La
verità è che sono le cinque e mezza del mattino,
sono tornata da poco a casa e la voglia irrefrenabile di pubblicare
questa shot ha avuto la meglio anche sul sonno.
A differenza delle long-fic, le one shot le scrivo quasi "tutto d'un
fiato". Penso, e questi pensieri mi travolgono ed io tento di tradurli
in parole scritte nere su bianco. Sono stata triste per qualche giorno,
e forse proprio quella tristezza mi ha ispirato questo storia: ho
immaginato, semplicemente, che Emma e Regina si ritrovino davanti al
portico della dimora del sindaco e che affrontino la realtà
dei fatti l'una di fronte all'altra. E la realtà dei fatti
è che entrambe devono morire, lo sappiamo tutti (noi che
guardiamo la serie, seguendo la messa in onda americana) e lo sanno
loro. Qui, in questa shot, Emma e Regina ne parlano (in
realtà molto poco), se lo sono appena detto che entrambe
dovranno morire e ci sono i pensieri, le emozioni, le reazioni. Niente,
non so che sto scrivendo e se quello che sto scrivendo ha senso,
perciò perdonatemi.
Vi auguro una serena notte ed un meraviglioso risveglio (mentre io vado
a dormire). Buona lettura.
A presto,
C.
Cieli
Sommersi
Emma
è dimagrita. Regina riesce quasi a scorgere le vene sotto la
sua pelle lucida e sottile, splendidamente bianca, come modellata dalla
luna. È la prima volta che ci fa realmente caso, eppure si
era più volte soffermata ad osservarla, non si era mai
lasciata sfuggire nulla, nessun dettaglio. Gli occhi scuri di Regina
seguono le linee eleganti del volto di Emma, discendendo dalle gote
sino alla mascella, dove il collo diventa viso. Le labbra di Emma sono
screpolate, forse per il freddo o forse – più
probabilmente – perché ha quella bellissima
abitudine di mordicchiarle quando è nervosa o semplicemente
sovrappensiero, poi se le lecca con la punta della lingua sperando di
alleviare il bruciore e Regina non può far altro che
osservare.
Emma trema, ma non per il freddo. Non ha mai avuto freddo a
Storybrooke, e non perché aiutata dalla sua indole
all’adattamento, ma perché, in qualche modo, quel
freddo ha sempre fatto parte di lei. È solo che adesso il
freddo, il cielo e la pioggia di Storybrooke fanno male. Piove da tanto
tempo, come aghi minuscoli ad entrare nella pelle ed Emma ha il suo
solito giubbotto di pelle rosso troppo sottile e Regina vorrebbe solo
afferrarne i bordi e stringerlo per proteggerla, per salvarla, ma non
può. Lei, non può. Emma non sa nemmeno come si
sia ritrovata sotto quel portico, ma non ci pensa, alza gli occhi verso
Regina e si perde nei suoi, che tremano ancora sotto
l’effetto dell’eco delle sue stesse parole.
Storybrooke, all’alba, è grigio perla ed Emma
solleva un po’ di più gli occhi per guardare il
cielo e ritrovare il proprio riflesso, mentre socchiude le labbra per
lasciar andare il respiro. Poi ritorna ad osservare Regina e le sembra
tutto uno scherzo, tutto così fottutamente ridicolo
perché la volontà divina o un maledetto destino
ha deciso che è arrivata la fine, per entrambe, come se non
potessero liberarsi dei loro sogni, incastrate nei propri incubi. Emma
non dice nulla ma non ha bisogno di parlare, perché Regina
non ha mai avuto bisogno delle parole per comprenderla, non sono mai
state necessarie.
Ora che non so chi ha torto
o chi ha ragione
Ora che non ho le forze per restare
Ora mi muovo di nuovo e di nuovo non ho
più niente nessuno da
difendere
Emma corruga le sopracciglia e Regina vorrebbe solamente prenderle il
viso tra le mani e sciogliere le sue preoccupazioni con la bocca
premuta sulla sua fronte increspata, ma non ci prova nemmeno e preme i
denti contro le sue stesse labbra. Pensa che avrebbe potuto o dovuto
fare qualcosa, trovare una soluzione, avrebbe potuto cercare una
formula magica da pronunciare a bassa voce, quando tutto il resto fa
paura. Per proteggerla,
e salvarla.
Come Emma aveva fatto con lei per tutto questo tempo, sacrificando
sé stessa finanche a costo di accogliere
l’Oscurità dentro l’anima. Dovrebbe fare
qualcosa di più, ma non ne è capace.
Emma è bellissima anche quando abbassa gli occhi, con i
lunghi capelli che scivolano davanti al suo viso, ma «Dimmi
che non è vero» le sta sussurrando, prima di
fissare lo sguardo in quello di Regina. Lei dischiude le labbra senza
che, però, nessun suono fuoriesca. Basterebbe pochissimo,
una bugia, una semplice combinazione di parole a convincerla che
andrà tutto bene, ma Regina non ci riesce. Non
può mentirle, sarebbe ingiusto, dopo tutte le promesse fatte
ed i chilometri e le vite vissute. Regina scuote la testa e chiude le
labbra per aprirle di nuovo e balbettare «Emma,
io…» mentre incrocia le braccia al petto, come
fossero uno scudo contro la propria debolezza. Perché Emma
è la sua debolezza.
Tempo che non ho per stringerti le mani
tanto me ne andrò, sia oggi o sia domani che cambia?
Ora mi muovo di nuovo e di nuovo non ho
più niente nessuno da difendere
Emma indietreggia e non la guarda più. A Regina sembra di
morire nel vederla scappare ancora, per colpa sua, ed ora sono
così distanti eppure così legate l’una
all’altra, tanto da far male. Sono sempre state come due poli
opposti, abissi ed anime e tutta una vita racchiusi tra i due estremi
indissolubili. Il cielo è più scuro, inabissato
in plumbee nubi, ma non offre rifugio ai loro fantasmi, piove
più forte come dita battute sull’asfalto. Emma
alza per un’ultima volta gli occhi in quelli di Regina e lei
li accoglie con la delicatezza ed il calore che sono solo suoi. Poi
Emma le mostra un sorriso pregno d’amarezza, «Non
ci riesco, non posso» dice mentre le ciglia si bagnano di
lacrime e pioggia. Apre le braccia e, semplicemente, si arrende.
Emma sorride ed è bellissima, ha gli occhi tristi e le
guance rigate dalle lacrime, i capelli si stanno bagnando
perché la pioggia è fittissima e lei ha addosso
solamente quel maledetto giubbotto di pelle rossa. Regina stringe la
presa delle sue braccia ancora incrociate e spinge le unghie contro il
tessuto della sua giacca nera, si morde le labbra e la guarda
allontanarsi. Poi Emma si ferma, proprio al centro del giardino
– lì dove era iniziato tutto – chiude
gli occhi, alza il mento e lascia che la pioggia cada giù,
su di lei, come per sommergerla.
È tutto qua, così scontato
È tutto qua, manco fosse un pacco che
ha cose mie, ha cose tue
ha colpe da scontare in due
(Atlantide – Daniele Celona
feat. Levante)
Il cielo si è schiarito perché sta sorgendo il
sole e Regina pensa che non vedeva l’alba da così
tanto tempo che le sembra di dover tornare con la mente alla Foresta
Incantata, prima di ogni cosa, lì, a Storybrooke.
C’è una luce bianchissima, sta piovendo come fosse
un castigo e Regina sta tremando. Non trema per il freddo –
pungente, elettrico, quasi spaventoso – ma perché
ha ancora le braccia conserte e non riesce a far nulla mentre Emma piange. Emma piange
con la pioggia, si mescola ad essa, e Regina non riesce a far altro che
darsi la colpa di ogni cosa ed ingoiare il sapore amarissimo del
fallimento.
Emma è la cosa più pura che ci sia nella vita di
Regina, insieme a Henry, di una purezza bianca come la sua pelle e
Regina si sente come un veleno che è stata capace di
macchiare anche la Salvatrice – perché Emma si
è sacrificata per lei – e non le ha nemmeno mai
detto grazie.
Regina trema perché non riesce a smettere di ammirare
l’innocenza di Emma nel chiudere gli occhi ed accogliere la
pioggia scrosciante su di sé. Ci è arrivata
troppo tardi, Regina, che tutto quello che aveva creato era stato un
gioco troppo grande per lei, per Storybrooke – e per Emma. Ma
adesso è tardi anche per tornare indietro.
Regina, allora, fa un passo in avanti. E poi un altro. Ed un altro,
ancora. Lascia cadere le braccia lungo i fianchi e, lentamente, si
avvicina ad Emma che ha ancora gli occhi chiusi e le lacrime e la
pioggia a bagnarle il viso ed i capelli ed il collo. È ad un
palmo di distanza da lei, la osserva per qualche secondo lunghissimo e
respira serrando le labbra. I muscoli delle braccia si tendono, rigidi,
solo per un attimo prima che Regina prenda tra le mani il viso di Emma
e prema le sue labbra contro la sua fronte; e, mentre lo fa, strizza
gli occhi e corruga le sopracciglia come se quel bacio facesse male
come una liberazione. Emma spalanca gli occhi per lo stupore mentre
Regina inizia a singhiozzare contro la sua fronte.
«Mi dispiace» sussurra, Regina, tra un singulto e
l’altro. Poi si sposta più in basso e posa le
labbra sulla gota umida ed assapora il gusto sapido delle lacrime di
Emma. «Mi dispiace» ripete, di nuovo, sottovoce e
con le labbra scende ancora sino a sfiorare l’angolo della
bocca di Emma. La bacia sulla scia delle sue lacrime, come se volesse
dissetarsi o assorbirne il dolore e poi si ferma, ha gli occhi chiusi
– non ha il coraggio di aprirli – mentre Emma non
riesce a chiudere le palpebre perché ancora non riesce a capire. Regina
è così vicina, le tiene il viso tra le mani e
riesce a percepire il calore del suo respiro, del suo corpo su di
sé, a stento riesce a respirare e non sa che fare. Resta
inerme e respira a bocca aperta il respiro di Regina.
La bocca di Regina è così vicina che quasi la
sente sulle sue stesse labbra aprirsi, muoversi, contorcersi prima che
dica un’ultima volta «Mi dispiace», come
se avesse voluto gridarlo nella sua bocca e farlo arrivare sino a
dentro il cuore o dentro l’anima, ma in realtà sta
sussurrando ancora.
Regina è così vicina ed Emma resta inerme, chiude
gli occhi e respira.
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