cose da dirti.»
«Parla fino a domattina, love. Per te
passerò la notte in bianco.»
«Sarebbe la seconda notte.»
Lei si preoccupava troppo. «Tu oggi non sei mancata
a lezione per stare al telefono con me?»
«... sì. Non ha importanza, ho studiato
molto in queste settimane.»
Risentirla dopo due mesi era come respirare di nuovo. Ami
era diversa: più affettuosa, meno timida, pronta a
dirgli tutto quello che le passava per la testa, soprattutto quando si
trattava di quello che provava per lui.
«Yamato non ha il sonno leggero, vero?»
«Solo quando Arimi piange. Per quanto lo riguarda
posso
rimanere in piedi tutta la notte, basta che la bambina non si
svegli.»
Ami rise piano. «È così bello
che tu stia vivendo a casa sua. Avresti dovuto pensarci
subito.»
Alexander concordava. «Non volevo
autoinvitarmi, pensavo che Shun avesse la sua vita. Ma alla fine aveva
bisogno di una mano. Mi trovo bene qui e risparmio anche il costo
dell'alloggio.»
«Quando verrò in America voglio stare con
voi per qualche giorno.»
«Certo. Ti farò vedere il campus e tutta
Boston.»
«Poi New York, vero?»
«Hm-hm. E Washington, se ti andrà. Ci
muoveremo in auto da una città all'altra.»
«Hai già modificato il tuo biglietto
aereo? Devo prenotare lo stesso volo per tornare indietro con
te.»
Giusto. «Ho chiamato oggi l'agenzia. Un attimo,
cerco i dati del nuovo volo.»
Ami fece silenzio. «Ale-chan si sta strofinando tra
le mie gambe.»
«Si prende quello che spetterebbe a me solo
perché porta il mio nome.»
Lei si divertì. «Ha fame, è
quasi ora di pranzo. Vado ad aprirgli una scatoletta.»
Alexander annuì, mentre inginocchiato sfogliava i
fascicoli di documenti che aveva radunato.
«Alex?»
«Sì?»
«Potrò restare qui quando tornerai?
Intendo, in questo appartamento?»
Che domanda era? «Ovvio.»
«Voglio dire... senza andare più a
dormire a casa mia. Porterei qui le mie cose.»
Per un attimo lui si immobilizzò. Se solo
lei avesse potuto vedere la sua faccia... «Sì,
love. Sì.
Vieni a vivere con me.»
Ami rilasciò un suono. Felicità.
«Scusa se sono stata sfacciata. Però-»
«Non dirlo. Ti amo e non voglio più stare
lontani. Te lo avrei chiesto io.»
Lei emise un sospiro spezzato. «In questi giorni mi
sto
allenando a gestire la casa. Ma già vivevo per
metà del
tempo da sola a casa di mia madre, perciò...»
«Ti vorrei anche se fossi disordinata.»
«Sei tu il disordinato» sorrise lei.
«Ma io
metterò a posto tutto quello che lasci in giro. E
comprerò qualche libro di ricette, o chiederò a
Mako-chan, perché so che quello che cucino di solito
è
troppo leggero per te.»
Lei parlava di una vita domestica che gli stava facendo
scoppiare il
petto dal desiderio di iniziarla subito. «I love you.»
«Me
too. Terribly.»
Se solo avesse potuto abbracciarla...
Al telefono udì lo squillo di un apparecchio. Il
computer di Mercurio.
«Qualcuno mi chiama. Un attimo.»
Alexander rimase in linea mentre Ami rispondeva, la sua voce
chiara nell'aria.
«Ciao, Artemis.»
«Ami-san! Sei a casa questo pomeriggio?»
«No, mi trovo nell'appartamento di Alexander. Volevi
venire a prendere Ale-chan?»
«Cercavo te. Ho una cosa da darti. Un
regalo.»
Alexander sollevò un sopracciglio.
«Grazie mille.»
«Ti piacerà molto, Ami-san. Mi sono
impegnato!»
Da quando il gatto Artemis offriva doni alla sua ragazza?
«Scoprirò cos'è quando me lo
porti?» domandò lei.
«No, posso dirtelo adesso. Ho costruito due nuovi
comunicatori che sfruttano il potere di Mercurio.»
«Due?»
«Presto darò i loro alle altre ragazze.
Ho fatto i tuoi
per primi perché è stata la tua situazione a
ispirarmi.
Ho aggiunto uno schermo più grande, di 4 pollici per 3.
Niente
più tastiera, ha un solo pulsante e gli altri comandi si
attivano con uno stimolo tattile sullo schermo. Ho letto che stanno
inventando qualcosa di simile e io ci sono arrivato per
primo!»
Quel gatto era un genio, pensò Alexander.
«Il secondo computer sarà per Alex,
quando torna?»
«Veramente... Mi sono permesso di contattare
Haruka e Michiru negli Stati Uniti. Sono pronte a venire qui a prendere
il secondo comunicatore. Se al tuo ragazzo va bene, possono
portarglielo dove sta adesso in America, così tu e lui
potrete
vederv-»
Alexander saltò in piedi. «Quando possono
venire?!»
Artemis sentì la sua voce.
«Alexander-san?»
Ami stava ridendo piano. «Era al telefono con me.
Davvero Haruka e Michiru possono farci questo favore?»
«Hanno detto che non è un problema.
Dovete solo organizzarvi.»
«Le chiamerò io»
dichiarò Ami. «Artemis, ti
raggiungo ovunque ti trovi questo pomeriggio. Un grazie non
è abbastanza.»
«È stato merito di Minako. Io ho pensato
allo schermo
più grande, ma è stata lei a dirmi che dovevo
farne due
per te. Non ti ha detto niente finora perché volevamo prima
essere
sicuri che ci sarei riuscito.»
Alexander aveva solo poche parole per loro. «Li amo.
Tutti e due.»
Artemis rise. «Ti ho sentito. La vostra
felicità è la mia ricompensa.»
Per Alexander non bastava. Doveva pensare a un regalo fuori da
ogni proporzione, sia per lui che per Aino.
Ami concluse la chiamata e tornò al telefono.
«Potrò vederti! Solo su uno schermo,
ma...»
Alexander aveva fatto un passo oltre con l'immaginazione.
«Ami... E se chiedessi a Kaiou e a Tenou di portarmi in
Giappone
per il weekend?» Era disposto a inginocchiarsi
per il disturbo.
Ami iniziò a respirare veloce. «Co-come
spiegheresti a Yamato dovei sei andato?»
Giusto. Poteva mentire sulla destinazione, ma Shun
aveva sempre bisogno di una mano per Arimi. Alexander si era trasferito
a casa sua con la promessa di esserci per le emergenze e Shun aveva
parecchio da fare con l'università. Come lui, d'altronde.
Aveva
in ballo almeno due lavori di gruppo per quel fine
settimana. «Potrei venire per mezza
giornata»
tentò. God, anche solo qualche ora con lei sarebbe stata...
Ami non stava dicendo nulla. «Alex... verrei io da
te se
entrare in un teletrasporto non richiamasse Mercurio su di me.
Però... se ti vedessi, se ti toccassi... Per così
poco
tempo...»
... già. Se fosse andato in Giappone a trovarla
solo per qualche
misera ora, non sarebbe riuscito a tornare indietro. Non avrebbe
più voluto, finché non si fosse saziato di lei -
una cosa
impossibile. «Rimarrei lì incollato a
te.»
La sentì sorridere - un divertimento mesto.
«Penserei solo a quando
posso rivederti per i prossimi due mesi. Credo che potrei persino
chiederti di... di restare,
abbandonando tutto.»
Lei non aveva idea di come una cosa che la faceva sentire in
colpa
in realtà rendesse lui immensamente felice. Quel piccolo
segnale
di egoismo era la dimostrazione di un amore che non aveva
più limiti.
«Ti vedrò con quel
comunicatore» le disse, rassegnandosi alla sofferenza.
«Credo che ora sognerò l'altra
possibilità.»
Mai quanto lui. «Mancano meno di cinquanta giorni
perché diventi realtà. Resisterò solo
perché poi non ci lasceremo
più.»
Seppe che Ami stava annuendo all'altro capo della cornetta.
«Devo andare da Artemis.»
«Sbrigati.»
«Tu dormi. Sarai stanco.»
«Di' a Tenou e Kaiou che posso muovermi all'ora che
vogliono loro.»
Lei sorrise. «Staranno dormendo, si trovano nel tuo
stesso
fuso orario. Le chiamo domattina. Mi inchinerò di
gratitudine
anche per te.»
«Ne verrà la pena.»
«Ciao.»
«Ciao.»
Riattaccarono in fretta. Avevano imparato che se
aggiungevano un appellativo appena più dolce o un altro
saluto,
la chiamata poteva continuare per un'altra mezz'ora.
Alexander guardò il soffitto.
... avrebbe rivisto il viso di Ami. Forse già il
giorno seguente.
Si sdraiò sul letto e crollò a dormire
felice.
«Che occhiaie» commentò Shun,
vedendolo entrare in salotto per la colazione.
Alexander si appoggiò al bancone, sbadigliando.
«'morning.»
Udì un gorgoglio acuto. Ah, si era dimenticato di
salutare qualcuno. «Hello, little girl!»
Arimi Yamato ridacchiò sentendo il solletico delle
sue dita
sulle guance paffute. Si agitò allegra nel
seggiolino. «Hi!»
A lui quello sembrava un 'ciao' inglese in piena regola, ma
Shun
insisteva sul fatto che quella non poteva essere la prima parola di
Arimi. Era convinto che a dieci mesi fosse presto per sentirla parlare
con coerenza.
«Sei stato al telefono tutta la notte?»
Alexander stiracchiò le braccia. «Fino
alle due e mezza. Ti devo almeno trenta dollari.»
«Non farmi passare per tirchio.»
Come se non lo avesse visto digrignare i denti al pensiero
delle
chiamate intercontinentali tra lui ed Ami. «Tra
poco il costo non ricadrà più sulla tua
bolletta.»
«Hm?»
«Comprerò una di quelle schede con
ricarica inclusa,
così sarà più semplice controllare
quanto
spendo.»
«Come vuoi.» Shun sorseggiò dal
proprio
caffè. Gliene passò una tazza piena.
«Con Ami siete
ancora nella fase delle smancerie?»
«Dopo due mesi di silenzio...»
Shun rimuginò. «Per te è tutto
a posto, allora? Anche se è stata una sua idea non
sentirvi?»
Non aveva mai convinto Shun con la spiegazione incompleta di
quello
che era successo tra lui ed Ami. Non poteva dirgli tutta la
verità. Allo stesso tempo non aveva voluto mentirgli,
dichiarando che stava sentendo Ami quando non era vero.
Sarebbe stato
difficile ingannare Shun anche se non avessero convissuto da un mese a
quella
parte.
«Ami è cambiata. Stanotte ha detto che
vuole venire a vivere con me.»
Shun sgranò gli occhi. «In
Giappone?»
«Sì.»
«Dopo che ti ha torturato
poteva almeno prendere in considerazione l'idea di trasferirsi
qui.»
«Non arrabbiarti al posto mio.»
«Tu sai che ho sempre pensato bene di Ami-san. Ma
decidere di
non parlarti per due mesi... Non me lo sarei aspettato da
lei. È un giochetto psicologico, un dramma
inutile.»
«Ami se n'è pentita appena me ne sono
andato. Lo
sapevamo già tutte e due, all'aeroporto. Avrei potuto
chiederle di ritirare tutto e lei sarebbe stata d'accordo. Non sono
pentito di non averlo fatto. Avevamo bisogno di questa separazione.
Qualunque dubbio fosse
mai esistito dentro di noi riguardando alla nostra relazione,
è
sparito completamente. Non eri tu quello che diceva che esageravo nel
fare tutto quello che voleva lei? Ora è diverso.»
Il suo amico evitò di dire quello che aveva in
mente.
Alexander udì ugualmente l'obiezione.
«Tornerò
in Giappone perché è quello che
voglio io. Non lo faccio per paura. Ormai sono sicuro che
anche se stessi via
per anni, Ami mi aspetterebbe.»
«Continuo a non capire perché lei non
può
raggiungerti qui, dove tu hai la possibilità di
specializzarti
nella migliore università del mondo. Varrebbe lo stesso per
lei con medicina.»
Su quel punto Alexander doveva fingere una saggezza senza
valide
spiegazioni. «Saremo felici in Giappone. È una
vita che
non vedo l'ora di iniziare.»
Shun lo scrutò. «Non è che
avete fatto di
nuovo sesso senza precauzioni e questa volta lei è davvero
incinta?»
Alexander scoppiò a ridere. «Te
lo avrei detto subito!» Bevve il suo caffé.
«Magari lei non ha ancora avuto il coraggio di
rivelartelo.
Così ha un senso, non vedi? Ti ha sottoposto a questa
stupida
prova del silenzio perché voleva assicurarsi che, avendo
campo
libero, tu non scegliessi di allontanarti. Ami-san è il
tipo capace di prendersi cura di un bambino da sola, se
crede che coinvolgerti ti bloccherebbe.»
«Hai cominciato a guardare soap-opera
americane?»
Shun gli lanciò uno sguardo di fuoco mentre si
sistemava
accanto al seggiolino, in mano un omogeneizzato fatto in casa - da
Agatha, la tata di sua nipote.
Iniziò ad imboccare Arimi. «Non ti stupire se
salta fuori
che è la verità.»
«Sei fuori strada.» Ma Alexander voleva
essere sincero con
lui, ora che poteva. «Io ed Ami stanotte abbiamo parlato di
andare a
convivere, ma io voglio di più. Entro il prossimo anno ci
sposeremo. E per il prossimo Natale lei potrebbe essere davvero
incinta. Vogliamo un bambino.»
«Ehi, ehi!» Shun era incredulo.
«Chi ti corre dietro?»
«Nessuno.»
«Perché vuoi fare tutto così
in fretta? Ti senti già tanto adulto?»
Guardando Arimi e sapendo quello che Shun aveva passato con
lei, Alexander
esitò a parlare. «La mia non è
arroganza,
è una sensazione di... pace. It's just right. Non
vedo l'ora che io ed Ami
arriviamo a fare insieme tutti questi passi.»
Shun aggrottò la fronte, strofinandosi gli occhi.
«Alle
sette del mattino è troppo presto per questi discorsi. Anche
per
essere rincitrulliti dall'amore.»
Alexander sorrise. «Ami verrà a trovarmi
qui
appena finite le lezioni. Gireremo per la East Coast,
ma prima vuole vedere te e Arimi. Potremmo passare il Natale
insieme, che ne dici?»
«Sembri una pubblicità natalizia. Siamo
appena il 4 novembre.»
Si era dimenticato che di mattina era difficile trovare Shun
di buon
umore. «Be'... avrai il tempo di
vederci insieme e verificare che non mi è partito il
cervello.»
«Solo perché sono un signore non dico
che lei ti sta
comandando per una parte del tuo corpo si trova molto al di sotto del
petto.»
«Ha-ha. Lo hai detto.»
Shun scrollò le spalle. «E sta usando una
certa parte del suo
corpo per intrappolarti come una specie di mantide religiosa
che-»
«È meglio che stai zitto» lo
interruppe Alexander.
«Perché invece io non ho problemi a dirti che
dovresti
farti una sana scopata per non avere più quel palo piantato
su
per il-»
«Ehi! C'è Arimi!»
Chiudendosi la bocca a forza, Alexander sollevò il
braccio, il gomito piegato, per mostrare a Shun il dito medio.
Il suo amico spalancò la bocca. Fottiti! mimò
in risposta con le labbra.
Alexander andò in camera sua a vestirsi.
«È quello che stavo consigliando di fare a
te.»
Per il resto del giorno per Alexander non fu semplice
concentrarci.
Ce l'aveva ancora Shun, anche se capiva la ragione dietro il suo
atteggiamento.
«Mr Foster. What's your answer for this?»
Si riscosse, rispondendo al richiamo all'attenzione del suo
professore. «I have it right here.» Diede la
risposta che aveva segnato sul
foglio. Lasciò perdere la questione Shun per altri lunghi
minuti, continuando ad esporre la sua soluzione riguardo al problema di
fisica per il quale era stato richiesto a tutti di creare un approccio
originale. L'idea era quella di mettere in pratica la soluzione
trovata, ingegnandosi per costruire nella realtà lo
strumento
necessario. Era una gara, e avrebbe vinto chi ci fosse arrivato
più vicino.
In Giappone si sarebbero limitati a essere soddisfatti di una
risposta teorica che non sarebbe mai uscita dalla carta. Non
si era mai sentito tanto sfidato come in quelle settimane, in
quell'università.
«Good. Interesting. Vedremo se riuscirà a
tirarne fuori qualcosa di concreto.»
Lui ne aveva tutta l'intenzione.
A fine lezione il suo vicino di posto, John
McCornack, si
sporse nella sua direzione. «Senti, vorrei fare gruppo con
te.»
Alexander sorrise. «Non credi abbastanza nella tua
idea?»
«Credo che la tua sia più ambiziosa.
Siccome qui non
stiamo giocando, se la facciamo funzionare tra qualche anno potremmo
portarla sul mercato. Prevedo soldi.»
Sì, la sua idea aveva un potenziale di guadagno
più
elevato. «Ti abbasserà la media non concentrarti
sulla tua
soluzione.»
«So guardare oltre.»
Il ragazzo che stava davanti a loro, Kwan Hu, aveva prestato
attenzione alla loro conversazione. «Vi serve una terza
persona.
Io ho una specializzazione in ingegneria. Voi no,
giusto?»
Era esatto. «Okay, ci lavoreremo insieme.»
Fece no con
la testa in direzione di una quarta persona che aveva pensato di unirsi
al loro team.
Quella classe era un concentrato di personalità
ambiziose,
opportuniste e geniali. Forse sarebbe stato utile avere più
di
tre menti al lavoro per sviluppare l'idea che aveva avuto, ma per la
prima volta
in vita sua - per la seconda in verità, al di fuori di un
gruppo
di semi-dee Sailor - sentiva che poteva non essere capace di tenere le
redini di una situazione. McCornack e Hu erano in grado di
sovverchiarlo
se non dimostrava di essere avanti a loro in ogni punto del progetto.
Mentre si formavano altri gruppi, Hu si caricò la
cartella su una spalla. «Stasera birra al pub?
Così
impostiamo il lavoro.»
Quanto era diverso quel luogo dal Giappone: unire alcool e
studio
era impensabile da dove veniva. «Posso rimanere fino alle
dieci.»
McCornack li precedette sulle scale. «Poi prometti
orari più flessibili? Altrimenti stiamo parlando del
nulla.»
«No problem. Questo progetto avrà la
priorità.» Erano solo altri due mesi della sua
vita, e
ricordò perché Ami era stata saggia a non
incitarlo ad
andare da lei.
Hu gli diede una spallata leggera, non per caso.
«Senti,
quella tizia che ti girava intorno... Reed, giusto? Per caso ti ha
lasciato
il suo numero?»
«Non dovresti chiederlo a lei?» Per quanto
non consigliasse
a nessuno di frequentarla: quella tizia era pazza.
«Volevo solo una mano. Per le ragazze siamo tutti
bros, right?»
McCornack era dubbioso. «Non passo dove ha pascolato
un altro. Te la sei fatta?»
Alexander rilasciò uno sbuffo.
«No.»
«Come on. Pensavo fosse per questo che ce l'aveva
con te. Perché l'avevi usata e mollata.»
«Sai quando uno non vuole parlare con una persona, e
quella
insiste, e si mette nel tuo cammino fino a costringerti a spostarla di
peso? Reed è peggio. Non
è la prima che si sia interessata a me, ma il suo rifiuto di
accettare un no era patologico. È un molestatore al
femminile.»
«Uhò! Che ti ha fatto?»
Preferiva non parlarne. «Vi ho avvertito.»
«Hm. Per quel paio di gioielli che si ritrova sul
petto...»
McCornack fece schioccare la lingua. «No, amico,
dài
retta. Ha ragione Foster, una che si comporta così
è una piaga. Pensa a quando vorrai chiudere con
lei.»
Alexander li lasciò ai loro discorsi di donne.
«A stasera.»
Seduto in biblioteca, dopo aver mangiato un panino comprato
nell'unico locale che ne servisse uno decente nelle vicinanze,
fissò il telefono portatile che aveva appoggiato sul
tavolo. Aveva voglia di parlare con Ami, ma da quell'apparecchio
avrebbe speso un capitale.
Voleva dirle di Shun. Voleva anche parlarle degli orari delle
loro
chiamate nelle prossime settimane, poiché non si sarebbero
potuti sentire tanto quanto in quei giorni. Glielo aveva già
anticipato, ma ascoltare McCornack che gli ricordava quanto sarebbe
stato
impegnativo il lavoro lo aveva messo di malumore.
Due mesi soltanto.
E a me piace stare qui.
Se Ami avesse potuto raggiungerlo, sarebbe stato un mondo
perfetto.
Tuttavia, lo era anche il loro mondo in Giappone, dove avrebbe avuto
una vita
con lei e sarebbe riuscito a trovare il modo di sviluppare le idee per
cui stava
mettendo le basi in quei mesi negli States. La tesi era già
finita, perciò avrebbe avuto tempo libero dopo il lavoro. Un
po', almeno. Sarebbero state poche ore al giorno, che avrebbe
voluto dedicare solamente ad Ami.
Fissò il soffitto della caffetteria in cui si era
seduto.
Alla fine aveva scoperto che lei aveva un briciolo di ragione
su una
delle paure di cui gli aveva parlato prima di partire. Solo trovandosi
in America lui aveva sentito di non essere ancora pronto ad abbandonare
la sua vita da studente, proprio ora che aveva scoperto quanto potesse
essere ancora esaltarlo.
Ovviamente anche lavorare poteva essere interessante, ma la
società finanziaria che lo aveva assunto in estate non gli
aveva
offerto le stesse sfide, ed era proprio nei loro uffici che lui
intendeva tornare. Lo stipendio era troppo allettante.
Non era una tortura stare con loro, non si
annoiava, ma lavorare con loro non lo avrebbe reso felice quanto
sviluppare un progetto di fisica. Avrebbe potuto puntare ad un altro
impiego se non si fosse messo
in testa di mantenere una famiglia.
Rimuginò.
Alla fine, quel periodo della sua vita difficilmente
si sarebbe protratto per
più di due anni. Dopo sarebbero venuti Usagi, Mamoru, e il
loro
regno. Eppure, non era piacevole scoprire di avere un minimo rimpianto.
Avrebbe preferito non saperlo.
Aveva ancora delle possibilità, no? Poteva sempre
provare a
trovare un lavoro diverso in Giappone, più adatto a lui. Non
sarebbe stata Ami a costringerlo in un impiego per denaro. A
lei non importava dei soldi, era frugale. E lui... Forse poteva
imparare a vivere con meno. Tutto quello di cui aveva bisogno era lei.
Riprese a bere il suo tè del pomeriggio - un
abitudine che faceva parte del suo essere giapponese.
Con un cenno della testa salutò un compagno di
corso che stava passando per i corridoi della biblioteca.
Doveva raccontare ad Ami di Reed? Si era ripromesso di
dimenticarsi
di quella storia, ma alle domande di lei sulle persone che
aveva
incontrato in America, un paio di volte gli era venuto in mente anche
quell'esperienza poco piacevole. Si era trattenuto dal parlarne.
Provava un poco di vergogna, come se avesse fatto qualcosa per
attirare quel genere di attenzioni. Non era così, ma forse
era
questo il gioco delle persone come Reed - maschi o femmine che fossero.
Facevano sentire accerchiate le loro predere e continuavano a ripetere
che erano state loro a incitare tanto interesse.
Quella vicenda era durata... una decina di giorni? Joanna Reed
si era presentata al
tavolo del pub in cui lui aveva avuto la sfortunata idea di sedersi da
solo, sbattendogli in faccia le tette strizzate in un top fuori
stagione nei primi freddi autunnali di settembre.
«Ciao!»
gli aveva sorriso, maliziosa.
Lui aveva alzato il libro che stava leggendo, per farle capire
che era occupato.
«Ciao.» Aveva giudicato chiusa la conversazione,
tornando
ad assaggiare i suoi primi sorsi di birra americani.
«Tutto solo, hm? Come ti chiami?»
«Non interessato. Scusa.»
«Uh, come sei acido! Non riesco a credere che io e
te non
possiamo trovare qualcosa di interessante di cui... parlare. O da
fare.»
In quel momento l'aveva lievemente ammirata per la sua
audacia, ma
non per questo era stato meno infastidito dalla sua insistenza. Le
aveva detto una sola parola, non in inglese.
«Cosa vuol dire? Che lingua è?»
«Giapponese. Significa sempre 'Non interessato'.
Magari in un secondo idioma lo capisci.»
Le era passato un lampo d'irritazione negli occhi.
«Fai il difficile.»
«Mi sono limitato a dire no.» Fu ancora
più schietto. «E ora addio.»
Si era convinto di essersi liberato di lei, ma non gli era
sfuggito il
fatto che Reed si fosse seduta al tavolo accanto al suo con un altro
ragazzo, alzando apposta la voce per farsi sentire mentre flirtava.
Anche il suo tono di voce era fastidioso.
Noncurante, Alexander aveva finito la propria birra e se n'era
andato.
Due giorni dopo aveva scoperto che una bionda chiedeva in giro
di
lui. Tre giorni dopo quella prima serata al pub, si era ritrovato Reed
fuori dalle porte della sua aula.
«Ciao!»
Era rimasto interdetto solo per un attimo. Poi l'aveva
ignorata, passando oltre.
«Come on, aspetta!»
Sentirla attaccarsi al suo braccio lo aveva costretto a
scostarsi. «Ehi!»
Il tono duro non l'aveva scoraggiata. «Ciao di
nuovo. Ora conosco il tuo nome, Alex.»
Tutta quella confidenza, e il tono mellifluo, lo avevano
disgustato. «Hai qualcosa che non va nella testa?»
«Mi chiamo Joanna. Joanna Reed.»
«Non ti voglio conoscere. Stammi lontana.»
Aveva fatto per andare via.
«Se non ti fermi faccio una scenata.»
Si era voltato verso di lei, attonito.
In quel suo sorriso qualcosa non andava. «Mi piaci,
sai? Anche con
questi modi bruschi. Mi eccitano. Dài, un'uscita
sola.»
Lui l'aveva guardata in faccia, cercando altri segni di follia
nel suo sguardo.
«Urla, se vuoi. Abbiamo cento testimoni intorno, non ti ho
fatto
niente. Sembrerai pazza da sola.»
Se n'era andato sentendosi addosso la sporcizia in cui lei
aveva cercato di trascinarlo.
Quando gli aveva raccontato dell'episodio, Shun era stato
d'accordo con lui.
«Quella ha qualche rotella fuori posto. Sa di...
viscida.»
Era la parola esatto.
«Avevo sentito parlare di donne così, ma
pensavo che non esistessero.»
Lui avrebbe preferito rimanere in quella convinzione. Una
volta che
si era sfogato non aveva più pensato a Reed,
finché,
passati altri due giorni, lei non si era presentata nella sua classe,
nel bel mezzo della lezione.
«Scusi, professore!» Dopo essere entrata
senza bussare, era andata al centro dell'aula,
sorridendo in modo così naturale che il professore si era
mostrato disposto ad ascoltarla.
«Cosa c'è, signorina?»
«Lei ha un animo romantico, vero? Sono venuta a
salutare il
mio ragazzo per il suo compleanno. Auguri, tesoro!» Aveva
lanciato un bacio in aria. Incredulo, Alexander aveva visto che era
diretto a lui.
La classe, composta prevalentemente da ragazzi, aveva
lanciato fischi di apprezzamento.
Lui era riuscito a condensare in un'unica occhiata astio e
disinteresse. Chi lo aveva guardato aveva capito che non sapeva di cosa
lei stesse parlando, e che probabilmente neppure si conoscevano. Senza
tener conto della sua reazione, Reed era corsa verso la fila in cui era
seduto, passandogli un bigliettino. «Il tuo regalo!»
Appena se n'era andata, nel silenzio generale, lui aveva avuto
la
tentazione di distruggere subito il foglietto, poi qualcosa lo aveva
convinto a guardare. Una persona come quella era pericolosa, non poteva
ignorare completamente le sue mosse. Aprendo il biglietto aveva
visto un numero di telefono. Lo aveva appallotolato nel pugno,
gettandolo con noncuranza nel cestino più vicino.
Due giorni dopo ancora, si era diretto, stanco, nella camera
che
aveva affittato al dormitorio degli studenti. Entrando, aveva scoperto
che
la porta era aperta.
«Bentornato.»
«Shit!» Gli era preso un colpo.
Reed aveva acceso la luce, seduta accanto al letto del suo
compagno
di stanza. Quell'idiota si era dimenticato di nuovo di chiudere la
porta!
«Ti aspettavo.»
«Tu non sei normale. Fuori di qui!»
«Senti, mi stai facendo arrabbiare. Almeno
parlami!»
La sua distorta percezione della realtà gli aveva
generato un
senso di inquietudine e rabbia. Aveva spalancato la porta, indicandole
il corridoio. «Non ti ho dato il permesso di stare
qui.» Dopo avrebbe dovuto controllare se mancava qualcosa.
Reed aveva notato dove stava guardando. «Non mi
interessano gli oggetti, mi interessi tu. Ti rifiuti
di vedere che potremmo spassarcela insieme. Una notte, dài.
Non
te la dimenticherai più.»
Lui aveva iniziato ad usare il cervello. «Hai
forzato la serratura.»
«Non è vero, era aperta!»
Come se fosse meno grave. «Io giurerò di
averla chiusa a chiave.»
Gli occhi di Reed si erano assottigliati. «Stai
cercando di
incastrarmi? Se inizi a dire bugie, urlo. E a chi verrà qui
dirò che mi hai-»
«C'è una telecamera in corridoio. Mi ha
filmato mentre entravo venti secondi fa.»
«Che importa? Può essere successo di
tutto in quei
pochi moment-» Si era zittita, perché lui si era
avvicinato. Per una volta aveva usato la sua presenza
fisica per intimidire una donna.
«Ho fatto delle ricerche, sai?
Quello che mi stai facendo si chiama stalking. Con oggi, anche
violazione di proprietà privata. Ho un amico
avvocato»
aveva mentito.
Lei aveva digrignato i denti.
«Ti farò espellere
dall'università, Reed,
Joanna. Ho segnato il tuo nome solo per poterlo riferire al consiglio
di istituto. E alla polizia.»
Lei aveva continuato a guardarlo in faccia, tremando dalla
rabbia. Era scattata in piedi. «Fuck you! Tante storie per
una
scopata! È chiaro che sei impotente, non mi
interessi!»
Alexander avrebbe sentito il bisogno di trascinarla fuori
dalla
stanza se lei non gli fosse sembrata tanto patetica. Reed era marciata
via.
Da allora non l'aveva più vista.
Non era una storia che gli faceva piacere di aver vissuto.
Avrebbe
voluto evitare di riviverla a parole, ma gli sembrava di
mentire
per omissione non parlandone ad Ami. Se le fosse accaduto qualcosa di
simile, e lei non gliene avesse parlato, si sarebbe arrabbiato.
Hm. Non voleva farla preoccupare, ma se fosse capitata di
nuovo
l'occasione di raccontare tutto, avrebbe riassunto l'episodio
sottolineando che
era andata a finire bene.
Era quasi assurdo, sorrise, rendersi conto che Ami avrebbe
avuto
più ragione a preoccuparsi di lui che viceversa.
Era felice che
lei fosse Sailor Mercury: non doveva immaginare che, in sua assenza,
lei potesse correre pericoli per mano di altri esseri umani. In caso di
attacco, molestia, o anche solo lo sfioramento di una spalla, gli
piaceva figurarsi una reazione poco diplomatica da parte di lei: un bel
calcio nelle parti basse. Lui avrebbe
completato l'opera con una castrazione totale.
Il suo telefono portatile squillò. Sapendo chi
poteva essere, Alexander rispose velocemente.
«Pronto?»
«Ciao. Sai chi sono?»
«Kaiou. Ciao.»
«Ti va di fare un salto al Fenway Park, come l'altra
volta? Io e Haruka possiamo essere lì tra
mezz'ora.»
«Ci sarò. Grazie infinite per il favore
che state facendo a me e ad Ami.»
«Le parole di un uomo innamorato.»
Quando Tenou gli consegnò in mano il prezioso
regalo di Artemis, aggiunse un commento.
«Quel gatto non ha capito per chi lavora. Si prodiga
per
produrre strumenti per conversazioni amorose, poi dimentica di donarli
a due guerriere Sailor come noi.»
La sua era tutta invidia.
Kaiou provò a fare conversazione. «Come
ti sta andando qui? Il MIT è un grande traguardo.»
«È un'ottima università
»
Tenou lo fissò in volto e sorrise sardonica.
«Non ti
è venuta la tentazione di frequentarla in pace, per i
prossimi
anni? Senza faccende planetarie di mezzo.»
«Haruka...»
Lei fece spallucce. «È una domanda
legittima.»
Lui non aveva problemi a rispondere.
«Tornerò in Giappone tra due mesi. Senza
rimpianti.»
«Tanto ci basta.»
Alexander studiò le parole di Kaiou.
«Pensavo
che mi saresti stata più ostile. Anche tu mi volevi fuori
dai
piedi durante l'ultima guerra.»
«Siamo andate a trovare Ami prima di venire qui. Non
è
stabile senza di te. Abbiamo bisogno di essere al massimo
della condizione per le nostre prossime battaglie.»
Lui annuì, grave. Nel vedere un cenno uguale in
Kaiou e Tenou, seppe che per una volta si stavano comprendendo.
Kaiou sorrise. «Pensavo che ci avresti pregato di
teletrasportarti da Ami.»
«Sarebbe una tortura andare e tornare dopo poche
ore. Saremo pazienti e ci faremo bastare
questo.» Sollevò nella mano il nuovo comunicatore.
Non
vedeva l'ora di usarlo, finalmente ne aveva uno tutto suo.
«Ykèos.»
«Cosa?»
«Alla fine ho dato a questo fenomeno il nome scelto
dai
nemesiani. Ormai lo percepisco a pelle su di te.»
Scrollò delicatamente le spalle. «So dove cercare.
Stai percependo qualche effetto indesiderato?»
Lui ci pensò su. «Un giorno ve ne
parlerò. Tutto bene per ora, Ami ha la situazione sotto
controllo.»
«Hm. Mi hai incuriosito.»
«Non chiedermi di far aspettare la mia ragazza per
soddisfare la tua curiosità.»
«Mi pare giusto» sorrise Kaiou.
«Buona permanenza negli States, Alexander.»
Tenou gli lanciò un sorriso di sufficienza - come
se gli concedesse una grazia. «Ci si vede.»
«Altrettanto. Grazie ancora e buon
ritorno.»
Si salutarono.
Per la sua prima conversazione faccia a faccia con Ami,
Alexander scelse un luogo pubblico, un parco nel vento freddo
dell'autunno di Boston. A casa di Shun quello era il giorno della
signora che li aiutava con le pulizie. Non sarebbe stato solo.
Si
sistemò su una panchina, appoggiando un libro dietro il
comunicatore. Nessuno lo avrebbe visto, se non arrivandogli dietro
le spalle.
Fece partire la chiamata. Con un suono sordo, magico, lo
schermo
aprì un quadrato video che si riempì del volto di
Ami.
Lei portò le mani davanti alla bocca. «Ciao.»
Ciao.
... gli aveva sempre fatto quell'effetto? Solo a guardarla
sentiva
che il mondo era un posto più giusto, migliore. Con un senso.
«Hi» riuscì a mormorare.
Lei sfiorò lo schermo con un dito.
«Pensavo che sarebbero passate settimane prima di poterti
rivedere.»
Come la capiva. «Sei più bella di quando
ti ho lasciato.»
Apparve il rossore - quel leggero velo di colore che aveva
dovuto immaginare in quelle settimane. Ami abbassò
lo sguardo, recuperando un poco della
timidezza che aveva abbandonato nelle loro ultime conversazioni.
Rivedersi era diverso, come ritrovarsi daccapo.
«Ero dimagrita. Ho ripreso un chilo in
questi giorni.»
Rise. «Ti ho spinta a mangiare?»
Lei annuì. «Per la
felicità.»
Toccò a lui portare la mano sullo schermo,
scoprendo quanto
faceva male non poterla toccare. «Non pensavo che potessi
mancarmi di più.»
Gli occhi le brillarono di lacrime.
«Ah, don't cry.»
«Ma sarebbe per qualcosa di buono.»
Alexander studiò la forma delle sue guance, che
forse erano lievemente
smunte e per questo la facevano sembrare più matura. Ami
aveva i
capelli scompigliati - da una doccia, stava per andare a dormire. I
suoi occhi erano sempre stati così... profondi, dolci?
La conosceva da sempre, ma era come non averla rivista per anni, pur
ricordando ogni particolare del suo viso.
Per un attimo si sentì come quando le aveva parlato
per la
prima volta. «Qualcuno ci ha provato con te in questi due
mesi?»
«Cosa?»
«Devo saperlo.»
Udì una risata - leggera e piacevole.
«Forse. Due ragazzi.»
«Forse?»
«Hanno cercato di iniziare una conversazione, ma io
avevo altro da fare. È finita così.»
La discrezione giapponese era una grande qualità.
«E tu?»
«Io?»
Ami si concentrò sulla sua immagine. «Sei
davvero
più... più di quanto mi ricordassi. Guardarti mi
spezza
il respiro. Succederebbe anche se non fossi la tua ragazza.»
Lui si sentì... graziato, come non gli sarebbe
capitato con
nessun altro per un complimento sul suo aspetto. Ami non
apprezzava la sua avvenenza, la sentiva. «Devo
raccontarti di una persona pazza.»
Lei si allarmò,. «Come?
Chi?»
«Ho incontrato una tizia che mi ha perseguitato per
più di una settimana. In una maniera anormale.»
«Ti ha fatto qualcosa?»
Sentirla tanto protettiva sciolse qualcosa dentro di
lui. Le
raccontò ogni cosa, liberandosi di un piccolo peso che non
aveva saputo di portare.
Quel pomeriggio tornò più sereno a casa
di Shun.
«Ci sei?» disse entrando. Non alzò
troppo la voce:
poteva disturbare Arimi se lei stava dormendo.
Shun spuntò sulla porta del salotto.
«Ciao.»
Stava dritto col petto, cauto nel muoversi. Valutava il suo
umore.
Alexander non aveva neppure pensato a come cominciare. Non
pensava spettasse farlo a lui.
Shun rilasciò un sospiro pesante.
«Senti... Scusa.»
«Okay.»
Shun si diresse al bancone, appoggiandosi al ripiano con la
schiena. «Non dovevo parlare così.»
Era d'accordo.
Shun incrociò le braccia e provò a
pensare.
«Sento che non sarò davvero convinto che tu stia
prendendo
la decisioni più giuste, ma... non è la mia vita.
Non mi
riguarda.»
Si sbagliava. «Io ti ho osteggiato quando hai deciso
di prendere Arimi. Perché mi importava di te.»
Shun guardò il soffitto, oberato. «Ci sto
provando, Fox. Se mi importa non riesco a stare zitto.»
Non glielo aveva chiesto, contavano i toni. «Di'
quello che pensi. Voglio capire. Voglio che tu mi capisca.»
Shun sbuffò. «Cosa vuoi che dica? Quando
tu ed Ami
non vi parlavate, sembravi un randagio che aspettava disperatamente
che il padrone lo riprendesse in casa.»
Nonostante tutto, Alexander sorrise.
Shun scuoteva la testa. «Vorresti che mi riducessi
così per una donna?»
Forse era inevitabile. «Quando si ama, si
soffre.»
«Queste sono balle.»
Se solo fosse stato vero. «Si può stare
male quando una relazione non è matura.»
«E d'improvviso la tua lo è
diventata?»
«Non all'improvviso. È cresciuta in
questi mesi di
separazione.» Vide che la sua argomentazione non stava
sortendo
alcun effetto in Shun, ma aveva appena iniziato. «Sai cos'era
quell'aria da cane bastonato che mi hai visto addosso?»
«Sentiamo.»
«Era consapevolezza. Non pensare che non ci sia
stato un momento
in cui ho creduto che potesse essere finita tra me ed Ami. Forse la
distanza aveva
cambiato quello che lei provava per me. Allora ho fatto come
vorresti tu: ho iniziato a pensare a tutto quello che avrei potuto fare
se non stavamo più insieme Venire a studiare qui. Scegliere
in solitaria il mio
futuro. Avevo davanti una marea di possibilità.»
Shun lo guardava in silenzio.
«L'ho visto quel mondo, a portata di mano, pieno di
tutte
quelle cose che volevo un tempo. Era vuoto. Incolore.» Fece
una
pausa. «Non sono solo innamorato, Shun, sono cambiato. Penso
di essere cresciuto. Voglio
più cose di prima e alcune sono diventate così
importanti
da essere fondamentali.»
«E se fossi da solo in questo percorso?»
Era la chiave. «Se permettessi alla paura di
bloccarmi, lo rimpiangerei per mille anni.»
Shun la prese per una figura retorica.
«Avrei potuto continuare per sempre a credere, in
una parte di
me» si toccò il petto, «che se non mi
immolavo a
ogni desiderio di Ami, lei avrebbe potuto smettere di ricambiarmi.
Invece mi sono liberato. Non importa se è successo per una
sua
idea stramba, è servito. E se vuoi saperlo, Ami ne aveva
più bisogno di me. Ad una persona che è sempre
stata
concreta, leale e logica è permesso una volta nella vita di
fare
qualcosa di folle, no? Si è trattato di questo per lei. Ha
agito per paura, dopo che finalmente ha avuto il coraggio di
mostrarmela.» Non sapeva se si stava spiegando in maniera
convincente, ma era la verità.
«Conosco la persona che amo. Questo è il momento
migliore
della nostra relazione. E siamo lontani, Shun. Quando ci ritroveremo,
sarà il paradiso in Terra.»
Shun stava muovendo la lingua contro il palato, riflettendo.
«Quindi è stato un singolo lungo momento di pazzia
per Ami-san?»
«Esatto. Non è diversa da come l'hai
conosciuta.»
Il suo amico guardò la parete. «Non penso
che
smetterò mai di essere cinico. Mi aspetto sempre di scoprire
una
grande difetto nelle persone, prima o poi.»
Alexander lo sapeva molto bene. Per Shun era un modo di
salvaguardarsi: se non credeva in nessuno, non aveva
possibilità
di essere deluso.
Gli vide spuntare un sorriso in volto. «Ma non
è la mia
vita. Forse per te esiste davvero quel lieto fine irrealistico. Ma
soprattutto, che amico sono se insisto a volerti cinico, quando tu
adesso sei felice come probabilmente io non lo sarò
mai?»
Annuì. «E visto che ho un po' di fiducia di te,
lascio
perdere e mi fido. Non esiste che tu sia diventato così stupido
innamorandoti. Hai visto qualcosa in Ami-san. Ci crederò
anche io.»
Alexander fece un passo avanti. Aveva voglia di abbracciarlo.
Shun intuì le sue intenzioni. «Basta che
sia una cosa corta. Da uomini.»
Ridendo, si strinse a lui battendogli una mano sulla spalla,
con energia. «Grazie.» Si allontanò.
«Ho esaurito la mia quota di smancerie per il
prossimo anno.»
«Invece ti becchi un abbraccio anche a Natale. E mi
sa che tua
nipote vorrà baciarti man mano che cresce.»
«Ho una quota a parte per le persone che contano
l'età in mesi.»
Alexander sorrise. «Arimi è di
là?»
«Sì, ma non farlo. Non andare a guardarla
mentre dorme.
Sente l'odore della tua adorazione e si mette a piangere.»
Esagerato. Le cose erano cambiate da quando era una neonata.
«Ora le piaccio.»
«Ti ho avvertito: se la svegli, badi tu a
lei.»
Alexander sospirò. «Devo uscire tra
un'ora, mi incontro
con dei ragazzi per sviluppare il progetto di Masters.»
«Ah, quello difficile. Povera Ami, ti
sentirà poco in queste settimane.»
«Perché stai godendo?»
«Quando due tubano da far schifo,
è piacevole vederli soffrire un po'.»
Alexander roteò gli occhi al soffitto.
Andò verso la stanza di Arimi.
«Alex?»
Si voltò.
«Per l'invito a farmi una buona scopata... Non
credere che non
sia d'accordo. Se la settimana prossima mi tieni Arimi per una sera,
forse combino qualcosa con una tipa.»
«Sicuro. Ti aiuterò a perdere la tua
verginità di padre.»
Shun sfoderò un sorriso smagliante.
«Fottiti.»
«Ho avuto il piacere da meno di tempo di
te.»
A Shun non restò che incassare il colpo.
Quella sera, al termine di una lunga giornata, Alexander
controllò l'ora. Rifletté per un minuto, poi, nel
silenzio della sua stanza, afferrò il nuovo
comunicatore.
In Giappone erano le dieci del mattino. Non si aspettava una
risposta se Ami era fuori casa.
Lei apparve sullo schermo nel giro di pochi secondi.
«Tutto a posto?»
«Sì. È un capriccio:
volevo vedere la tua faccia prima di andare dormire.»
Le sfuggì un sospiro di sollievo. «Sono
per strada. Sto
tenendo il comunicatore tra le mani per nasconderlo, appoggiata a una
parete.»
«Scusa, non ho resistito. Abuserò di
questo strumento.»
La risatina di lei fu il suo premio.
«Ne è valsa la pena» le disse.
«Passa una buona giornata.»
«Goodnight, my love. Chiama tutte le volte che
vuoi.» Ami soffiò un bacio nella sua direzione.
Senza alcuna vergogna, lui lo ricambiò.
«Bye.»
Chiusero insieme la chiamata.
Senza sentire più nulla di incompiuto in quel
giorno, Alexander si addormentò.
Novembre 1997 - A Boston, in
America
- FINE
Note: Dovete sapere con quale idea ero partita per questo
capitolo.
Innanzitutto, doveva coprire i due mesi di separazione che rimangono da
sopportare ad Ami e Alexander. Era mia intenzione descrivere brevemente
la vita di lui - soprattutto con riguardo a Shun. La parte centrale del
capitolo doveva ruotare intorno a una scena d'intimità
telefonica - wink wink :P
Ebbene, i miei piani sono cambiati quando a Shun è
venuto in
mente di dare della mantide religiosa ad Ami :D Poi ho dovuto dare un
nome ai compagni di classe di Alexander, sapere (e farvi sentire) quale
tipo di ambiente universitario stava frequentando lui, far presente che
aveva vissuto anche esperienze poco piacevoli durante la sua permanenza
in America (anche se la pazzia di Reed ha preso il sopravvento mentre
scrivevo - è inquietante quella donna). E così,
arrivata
a metà capitolo, mi sono resa conto che avevo già
costruito e superato l'ostacolo narrativo di questo episodio e che
dovevo solo dipanare i nodi. Come al solito, rispetto la sacra
struttura: ogni capitolo deve avere un inizio, un problema che si
presenta, e una fine con la risoluzione della suddetta questione. C'era
tutto qui - tra Reed e il parlarne ed Ami, e soprattutto la litigata
con Shun e poi il chiarimento. Quindi il capitolo lemon è
tristemente rimandato - sarà il prossimo.
Meglio così, credetemi. Ci voleva un'atmosfera
più
soffusa e calma per quello che voglio scrivere. Non sono necessarie
distrazioni. Inoltre, ora sapete come si è trovato Alexander
nei
passati due mesi - al pari di quanto sapevate su Ami - e avete anche
un'idea di come si sia evoluto lui in questo periodo. Mi è
piaciuto scriverne. Mi piace come sta venendo fuori questa raccolta.
Grazie per essere qui a leggere *_* Fatemi sapere cosa ne pensate!
Elle
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Verso l'alba e oltre...