L'occhio dell'Ariete

di marig28_libra
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CAP 20 - veleno di luna: il Negromante ridente e il soldato muto

 

 

Mi sentirei sollevato se potessi vedere sangue.
Cento volte ho impugnato
una lama per conficcarmela nel cuore
[…] Spesso anch’io vorrei aprirmi
una vena che mi desse libertà eterna.”

 ( J. W. Goethe)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

§

 

Città di Calleos

 

*** Sacro Ordine dei Cervi Bianchi***

 

Sezione Archivi Riservati

 

 

 

 Confessionis vitae antinqua  n IX

 

7 settembre 1987

 

 

Sono Toma Ozaki, ho quindici anni e il mio compleanno è il diciotto marzo.
Non so di preciso descrivere Tokyo, la mia città natale…ho abitato fuori dal centro. Non ho la minima idea di come siano i quartieri alla moda, quelli finanziari  ecc…

Ricordo perfettamente la mia casa. Posto bellissimo , magari troppo isolato per chi ha fame di grattacieli  in acciaio e magari troppo severo per chi teme i suoni dei gong che volano tra le mura dei templi.

Combatteva per Calleos, la sua nuova dimora, la sua nuova ragione di vita eppure…vi era un sentiero alle  spalle che seguitava, segretamente, a lampeggiare richiamandolo attraverso una calda luce. Ormai sarebbe dovuto svanire seppellito da fredda cenere e invece riusciva ancora a respirare.

Ogni sassolino rotolava in avanti incespicando tra i suoi piedi  e costringendolo a voltarsi indietro.

Non doveva guardare un bagaglio gettato dalla stiva di una nave inarrestabile. Tutti i bauli normalmente affondano. Bisognava capirlo.
Ma lui sapeva che non era così…una cassaforte roteava ancora sui mulinelli di un mare  custodendo la calorosa paglia del suo antico nido.

 
Ecco…si entrava attraverso un vialetto marchiato da pietre piatte che avevano una circonferenza irregolare. Da piccolo le credevo enormi biscotti che mi accoglievano sotto i corpi distorti di bonsai e già mi facevano pregustare il sapore della merenda.

La nostra dimora  era rettangolare e sormontata da uno di quegli spioventi tetti grigi epoca Edo. Acquattata sul prato verdissimo, attenta e serena,  si sviluppava tutta su un unico  piano. Possedeva un atrio dalle pareti lisce color crema decorate da qualche cartiglio che recava iscrizioni  sanscrite di protezione. Saliti tre gradini c’era una grande sala da pranzo che aveva una vetrata ampia che mostrava il giardino dove stavano una magnolia, alcuni mandorli e dei ciliegi.

In primavera erano uno spettacolo unico ed io m’incantavo con faccia da ebete per vederli.

 
Non era quello il momento di rimpicciolirsi a andarsene in giro per i corridoi della memoria con un triciclo giocattolo!
Non poteva permetterselo davanti a quel nemico che sorrideva e scansava ciascun pugno.

 
Le pareti che mi piacevano di più erano quelle della camera dei miei genitori…Grigio perlacee, ordinatissime ma per nulla fredde…Delle stampe vivaci e incandescenti le impreziosivano senza appesantirle e un letto matrimoniale  basso e morbido troneggiava con le sue coperte blu e rassicuranti. Sul cuscino sinistro c’era il profumo ruvido di muschio dei capelli neri di mio padre , mentre su quello destro s’avvertiva quello frizzante di fragola e sandalo di mia madre che aveva i capelli rosso-rame. Sì…lei era straniera, veniva dall’Europa , dall’Irlanda. Io e mia sorella gemella abbiamo preso da lei.

Già…mia sorella Marin.
 

- Coraggio , ragazzo! – lo esortava ironicamente Biak – Questo è un numero  mediocre! Scommetto che sei in grado di fare un’esibizione migliore!

 
Dormivamo nella stessa cameretta gialla, con i futon vicinissimi per fare le battaglie coi cuscini e non aver paura dei temporali o dei fantasmi che provenivano dai cimiteri di campagna.
Frequentavamo la stessa palestra di karate. Si trovava vicino alla nostra casa ed era un edificio molto antico che somigliava ad un grande tempio scintoista  in cui vi erano uomini maturi di mezza età e pochissimi ragazzini.
C’era un sinuoso albero dalle foglie rosse che mostrava con le sue lunghe braccia un cancello di legno, il torii …che segnava quel favoloso confine tra il quotidiano e il sacro. Fuori la strada di campagna ombreggiata dai cinguetti degli uccelli e dai timidi suoni delle rare automobili , dentro un viale orlato  da cipressi ossidati. Quando veniva la sera, le lanterne s’accendevano come tanti melograni incandescenti.  

 
Toma disegnò due semicerchi nell’aria e  face scaturire delle scie fulve e brusenti come uno sciame di api furibonde. Le scagliò in una pioggia di proiettili contro l’avversario sperando di colpirlo ma si accorse che fu inutile. Quest’ultimo lasciò uscire dalla bocca un vento piombo che rinsecchì  tutte le scaglie rendendole identiche a pruni morti. 

 
Prima di iniziare i corsi, adoravo lavarmi le mani  sotto il chozuya, il padiglione di preghiera in cui vi è una lunga vasca votiva per fare le abluzioni…lì , io e mia sorella , avevamo vergogna di giocare…perché lo specchio circolare  del padiglione della palestra, lasciava scorgere il riflesso degli alberi scossi dal vento del silenzio.
La passione per il karate era una filosofia di vita, una fonte d’acqua trasparente. Papà e Mamma erano dei campioni  e loro stavano attenti al nostro apprendimento. Affianco al tempio poi c’era anche una bella scuola in cui erano iscritti i bambini delle prefetture di campagna. Ogni cosa era collegata perfettamente e io e mia sorella apprendevamo e ci divertivamo in quello splendido ciclo.

E io non ci posso credere che tutto sia terminato.
Mi arrabbio spesso per questo.

-          La tua frustrazione è così palpabile che mi pare di solleticarla – rideva Biak spostandosi  con le movenze fluttuanti di una piovra – la tua energia emana potenti rifrazioni ma nella sostanza è fiacca….Prima non possedevi quest’afflizione... Come mai?

 Il ragazzo si precipitò , pronto a colpire con una falcata di gamba, ma lui si smaterializzò in una schiumata di lubriche formiche alate. 

-          Caro Toma! – esclamò con un tono accomodante e tarlato – capisco il motivo per cui ti senti così…Non vuoi più reprimere i reconditi battiti che devi avvolgere sempre in un duro panno.

-          Piantala di blaterare! – cercò di urlare l’adolescente tra una tosse e l’altra soffocato dal grumo volante degli insetti spettrali – sei soltanto una carogna che striscia!

 Elevò un’ondata di fiammate azzurre che costrinse Biak a ricompattare le sembianze originarie.

-          La tua tristezza si è incendiata  - giudicò incuneando le sopracciglia in alto in un’espressione dolente – allora le tue ferite sono falsamente cicatrizzate…Devi scusarmi ragazzo, purtroppo suscito quest’emozioni alle persone che incontro…E’ il mio agre destino.

-          Non sei certo il mio medico!

 Il cavaliere provò ad attaccare di nuovo ma si rese conto che il nemico diceva la verità: da quando aveva iniziato il combattimento l’intensità delle sue mosse scemava gradualmente in una mollezza fastidiosa simile a quei sogni in cui si crede di dare un pugno a tutta forza e invece esce un colpo incredibilmente lento. 

 

C’era un signore…un amico dei nostri genitori che non ci aveva mai convinto. Non comunicava nulla di cattivo, infido o viscido…anzi…Però osservava in particolare i nostri combattimenti  con sguardo serissimo, attento e una tristezza amara e insormontabile.
Si chiama Mitsumasa Kido. E’  un aristocratico, un professore di storia e archeologia  che ha compiuto molti studi in Grecia e che ha  condotto numerose ricerche sulle arti marziali nel mondo…
Quando riusciva, in alcuni fine settimana, veniva a trovarci e ad assistere volentieri ai tornei.
Ammirava i karateki ma nel momento in cui osservava me e mia sorella si corrucciava pensoso…quasi intuisse in noi qualcosa di diverso e inquietante…ma cosa?!
Alla fine degli scontri ci faceva i complimenti sorridente come se nulla fosse…i suoi occhi comunque tradivano una severità indagatrice e rammaricata. Ogni volta pareva volesse rimandare una pesante rivelazione che non avremmo mai accettato.

E da lì a poco l’avremmo dovuta accettare.

 
L’adolescente indietreggiò tentando di temporeggiare , riscuotersi e trovare una mossa per frastornare il Negromante e raggiungere la gabbia di ossa che imprigionava Nikita.
L’amico non era ancora giunto alle rive dell’Acheronte poiché conservato in uno stato di essiccata ibernazione.
Non bisognava comunque stare tranquilli : il confine tra coma e morte si poteva rompere in modo irreparabile.
Però….v’erano gli occhi di Biak a calamitare  morbosamente l’attenzione….
Quei bulbi neri,oceanici, e smarrenti in cui le iridi gialle e accoltellanti ticchettavano dettando una musica  lugubremente  affettiva .
Toma, malgrado provasse viva avversione, non poteva fare a meno di fissare. Se se lo vietava avrebbe perso un appiglio troppo importante…
Dipendeva da quello sguardo e non riusciva a disfarsene.

 
Quel giorno orrendo a mia sorella capitò una cosa strabiliante. Correvamo nel cortile della palestra  durante una pausa allenamento. Aveva fioccato  e quindi quale terreno migliore per una battaglia a palle di neve. Mentre giocavamo, lei si fermò di  colpo. Mi disse di far silenzio.
Stava sentendo le aquile delle montagne.
Io, allibito, chiesi in che modo potesse sentirle da vicino visto che i monti erano lontani. Marin provò a spiegarmi la traiettoria di quei suoni disegnando strane parabole in aria che….diedero forma ad un disegno….un’immagine argentea e celeste fatta di cristallo e vapore.

Apparve una gigantesca aquila luminosa! Spiccò il volo e si dissolse tra i rami dei cipressi in una pioggia fresca.

Il Signor Kido aveva visto tutto….e comprese tutto anche quando verso sera mi sentii malissimo.
Papà e mamma, che erano andati in città in macchina,  non facevano ancora ritorno e io , in preda ad una febbre improvvisa e incomprensibile, svenni.
 

-          Sai  – riprese lo specter con il tono sibilante di una risacca marina – ho l’impressione che ti comporti come un bambino che stia nascondendo qualcosa di proibito alla mamma.

Il guerriero avvertì le pareti della gola cozzare gelidamente l’una contro l’altra: sperò che l’avversario non potesse captare il sottilissimo strofinio che emetteva il piccolo tesoro che celava sotto la corazza pettorale.

- Niente….- ribatté a cuore ondulato – niente nascondo alla Madre Luna!   

 
Non sono sicuro che fu un sogno….in questa visione…mi vidi  invisibile , aeriforme e quasi inesistente. Ero senza corpo e stavo fissando questa figura alata ,  davanti a me, che portava verso un orizzonte di nebbia scintillante due ombre. Spaventato , urlai a quell’angelo di non portare nell’Aldilà i miei genitori….ma non ottenni risposta.
Lo spirito traghettatore aveva capelli rossi e occhi azzurri.

Ero io.

Mi svegliai di soprassalto con un dolore fortissimo alla schiena. Pareva che mi avessero frantumato le scapole con due alabarde e infatti Marin era allarmata e il Signor Kido e gli altri atleti  avevano chiamato l’ambulanza.
Perdevo sangue dal dorso. Si erano aperte, senza alcuna causa, delle ferite che poi si richiusero dopo alcuni minuti.

 

Biak aveva previsto che la missione in Groenlandia si sarebbe rivelata interessante ma  non fino a quel punto. Da tempo desiderava analizzare i moti sottocutanei che percorrevano i Cervi Bianchi , elite guerriera famosa votata alla castità fisica e morale e alla rigidissima temperanza dei sentimenti remoti. Trovare un giovane che si lasciasse carezzare dal passato era davvero difficile e quell’adolescente dai tremebondi e aggressivi occhi azzurri aveva aperto fin troppi sprazzi di sregolata fragilità.

Il Negromante avanzò con le catenelle della grande tiara che altalenavano incantatrici e gli occhi radianti di luce gialla da ceri di cubicoli.

- Toma – spiegò flemmaticamente  - a te piace stare rintanato sotto fronde tenebrose affinché i raggi lunari non ti trafiggano…Sai che la Luna non è così immacolata e nitida. Tu detesti la tua sorte,  la tua prigionia tra fiori immortali e ghiacciai.

L’adolescente restrinse le palpebre e i denti cercando di non portarsi la mano allo sterno e tradirsi ancora di più. Non si era mai sentito così stolto e danneggiabile uguale ad un frutto acerbo già pronto per cascare da un ramo.

 

Un’altra ferita enorme stava per esserci inflitta: verso mezzanotte scoprimmo che papà e mamma erano morti in un incidente  sulla strada di casa.
Kido ci prese in affidamento per due settimane senza disperdere inutili parole di conforto…
Non esistevano discorsi che potessero costruirci una nuova casa….Cercò invece di spiegarci che la nostra attività di arti marziali sarebbe drasticamente cambiata e avremmo seguito altri addestramenti, prova da gente non comune.

Possedevamo un cosmo speciale , la strada di una vita particolare e dura.

Non capimmo granché, a parte il fatto angosciante di abbandonare il nostro Giappone ed entrare in contatto con altre persone.

-          I tuoi piedi traballano – osservò lo stregone – qualcosa di pesante grava allacciato al tuo collo facendoti perdere l’equilibrio?

-          Ti conviene pensare al tuo di equilibrio! – sbraitò Toma -  Yama no sakebi josho!

Il “ grido della montagna nascente” gli traboccò dalle mani in un flusso di terremotanti anelli  concentrici.
Senza scomporsi , lo spettro assorbì le ondate creando una palizzata violacea che effuse una concatenazione di altri frastuoni ancora più potenti di quelli di prima.

Il ragazzo avvertì la rabbia e il panico salirgli al cervello simili ad un fluido annebbiante verde e nero.

 

Prima che si concludesse quel mese infernale , il signor Kido ci condusse all’aeroporto.
Durante il tragitto in macchina non aveva detto una parola e ci aveva lasciati vicini, attaccati l’uno all’altra sull’enorme sedile posteriore che pareva c’ inghiottisse tra fauci di pelle nera. 

Arrivati a destinazione spiegò che saremmo dovuti salire su voli diversi….diretti in due diverse località.
Grecia e Danimarca.
Infatti notammo un gruppo di persone  che stava attendendo.

Da una parte stavano  tre strane donne col  volto coperto da grossi occhiali neri e dall’altra due ragazzi che erano Nikita e Roald.

Scoppiammo a piangere.

 

-          Non comprendi ancora, sciocco,  che io sono l’unico che può fare qualche cosa per te? – lo rimproverò  tenero flettendo le labbra come ali di rapace – stai tanto male, in realtà…e hai tanta paura. Sei stato costretto a metterti una benda sulla bocca per non fiatare …in modo sconveniente.

-          Che ne sai dei miei giuramenti, lurido schiavo di Ade! La melma dello Stige e le acque pure di Calleos non sono la stessa cosa! Credi che mi lascerò affogare da te?!

-          Oh! Da quando, di grazia, staresti nuotando in superficie? Non ti sembra che i tuoi compagni e la tua Maestra ti tengano con la testa sottacqua lasciandoti scorgere solo un pallido riflesso di cielo?

 

 Mia sorella venne presa per mano  dalle donne e io fui trascinato via da quelli che sarebbero diventati i miei compagni di battaglia. Gridavo, scalciavo, cercavo di dare pugni ai miei  involontari carcerieri.

Nikita tentava inutilmente di calmarmi mentre Roald, zitto, mi stringeva fortissimo il braccio. Alla fine urlò di smetterla minacciando di sferrarmi un ceffone.

Tacqui. Non aprii bocca né durante lo scalo a Copenaghen, ne durante la traghettata fino in Groenlandia.

Non riuscii a parlare neppure quando mi presentarono alla Maestra Artemis.

Provavo collera. Paura. Soffocamento.
Tre quarti del mio DNA non esistevano più.

 

-          No…- mormorò il giovane – io so cosa voglio diventare….lo so benissimo.

Anche se riuscì a ricacciare le lacrime dentro le ciglia, Biak si accorse che i suoi occhi erano umettati di sfumature rossastre.

-          Con me puoi essere sincero – lo rassicurò – bastava la tua famiglia a renderti felice e invece guarda : sei arrivato qui, tra gente che crede in divinità che ti deprederanno dei pilastri della tua anima…tutto ciò che sei.

 Toma sferrò un pugno alla mascella dello specter che si ricompose  immediatamente raddrizzando la testa.
Dalla bocca gli colò un viscoso rivolo di sangue fin troppo scuro, quasi nerastro. Di colpo si fermò vibrando leggermente e dopo si frastagliò ai contorni facendo comparire miriadi di zampette minuscole.
Con immensa ripugnanza,  il cavaliere si accorse che quel rigagnolo si era tramutato in un sottile millepiedi che si rifugiò di nuovo tra le gengive livide del Negromante.

 

Savia Atena…

Selene, dea celeste, che guardi la terra….

Non posso farvi alcun giuramento.

Mi piace tanto il nome di mia sorella. Quando lo penso mi sembra di odorare l’aria dell'oceano o del vento buio e pulito che soffia nelle caverne delle montagne.

Ogni lettera è un suono speciale e celeste…che compone il nome di “ Campana magica”.

Lei è  musica magica e lo  vedo nella bella calligrafia con cui mi scrive.

 

-          Mi dispiace convincerti con le maniere forti , ragazzo.

 Biak gli  assestò una botta di fulminea brutalità sul torace che lo fece cadere con la corazza in frantumi. 

 
Atena, Selene e cara Maestra Artemis…

I miei amici mi derideranno furibondi.
Per adesso perdonatemi , vi scongiuro. Continuerò a servirvi con devozione ma non voglio pensare che un giorno metterò le ali e andrò via per sempre.

Voglio rivedere Marin...

La vera dea  del  mio focolare è soltanto lei.

 

-          Toma, Toma, piccolo Toma…sei un pochino sleale verso l’Ordine dei Cervi Bianchi. Non dovresti avere questo…Sicuro che il sentiero per diventare angelo di Artemide  sia quello giusto?

Il guerriero , con le costole che minacciavano di stritolargli i polmoni, vide lo specter che , chinato su di lui, rigirava tra le dita il suo tesoro.
Una cordicella da cui pendeva una pietra azzurra circondata da una filigrana nera.
Era il ciondolo che gli regalò Marin quando aveva otto anni…Appeso all’estremità un sacchettino di cuoio contenente la  prova di una puerile colpevolezza.

 

 

 




Immergersi nell’anima di Vesperus significava trattenere il respiro guardando un fondale lordato di sabbia ronzante.

Roald stava tentando di analizzare l’aurea nebulizzata del proprio avversario: non vedeva che razze di pesci nuotassero in quell’abisso, quali piante fossero morte da tempo.
Tutto era un’eco guasta che proveniva da una radio che scrosciava sonorità prive di sillabe.
A gambe erette, pugni chiusi e con volto di vetro , il ragazzo attendeva l’ennesimo attacco per valutare freddamente una mossa ben mirata che potesse dare  il colpo di grazia.
Purtroppo Vesperus aveva un modo di combattere a dir poco controverso: pareva fosse semplice  buttarlo con la schiena a terra e invece mostrava un’incredibile solidità. Un albero dalle fronde molli e lattiginose con un tronco di ferro.
Lo strano armigero si avvicinò ciondolando, con una balestra nera retta con mani precarie. Le gambe compievano movimenti liquefatti e i tacchettii della corazza sembravano iniettare ruggirne in fibre vuote. Il capo era proiettato giù e dondolava ebbro e svitato.

“ Una mente pensante è assente” considerava il giovane “ è indubbio che sia la marionetta del Negromante…eppure è realmente morto?” 

Lo pseudo - automa avanzava tentando di guardarlo negli occhi ma tornava sempre a scrollare il volto a terra.

“ Che essere inclassificabile. Le sue batterie potrebbero cadere a pezzi proprio ora…”

Vesperus s’immobilizzò e restò per alcuni secondi  spento. Persino l’armatura si opacizzò quasi fosse un esoscheletro che smagriva di linfa.

“ Bene. E’ in letargo. Sarà meglio ridargli la cognizione del tempo.”  Roald si mise in posizione d’attacco con gli avambracci sollevati. Partì veemente cercando di sferrare un colpo all’elmo dello specter ma costui reagì altrettanto repentinamente: scansò con agilità inaudita l’assalto, si spostò verso sinistra e imbracciò il mangano scoccando il dardo.
Il ragazzo lo evitò saltando e lasciando  sbriciolare una grossa roccia. Altre frecce si librarono contro ma lui le scavalcò tutte a mo’ di gradini taglienti e sferrò una temibile pedata all’avversario che si riversò al suolo. In fretta come prima e con disinvoltura felina, costui si riappropriò dell'’arma e scheggiò un’altra folgore  che colpì quasi invisibile la gamba destra del ragazzo perforando il paracosce.
Egli capitombolò sulla neve riuscendo tuttavia a risollevarsi sul ginocchio e sulla mano sinistri. Stringendo i denti e con un lieve brontolio si strappò via la punta della freccia: era fatta di leggera e affilatissima selce e il sangue gli sgorgò dal quadricipite in ruscelli zigrinati e rapidi.
Si rialzò deglutendo qualsiasi lamento di dolore.  Non doveva perdere tempo a contorcersi , il cervello lo proiettava oltre il calore agre della ferita che sbavava.

Vesperus si mostrava un guerriero dall’inquietante imprevedibilità. Bisognava evitare di dissolvere energie inutili perché non c’era soltanto Nikita da trarre in salvo.

Da molti minuti percepiva Toma che annaspava sbattendo furiosamente le braccia. All’orizzonte il Negromante aveva innalzato una polvere che odorava di lapide.

 

 

 

 

 

Takashi era ormai alle porte del Tempio della Neve Dorata. Sotto il protiro di colonne doriche fatte di alabastro, Artemis e i suoi soldati stavano combattendo contro di lui.

Il falco scaraventandosi , artigliando e tornando alla posizione di partenza  faceva disperare chiunque. Quindici guerrieri , che giacevano proni o supini  sulle larghe scalinate calcaree, erano stati trucidati in un battibaleno. Senza emettere attacchi di consistenze possanza, il cavaliere nero aveva spaccato corazze uguali a gusci di ostriche e con bestiali calci era riuscito a sfondare casse toraciche e crani incastrando le ossa nei polmoni e nella materia cerebrale. 

La regina di Calleos  fissava irata e impotente i cadaveri sfigurati dei suoi uomini che esibivano sterni liquefatti nel sangue e crepature erompenti di  sostanze flosce e viscide.
Avrebbe voluto fare molto di più per salvare quei fedeli discepoli ma la mente stava azzoppata dall’atroce fiacchezza.  La circolazione strisciava faticosamente nelle vene ed era un miracolo che riuscisse a reggersi sulle gambe.
Eryx, anche lui contuso in più punti e col fluente pelo bianco lordato di chiazze scarlatte,  obbediva alla padrona trascinando via i  feriti per allontanarli dal nemico. La dedizione di quel cane era incredibile : nonostante avesse quasi dodici anni non aveva intenzione di far cedere le zampe martoriate.

-          Maestà – sghignazzò Takashi protendendo un sorriso clownesco – credo che dovresti concedermi l’onore di visitare i giardini pensili della tua Babilonia artica…Sai, non voglio continuare a inzaccherare i gradini di questo splendido edificio.

Artemis scalò i gradini col respiro affannoso:

-          No…no….tu non vedrai mai quei giardini….

-          Su, non essere ottusa regale fanciulla…C’è sempre una prima volta.

La ragazza, raccogliendo la rabbia biliare per mutarla in gelo tagliente, scattò rapidissima avvicinandosi al nemico.
Proiettò gomitate, ginocchiate, mulinelli di gambe. Takashi restò sinceramente sbalordito mentre si schermava colto alla sprovvista.
La sacerdotessa saltava coi nervi di una gazzella e graffiava lanciandosi come un ghepardo mentre l’uomo arretrava e si scansava simile ad un reziario in difficoltà.
Per darsi la giusta propulsione ella balzò sul fusto di una colonna e poi sulla parete ombreggiata del tempio. Arrotolandosi  in una matassa di salti mortali, si distese e  piovve sulla testa del rivale . Lui però la ghermì per la caviglia e la lanciò con violenza contro i portali del santuario che si spalancarono in fracasso.

La sventurata crollò sul pavimento della navata centrale, rotolando e balzando per quasi venti metri.

Si fermò quasi priva di sensi sotto la cupola tratteggiata da raggi lunari.

 Prima che i soldati potessero raggiungerla per soccorrerla, Takashi giganteggiava già vicino a lei ridendo uguale al conduttore di uno spettacolo che dovesse presentare al pubblico una premiazione.

-          Perdonami, regina. Non è nel mio stile danzare una polka selvaggia con una splendida donna.

 La tirò su  in malo modo per i capelli lunghi e  ammirò le sue contusioni sanguinanti. La bella  corazza era rovinata e la divisa chiara presentava lacerazioni impolverate e rosseggiate.

-          Notevole, bambina mia- commentò lui – sei ridotta maluccio ma non hai ancora le ossa rotte. Meglio così. Un' attrice coprotagonista , un'etoile deve brillare fino all'ultimo...

La sacerdotessa non riusciva a rispondere talmente era intontita dalle percosse della caduta e il sangue farfugliava debole e pallido nelle membra.

-         Non abbatterti – rimettendola per terra- ora assisterai al gran finale. Tranquilla. Non rovinerò il tuo tempio. Basterà agire in questo modo.

 Proiettando il braccio al centro del transetto scatenò una scossa sotterranea che fece crollare le mattonelle a scaglie di pesce.
Sotto v’era il tunnel segreto che conduceva al Tempio di Artemide.  Un’aorta rocciosa che collegava i due santuari gemelli.

 

 

 

 

 

-          Aphro! Che cavolo ti prende? Stai toppando alla grande!

 Erano ancora le otto e mezza di mattina vicino alle mura di….. a  Siracusa.
Aphrodite si stava allenando commettendo errori grossolani mentre  Death Mask lo analizzava con cipiglio irritato chiedendosi cosa lo inducesse a non schermarsi adeguatamente nei momenti  di difesa oppure per quale motivo attaccasse quasi sfibrato del consueto e frizzante smalto.

-          Aphrodite! – esclama ruvidamente -  Svegliati! Sei diventato un pezzo di ricotta?!

 Diede all’amico  un pugno in petto, neppure troppo forte, che lo fece cascare in ginocchio sul terreno ghiaioso.

-          Stai facendo mosse vomitose! – lo strigliò afferrandolo con mala grazia per il braccio affinché si rialzasse – mi spieghi mo’ quale valvola non ti funziona nel cervello?

 Scostante e illividito , lo svedese si mise a sedere su un masso a capo chino.
Cancer soffiò  arrochito dall’impazienza:

-          Sta mattina è iniziata ‘na merda, capisco. Ci siamo sputati ingiurie , bestemmie* …e ci siamo presi a mazzate. Hai menato forte , diamine! Perché non lo fai ora?!

 Aphrodite si nascose il volto tra le mani, gonfiando e appiattendo  il dorso con  inquieto ritmo.

-          Senti , bello, ho i coglioni che girano peggio dei mulini a vento. O mi spieghi finalmente che cazzo ti piglia o ti meno giù dal colle!

-          Mi…mi…sen…- tartagliò l’altro.

-          Cosa? Dì’ ! parla!

-          Mi sento…male….davvero.

Il cavaliere dei Pesci sollevò il viso :  era stranamente arrossato e umido e gli occhi sgranati  avevano assunto una tonalità vetrosa e  stirata. Delle occhiaie si appesero sotto le ciglia inferiori. Death capì che lui non stava mettendo in scena alcuna sciocca geremiade.

-          Che hai Aphro? – insistette angustiato – cosa ti senti?!

 Il ragazzo si strinse nelle braccia rabbrividendo di ribollimenti confusi, la bocca rigonfia di un bordò ammaccato e traballante. 

- Lei…- riuscì a rispondere con tono esfoliato- lei...Artemis….Artemis

  

 

 

 

Ikki, coi muscoli acidificati e di piombo, raggiunse la Cascata Est stramazzando sulle rocce di gelo secco e sibilante.
Per nulla lo confortava lo sciabordio e il nitore delle acque del canale.
Capiva che tra qualche istante avrebbe dovuto eseguire l’ordine di suo padre. Cosa sarebbe successo lo ignorava e lo  rendeva furente ma la stanchezza inchiodava al suolo e gli evitava l’ulteriore sofferenza di guardare il cielo nebbioso e libero.
Doveva però sollevarsi e osservare meglio il luogo circostante. Aiutandosi con le mani gonfie di scorticature e le ginocchia intorpidite si alzò : la linea dell’estuario era ghermita ai lati da rovi intrecciati simili ad arabeschi sbiancati di gelo. Tra i luccichii acuminati delle spine e le foglie zigrinate, fiorellini turchesi, somiglianti a margherite di campo, ingentilivano malinconicamente quel gioco di ansiosi e ruvidi riccioli.
All’estremità finale il fiume biforcava entrando in due enormi grotte che mostravano, quasi sbadigliando minacciosamente, file di stalattiti venate di aerei riverberi acquatici.
Al di sopra di quegli incavi sorgeva , ancora più impressionante, la cinta muraria orientale di Calleos, plasmata nella pietra viva, emanazione di una magia divina.

“ Ikki…Ikki….” sfrigolò un subdolo vocio telepatico “ figliolo, pazienta ancora alcuni minuti per il tuo paparino e per il tuo avvenire…Vedrai che nessun Cavaliere eguaglierà il fulgore del tuo sangue! “   

 

 

 

 

Il cosmo di Toma emetteva ad intermittenza sprazzi d’energia che schiumavano nel nero totale. Roald aveva , oramai, la certezza che il Negromante fosse una nefasta balena che ingoiava l’amico, lo silurava da un angusto sfiatatoio per poi intrappolarlo nuovamente.
Come se non bastasse Vesperus stava atrocemente aumentando la disinvoltura delle movenze di battaglia.  Il danese lanciava diversi dei suoi attacchi più veloci che venivano ridotti in schegge luminescenti dagli incredibili dardi della balestra. Si faceva pressante la convinzione che vi fosse un collegamento tra Biak e il cervello pseudo meccanico dello schiavo corazzato.

“ Assurdo! “ rimuginava frustrato il giovane “ non si è mai visto uno specter o un altro guerriero divino in grado di avere il dono dell’ubiquità! Il Negromante è presente nel campo di battaglia di Toma e nella testa di lamiere di quell’essere!”

Balzava sul terreno e saltava per deviare i manrovesci del nemico che schizzava con la sconsiderata furia di un orso.

“ Toma! Ti stai facendo maciullare i nervi dai trucchi di quel fattucchiere? Non puoi commettere idiozie mentre dobbiamo salvare Nikita! “

Vesperus gli colpì di striscio la tempia che , pulsando raggrumata, fece scivolare sangue.

“ Toma! Sei uno stupido moccioso! “

Il cavaliere automa lo falciò con il fianco della balestra sollevandolo violentemente da terra. Roald non distinse il gorgoglio del sangue che gli sovraffollava le meningi e il rumore livido del corpo che carpionava disperdendo pezzi d’armatura.
Un uomo normale sarebbe morto con le costole in poltiglia e le viscere tritate.
Quando sbatté sulla neve alzando spruzzi macchiati di cremisi , sentì quattro ossa incrinate , il fegato incastrato nell’intestino e un ematoma che gli marchiava l’addome.
Nonostante la testa girasse dolorosamente, la tempra ghiacciata del suo animo, rimise a tacere ogni sfarfallio di vertigine .

Vesperus scagliò altri tre dardi che lui afferrò con sconvolgente destrezza. Lasciandoli  lievitare in aria li dispose a mo’ di triangolo che si venò di salinature luminescenti.

-          I messaggi tornano al mittente – esclamò – dardo della giustizia di Odisseo!

 Un’unica freccia violacea e fremente si formò travolgendo l’avversario che tracollò al suolo.
Il ragazzo corse più veloce che poté verso la muraglia di nebbia cinerea eretta da Biak. 

Aphrodite non riusciva a stare in piedi senza vacillare. Percepiva  i contorni dei colli  e dei massi in rovina sovrapporsi, disciogliersi nell’azzurro tiepido del cielo  e poi brusire confusamente sugli stridori dei gabbiani e lo stropicciamento degli alberi.
Death Mask ormai non faceva più battute perché vedeva l’amico più bianco della ghiaia che incideva l’erba , con le ciglia semicalate in un’espressione di mortifero sonno.

-          Aphro, vieni – lo incitò sollevandolo di peso – è meglio se ti sdrai nella tenda prima di crollare con la testa a pezzi.

-          No…no…aspetta….

-          Aspetta cosa, scemo?  

-          Lei, Artemis…

-          Tu non sei innamorato ma sei drogato di quella donna!

-          Death! È in pericolo!

Cancer si fermò e tacque aggrottando le sopracciglia e spalancando le palpebre.

-          Credimi – balbettò l’altro – il suo sangue…respira troppo lentamente…

-          Che intendi dire?

-          Ne ha poco…lo percepisco...nel mio corpo…c’è metà del suo sangue. Nel suo corpo c’è metà del mio…in Groenlandia sta accadendo qualche cosa.

 Dopo che ebbe concluso pesantemente la frase, venne stritolato all’esofago da un violento conato di vomito.

-          Aphro! Cavolo ,devi sdraiarti!

-          No.!No! devo…

-          Che diamine vorresti fare? Non dirmi…

-          Devo andare a Calleos ! 

-          Sei fuori dai coppi! Non puoi teletrasportarti!

 L’amico lo artigliò  per il braccio e lo perforò con un’espressione aggressiva e implorante:

-          Death. Ho bisogno del tuo aiuto!

 

 

 

 

 

 

 

Il suolo scolava verso l’alto fluido, bianchiccio e friabile.
Il cielo roteava verso il basso quasi fosse marmo nero di scie selciate.
Toma ormai non capiva né dove poggiassero i suoi piedi né cosa spannasse la sua testa. Era un piccolo  frammento d’asteroide  che galleggiava nello spazio profondo.
Avvertiva le membra alleggerirsi in maniera rimbombante, quasi che al posto del sangue gli stesse cominciando a scorrere etere.

L’unico essere che restava saldato era il Negromante, inattaccabile nel centro di quel vortice obnubilante.

-          Lo so , Toma… per te le ossa non sono meri e taciti resti…Possono parlare.

E il ragazzo cercava di arrestare quel moto ma sapeva che la ragione fredda stava andando in necrosi.

-          Lasciami! Lasciami!

-          Quando dormi da solo non ti aggrappi alle ululanti costole dei tuoi genitori? Loro suonano tristi e vuote….vorrebbero di nuovo farti sentire la carne dei polmoni e del cuore che custodivano per tenerti ancora più vicino.

Nessuna mossa vincente gli riaffiorava nel cervello…Scrutava e scrutava invano tra mille corridoi e mille atri senza trovare un’uscita di sicurezza. Era il passeggero di una nave che si stava riempiendo d’acqua serrando ogni maniglia.

-          No! - continuava a sperare reclamando - io sarò un angelo di Artemide! Me ne andrò dalla terra!

 Biak volteggiò al suo fianco lasciando spirare un’aria olezzante di granito e fiori seccati.

-          Davvero? – lo pungolava - E in che modo potrai spiccare il volo se la tua schiena è troppo piccola per delle pure e grandi ali?

-          C’è il marchio della luna sulla mia pelle!

L’adolescente urlò all’improvviso come se artigli di nibbio fossero riusciti subentrare negli strati di carne per giungere vicino alle ossa. Arroventati fiotti di sangue presero a impregnargli la stoffa della casacca e premere sulla pelle schiacciata dalla corazza rotta.   

-          Questo marchio sta grondando sangue , Toma – disse il Negromante toccando la ferita - Artemide sa bene di non poter riporre la sua stima in te!

-          Maledetto schifoso! Hai contaminato il sacro sigillo!

-          Oh, no ragazzo mio….vedi, molte volte gli esseri umani vivono di scuse e di bugie e tu non fai eccezione.

-          Vattene!

Biak ghermì con violenza il capo del guerriero costringendolo a fissarlo in volto. Le mani gelate  erano disposte a mò di rete  , alla stregua di una maschera di ferro per condannati.

-          Guardami negli occhi ! Valuta il dono che ti sto per porgere! Nel nero che cogli nuotano due fiamme …i cuori dei tuoi genitori…riesci a sentire i loro battiti?

Lo specter sgranò gli occhi tondeggiandoli in maniera orrenda , schiudendo due gole di caverna.
Dopo i primi secondi di letargo terrorizzato, Toma restò incantato dalla luce degli iridi….
no….non erano iridi…erano due belle lanterne d’oro che i genitori avevano appeso per lui e Marin. Quel buio…era oscurità famigliare …erano le dolci orme proiettate dalle finestre chiuse della loro stanza.

-          Io…io…li…li…sento! Li sento!

-          Posso riportarli da te. Sarebbe magnifico vero? Finiresti di asfissiarti in dubbi, tormenti e apparenza! E poi non trovi che anche la tua sorellina tornerebbe a essere felice?

 La voce di Biak era identica a quella fresca e arieggiata di suo padre.

-          Marin…

-          Sì, dopo che avrò strappato dalle tenebre dell’Averno i vostri genitori, vi permetterò di unirvi e andare via su una strada di luce e pace.

-          L-luce e…p-pace?

-          Sì…io sono nato per concedere un’altra alternativa alla morte.

Una ventata rossastra e improvvisa mandò in fumo la tenera trappola.
Una trafila di triangoli roteanti rigonfi di saette strepitò scavando il terreno.

-          Prisme af rod frost!

Roald imprigionò in un prisma roboante il Negromante: portava Nikita su una spalla mentre a terra erano disseminati i brandelli ossei e cristallizzati della gabbia.
Toma giaceva bocconi sulla neve con la testa ancora ficcata in una nebbia di ebbrezze: la forza di gravità faceva tornare tutto come prima , simile ad un calice che cessato di essere scosso facesse distendere la superficie di un liquido.  

-          Toma! Toma! – esclamò adirato il compagno raggiungendolo – cosa pensavi di combinare?!

Lo tirò su in malo modo scuotendolo per la spalla.

 -          Io…io….- balbettò inebetito con gli occhi opacizzati – ero a casa….con…la mia famiglia….

Roald  sferrò un ceffone così potente che gli fece sanguinare la bocca.

-          Dunque – sentenziò con tono sordo  – ti stavi lasciando rimescolare le cervella alla stregua di un invertebrato?! Tu che appartieni ai Cervi Bianchi?

Toma si tastò tremante la lesione della bocca e quella della nuca senza replicare nulla.

-          Sanguini pure dietro il collo… – osservò a denti stringati  il danese – meriteresti di finire sotto le acque dell’Artico ma non possiamo perdere tempo. Aiutami con Nikita.

 Mentre Biak smuoveva le braccia per liberarsi dal prisma, l’adolescente barcollò ricadendo in ginocchio.

-          Maledizione! – vociò Roald  – riprenditi! Non sei più un marmocchio!

Due frecce velocissime lo colpirono al costato e la gamba sinistri mentre un’altra gli si conficcò nell’avambraccio che reggeva Nikita.
Vesperus, con incredibile agilità, gli aveva raggiunti.
Biak fece esplodere la teca che lo rinchiudeva e camminò verso i tre guerrieri che erano prostrati a terra.

- Ammira, buon Vesperus – sorrise – renderò il mio monumento di spoglie umane ancora più sublime e tu , caro amico…otterrai maggior linfa. Ci dobbiamo affrettare, prima che quel nefando di Mefistofele si appropri esclusivamente delle Reliquie Arcane.   

 La scultura di ossa si ricompattò prendendo le sembianze di un serpente bianco e limaccioso che , dilatando le fauci di costole , inglobò Roald, Nikita e Toma.

 

 

 

-          Coraggio, Maestà! Cerca di rinvenire!

Takashi sbeffeggiava la stordita Artemis portata piegata in due sulla spalla allo stesso modo di una cerva abbattuta in una spedizione di caccia.

-          Manca ancora qualche metro all’ingresso del giardino che ti ha donato papà Pericles! Non vorrei che tu finisti addormentata all’ouverture del mio spettacolo!

Il budello sotterraneo che collegava il Tempio della Neve Dorata a quello di Artemide stava per concludersi. Il monotono incedere dei rigonfiamenti grigio scuro delle rocce  illuminate da lanterne verde acqua lasciava spazio ad un portale circolare. Sopra la superficie marmorea, era scolpito con elegante maestria un basso rilievo della dea Artemide voltata di profilo che tendeva l’arco circondata dalla falce lunare.

-          Guarda come sono pio, Artemis! Senza scalfire quest’opera d’arte entrerò nel tuo eden.

Mosse silenziosamente la mano libera seguendo un disegno invisibile composto da cinque punti incogniti. La giovano imprecò biascicando:

-          Dannato…c-come…hai…

 Il portale si schiuse barrendo metallico. Una luce dolce fece capolino con l’aria di una bambina sorpresa dal sonno.

Il falcò entrò e fece capitombolare Artemis su un cespuglio di fiori gialli.
Si guardò attorno fischiando meravigliato: le colonne corinzie che traboccavano d’edera, il bacile centrale  d’acqua leggera e frusciante, la cupola di cristallo con inciso il disegno di una rosa...

-          Splendido, davvero splendido – mormorò l’uomo col sorriso di un assaggiatore di pietanze – non vi è dubbio che qui sotto possa celarsi lui.

Artemis si puntellò sui gomiti tentando di drizzare la schiena sebbene le ferite sanguinanti erano una tela di artigli che la costringevano a terra.

-          Vedi, Altezza – continuava solenne il Falco – le radici di queste piante, il profumo dei fiori, colano talmente nelle viscere della terra che neppure il sommo Pericles le conosceva fino in fondo. Qui si cela il dispensatore dell'aurea casta e florida che ha concesso questo dono…Credi siano bastati la composizione dell’acqua e la chimica di un uomo a produrre tale miracolo?

La sacerdotessa tremante di dolore si mise a sedere mentre il nemico spiegava caldo e beatificato:

-          Forse penserai all’intervento della vostra Artemide o forse di Demetra. Ebbene no. Si tratta di qualcosa di letteralmente scottante… Scottante di una luce ancora più elevata dell'Olimpo. Adesso è giunto il momento che io tenga fede ad un sacrosanto patto.

-          Dei tuoi patti – sibilò irata Artemis – dei miracoli che tu farnetichi non m’importa nulla. Questo tesoro l’ha creato mio padre e basta.

-          Non metto in dubbio il talento di Pericles….Sto soltanto mostrando una grossa verità che voi incoscienti avete gratuitamente sfruttato.

-          Tutto è stato eseguito nella legge dell’armonia  creando una possibilità di vita anche qui!

 Takashi sorrise polveroso accostandosi alla ragazza.

-          La tua presunzione di figliola prediletta soccomberà e lo vedrai iniziando a versare il tuo contributo.

 La ragazza traballando si issò in piedi tirando sopra gli avambracci , divaricando leggermente le gambe e stringendo ogni capillare.

-          Bene, Falco…ecco la mia ultima offerta – rispose brancolando -  crimson thorn!

 Tutto il sangue che grondava dai tagli  si slanciò violentemente dalle membra in una straordinaria tempesta di gocce affilatissime e velenose pronte a crivellare l’avversario. Era un’esplosione di carnosità inebriante , il rombo nero di una supernova che versa le ultime lacrime fluorescenti.
Ridendo estasiato, Takashi spalancò le  braccia e accolse quel flusso scarlatto di energia in una sfera luminosa e palpitante.

-          Ti sarò eternamente grato Artemis per la tua fascinosa avventatezza…Per principiare il mio rituale occorreva il sangue limpido di una vergine guardiana.

Svuotata, piena di pesantezza cinerea e sorda, la fanciulla rovinò per terra e la maschera singhiozzò in una sottile crepa.

-          O linfa incontaminata e profana – pronunciò Mefistofele – conficcati nelle acque trasparenti di questo bacile….ombreggia di cremisi ogni onda.

 La sfera veleggiò per una breve frazione d’aria quando si immerse nella conca  disperdendo i suoi flutti rubini. I riverberi celesti e bianchi delle lievissime ondulazioni d’acqua avvamparono brutalmente impregnando di luce rossa tutto il giardino.

Mentre la terra prendeva a tremare un abbaio sempre più insistente si avvicinò all’ingresso del cortile sotterraneo: Eryx , avendo fiutato l’odore aspro delle ferite della padrona,  aveva percorso, lercio e contuso , tutto il sotterraneo del Tempio della Neve Dorata.
Scavalcato il portale di Artemide si precipitò sul corpo della ragazza. Lo annusò, lo spintonò con il muso emettendo guaiti  e , constatando che non riusciva a riprendersi,  aprì le mandibole e la trascinò per un braccio allontanandola dalle incombenti spaccature del suolo.

 

“ Ikki…” avvertì rimbalzare nel cervello il cavaliere della Fenice “ Ikki…è giunto il momento. Invadi con le tue piume di fiamma i fiumi davanti a te. Incendia il tuo cosmo e fai evaporare ogni goccia d’acqua…”

 Il ragazzo fissava allibito il torrente formare una condensa vermiglia e quasi mugghiante…All’isola di Death Queen era abituato ai solfuri che fuoriuscivano dal terreno lavico ma sta volta percepiva come una trappola sconfinata…un presentimento che lo risvegliò brutalmente dall’inedia che lo aveva arpionato per tutto quel tempo…Era un ingranaggio di quell’enigmatico e inquietante rituale…

“ Allora, Ikki? Esiti? Evoca la tua costellazione...e il tuo avvenire ti potrà condurre a scavalcare le gerarchie dei Cavalieri d’Atena…”

Le parole del padre rintronavano e rintronavano, una canzone odiosa che costringeva ad ascoltarla quale unica melodia a disposizione di una radio dispotica.
Più per paura atterrante che per sincera convinzione l’adolescente aprì gli arti superiori e, simulando, un potente battito d’ali,  urlò per non udire la  coscienza che gli ordinava di disobbedire:

-          Hoyoku Tensho! 

La fenice eruppe imponente e , levando strie taglienti di stridi, si gettò a capofitto verso il fiume serrando  gli occhi gialli e divorando i rovi arborei e ogni ronzio celeste d’acqua.

 

 

 

 

 

Archi vertebrali, clavicole, falangi, strizzavano e corrodevano la pelle, da cui il sangue delle contusioni stagnava sotto la blusa da combattimento e la corazza rovinata.
In quel agglomerato infernale di ossa appuntite e melma barbugliante era impossibile tenere gli occhi aperti e tentare di respirare con le nari e la bocca : l’ossigeno penetrava in quella prigione mutando gradualmente in acido nitrico.
Roald , tuttavia, non si dava per vinto.
Nonostante i condotti respiratori infiammati , il cuore e i polmoni che quasi si raggomitolavano nel petto, cercava a tentoni i due compagni.
Sapeva che  non erano lontani e che avevano i sensi ottusi. Finché almeno a lui restavano lembi di lucidità doveva resistere…
Allungava con fatica le braccia ma si trovava quasi paralizzato con quelle fredde pulsazioni d’intorpidimento che vessano gli arti addormentati.

“ L’unico modo per liberarci” considerava” è frazionare il mio cosmo residuo….Una parte la devo usare per sprigionare energia e rompere queste tenaglie e l’altra rimanente per proteggere Toma e Nikita…Il problema è che alla fine l’incantesimo si rigenera e io non so come affrontare il Negromante! “

Prima che la demoralizzazione gli ghermisse il cervello , si decise a cominciare a il piano di fuga.
Con l’emicrania che gli ribolliva nelle orbite e nella fronte, prese a emettere un’aurea purpurea che irradiò gli inermi Nikita e Toma.
Scatenando  un’esplosione potente e veloce fece spruzzare in aria cocci di scheletro e salivate fangose.
Lui e i compagni sbatterono al suolo sentendo il gelo ruvido della neve picchiargli vitalmente la faccia.

-          Ma è portentosa la tua forza di volontà – rise Biak compassionevole – però mi duole affermare che sia…sciagurata e sprecata.

Roald si rialzò ammaccato senza forza di ribattere: sapeva che l’avversario diceva la verità.

- La  cosa che mi diletta di voi cavalieri – continuò – è la caparbietà di rialzarvi fino al disintegra mento delle vostre energie…perché non volete accettare che la ruota della fine vi abbia già investito e vi stia massacrando tra i suoi raggi. Questa prigione di ossa e melma tornerà a masticarvi.

 Uno strepito acutissimo saettò nel cielo, strappando un inaspettato urlo al Negromante.

Roald guardò in alto: una sagoma alata vibrava  sicura e solenne, somigliante a quella un volatile notturno…
Sembrava proprio un gufo…un gufo piuttosto strano…

-          E’ uno di loro – ringhiò Biak uguale ad una fiera con le zampe incastrate in una tagliola – è uno di quella stirpe dannata! Perché mai è qui?

Il danese,  sbigottito,  non capiva a cosa potesse alludere…
Il rapace dal color argento e bianco intimò sollevando un tono greve e ventoso:

-          Biak, delle laide stelle del Negromante…vedo che non cessi di perfezionare i tuoi incantesimi neri. Sei il più abile giocoliere di vita e di morte, degno del nome di tua sorella liberata impunemente dal castigo divino.

-          Quelli della tua cristallina razza non dovrebbero svolazzare negli infimi mondi!

-          Hai ragione. Ma , vedi, obbedisco all’Armonia Suprema e non ho il cuore in putrefazione.

Il misterioso uccello assunse la forma di un fascio di luce che emetteva suoni particolari, rassomiglianti a grosse gocce di pioggia o a cristalli che andavano in pezzi.
Biak, col viso ancora più candeggiato di collera,  fu costretto a mettere in salvo la pelle:

-          Non credere che mi lascerò incendiare da te! Vieni, Vesperus! Porteremo a termine il dovere del nostro sovrano Ade!

Si dissolse assieme al soldato-meccanico in una spirale di nubi nere che centrifugò sollevando un vento odorante di terra madida.  
Roald guardò il gufo allontanarsi tra i  fiocchi di neve che iniziavano  a precipitare muti e ciechi.

Toma, nel frattempo, aprì gli occhi e alzò il viso dal guanciale ghiacciato del suolo. Il ciondolo di Marin ancorato al suo collo giaceva brillante sul bianco. Prima che il compagno potesse accorgersene , febbrilmente allungò la mano, lo arrotolò e se lo nascose sotto il pettorale della corazza.
Se si fosse scoperto , ciò che nascondeva quel sacchetto di cuoio arrampicato al pendente, gli avrebbero rotto le ossa delle ali ancora immateriali.

 

 

 

 

 

Ricoverato temporaneamente nella tenda, Aphrodite stava facendo salire la bile di Death Mask fino al cervello. Si agitava continuando a sciorinare parolacce e imprecazioni.

-          Testa di minchia! – sbraitava Death – non  so se riesco a teletrasportare te e il tuo culo in Groenlandia!

-          Merda! Sei uno dei pochi cavalieri che ha poteri telecinetici! Puoi farcela!

-          Io non ho le facoltà di Mu , genio! Posso dislocare negli inferi solo la tua anima! Il corpo resta qui! Come faresti a dare il tuo sangue ad Artemis?

-          Tu non riesci…a cercare un altro varco…dimensionale?

-          Sì. Ho limitazioni temporali di teletrasportare me stesso, però sì. Sono in grado di spostarmi nel mondo dei vivi….comunque il problema restano gli altri. A meno che…

 Death s’ammutolì pensoso folgorato da un’improvvisa idea.

-          Allora? – chiese impaziente Aphrodite – cosa ti è venuto in mente?

-          Ascolta – rispose grave l’altro – ho trovato una soluzione ma è veramente rischiosa e dobbiamo agire in soli dieci minuti: per attuare il tuo  teletrasporto bisogna che ti dimezzi.

-          Che?! In che senso?  Prima teletrasporti il mio busto e poi posteriore e gambe?!

-          No, caro salmone, non si tratta di sfilettarti! Non ho il potere di teletrasportare una persona vivente perché il peso della carne e dell'anima sono eccessivi. Trasferirò  il tuo spirito a Calleos sottoforma di fuoco fatuo e successivamente arriveremo lì io e il tuo corpo. Passeranno dieci secondi perché le tue parti si possano riunire. Mi auguro che riuscirai a salvare Artemis in pochissimo tempo. E’ un incantesimo che se si prolunga ci prosciuga i cosmi e quindi...tanti saluti!

Aphrodite raddolcì i lineamenti , diradando le fenditure dell’angoscia:

-          Ho capito, Death! Prepariamoci in fretta!

 I due cavalieri uscirono dal tendone . Nonostante fosse provato fisicamente , lo svedese pareva aver sopito ogni singulto e indossò l’elmo d’addestramento senza lasciar tremolare le dita.

-          Aphrodite! Sei pronto per andare un po’ all’inferno?

-          Pronto.

 Cancer concentrò nella mano destra scie blu violacee che si diffusero energicamente:

-          Sekishiki Meikaiha!   

 

 

 

 

 

 

 
Artemis non udiva più le tenui crepitazioni  del suo cuore, né le violenti scosse che squarciavano le profondità del terreno e davano fuoco al bacino del giardino e ai favolosi cespugli di piante.

Nel dolore mortifero , la sacerdotessa era fortunata a non assistere allo scempio che Takashi faceva del tesoro creato da Pericles…Le colonne corinzie crollavano alla maniera di gambe infantili spezzate dalla furia d’una falciatrice mentre le fiamme , con mani impietosamente bacchiche , strappavano le rigogliose edere dalle architravi decorative. Lo splendido busto della madre Aspasia era finito a terra , sformato, non dissimile da un’ anfora sbriciolata che attende di entrare nella bocca di una fornace.  Le rose blu si polverizzavano disperdendo nell’aria fumeggi di cenere sanguinea.

Eryx trascinava via la padrona con  le zampe e il muso ustionati, l’allontanava dalle faglie che potevano inghiottirla, la proteggeva in qualsiasi modo con i residui d’energia che lo facevano guaire e leccarle il viso serrato dalla maschera. L’unico scudo che poteva utilizzare era il suo corpo dalla pelliccia bianca lordata di polvere, sangue e neve appiccicosa.

-          Viscere della terra! – esclamava Mefistofele aumentando l’aurea tellurica del suo cosmo – schiudete ogni antro, ogni serratura! Lasciate che il Figlio del Sommo Re della Luce torni a sentire l’aria superna!

All’improvviso affianco ad Artemis e al cane lupo comparve una sferetta fosforescente, di un azzurro sussultante….Qualche secondo dopo , in una detonazione dorata e blu, apparvero Aphrodite e Death Mask.
Eryx abbaiò rauco e gioioso, scrollando la grossa coda umida e sgualcita.

-          Buono bello, buono – lo calmò il cavaliere dei Pesci carezzandolo – adesso aiuterò la nostra Artemis!

-          Ma guarda! – rise Takashi – la platea di spettatori s’ingrandisce! Per giunta si tratta di due nobili Cavalieri d’Oro!

Lo svedese fissò atterrito il sacro vivaio di Pericles che quasi sformava urla incendiate verso l’alto.

-          Che le fiamme ti distruggano, bastardo!

-          Bel damerino, le fiamme obbediscono a Takashi di Mefistofele!

Il guerriero nero scaraventò un turbine incendiario che venne respinto da onde sussultorie provocate da Cancer.

-          Complimenti , demone cornuto! – sbeffeggiò lui – sembri proprio un tipo coi contro attributi! Ma anche noi abbiamo palle d’acciaio!

-          Ti assumerei volentieri se facessi commedie! Ma ho da concludere uno spettacolo ben più grandioso!

 Il centro del tempio sprofondò completamente, denudando ancora di più le crude interiora rocciose.

- Aphrodite!– esclamò Death -  io vi copro sperando di non finire squagliato nel magma! Fai presto!

 Il ragazzo si era già tolto il parabraccio e il guanto della mano destra per scoprire  la sinistra della Maestra. Incise un taglio sul suo palmo e quello di lei dando inizio al rituale di guarigione. La sollevò per le spalle stringendola al petto e poi congiunse le due ferite come fosse un bacio tra una bocca di violaceo assideramento e una vermiglia di nascita. Mentre Eryx impaziente annusava e abbaiava inquieto, il padrone chiuse gli occhi facendo scivolare il flusso caldo dell'’ossigeno e delle cellule  lungo tutto il muscoli concentrandosi nel punto d’unione.

Dalla voragine si innalzarono strilli sconquassati che sembravano, a tratti, abbassarsi e tuonare e sfregarsi ringhiando.

-          Liberati, o Sacro Protettore – invocò Takashi – tu che fosti plasmato dal sangue puro del Primo dei Primi , tu  che guerreggiasti sorreggendo il giusto Sovrano dei Ribelli Celesti, tu che finisti deturpato e relegato nell’ ignobile sottosuolo del mondo umano…Manifesta le tue rilucenti spoglie d’Iperuranio, sublime Araldo di Lucifero!

 Miriadi di scaglie sassose, turbinarono in alto come attratte da un magnete celeste.
Una protuberanza bianca , di acquosità fredda venne partorita dall’utero stracciato della terra.
Era un enorme teschio di rettile  dal muso appuntito e dalla dentatura affilatissima che pareva incisa e lavorata da un gioielliere. Le orbite ovali e risonanti di nero , le sei corna che s’ergevano simmetriche uguali a lance di soldati: le più lunghe collocate posteriormente sul cranio e le altre quattro che degradavano verso la fronte . Delle venature ematiche contrassegnavano i confini delle ossa mascellari, del setto nasale , dei rigonfi archi sopraccigliari redigendo una mappature desertica di quelle lande dure e rapprese.

Sgusciarono fuori le vertebre del collo e del chilometrico dorso trapuntate di spini ed erosioni, sbalzarono le possenti costole della cassa toracica, sbarre ricurve guardiane di un cuore selvaggio ed estinto.  Le quattro gambe terminavano in zampe compresse e infilzate da grossi artigli ad uncino similari a quelli di uno sparviero. Le ali da pterodattilo si allungavano a dismisura robuste e aguzze verso i fondali scuri.

Aphrodite e Death Mask emisero solo un mormorio talmente grande era lo sconvolgimento di quella visione che non concedeva parole.

 

 

 

 Roald e Toma, che trasportavano lo stordito Nikita, furono costretti a fermarsi sotto i portali delle mura Ovest.  I soldati gridavano allarmati , intimavano di allontanarsi perché dal Tempio di Artemide si diffondevano terribili mareggiate di energia infera.

Tra le abitazione abbandonate scorrevano grossi pulviscoli grigi e barbagli rosseggianti e arancioni che non segnalavano certo l’avvento del sole.
Lo scheletro del drago di Lucifero si sollevò nell’aria scomposta e nevosa…Un incredibile altorilievo che scheggiava la muratura del cielo polverizzando le nubi mucose.

-          Che diamine è quello?! – esclamò stavolta Roald nervoso – dove si trova la Maestra Artemis?!

-          Nel nostro sottosuolo – mormorò Toma atterrito – era sepolto quel mostro?

Persino Nikita fu strappato dal torpore che diradò l’annebbiamento:

-          N-non può essere…- balbettò arrochito – è…il drago di Lucifero!

 

 

 

 

 

 

Dopo il frastornante conflitto contro Icelo e Morfeo, Mu aveva trascorso una nottataccia.

Più che un sonno greve,  il dormiveglia s’era innalzato e sollevato in un molesto quanto colloso ritmo. Un fruscio leggero ma velenoso che gettava visioni ma che non perdeva contatto col silenzio duro delle mura della stanza. Si usciva dai pensieri e si rientrava.
Il disegno cruento delle zanne di Icelo, le sue oscene imprecazioni, la voce sotterranea di Morfeo, gli amici che correvano chissà se per angosciante furore o per frenetica allegria, il Maestro Sion che prima parlava in uno studiolo di mattoni e poi in un campo scuro dove luccicavano lugubri papaveri…Poi Leira che navigava con lui e Kiki verso casa e salutava gli spettri dei suoi genitori…
Il sottofondo di quella strozzante canzone che aveva udito a Lindo….Panta rei, panta rei…tutto scivola e non come vorrei….
Leira che gridava aiuto, Icelo che lo voleva dilaniare con gli artigli, Morfeo che lo rinchiudeva in un sepolcro di marmo e papaveri, poi Sion che non lo udiva, poi gli amici che apparivano e scomparivano, Kiki che annegava in mare, di nuovo i genitori…poi Leira che gli dava un bacio ma che poi arrabbiata se ne andava…Cercava di afferrare la sua mano quando alla fine stava afferrando un lembo di lenzuolo.

Il ragazzo, rassegnato e irrequieto,  s’era svegliato alle sette avvertendo un lattiginoso dolore  versarsi addosso tutto in un colpo. Nei timpani era restata l’ombra infestante di Panta rei, panta rei tutto scivola e non come vorrei…

Kiki per fortuna sonnecchiava, proiettato beatamente supino e col viso tondo rivolto verso la finestra dalle vetrate che schiarivano.
Con dolcezza frammista a tristezza il fratello maggiore si ricordò delle mattine trascorse nel Jamir in cui all’alba vegliava il suo piccolo giaciglio…

 La colazione dell’ospedale delle otto, a parte il latte e lo yogurt , non era un granché.

-          Fratellone! – si lamentò Kiki- questi biscotti fanno schifo!

-          Purtroppo è quello…. che offre la casa…ci dobbiamo accontentare.

-          Sanno di carta bagnata e caccole!

-          Kiki, per favore!

Il bambino rimase imbarazzato per la brusca risposta.

-          Fratellone…ti ho fatto arrabbiare?

-          No…- sospirò l’altro più dolcemente – solo che…non ho dormito bene e mi sento a pezzi. …

Kiki guardò sul vassoi etto lo yogurt bianco che doveva ancora aprire e glielo porse:

-          Ti do il mio yogurt!

Mu posò la tazza di latte e sorrise:

-          Grazie, mangia pure tutto. Non ho tanta fame.

 All’improvviso il medaglione dell'Ariete, posato sul comodino tra il suo letto e quello del bambino riverberò di luce rossa e arancione. L’occhio dell’animale pareva addirittura avesse una fiamma al posto del rubino.
Stravolto il ragazzo lo prese febbrilmente per la corda e osservò quelle pulsazioni di matrice solare che presero a gloglottare quasi fossero risonanze di sauro. Così com’erano apparse si spensero disperdendo aureole fumose.  

 

 

 

 

 

Death Mask, il cane Eryx e Aphrodite , che portava in braccio l’inerme Artemis,  stavano correndo freneticamente lungo il corridoio segreto che portava alla botola del Tempio della Neve  Dorata.
Le pareti minacciavano di scontrarsi alla maniera di un vaso sanguigno stritolato mentre le fiaccole o s’erano spente o stavano facendo ardere il pavimento di fiamme verdastre e acide.

-          Porca puttana! – inveì Death Mask -  non ce la faremo in due minuti a portare zanna bianca e la regina fuori dal santuario! Stiamo sprecando energie e tu stai peggio di me! 

Aphrodite sentiva che la sacerdotessa , nonostante fosse ancora svenuta, si stava riempiendo gradualmente di calore…non poteva permettere che le macerie o il fumo del drago distruggessero l’effetto della sua cura.

-          Death! –  tossì – mancheranno venti metri alla botola! Acceleriamo!

Un barrito veloce e sotterraneo serpeggiò creando una spaccatura enorme nel terreno che fece precipitare i quattro . All’improvviso, però,  un misterioso tornado di bufera innevata li travolse sbattendo negli occhi e nelle narici cristalli bianchi, azzurri e grigi.
I sensi erano talmente smagliati da non riuscire ad afferrare il minimo ragionamento o ipotesi. Il vento, gli ululi, quel freddo stranamente liscio li sferzarono senza dolore scaraventandoli in orizzontale quasi volassero sopra chissà che lande.
Il soffio terminò e Death Mask e Aphrodite si trovarono sdraiati col volto sull’erba di Siracusa mentre Artemis ed Eryx vennero soccorsi dagli attoniti Roald, Toma e Nikita.

 

 

 

 

Si sentiva stupido, confuso e umiliato.
Ikki stava fuggendo con la testa sollevata a guardare l’agghiacciante mole del sauro scheletro… Si aspettava qualcosa di mostruoso ma non che bisognasse riesumare i resti di quel drago che da morto emanava un residuo di potenza incommensurabile. E lui che aveva infiammato le acque del canale ! con il suo cosmo! Con parte delle sua anima! E se avesse venduto una percentuale della sua essenza sancendo definitivamente una condanna di cui non conosceva la minima clausola?
Ora che tutto gli si spianò violentemente davanti, stava rimangiando i suoi propositi di servitù. Doveva farsi venire in mente un piano alla svelta e raggiungere suo fratello Shun.

Una freccia, dalla velocità invisibile, lo colpì al fianco buttandolo in ginocchio.

-          Ottimo lavoro, Vesperus –  disse Biak – bisogna far imparare ai ragazzi che disertare deturpa l’onore…soprattutto quando i sacri gemelli Hypnos e Thanatos tengono d’occhio i virgulti promettenti.

 Tirò il ragazzo per i capelli sghignazzando:

-          Perché scappare?  Vieni ad ammirare il modo in cui ridimensionerò la gonfiaggine di tuo padre!

 

 

 

 

 

Death Mask si era sollevato faticosamente da terra mentre Aphrodite era ancora seduto con la schiena posata contro un masso.
Avevano i capelli scomposti,  un lividore un po’ farinoso e il sangue che ancora sbatteva forte nelle vene e nei muscoli.

-          Chi diavolo ci ha teletrasportato qui? – domandò Cancer – secondo te Aphro si tratta di un cavaliere?

-          No…non ho percepito qualcosa di umano…sembrava…energia pura…

-          Beh sì…energia lo era…però…se ci fosse stata una coscienza? Un essere dietro tutto?

-          Può darsi….c’è una serie di cose misteriose…quel Takashi, per esempio…quello che ha distrutto tutto…

Strappò fili d’erba mordendosi le labbra e le lacrime che crepitavano negli orli delle palpebre.

-          Mi dispiace …- sospirò sinceramente contrito Death – scopriremo chi è quello stronzo, vedrai…

-          È mai possibile che i fiori e le piante…si possano bruciare come le creature più inutili dell’universo? Pare quasi che sia un’emerita stupidaggine seminare….tanto a che servono cose che si strappano con una facilità assurda?

-          Aphro. Dobbiamo rimetterci in piedi. Io ne ho viste di robe andate in fiamme, credimi…non vale la pena farsi domande. Se pensi ad ogni casa che viene distrutta allora costruire è uno spreco.

Lo svedese si coprì gli occhi con la mano stropicciandosi col pollice le tempie.

-          Il giardino del tempio di Selene…quello che,  purtroppo,  non hai mai visto nel suo aspetto originario…era il regalo del re Pericles ad Artemis…Era un rifugio sacro creato da un padre in tutto e per tutto. Avevo anche io l’onore di entrare e di sentire quell’acqua che irrigava ogni rosa e che adesso è  stata prosciugata dalle voragini.

 Death Mask non se la sentì di mettere a tacere gli sfoghi dell’amico ma soggiunse:

-          Bisogna che facciamo rapporto al Grande Tempio di Atene. Se vogliamo almeno vedere da lontano qualcosa di buono , prepariamoci . non c’è nulla da lasciare in sospeso! Specialmente quel dinosauro alato di Satana!

Aphrodite posò l’avambraccio sul ginocchio annuendo cupo:

-          Sì…tra qualche ora sgomberiamo da qui e cerchiamo la prima nave diretta ad Atene…spero con tutto il cuore che Artemis resista.

 

 







A Takashi non restava che compiere una sola cosa: raccogliere le spoglie del drago e suggellarle.

-          Emergi dagli abissi dell’invisibilità , o Cratere Leteo  -  spiccò – riplasmati dal tornio arcano e giungi a ricomporre le Reliquie  dell'Araldo di Lucifero.

Da un vortice ocra, grigio e nero sorse, come si stesse staccando da un bacile d’argilla liquefatta, ‘anfora piombo cesellata da motivi geometrici di celeste fluorescente. Aveva un corto piede e un ampio collo svasato decorato da due ricurve anse a forma d’angeli alati  che suonavano le trombe inarcando i loro corpi snelli.
Le ossa del drago si disgregarono ordinatamente e si rimpicciolirono in tante lamine brillanti che defluivano all’interno della bocca del vaso.
Ormai nulla poteva interrompere quella sinfonia ma , proprio alla fine,  Mefistofele vide  il cranio del demone roteare e volare nella direzione opposta verso uno squarcio nel cielo viola e rosso che lo ingerì chiudendosi.

Sopra le rovine del Tempio di Selene, Biak sorrideva trionfante per il proprio incantesimo, mentre dietro stava Vesperus che teneva prigioniere le braccia di Ikki.
Il cavaliere nero avvertì la rabbia rendergli i capelli ancora più verdi.

-          Cosa significa, putrido stregone?! – urlò – da quando voi , sterco dello Stige,  mettete le zampe su ciò che appartiene ai Cavalieri Neri?

-          Esimio Mefistofele – rispose derisorio il Negromante – credevi che io e il mio fido compagno fossimo venuti qui soltanto per annusare la scia miasmatica delle tue orme ? Una percentuale dei tuoi guadagni deve essere offerta al nostro Signore Ade…Come dite voi , pirati da strapazzo, si rema sullo stesso vascello , no ? sono questi i patti. Io mi occupo di ricavare garanzie concrete.

-          Le garanzie te le ficco sai dove?

-          Ora capisco perché il tuo povero figliolo voleva tagliare la corda…

Un ululato di rapace spense la lite…
L’inesplicabile gufo bianco e argento tornò a mulinare rapido e a scompigliare i fiocchi di neve cominciando a controllare la rotta della bufera.

-          Uno di quei spiritelli è qui ?! – tuonò Takashi sbigottito dall’aurea immensa che emanava il volatile – che diamine! Com’è che è arrivato?

-          È comparso anche prima! – soggiunse lo Specter – ormai la missione è fatta ! torniamo alle basi e allontaniamoci immediatamente da Calleos!

Il cavaliere Nero fece dileguare il cratere , saltò sui marmi rotti del Tempio e strappò Ikki da Vesperus non per preoccupazione ma per potergli dare una lezione una volta tornati al covo.

-          Ricorda ragazzo! – lo spinse via – le piume della fenice hanno siglato un giuramento celeste!

L’adolescente era talmente sbattuto da non aver la volontà di replicare con le labbra gonfie di lividi. Sparì col padre oltre la città spasimante mentre il Negromante e il soldato muto si trasportarono in scie carbonifere oltre le distese scalfite dei ghiacciai.

 

 

 

Artemis sostenuta da Toma e affiancata dal fedele Eryx contemplava la desolante visione della città di Calleos  ricolma di ferite.

-Q…Quanti sono….i soldati morti ? – chiese ammaccata.

- Non abbiamo ancora fatto il resoconto , Maestra – rispose Roald che aiutava Nikita a stare in piedi – credo comunque che siano state minori in rapporto a quelle dei cavalieri Neri.

- Voi, invece? State bene ragazzi? Nikita?

- Mi…mi hanno salvato Roald e Toma – abbozzò un sorriso il giovane .

- a dire il vero – precisò il danese – è venuto anche in aiuto…uno strano gufo…

-Un gufo?

- Sì…io non credo davvero si tratti di un comune cavaliere…Pare che emani un’energia dannosa per quel Takashi di Mefistofele e il Negromante.

- Penso, Maestra – aggiunse Nikita – che sia la stessa energia che, non so come, vi abbia portata in salvo con Eryx dal Tempio di Selene quando è comparso quell’enorme scheletro di drago dal sottosuolo.

- Già- si ricordò ansiosa la sacerdotessa – Takashi voleva evocare una creatura…una creatura che , secondo lui, aveva donato la fertilità a Calleos.

- Maestra – rivelò Nikita teso – sono le spoglie del leggendario drago di Lucifero.

 

Artemis  proiettò il viso verso il Santuario e sentì una trave , lanciata a tutta forza, massacrarle il petto e le viscere.
Ogni fine colonna che da bambina credeva fosse fatta di polvere lattea, il bellissimo tetto in tegole rosate e il giardino sotterraneo creato da suo padre…quello scrigno intimo fatto di suoni lievissimi e dello scrosciare eterno dell’acqua…tutto a brandelli, diradato, ammucchiato alla neve grigia crivellato dai fiocchi di ghiaccio…Un groviglio irriconoscibile di fratture esposte e organi polverizzati.
Stava per piombare a terra ma Toma la sorresse fermamente e lei gli si appoggiò sul petto con le lacrime che sfregiavano l’interno della maschera. Stava per portarsi la mano sinistra alla testa quando si accorse di essere priva di guanto e di para braccio.
Guardò allibita la cicatrice rossa sul palmo…e capì di che si trattava…anche se aveva il naso coperto avvertiva il profumo fresco, pungente, agrodolce delle rose di Aphrodite.
Nel dolore si aprirono lembi di una gioia dolente e incredula.
 “ Aphrodite…” pensò” Ti sei fatto trasportare fin qui? Dimmi…mi hai sentito? Sei in grado di sentire persino una fiammella che si spegne a chilometri di distanza? Ecco…il prezzo del nostro sangue…della tua linfa che è in ogni mia cellula e che non potrà vedere più il giardino di Pericles…Avrei voluto tanto vederti donare all’infinito il tuo profumo alle mie rose blu…”

-          Non temere, regina di Calleos. La fondamenta delle città non sono ancora crollate.

La ragazza guardò verso il cumulo di rovine e vide una figura sostare immobile e maestosa. Doveva essere un uomo vestito di un abbagliante manto bianco e argento con la voce elevata e fresca uguale alla cima robusta e delicata di una montagna. Era musica lontana ma che risplendeva tendendo un ponte invisibile eppure palpabile.
Artemis strinse con dolorosa commozione le sopracciglia sentendo la pelle che emetteva attrito contro la parete della maschera.

-          Sei…sei tu? – domandò timorosamente dolce.

Roald la fissava disarmato accorgendosi di quanto lei sembrasse una bambina che fosse scivolata bruscamente giù per una collina.
Toma provava una sorta di mesto conforto nello sfiorare a distanza la sua regina che finalmente assumeva le sembianze di un suo riflesso naufrago…

-          Padre – riprese lei – sei tornato?

-          Mi rincresce ,  Artemis, ma non sono padre di nessuno.

Con stupore tutti si accorsero che il misterioso individuo parve allargare un paio di lunghe e spinate ali . Spiccò un salto come stesse scandendo in modo vellutato l’inizio della danza e planò. Disegnò elegantemente due cerchi discendenti e atterrò sulla neve senza spostare neanche un bruscolo di neve.  
Artemis fu costretta ad accettare che non aveva davanti a sé Pericles…Era un uomo con la stessa altezza, la stessa forte e gentile corporatura ma dall’aurea e dal vestito completamente diversi e singolari.
I cavalieri lo esaminavano incuriositi: non si trattava certo di un guerriero e neppure di un mago o di un sacerdote qualsiasi. Il suo cosmo trasmetteva una luce sottilissima , perforante e imprendibile, identica ad un ultrasuono che si spostava rapidissimo nelle profondità dello spazio.
Il suo aspetto somigliava moltissimo ad un gufo: un voluminoso e pesante mantello  era niellato di piume metalliche e straordinariamente leggere che sfumavano dal grigio piombo, al perlaceo al bianco. Una tunica color argento si fletteva in tante pieghe all’estremità disegnando rigagnoli d’ombre bluastre. Una cintura nera e ieratica stringeva la vita poderosa e solida e due stivali scuri avvolgevano piedi grandi ma ben proporzionati.
Il viso pallido incuteva una strana trepidazione:  il desiderio di guardarlo a lungo e distogliere presto  gli occhi. Possedeva una bella forma leggermente lunare incorniciata da una corta barbetta mascellare che terminava a punta sul mento. Il naso era rigido e indagatore mentre gli occhi si stappavano accecanti. Avevano la cornea di un giallo intenso e le iridi  nerissime. Due sopracciglia cespugliose si spostavano all’insù dando un’espressione di limpidezza inquisitoria. Una chioma di capelli brizzolati e crespi faceva schiumare due ciuffi che si sollevavano paralleli e ruvidi ai lati della testa.

-          Abitanti di Calleos – pronunciò – mi chiamo Helèno e son disceso dal cielo estremo dell'Iperuranio poiché appartengo alle schiere degli Alchimisti di Eutopos.

Solo un silenzio schiacciato dagli ululati della neve batté il ritmo.
I guerrieri di Selene a malapena scossero le ciglia.
I secondi parvero boccheggiare totalmente sordi.
Artemis , prendendo alla fine coraggio,  appellò: 

-          O sommo Alchimista…potresti rivelarci l’enigma che avvolge le spoglie del drago di Lucifero? Quali siano le origini di Takashi di Mefistofele e di Biak del Negromante?

-          Taluni umani hanno osato impossessarsi di facoltà contro natura e contro l’immaginario… La vostra terra è intrappolata da nubi d'inestricabile tempesta . Nubi che si son dissolte, nubi che ora vagano , nubi che invaderanno il blu.

 

 

 

 

 

 

 


Note inerenti ai capitoli precedenti:

" ci siamo sputati ingiurie, bestemmie "* : Death Mask e Aphrodite hanno pesantemente litigato nel Cap 19.

Note personali ( attenzione x chi non avesse letto il cap : spoiler più in basso ) :  

eccomi di nuovo miei cari ( e santo-pazienti) lettori!! ^^
ho portato a conclusione il capitolo 20 in ritardo ma non in modo biblico come avvenuto, purtroppo, quest’anno ^^”

Dunque mancano sei capitoli alla conclusione de L’Occhio dell'Ariete! XD che praticamente è il primo libro di De servis astrurum che sarà trilogia… Questo l’avevo stabilito da tempo come il disegno generale di tutta la saga , compresi i colpi di scena e gli intrighi più importanti.
In tutti questi episodi ho seminato i germogli di quello che avverrà nel secondo libro…Avete visto le vicende dei nostri cavalieri d’oro e avete tastato  quelle dei Cervi Bianchi…Sono entrati in scena Ikki, Takashi,  Biak del Negromante, il misterioso Vesperus e….il Terzo Alchimista di EuTopos  ( Tamira è comparso nel cap 13 e Evelyn nel 15 )…
Il drago di Lucifero è e sarà un elemento importantissimo, diciamo anche una chiave per gli sviluppi dell’avventura! ;)) mi auguro che stiate apprezzando queste imprese, questi combattimenti esteriori e interiori ( mi auguro pure che Death e Aphro abbiano fatto una figura più “ nobile” rispetto ai capitoli precedenti) !

 Non so quando aggiornerò ma posso farvi una piccola anticipazione per il capitolo 21:  si sposteranno i riflettori sugli specter Queen, Valentine , Gordon e Shelfield ! ;) Sul tragitto per la Foresta Nera, un’escursione nei mondi difficili , sconvolgenti e oscuri di questi giovani servitori di Adi, reduci da una missione compiuta e da missioni inconcluse dai loro passati.

 

Un abbraccio grande
e Grazie come sempre!

 

Alla prossima!^^

 

 

 





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