Una
visita inaspettata
Sbuffo
sonoramente osservando il libro che ho davanti.
Adoro
essere al college e mi piace il modo adulto che i professori hanno di
trattarci ma la verità è che mi mancano i miei
amici.
I
loro college non sono proprio dietro l'angolo e così non ci
vediamo
da tre mesi, il tempo più lungo mai trascorso.
Ci
conosciamo fin dall'asilo, i compiti li abbiamo sempre fatti insieme
e vorrei che fossero qui anche adesso; sarebbe tutto più
facile e
divertente.
Sono
ancora intenta ad auto commiserarmi quando il suono del mio cellulare
mi strappa ai miei pensieri.
Guardo
il display e non riesco a reprimere un gridolino di gioia.
«Ciao
Gordo!» esclamo, appena accettata la chiamata.
«Ciao
Lizzie, come va?» mi chiede lui con la sua solita voce dolce.
«Bene,
adesso che sono al telefono con te.» ammetto io sinceramente.
Lo
sento schiarirsi la voce, potrei scommetterci che è
arrossito.
S'imbarazza sempre quando gli dico qualcosa di tenero.
Sto
per punzecchiarlo con una battutina quando lui mi dà la
più bella
delle notizie: il giorno dopo ha un seminario dalle mie parti ma lo
terrà occupato solo fino all'ora di pranzo quindi, visto che
è
sabato e io non ho lezioni, nel pomeriggio verrà a trovarmi!
A
questo punto non riesco a frenare la mia gioia e urlo un sì
a
squarciagola.
Gordo
mi saluta velocemente perché sta per entrare a lezione e mi
dà
appuntamento al giorno dopo alla fermata dell'autobus.
Appena
chiusa la chiamata abbandono la scrivania e mi butto sul letto
abbracciando il cuscino, non credo alla mia fortuna!
Sono
ancora lì a crogiolarmi nella felicità
dell'attesa, quando sento
una risatina provenire dall'altro lato della stanza.
«Cos'è,
stai per dirmi che devo trovarmi dove dormire per il
week-end?» mi
chiede la mia compagna di stanza, Rebecca, con fare ammiccante.
La
guardo confusa, non comprendendo a caso si riferisca finché
mi torna
in mente qualcosa successa un mese dopo il mio arrivo al college.
Rebecca
è il classico tipo di ragazza che cambia ragazzo con la
stessa
frequenza con cui una persona normale cambia biancheria intima...ci
sono volte in cui mi sono chiesta se almeno conoscesse il nome del
ragazzo con cui era andata a letto...
Vista
la sua vivace vita sociale non faceva che tormentarmi perché
io
invece non avevo nessuno che mi venisse dietro.
Un
giorno, mentre ero intenta a sistemare alcuni libri, da uno
è
scivolata fuori una foto mia e di Gordo.
Ce
l'aveva scattata Miranda un giorno che eravamo nel parco vicino casa.
Appena
lo ha visto le si sono illuminati gli occhi e mi ha chiesto se quel
figo dagli occhi verdi fosse il mio ragazzo.
A
quel punto, stanca delle sue continue critiche alla mia scarsa vita
sociale e piccata dallo spiccato interesse che aveva dimostrato nei
confronti di Gordo, ho fatto la cosa più stupida che potevo
fare.
«Si
stiamo insieme da due anni.» ho risposto, strappandole la
foto di
mano.
«Ora
capisco perché non eri interessata ai ragazzi del
campus.» ha
commentato lei, sorridendo compiaciuta. «Ma perché
non lo hai detto
prima?»
«Era
un brutto periodo, è la prima volta che stiamo lontani per
così
tanto tempo da quando stiamo insieme, non mi andava di
parlarne.» ho
detto io, sperando di risultare credibile.
Per
fortuna la mia risposta l'aveva soddisfatta e, dopo avermi fatto i
complimenti per l'acchiappo,mi aveva lasciato in pace.
Tornata
in me, vengo colta dal panico.
Lei
si aspetta che quello che viene a trovarmi sia il mio ragazzo.
Come
faccio a cavarmi d'impiccio?
«Purtroppo
verrà solo per un pomeriggio, quindi tranquilla, non ti
sfratterò
dalla stanza!» esclamo, cercando di sembrare felice e
divertita.
«E
quando vi vedrete?»
«Domani
pomeriggio.» rispondo di getto, senza pensare a nessuna bugia.
«Sei
fortunata, domani ho un gruppo di studio, avrai la stanza tutta per
te!» esclama lei, facendomi l'occhiolino.
«Perfetto.»
rispondo io, cercando di sembrare naturale ma trattenendo a stento la
voglia di urlare per la disperazione.
Appena
Rebecca mi saluta per andare al bar dove lavora mi attacco al
telefono: devo avvisare Gordo!
Purtroppo
l'apparecchio risulta spento.
Continuo
a provare inutilmente per tutta la sera e alla fine vado a letto,
rassegnata. Ci riproverò il giorno dopo.
Ho
trascorso una nottata tremenda.
Non
ho la più pallida idea di dove troverò il
coraggio per dire a Gordo
quello che ho combinato.
Appena
aperti gli occhi sbircio il letto di Rebecca, è intatto.
Sicuramente
ha dormito fuori.
Fortuna
che preferisce non portare in camera le sue conquiste se no non
potrei mai dormire nel mio letto.
Approfittando
della sua assenza afferro il telefono e chiamo Gordo.
Purtroppo
anche stavolta il suo cellulare è spento.
Sempre
più demoralizzata, mi alzo e vado a farmi una doccia.
Rimanere
digiuna e in pigiama non mi aiuterà a risolvere il mio
problema.
Rinvigorita
dalla doccia torno in camera e prendo il cellulare.
Con
mio orrore noto una chiamata persa e un messaggio.
La
chiamata è di Gordo, così come il messaggio.
“Ciao
Lizzie, ieri ho dimenticato di dirti che il mio autobus
arriverà
alle 15. Ci vediamo alla fermata. Gordo. PS:Ho il cell quasi scarico
quindi lo terrò spento nel caso mi serva per qualche
imprevisto.”
Appena
leggo quelle parole cado a sedere sul letto in preda allo sconforto.
Non
ho modo di rintracciarlo prima che arrivi qui.
Consapevole
che ormai non posso fare altro che aspettare il suo arrivo, decido di
partecipare ad un seminario di letteratura inglese. È
facoltativo, difatti pensavo di non andarci e approfittarne per
studiare, ma visti i pensieri che ho in testa dubito che riuscirei a
concentrarmi sui libri. Almeno il seminario mi aiuterà a
distrarmi.
Dopo
essermi vestita mi trascino in mensa e sbocconcello qualcosa senza
molta convinzione quindi, in modalità zombie, mi trascino
nell'aula
del seminario.
Le
tre ore successive volano via senza che me ne accorga, peccato solo
che non ho preso uno straccio di appunto.
La
mia idea di distrarmi andando al seminario non ha funzionato; ho
passato tutto il tempo a pensare in quale modo dire a Gordo del
pasticcio in cui mi sono cacciata ed in cui l'ho, suo malgrado,
coinvolto.
Esco
dall'aula e do' un'occhiata all'orologio.
Ho
ancora tre ore per tentare di trovare una soluzione.
In
teoria sarebbe orario di pranzo così, anche se mi sento lo
stomaco
chiuso, vado a mensa.
Presa
un'insalata (tanto per avere un piatto davanti), mi siedo ad un
tavolo a fissare il vuoto.
«Emozionata?»
chiede una voce, sorniona, alle mie spalle.
Quando
mi giro mi ritrovo davanti la pancia di Rebecca.
«Un
po' agitata, sono tre mesi che non lo vedo.» rispondo, io,
alzando
lo sguardo su di lei e nel momento in cui lo dico mi rendo conto che
è la verità.
È
vero, sono in ansia all'idea del pasticcio che ho combinato ma una
parte di me è agitata al pensiero di rivederlo.
Mi
chiedo se mi troverà diversa o se il college avrà
cambiato lui.
«A
che ora arriva?»
«Purtroppo
non sapeva di preciso a che ora si sarebbe liberato, viene in zona
per un convegno. Ci sentiremo più tardi.» rispondo
io,
complimentandomi mentalmente con me stessa per la mia presenza di
spirito.
«Peccato,
mi sarebbe piaciuto conoscerlo!»
Non
avevo dubbi, mi dico tra me e me.
«Dalle
quattordici e trenta in poi sono in biblioteca con il gruppo di
studio, se vi va passate per un saluto.»
«Oh
bé, vedremo.» balbetto io, iniziando ad andare in
panico.
«Lizzie!»
chiama una voce di fianco a me.
«Clare,
ciao!» rispondo, sollevata dall'interruzione.
«Scusami,
ti ricordi che dovevi prestarmi gli appunti di storia?» mi
chiede
con estrema gentilezza.
«Certo,
il tempo di finire il pranzo e andiamo.»
«Se
cambi idea sai dove trovarmi.» mi dice Rebecca,
allontanandosi.
Io
le faccio un cenno con il capo e la saluto tirando un sospiro di
sollievo mentale.
Mangio
velocemente la mia insalata, mentre Clare vicino a me legge un
romanzo e appena finito andiamo insieme in copisteria.
«Purtroppo
nel week-end gli appunti mi servono ma così potrai studiarli
anche
tu.» le spiego strada facendo.
Clare
è la compagna di stanza perfetta: ordinata, riservata,
fidanzata da
quasi tre anni con un brillante studente di medicina.
Insomma,
tutto il contrario di Rebecca.
Peccato
non possa essere lei in camera con me, a quest'ora non sarei in
questo pasticcio.
Tornare
a pensare a ciò che devo dire a Gordo mi fa venire il mal di
pancia.
Vorrei
che Miranda fosse qui per chiederle consiglio.
Appena
questa idea mi attraversa la mente sento la speranza risorgere in me.
Finito
di fare le fotocopie, saluto Clare e corro in camera mia.
Dopo
essermi accertata che Rebecca non sia nei paraggi, prendo il
telefonino e chiamo Miranda a dita incrociate.
Appena
sento “Ciao” sto per fare un urlo di gioia ma,
ahimè è solo la
segreteria.
Ma
si può essere così sfortunate?
Rassegnata,
decido che magari sarebbe il caso di darsi una sistematina.
Va
bene che Gordo è solo un amico ma sono tre mesi che non ci
vediamo e
vorrei fargli una buona impressione. Senza contare che se Rebecca
vedesse che non faccio alcun preparativo particolare potrebbe
insospettirsi.
Mi
do' un'occhiata allo specchio e mi rendo conto che i miei capelli
sono a dir poco orripilanti.
Sicuramente
stanotte mi sono agitata in preda all'ansia per la bugia e questa
massa informe è il risultato.
Visto
che di tempo ne ho in abbondanza mi faccio una maschera rilassante
seguita da una lunga doccia e dallo shampoo.
Finito
di asciugarmi mi piazzo davanti all'armadio alla ricerca di qualcosa
da mettere.
Sarei
tentata di mettere i jeans, almeno starei comoda durante il tour del
campus, ma se Rebecca mi vedesse so già che ci vedrebbe
qualcosa di
strano.
Bugia,
bugia, bugia!
Rebecca
è solo una scusa, la verità è che
voglio mostrarmi al meglio.
Improvvisamente
mi sento agitata all'idea di rivedere Gordo ma non so più se
è solo
per la bugia.
Alla
fine opto per un paio di leggings neri e un maglioncino grigio perla
che mi lascia una spalla scoperta.
Il
risultato abbinato agli stivaletti che ho comprato settimana scorsa
non è male.
Sono
carina ma anche comoda e potrei tranquillamente passare per una che
deve incontrarsi con il proprio ragazzo.
[NDA:ecco
il look
da cui ho preso spunto ]
Un'occhiata
all'orologio mi conferma che è ora di andare alla fermata.
Raccolgo
la borsa, chiudo la porta e mi avvio.
Non
posso fare a meno di guardarmi attorno.
Forse
sono paranoica ma temo che Rebecca si sia nascosta da qualche parte
per spiarmi.
La
fermata è vicinissima al campus così in pochi
minuti sono sul
posto.
Ho
giusto il tempo di dare un'occhiata al trucco quando vedo l'autobus
avvicinarsi e sento il cuore partire per uno sfrenato galoppo.
Mi
dico che devo darmi una calmata ma non serve a niente.
Il
mezzo si ferma, le porte si aprono e me lo ritrovo davanti con il suo
dolcissimo sorriso da cucciolo.
«Gordo!»
esclamo, buttandogli le braccia al collo appena scende l'ultimo
scalino.
In
quel momento non m'importa più di nulla, né di
Rebecca, né della
bugia né di cosa può pensare chi ci vede. Sono
solo felice.
Dopo
qualche secondo lo lascio andare e vedo che mi sorride impacciato e
si gratta la testa, in imbarazzo.
Che
dolce, è anche arrossito.
Non
c'è che dire, è il solito timidone.
Questo
pensiero mi ha appena attraversato la testa quando mi ricordo del
pasticcio in cui mi trovo.
In
preda al panico, faccio saettare il mio guardo su di lui
finché non
noto la tracolla che porta sulla spalla.
«Scommetto
che ti sei portato dietro il pc. Andiamo a lasciarlo in camera mia e
poi ti faccio fare il tour del campus.» dico, afferrandolo
per una
mano e trascinandomelo dietro.
Se
Rebecca mi vedesse mi prenderebbe per una ninfomane ma al momento non
m'importa niente di lei.
Ciò
che conta è spiegare a Gordo l'assurda situazione in cui
l'ho
cacciato.
«Lizzie
ho tutto il pomeriggio per visitare il campus, non c'è
bisogno di
correre!» mi fa notare Gordo, stupito dal mio comportamento.
Io
non gli do retta e non mi fermo finché non arrivo davanti
alla porta
della mia stanza.
«Aspetta
qui.» gli dico, bloccandolo nel corridoio. «Dopo ti
spiego.»
aggiungo, vedendo la sua faccia perplessa.
Con
fare circospetto apro la porta e sbircio all'interno.
Per
fortuna di Rebecca nessuna traccia (anzi, in previsione della visita
di Gordo ha anche riordinato le sue cose).
Invito
Gordo ad entrare quindi prendo una calamita a forma di cuore dalla
lavagna appena all'interno della porta e la attacco a quella esterna
prima di richiuderla.
«Eccoci
qua, questa è la mia stanza.» dico, cercando di
apparire
tranquilla.
«Si
può sapere che succede?» chiede Gordo, perplesso e
anche un tantino
irritato.
Con
un sospiro rassegnato lo invito a sedersi e mentre lui prende posto
alla sedia della scrivania io mi sfilo gli stivaletti e mi appollaio
sul letto.
Lo
vedo irrigidirsi.
A
quanto pare ricorda ancora che questa per me è la posizione
dei
grandi discorsi e dei problemi da risolvere.
«Ho
combinato un casino.» esordisco, senza tanti preamboli.
In
poche parole gli spiego quello che ho fatto e lo vedo strabuzzare gli
occhi e arrossire.
Vorrei
scavarmi una fossa e sotterrarmici.
«E
così lei adesso crede che tu sia il mio ragazzo.»
concludo,
dandogli il colpo di grazia.
Lui
rimane in silenzio e io sono ancora lì che attendo la sua
reazione
quando succede l'impensabile.
Un
attimo prima siamo l'una di fronte all'altro e quello dopo mi ritrovo
distesa sul letto con Gordo sdraiato sopra di me.
Ha
le labbra premute sul mio collo e con una mano ha agganciato la mia
coscia al suo fianco.
Sento
il cuore che va a mille e per un attimo mi chiedo cosa diavolo gli
sia preso e che intenzioni abbia finché non sento una
tossetta finto
imbarazzata provenire da dietro le sue spalle.
Gordo
mi sorride e mi fa l'occhiolino prima di alzarsi e fingere di
ricomporsi.
Io
mi metto a sedere sul letto e sento il viso andarmi a fuoco: il mio
caro maglioncino ha dei bottoncini sulla schiena che hanno deciso
bene di aprirsi parzialmente lasciandomi con il reggiseno in bella
vista.
Certo,
la scena sembrerà molto più autentica ma io sono
incredibilmente in
imbarazzo.
Mi
copro alla bella e meglio e mi avvicino a Gordo.
«Ragazzi,
scusate, se avessi saputo che eravate qui non sarei entrata senza
bussare!» esclama Rebecca con aria fintamente dispiaciuta.
«Non
hai visto il cuore sulla lavagna?» le chiedo, irritata.
«Non
c'era!» protesta lei, affacciandosi sulla porta.
«Oh guarda, era
finito a terra.» aggiunge, raccogliendo la calamita e
rimettendola a
posto.
«Comunque
io sono Rebecca.» dice, porgendo la mano a Gordo e
radiografandolo
dalla testa ai piedi.
«Piacere,
io sono Gordo.» risponde, intimidito dallo sguardo di lei.
«Se
non ti dispiace...» dico io, facendomi vicina al mio amico
con fare
protettivo.
«Certo,
certo avete da fare.» ridacchiò lei.
«Prendo il mio quaderno di
appunti e sparisco.» ci assicura, avvicinandosi alla sua
scrivania.
«Recuperato.»
ci annuncia poco dopo. «Gordo, è stato un piacere.
Spero di
rivederti presto.» dice, salutandolo con un bacio sulla
guancia (un
po' troppo lungo per i miei gusti) e andando via.
«Scusami
per prima» mi dice lui, appena la porta si chiude, abbassando
lo
sguardo «Solo che appena ho sentito la porta aprirsi ho
immaginato
fosse la tua compagna distanza ed ho pensato che non sarebbe stato
credibile che due che non si vedono da tre mesi se ne stessero seduti
ad un metro l'uno dall'altra.»
Tengo
per me il fatto che per un secondo ho temuto che si fosse trasformato
in un maniaco pronto a saltarmi addosso e gli sorrido con fare
incoraggiante.
«Sei
stato grandioso!» esclamo con enfasi. «Ma come hai
fatto a capire
che Rebecca stava entrando? Io non ho neanche sentito la porta che si
apriva!»
«Quando
nel tuo dormitorio hai parecchia gente appassionata di gavettoni
diventi svelto a reagire per mettere in salvo libri e pc.» mi
spiega
lui sorridendomi.
Scuoto
la testa e sorrido, impressionata dalla sua prontezza di spirito.
«Bé,
almeno ce la siamo tolta dai piedi così adesso posso
mostrarti il
campus.» dico dirigendomi verso la porta.
«Aspetta,
non possiamo uscire subito.» obietta lui, trattenendomi per
il
polso. «Se ci vedesse penserebbe che sono peggio di Speedy
Gonzales.»
Lo
guardo perplessa finché il mio cervello non riesce a
recepire il
significato delle sue parole al che arrossisco furiosamente e
distolgo lo sguardo.
«In
effetti non ti farei fare una bella figura. Solo che mi dispiace
costringerti a stare qui con il poco tempo a nostra
disposizione.»
affermo, tornando a guardarlo.
«Io
sono venuto per stare con te. Non importa se in giro per il campus o
qui dentro.»
«Gordo,
sei un tesoro!» esclamo, buttandogli le braccia al collo.
Lui
reagisce stringendomi a se ed in quel momento mi torna in mente la
scena di poco prima, compreso lo strano batticuore che ho provato nel
vederlo disteso sopra di me.
Io
ho sempre pensato a lui come al mio migliore amico ma adesso mi sto
rendendo conto che è un giovane uomo; dello spigoloso
ragazzo degli
anni passati non è rimasto molto.
Certo
non è un super-palestrato ma ha un fisico ben fatto e
muscoli forti,
capaci di farti sentire al sicuro.
Mi
accorgo di essere rimasta attaccata a lui per tutto il tempo della
mia riflessione così mi stacco, leggermente in imbarazzo.
Per
migliorare la situazione sono costretta a chiedergli di aiutarmi a
riabbottonare il maglione. Da sola non ci riuscirò mai senza
sfilarmi la maglia.
Sento
le sue mani sulla mia schiena e non riesco a reprimere un brivido, lo
sento esitare ma non mi viene nulla in mente da dire per stemperare
l'atmosfera.
Appena
ha finito mi giro verso di lui e rimaniamo a fissarci in silenzio.
L'aria
si fa piuttosto pensante, poi per fortuna lui nota il mio quaderno di
appunti lasciato sulla scrivania e mi chiede delle materie che
frequento e così, finalmente più rilassati,
passiamo la successiva
mezz'ora a raccontarci le rispettive esperienze accademiche e, quando
lui finisce il resoconto sul simposio che ha seguito quella mattina,
propongo di andare a prendere un frullato e di fare un giro per il
campus.
Lo
prendo per mano e lo guido fuori dal dormitorio.
La
prima tappa è il bar.
Appena
entrata, però, tutto il mio buonumore svanisce. Al bancone
c'è
Daisy, la migliore amica di Rebecca...almeno da quando si sono
conosciute qui al bar dove entrambe lavorano.
Gordo
sente che mi irrigidisco e mi guarda con aria interrogativa.
«La
rossa al bancone è la migliore amica di Rebecca.»
gli spiego in un
sussurro.
«Temi
ci scopra?» mi chiede lui.
Io
mi limito ad un impercettibile cenno affermativo con la testa.
«Tranquilla,
siamo in pubblico, non può aspettarsi grandi effusioni.
Basterà
qualche piccolo accorgimento.» mi rassicura, stringendo
più forte
la sua mano nella mia; non mi ero accorta di non avergliela ancora
lasciata.
«Ciao
Lizzie, benvenuta! Tavolo per due?» mi chiede Daisy,
avvicinandosi.
«Si,grazie.»
rispondo io, ostentando una specie di sorriso.
Di
norma non accoglie mai i clienti sulla porta, se lo ha fatto
è solo
per studiare meglio Gordo.
«Che
dite di questo?» propone, indicando un tavolo vicino al
bancone.
«Se
per te non è un problema preferiremmo sederci
lì.» ribatte Gordo,
indicando, invece, un tavolo in un angolo appartato del locale.
Anche
se risponde che non c'è problema si vede benissimo che non
le è
andato giù di non poterlo squadrare per bene.
«Vi
porto i menù?»
«Non
c'è bisogno, vogliamo due frappè, uno al
cioccolato e l'altro alla
vaniglia.» risponde lui, con fare sicuro.
Guardando
la faccia di Daisy riesco a stento a trattenermi dal ridere.
Lei
e Rebecca sono uguali.
Appena
vedono un ragazzo devono radiografarlo e il fatto che lui non la
calcoli la manda in bestia.
«Ma
sei nuovo? Non ti ho mai visto al campus.» dice lei, tornando
all'attacco.
«Sono
solo in visita.» spiega Gordo, lasciandomi la mano.
«Piacere, sono
Gordo, il ragazzo di Lizzie.» dice lui stringendole la mano
per poi
cingermi le spalle.
Stretta
a lui ho un lieve batticuore e spero non si noti il mio imbarazzo.
«Io
sono Daisy, sono la migliore amica di Rebecca, la compagna di stanza
di Lizzie.» risponde a sua volta,lanciandomi un'occhiata di
fuoco.
«Vi
porto subito i frullati.» annuncia, dopo averci accompagnato
fino al
tavolo solo per chiedere a Gordo quale università
frequentava e da
quanto tempo mi conosceva. «Ragazza fortunata, hai fatto
proprio una
bella conquista!» aggiunge al mio orecchio, prima di
lasciarci soli,
facendomi arrossire.
«Che
ti ha detto per farti diventare di quel colore?» mi chiede
Gordo
mentre prende posto sulla panca imbottita.
«Mi
ha fatto solo i complimenti per l'acchiappo.» rispondo,
facendolo
arrossire a sua volta. «Però su una cosa ha
ragione, sono fortunata
ad averti accanto, non so come avrei fatto senza di te.»
Lui
fa segno di lasciar stare ma lo so quanto lo imbarazzano i
complimenti.
Pochi
minuti dopo arriva Daisy con la nostra ordinazione.
Vedo
dal suo sguardo che è pronta per la seconda parte
dell'interrogatorio ma, per nostra fortuna, proprio in quel momento
entra un gruppo di studenti che la costringe a salutarci per andarli
a servire.
Finalmente
soli, tiriamo un sospiro di sollievo.
Certo,
Daisy è sempre a pochi metri da noi ma è troppo
impegnata per
venire a disturbarci, inoltre i tavoli di fianco ai nostri sono tutti
già stati puliti quindi non ha neanche una scusa per
avvicinarsi a
noi.
«Abbiamo
dimenticato di farci dare due cannucce per frullato.» dico
io,
contrariata.
«Due
che stanno insieme si scambiano più che una
cannuccia.» mi risponde
Gordo, strizzandomi l'occhio.
«Hai
ragione.» affermo, sottraendogli il bicchiere e assaggiando
il suo
frullato.
Dopo
l'iniziale imbarazzo, ci viene naturale condividere la cannuccia e,
come spesso abbiamo fatto in passato, ci dividiamo il frullato alla
vaniglia per poi passare a quello al cioccolato.
«Incredibile,
sei riuscita a sporcarti la guancia anche con la cannuccia!»
esclama
ad un tratto, pulendomi con il pollice.
Non
so perché ma basta questo semplice gesto a darmi il
batticuore.
«Grazie.»
mormoro, distogliendo lo sguardo.
«Ti
sei accorto che Daisy si sta rodendo dalla voglia di avvicinarsi per
saziare la sua curiosità? Se non ti avessi messo in questo
pasticcio
a quest'ora avresti già fatto due conquiste.»
dico, cercando senza
successo di alleggerire l'atmosfera.
«Sono
venuto qui per te, non per far conquiste.» afferma lui, serio.
«Se
almeno la smettesse di fissarci mi godrei di più il
pomeriggio
insieme.» protesto io.
«Bé,
allora diamole qualcosa da vedere così ci lascerà
in pace.»
propone Gordo.
«Cosa
intendi?»
«Sai
che quando osserviamo le costellazioni queste stanno su piani diversi
ma a noi sembrano su un unico piano perché le guardiamo da
una certa
angolazione?» inizia a spiegarmi, portando la sua mano sulla
mia
guancia e avvicinandomi a se. «Così, adesso, da
dove si trova
Daisy, sembra che noi ci stiamo baciando, anche se non è
vero.»
completa con le labbra a tre millimetri dalle mie.
Rimaniamo
così per alcuni secondi ed io mi stupisco ad osservare le
pagliuzze
dorate nel verde dei suoi occhi. Incredibile non averle notate, in
tutti questi anni.
«Direi
che così può bastare.» annuncia poco
dopo, ritornando al suo
posto.
«È
la prima volta che vedo la scienza applicata alla presa in
giro!»
esclamo, sinceramente sorpresa.
«E
questo è nulla. Una volta abbiamo fatto uno scherzo simile
ad un
ragazzo del mio dormitorio, William.»
«Dai,
racconta!» lo incoraggio, sorseggiando il frappè.
«Il
compagno di stanza di William stava frequentando una ragazza con
l'intento di mettercisi insieme. William approfittando del suo ruolo
di quaterback e di una festa a base alcolica ci ha provato con quella
ragazza e non era la prima volta che faceva un brutto scherzo a
qualche suo compagno di squadra. Così abbiamo chiesto aiuto
ad un
ragazzo che aveva fatto pubblicamente coming-out ed abbiamo fatto in
modo che Williamo beccasse questo ragazzo in atteggiamenti
compromettenti con il suo compagno di stanza e per di più
mentre gli
confessava che in realtà era innamorato di William. Il
grande
quaterback ha passato una settimana insonne temendo agguati notturni
da parte del suo compagno. Alla fine gli abbiamo rivelato la
verità
e lui ha promesso di comportasi bene. Avremmo voluto farlo penare un
po' di più ma avevamo una partita importante e ci serviva un
quaterback in forma.»
Rido
così tanto che per poco non mi va il frappè di
traverso.
«Che
pesti!» esclamo, quando riesco a prendere fiato.
«Ma
che dici, se siamo degli angioletti.» ribatte lui, rubandomi
il
frappè e facendomi lo sguardo da bimbo innocente.
Appena
finito, paghiamo e usciamo dal bar.
Presolo
a braccetto lo trascino all'interno del corpo centrale del campus e
lo porto a visitare tutti i posti che frequento di solito, dalle aule
alla mensa.
Stiamo
quasi per uscire nel parco quando lui mi ferma.
«Devi
togliermi una curiosità, posso sapere che significato ha il
magnete
a forma di cuore messo sulla porta?»
Improvvisamente
mi sento tremendamente accaldata e vorrei quasi che qualcuno venisse
a disturbarci ma, ahimè, il corridoio è deserto.
«È
la versione femminile della cravatta sulla maniglia della
porta.»
confesso, senza il coraggio di guardarlo negli occhi.
«Carina
come idea.» si limita a commentare lui ma dal risolino che
gli
aleggia sulle labbra temo stia pensando tutt'altro.
«Volevo
farti vedere la biblioteca ma ci sarà ancora
Rebecca.» dico,
sconsolata, gettando uno sguardo all'edificio.
«Andiamoci
lo stesso, in fondo ci ha già visto non dovremmo avere
problemi.»
Gli
sorrido, grata per tutto quello che sta sopportando per causa mia,
poi lo prendo per mano e mi dirigo verso la biblioteca.
Ormai
non mi sembra neanche tanto strano sentire le sue dita intrecciate
alle mie.
Appena
entrata vedo in fondo alla sala principale il gruppo di studio della
mia compagna di stanza.
Le
faccio un cenno con il capo per poi allontanarmi ed addentrarmi tra
gli scaffali.
«Vieni,
voglio farti vedere qualcosa che ti piacerà
sicuramente.» gli
sussurro, trascinandomelo dietro.
Nonostante
abbia il cervello di uno scienziato so che il mio amico ha il cuore
di un sognatore e così posso con soddisfazione vederlo
sgranare gli
occhi di fronte alla più grande raccolta di romanzi
fantascientifici
che abbia mai visto.
Come
un bambino in un negozio di giocattoli si allontana da me per
sfiorare i dorsi dei libri e leggerne i titoli.
So
che se non fossimo in biblioteca a quest'ora starebbe urlando di
gioia.
«Ah,
mi sarei dovuto iscrivere qui!» piagnucola.
Non
posso fare a meno di pensare che sarebbe stato bello averlo vicino a
me.
D'istinto
mi avvicino a lui e poggio la testa sulla sua spalla.
Lui
si volta per dirmi qualcosa ma d'un tratto cambia espressione.
«Rebecca
sta cercando di spiaci attraverso gli scaffali.» mi sussurra
per poi
alzarmi il viso e premere le sue labbra sulle mie.
Sento
una scossa attraversarmi da capo a piedi e porto le mani dietro al
suo collo, temendo che le gambe possano cedermi.
È
poco più di un bacio a fior di labbra eppure mi sento
completamente
scombussolata.
«Scusami,
ho pensato che così se ne sarebbe andata. Solo che dalla
posizione
in cui era non potevo imbrogliarla come abbiamo fatto con
Daisy.»
bisbiglia, appoggiando la fronte sulla mia. Anche lui, come me, ha il
respiro affannato.
«Ha
funzionato?» chiedo con un mormorio appena udibile, senza
staccarmi
da lui.
Al
suo cenno affermativo propongo di andare via.
«Mi
dispiace che tu non ti sia potuto godere la biblioteca.»
dico,
appena usciti dall'edificio.
Lo
vedo arrossire e fissare gli occhi al cielo e non posso fare a meno
di chiedermi a cosa stia pensando.
«No,
va bene così, tranquilla.» mi risponde, dopo
qualche attimo.
«Non
so tu ma io ho bisogno di tranquillità. Seguimi, per ultimo
ho
lasciato il posto del campus che preferisco.»
Detto
questo mi avvio verso il parco addentrandomi tra gli alberi fino a
raggiungere un angolino appartato e silenzioso.
«Eccoci
arrivati.» annuncio, indicando l'enorme tronco di un albero.
«È
piuttosto lontano dagli edifici e così di solito non
c'è mai
nessuno e posso studiare in pace. Dai siediti!» lo esorto.
Gordo
fa come gli dico ma vedo che non riesce a trovare una posizione
comoda.
«Siediti
un po' più a sinistra e appoggia la schiena al tronco.
Allora?»
«Davvero
comodo!» esclama, distendendo le gambe.
«Il
mio piccolo angolo di paradiso. Mi piace anche perché mi
ricorda il
parco vicino casa dove andavamo a studiare assieme.» dico,
accoccolandomi con la testa sulla sua spalla in preda alla nostalgia.
«Hai
ragione, un po' gli somiglia.» risponde Gordo, sorridendomi e
cingendomi le spalle con un braccio.
Rimaniamo
a lungo in silenzio, persi nei nostri pensieri ma stretti l'uno
all'altra.
Questo
posto non mi è mai sembrato tanto bello come adesso che sono
qui con
lui.
Avverto
un lieve batticuore e, istintivamente, alzo lo sguardo temendo che
Gordo possa sentirlo ma rimango sorpresa nel trovarlo totalmente
rilassato e con gli occhi chiusi.
Ne
approfitto per osservarlo indisturbata.
Ha
la mascella volitiva, le guance sono fresche di rasatura e sembrano
davvero morbide.
I
capelli sono la solita massa riccia e arruffata ma non saprei vederlo
con una capigliatura diversa, sembrano l'esternazione del suo genio
interiore.
Nella
mia osservazione lo sguardo mi cade sulle sue labbra e così
mi
ritrovo a pensare al bacio che ci siamo scambiati in biblioteca.
So
perché lo ha fatto ma è stato comunque
emozionante.
Mi
mordo le labbra imponendomi di cancellare ciò che ho provato
ma non
ci riesco.
Io
ho sentito qualcosa in quel momento e non era certamente qualcosa
dettato dall'amicizia.
Se
penso che tra poco lui andrà via mi si stringe il cuore.
Prima
che la ragione possa elencarmi le decine di motivi per cui
ciò che
sto per fare è stupido, mi sporgo verso di lui e lo bacio.
Appena
lo sfioro, Gordo spalanca gli occhi ma, invece di allontanarmi, mi
attira a se.
Spronata
dalla sua reazione, approfondisco il bacio.
Sento
la sua lingua farsi strada attraverso le mie labbra e, in preda
all'eccitazione mi stringo maggiormente a lui.
Continuiamo
a baciarci con foga finché la mancanza di ossigeno non ci
costringe
a staccarci.
«Rebecca
è andata via?» mi chiede con il fiatone.
D'un
tratto capisco che lui crede lo abbia baciato solo a causa della mia
bugia; per un attimo sono tentata di mentire per non mettere a
rischio la nostra amicizia ma so che lui merita la verità.
«Non
c'era Rebecca, l'ho fatto solo perché lo
desideravo.» confesso,
facendo appello a tutto il mio coraggio per continuare a guardarlo
negli occhi. «In biblioteca ed anche prima in camera ho
provato
qualcosa ed avevo bisogno di capire cosa era.»
«Ebbene?»
chiede lui, con un misto di paura e speranza negli occhi.
«È
una sensazione nuova per me. Non so dare un nome a ciò che
sento ma
so che sono attratta da te e non come amico.» ammetto.
«E tu?»
Lo
vedo abbassare lo sguardo, sembra in preda ai dubbi e per un attimo
mi chiedo se non ho combinato un casino ma poi alza il capo e mi
fissa negli occhi con uno sguardo così deciso da stupirmi.
«Penso
di averti desiderato dal momento in cui sono stato capace di
desiderare fisicamente una ragazza e di averti amata nell'attimo
stesso in cui ti ho visto per la prima volta.» afferma,
lasciando
cadere le braccia lungo i fianchi. Forse pensa che dopo quanto mi ha
detto io voglia fuggire o mollargli uno schiaffo per non avermi mai
detto nulla invece io mi sento invadere dalla felicità.
Messami
in ginocchio gli prendo il viso tra le mani e lo bacio con tutta la
passione di cui sono capace.
Gordo
risponde prontamente e, in breve, mi ritrovo a cavalcioni su di lui
con le sue mani che accarezzano le mie cosce in maniera tutt'altro
che casta.
Sto
per dirgli che, per quanto appartato, quello non è il luogo
adatto a
certe effusioni quando il suono attutito delle campane della chiesa
della città ci riportano bruscamente alla realtà.
Tra
mezz'ora Gordo dovrà prendere l'autobus.
«Forse
è meglio che vada a recuperare il mio notebook.»
mi dice poggiando
la fronte sulla mia.
Anche
se a malincuore faccio un cenno affermativo con la testa e mi alzo,
subito imitata da lui.
Ci
guardiamo negli occhi e percepisco i suoi dubbi.
Prima
eravamo due amici che fingevano di essere una coppia ma dopo quello
che ci siamo detti cosa siamo?
Stiamo
insieme?
Conoscendo
la sua timidezza lo prendo per mano e lo guido di nuovo verso i
dormitori.
Arrivata
davanti alla porta di camera mi accorgo di aver lasciato attaccata
alla lavagna la calamita a cuore. Sto per staccarla ma Gordo mi
ferma.
«Non
voglio che qualcuno disturbi gli ultimi minuti che posso trascorrere
con te.» mi sussurra all'orecchio facendomi scorrere un
brivido
caldo lungo la schiena.
Entriamo
in camera e chiudo la porta per poi appoggiarmivi mentre lui si
avvicina alla sua tracolla.
«Lizzie
non voglio metterti fretta. Io ho avuto anni per capire che cosa
provavo e cosa desideravo. Quando sarei certa allora ne
riparleremo.»
dice, dandomi le spalle.
So
quanto gli costa dire queste parole e mi sento in colpa per il male
che involontariamente gli sto causando.
«Voglio
stare con te!» esclamo immediatamente e mi rendo conto che
è vero.
Finora
ero stata così certa del fatto che tra noi ci fosse solo
amicizia
che anche quando provavo gelosia o stavo male per la sua lontananza
attribuivo il tutto al legame fraterno che ci univa ma le ore appena
trascorse mi avevano ampiamente dimostrato che mi sbagliavo.
Se
davvero per me lui fosse stato solo un amico i suoi baci e le sue
carezze non avrebbero dovuto eccitarmi né fare nascere in me
il
desiderio di avere di più.
«Sei
sicura?» mi domanda, tornando a guardarmi con un misto di
paura e
speranza negli occhi.
«Mai
stata più certa di qualcosa in vita mia.»
Appena
finisco di parlare, lui mi si avvicina, porta la mano destra sulla
mia guancia e mi attira a se per baciami con passione.
Mi
stringo a lui facendo aderire i nostri corpi.
La
sua mano sinistra mi accarezza la schiena e avverto la smania
repressa nei suoi gesti.
«Quanto
vorrei avere più tempo.» mormora con voce carica
di desiderio
represso, staccandosi da me e poggiando le mani alla porta
imprigionandomi tra le sue braccia distese.
«Anch'io
vorrei che potessi rimanere ancora.» ammetto.
«Ti
prego, non dirmi così se no addio autocontrollo.»
«Gordo
che perde il controllo...interessante.» sussurro al suo
orecchio.
«Piccola
peste!» esclama lui, con uno sguardo furbo che mi mette in
allarme.
Due
secondi dopo mi ritrovo a correre per la stanza inseguita da lui che
cerca di farmi il solletico.
L'epilogo
scontato di un tentativo di fuga in una camera così piccola
è la
mia caduta sul letto con Gordo che mi blocca sotto di se.
«Ora
mi vendico.» annuncia con voce malandrina e si piega su di me
a
lambirmi il collo con le labbra.
Non
ci vuole molto perché i miei gridolini di protesta si
trasformino in
mugolii di piacere.
Una
parte di me si chiede se sia un dono di natura o se sia frutto di
molto allenamento e, irrazionalmente, mi sento gelosa di chi
c'è
stata prima di me.
Sento
le sue labbra risalire lungo la guancia, sfiorare le mie labbra e
ridiscendere per poi fermarsi all'altezza della clavicola.
«Maledizione!»
esclama, lasciandosi cadere di fianco a me.
Lo
guardo, allarmata chiedendomi cosa gli sia successo.
«Devo
andare.» dice con aria afflitta, mettendosi a sedere.
Ah,
già, l'autobus. Me ne ero dimenticata.
«La
prossima volta sarà diverso. Verrò con la
macchina così non ci
saranno problemi di orario.» mi assicura, accarezzandomi una
guancia.«E sopratutto ti porterò fuori dal campus
così non ci
saranno Rebecche o Daisy varie a disturbarci.»
Gli
sorrido e gli sfioro le labbra con un bacio.
Ripreso
un minimo di autocontrollo, lasciamo la stanza e lo accompagno alla
fermata.
Purtroppo
l'autobus è puntuale e così due minuti dopo mi
ritrovo a salutarlo
con le lacrime agli occhi e la promessa che ci rivedremo presto.
Sulla
strada del ritorno mi accorgo di guardare tutto sotto una nuova luce
e mi dico che forse, in fondo, dovrei quasi ringraziare
Rebecca...quasi...
Tornata
in camera invio un sms a Gordo.
“Mi
manchi già.”
Così
lo troverà appena accende il cellulare.
Poi
mi sdraio sul letto, chiudo gli occhi e sento un sorriso nascermi
spontaneo sulle labbra.
Una
giornata disastrosa si è trasformata in qualcosa di stupendo
ed
anche il futuro mi appare più roseo.
Non
credevo si potesse provare tanta felicità tutta in una volta.
Stringo
a me il cuscino e mi sembra di sentire il suo odore.
Un
solo pensiero mi attraversa la testa: non vedo l'ora di rivederlo e
di tornare tra le sue braccia.
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