A Kei,
sperando che le
nostre mani restino unite per sempre.
[Il filo (non) si taglia]
Il filo rosso segna
il destino di una persona.
Quando due fili si
intrecciano tra loro, il Fato ha preso la sua decisione.
Insieme per sempre.
«Lo vedi il filo
rosso che lega le nostre mani, Naruto? Lo vedi? Io ho cercato di ignorarlo, ma…»
«Sasuke!»
La pioggia cade; penetra nei vestiti, nella pelle, nelle
ossa.
Pioggia che scorre. Pioggia che lava.
Falso.
La pioggia si limita ad inumidire, ma non deterge nulla.
Lascia ogni macchia a macerare gli abiti; a ristagnare sul
terreno.
A Naruto sembrava di essere in uno di quei film in bianco e
nero; quelli un po’ sfocati che nessuno guarda più.
Immobile sul terreno. Faccia a terra. Mano protesa.
Il palmo dell’altro era così vicino. Così vicino…
E non riusciva ad afferrarlo, né a vederlo.
Le ultime ore prima di crollare erano state così rapide,
così veloci…
L’arrivo di Sasuke a Konoha; gli anziani che dichiaravano lo
stato d’ allarme. Lui che correva… correva per
precedere tutti, perché Sasuke era il suo avversario. Il suo rivale. Era suo.
E di nessun altro.
Lo aveva raggiunto; si era posto davanti a lui come
difensore di Konoha.
«Non ti permetterò di distruggere il villaggio.»
Aveva affermato, baldanzoso.
Falsità. Non gli importava nulla di Konoha, adesso.
In quel momento, l’unica cosa importante era che Sasuke
fosse tornato al villaggio. Perché era tornato. Non era un’illusione generata
dalla sua mente. Non un genjutsu di un nemico. No.
Era Sasuke. Sasuke Uchiha. Era lì, davanti a lui.
Sasuke era tornato.
Si erano squadrati a lungo. Naruto aveva lasciato vagare gli
occhi sul vecchio compagno, cercando nell’attuale atteggiamento, l’ombra del
bambino che era stato.
Ricercò la sfida nei suoi occhi scuri. Ricercò il nero oltre quel rosso
scarlatto e maligno che impediva di leggergli dentro.
«Il rosso non porta mai nulla di buono.»
Pensò, cercando la scintilla di vita che illuminava le iridi
del suo vecchio amico quando si stavano per scontrare; il sorriso di beffa
sulle labbra pallide. La sua ostentata sicurezza di trionfare in qualsiasi
sfida avesse proposto quell’usuratonkachi. Qualcosa. Qualsiasi
cosa.
Ma era una ricerca destinata a non avere fine. Niente in lui era rimasto. Solo
lo stesso vuoto che, quando finivano le missioni del giorno, si rifletteva in
tutta la persona di Sasuke. Il volto tirato; distratto. Teso con il pensiero
verso qualcosa che non erano loro. Che non era lui.
Quel vuoto stazionava su di loro come un mantello pesante,
di lana. Ma invece di riscaldare, congelava. Opprimeva. Soffocava. Naruto aveva
imparato a scuoterlo; a riporre il mantello. A scacciare dalla mente di Sasuke
l’ombra di chi lo aveva condannato ad essere solo, perché un vendicatore non
può avere altri legami fuori dall’oggetto della propria vendetta.
Però non era stato capace di riporlo nell’armadio. Il
mantello aveva ripreso Sasuke. Lo aveva attirato nuovamente nel proprio grembo.
Lo aveva catturato. Gremito. E lo aveva strappato via dal mondo, fino a diventare
per lui come una seconda pelle; entrando a far parte della sua stessa natura,
modificandola.
E i cambiamenti si notavano. Sasuke non era più Sasuke. Era
una bambola vuota. Un involucro privo della personalità passata. Aveva il suo
aspetto, ma non era lui, perché se così fosse stato avrebbe ghignato, di fronte
alle sue pretese di difensore di Konoha. Lo avrebbe preso in giro; sminuito… Lo avrebbe trattato da idiota, come era solito
fare. Gli avrebbe rammentato che un dobe come lui non
sarebbe mai riuscito a difendere nessuno; che il suo sogno di diventare Hokage
era irrealizzabile, che…
Incrociò il suo sguardo. Rosso, spiccava nel continuo
alternarsi di bianco e nero che era la persona di Sasuke.
L’ Uchiha non
appariva interessato al loro incontro. Lo sguardo era vuoto - ancora più vuoto
di quanto Naruto rammentasse dal loro ultimo scontro; inconsistente.
Indifferente, e forse era questo ciò che faceva più
male.
Ma non era così. Sasuke era sempre stato bravo a mascherare
le proprie emozioni; era abile nel camuffare ciò che provava realmente. Tanto
abile, che neanche lui sapeva fino a che livello poteva arrivare con la propria
bravura nella dissimulazione né era cosciente di quale ormai fosse il confine
tra la realtà e la finzione.
A sua volta scrutava Naruto. Lo studiava con attenzione. Lo
conosceva abbastanza bene da poter scorgere i primi segni di rabbia cieca
trasfigurare il suo volto. Quella piccola contrazione della mascella; il
serrare i denti… e poi l’esplosione. Di urla; di chakra…
Rabbia. Rabbia. Solo ed esclusivamente rabbia. Dove aveva
nascosto il sorriso, Naruto? Non che se lo aspettasse - quel sorriso, lo aveva
perso molto tempo prima – ma di solito affiorava sempre nelle iridi cerulee.
Non rideva con la bocca, ma con gli occhi; con quell’azzurro cielo su cui
doveva essere splendido volare libero, una volta per tutte.
Sasuke non vedeva il sorriso. E più non riusciva a
scorgerlo, più fredda diventava la sua persona. Un bruciore corrosivo partiva
dal centro dello stomaco, invadendo il resto del corpo; propagandosi ad ogni
nervo. Il sorriso non c’era. L’azzurro non c’era e Sasuke, ancora una volta
troppo concentrato su ciò che non riusciva ad ottenere, non si rendeva conto di
essere stato lui a spezzare il riso sulle labbra di Naruto e a tingere i suoi
occhi di rosso.
Si infuriava; pestava i piedi come un bambino piccolo che
non ha ricevuto il regalo, anche se questo non gli era dovuto. Più si
affacciava in lui la consapevolezza che non c’era l’azzurro, più diventava
distaccato. Più lo faceva, più il sorriso scompariva dagli occhi di Naruto, in
un circolo vizioso che li portava alla reciproca incomprensione.
Forse era sempre stato questo, il loro problema. Uno cercava
di comprendere, l’altro si allontanava. Uno faceva un piccolo passo in avanti,
l’altro indietreggiava. Sempre ad inseguirsi. Sempre a cercarsi; a giocare al
gatto e al topo. Scappare. Inseguire. Fuggire. Cercare di afferrare
l’evanescente; rincorrere l’impossibile e farselo sfuggire dalle mani proprio
quando riesci a sfiorarlo.
Il mondo aveva perso colore. Tutto si era fatto grigio.
Dov’era l’azzurro? Dov’era il nero?
Dove erano i colori?
Perché c’era solo quel rosso agglomerante e soffocante nelle iridi di entrambi e in quel
sottile filo che legava i loro polsi, unendoli.
Si accorciava e si allungava, a seconda di quanto fossero
più o meno vicine le loro mani che parevano continuamente tentare di sfiorarsi
e stringersi a vicenda.
Ma non si afferravano mai. E il filo continuava a tendersi e
intrecciarsi attorno ai loro corpi.
Il mondo restava grigio e, in esso, il rosso splendeva.
Negli occhi di entrambi. Attorno ai loro polsi. Intorno a
loro. Circondandoli e stringendoli in una morsa di colore.
Naruto continuava a cercare il nero oltre il rosso. Senza
sapere che Sasuke, a sua volta, ricercava l’azzurro oltre la coltre scarlatta.
Naruto voleva il cielo notturno. Sasuke quello del giorno.
Ognuno dei due cercava spasmodicamente la propria parte
mancante. L’altra metà di sé che da sempre era drasticamente racchiusa
nell’altro.
Un bisogno irrefrenabile di sentirsi completi e, allo stesso
tempo, di distruggersi per evitare che quella necessità non sfociasse in ciò
che ostinatamente cercavano di negare. Scaricavano le proprie pulsioni nel
combattimento. In esso si allontanavano. In questo si ricercavano. L’adrenalina
era l’unica sovrana. La tensione; il battito accelerato del cuore nel petto e
quella gabbia toracica che sembrava pronta a scoppiare.
Toccarsi e restare distanti. Colpirsi e accarezzarsi. Ogni
pugno assumeva la consistenza del bacio; il silenzio aveva il sapore della
comprensione.
«Io ti capisco. – si dicevano – Io ti ho sempre capito, ma non
posso.»
E quella negazione del verbo “potere”, sebbene mai
pronunciata, continuava a gravare su di loro.
Non in questo mondo; non in questa vita. Forse…
Magari… Se fosse andata diversamente…
Dubbi. Domande. Questioni cui non potevano lasciare spazio, perché quello era
il loro scontro; la loro battaglia. Perché la vita li aveva
divisi troppo tempo prima, senza riuscirci davvero. Ma aveva guastato tutto
quello che sarebbe potuto essere, perché ormai erano troppo distanti; troppe
barriere erano state costruite e avevano troppo poco tempo per abbatterle
tutte.
Era questo il problema: il tempo non c’era più. L’avevano
finito; consumato. Perso negli anni in cui erano stati lontani; in cui il
giorno non aveva incontrato la notte e l’unico legame tra loro era stato quel
filo rosso. Troppo sottile; troppo fragile per costituire un fattore di
ritrovo. Eppure, aveva resistito. Era rimasto lì, allacciato a quei polsi che
non volevano incontrarsi. Logorato dal tempo, dalle intemperie e dalla
sofferenza, aveva continuato ad adempiere al proprio compito, sopravvivendo a
tutto. Aveva atteso pazientemente, finché le strade non si erano nuovamente
incrociate.
Il filo non si era mai spezzato, ma loro…
…loro sì.
I loro corpi avevano urtato il terreno, stremati.
Le braccia tese; le dita contratte alla ricerca del
compagno, senza la possibilità di potersi toccare.
Troppo distanti. Ancora una volta. L’ennesima.
«Sasuke…»
Rantolò Naruto, cercando la mano dell’amico che non vedeva,
ma sentiva che c’era. Doveva
esserci, perché era crollato lì, proprio accanto a lui.
Era tornato per lui.
«…ho fallito anche stavolta, vero
Sasuke?»
Naruto ebbe l’
impressione che annuisse, ma non poteva vederlo. Era troppo lontano, anche solo
per uno sguardo.
Chissà se Sasuke aveva gli occhi neri, ora? Chissà se il
rosso era sparito?
«Abbiamo fallito entrambi, usuratonkachi.»
Mormorò Sasuke, calcando sull’usuratonkachi.
A Naruto parve di cogliere un sorriso fuggevole in quel epiteto. Breve;
impalpabile come il vento, ma pur sempre un sorriso.
«Come al solito, teme.»
Sasuke sorrise.
Chissà se Naruto aveva gli occhi azzurri, ora? Chissà se il
rosso era sparito?
Si disse che non importava. In fondo, non poteva vederlo.
Era troppo distante. Troppo…
C’era qualcosa di sbagliato in tutto quello. Pensò ad un
patetico scherzo del destino. Di fronte agli occhi, le immagini di Itachi; dei genitori morti; del Gruppo Sette; di Orochimaru…
Se… Forse…
Ma… Ormai non si poteva cambiare più nulla.
«Peccato. – pensò Sasuke. – Peccato.»
Tese le dita. Afferrò il vuoto.
Ancora una volta, la distanza che li separava era
incolmabile, supplita soltanto da quel filo rosso che ancora li legava, senza
però riuscire a colmare il vuoto tra loro.
E le mani andavano ancora cercandosi.
N/A:
Che dire? Questo, di tutti i contest cui ho
partecipato, è stato quello che mi ha impanicata di
più. E la colpa è di suni, perché dopo aver
letto tutte le sue SasuNaru sono andata in crisi da
IC fallimentare XD.
Quindi, posso solo che ritenermi soddisfatta del risultato.
Faccio i
complimenti alle altre ragazze, che hanno contribuito ad aumentare il numero di
storie SasuNaru decenti sul sito, e ringrazio le
giudici per essere state così precise e puntuali nei giudizi (parola mia, ci ho
messo più a leggerli che a scrivere la fic XD).
Dunque, può essere shonen ai, come può non
esserlo. La scelta al lettore. Per me, lo è, ma io ho una mente traviata in tal
senso e vedo lo shonen ai e lo yaoi anche nello
sformato di broccoli. Il “what if…?” e lo “spoiler” si rifanno alla distruzione
di Konoha. Qui la ditta di demolizione di Pain non ha
preceduto quella di Sasuke. Ho scritto
due fanfiction per questo contest, così mi sono
trovata nell’indecisione su quale mandare, se quella comica, o quella tragica.
Alla fine ho optato per questa perché, a
detta di Kei, è più “sentita”, ma tanto andavano bene
entrambe: tanto mi sarei convinta comunque che era meglio mandavo quella
rimasta nel pc XD.