Attenzione:
il presente scritto ha come protagonisti persone realmente esistenti.
Non s'intende offendere alcuna di queste persone, nè dare
una rappresentazione veritiera delle stesse. Nessun diritto legalmente
tutelato s'intende leso.
"Fury" è uno spin off di
una storia ben più meritevole - "The Wizard - The almost
true story of a necklace pick" - scritta da Lisachan e che potete
trovare qui: Polychrome
.
Chiaramente per seguire gli eventi qui raccontati bisogna aver letto la
storia che li precede, ma posso assicurarvi che ne vale la pena! Quindi
non perdete tempo e datevi da fare, l'archivio di Lizzie è
lì che attende ù_ù
Premesso ciò, io ringrazio Lizzie per avermi permesso di
scrivere questo spin off.
Ringrazio anche coloro che dovessero passare di qui e leggere /
commentare questa storia.
Auguro a tutti una buona lettura ^_^
Fury
Sono
pazzo.
Non
ci sono altre spiegazioni plausibili, altre ragioni condivisibili,
altri
elementi che valga la pena considerare.
Sono
pazzo.
La
gente lo dice sempre, di me! Ero solo io a dovermene convincere.
Certo,
non avrei mai immaginato – e sinceramente non avevo neppure voglia di immaginare – che il
motore
della mia presa di coscienza dovesse essere questo.
Ma,
ad essere completamente onesti, perlomeno è un
“motore” abbastanza chiaro da
darmi anche l’esatta misura di quanto
io sia pazzo.
…e
su una scala da uno a dieci, io mi darei un bell’undici e
mezzo…magari anche
dodici.
Respiro
a fondo, trattenendo il fiato per non lasciarlo uscire tutto in un
botto. Ho il
sacro terrore di fare rumore. Il sacro terrore che facendolo lui si svegli. Ed io so che questo
sarebbe un disastro a cui non sono ancora pronto.
Più
che altro, credo di non essere pronto a trovare qualcosa da dire.
Qualcosa che
valga a spiegare ad entrambi comeperchèquandoachescopo
siamo arrivati qui.
…non
è ridicolo che io mi stia ponendo il problema di dover
fornire una spiegazione
in via esclusiva? soltanto io? come se avessi tutte le
responsabilità del caso?
Sì,
è ridicolo.
Ma
a conti fatti è abbastanza ridicolo già che io
sia qui, rigido in questo letto
come un ciocco di legno, a fissare il soffitto pregando che lui non si svegli ed a parlare con me
stesso.
Dicendomi
che sono pazzo.
Cazzo.
È
praticamente l’unica certezza che sento di avere nella vita
in questo momento.
***
Vorrei
riuscire a puntualizzare la situazione, a fornirmene una ricostruzione
razionale, sono quasi certo che mi aiuterebbe molto ora come ora. Mi
aiuterebbe
perfino nel caso l’ipotesi spaventosa di dover sostenere un
dialogo su quanto
successo dovesse concretizzarsi.
Al
momento tutto quello che sono in grado di fare, però,
è recepire un dato numero
di verità incontestabili.
Una
mi dorme affianco.
È
bella.
…o
bello?
In
ogni caso è un uomo. Ed in ogni caso è una delle
cose più incredibili con cui
io abbia mai avuto a che fare fino ad oggi.
…in
ogni caso…beh sì, in ogni caso rappresenta una
debolezza un po’ amara che mi
porto dietro da tanto tempo. Troppo tempo. Certe cose
s’incancreniscono in
fretta ed i tumori a lungo andare fanno danni.
Come
tumore non sei granché, Brian. Mi viene da sorridere a
guardarti in questo
momento.
Ammetto
che mi spaventa sorridere di te…o per te, non so. Fatto sta
che ne ho paura,
perché ora come ora dovrei essere terrorizzato da tutto
questo ed essere già
fuggito da qui per non tornare indietro. Ed invece non mi muovo, prendo
coscienza della mia pazzia e non mi muovo. La radico in me con maggior
convinzione ad ogni respiro.
Forse,
se ho paura che ti svegli, dipende proprio da questo: dalla
consapevolezza che
magari, in quel caso, saresti tu a fuggire. Sono quasi certo che tu non
sia
nemmeno lontanamente pazzo quanto me.
Eppure
ammetto che stasera, quando ti ho visto fuori dal backstage, non ho
potuto fare
a meno di credere che lo fossi almeno un
pochino.
No,
non mi sto illudendo. Sono un ingenuo, è vero – questa è un’altra cosa che
dicono di me, ma non hanno idea di quanto si
sbaglino…anche se vorrei non lo facessero:
l’ingenuità tiene a posto il cuore.
Ma non sono neppure io così
ingenuo
da non sapere che tra il te che ho trovato fuori dal backstage stasera
ed il me
che ti scrutava adorante quel 24 ottobre non c’era mai stata
tanta differenza
quanta quella che si è tesa tra noi due stanotte.
Una
differenza concreta e palpabile, di quelle pesanti che non si possono
ignorare.
La differenza di quell’elettricità carica di
implicazioni con cui tu mi hai
sorriso, io mi sono bloccato raggelato ed il silenzio è
sceso intorno a noi
come in un film.
Ovviamente
Dominic e Chris sono tutto meno che stupidi. Chiaramente loro e Tom
sanno che
le cose tra noi non sono mai state più complicate di
così. Inevitabilmente
hanno tentato di decifrare il mio sguardo ed il tuo.
So
di aver sbagliato a rassicurarli e mandarli via. Avrei dovuto tenermeli
vicini.
Avrei dovuto liquidarti come facesti tu quel giorno.
Ma
io non avevo nemmeno un sogno da offrirti.
È
vero, Brian, tu sei stato molto più generoso con me di
quanto mi meritassi, fin
dal primo giorno.
Ed
è vero, Brian, hai il sacrosanto diritto di chiedermi
indietro tutto quello che
ti ho strappato.
Quindi,
è vero, Brian, io devo pagarti in qualche modo il prezzo
delle illusioni che
hai perso e che, invece, io sembro riuscire ad afferrare una ad una.
…non
immagini neppure quanto mi senta in colpa per questo.
Sì,
potrei dirmi che in realtà è stato il senso di
colpa a tenermi lì, stasera,
fermo davanti a te. Noi due da soli. Non fosse che la rabbia che mi
sentivo
scorrere nelle vene con i sensi di colpa non avesse proprio niente a
che
vedere.
Ero
infuriato con te. Ero infuriato per il fatto che mi avessi preso in
giro solo
la sera prima, che mi avessi preso in giro – ed io
stupidamente mi fossi fatto
prendere in giro – lasciandomi con il sapore della tua bocca
sulla mia e la
consapevolezza che ti avevo appena fornito un’arma. Ero
arrabbiato, per quel
dannato ciondolo che al collo mi pesava come un macigno, eppure lo
avevo messo
lo stesso, sperando, ridicolo come una ragazzina, che in mezzo al
pubblico ci
stessi davvero e mi vedessi. Immagina quanto potessi essere arrabbiato
stasera.
E
poi ho scoperto che tu c’eri sul serio in mezzo al pubblico.
E non solo. Ho
scoperto anche che tu, a differenza mia, non avevi nessun problema a
presentarti lì davanti a me, in una parodistica presa per il
culo del ragazzino
diciassettenne che avevi avuto davanti vent’anni fa.
È
stato inevitabile che io me ne uscissi con quella battuta infelice.
Anche
se sapevo che lo avevi fatto apposta e che io mi stavo piegando a
recitare il
tuo copione.
-Come
sei entrato?- ti ho chiesto quando Dom, Chris e Tom sono spariti in un
borbottio distorto e stizzito ed uno scalpiccio di passi svogliati.
Nessuno di
loro ci teneva a vedermi sbranato da te e tutti loro sapevano che mi
avresti
sbranato
Hai
riso. Come se quella storia ti divertisse, quando era evidente che ti
feriva.
Ti ho odiato con più convinzione.
Ma
tu ti sei avvicinato a passo lento. Così falso.
…no,
in effetti ti odio ancora.
-Io
non sono un Signor Nessuno, Bellamy.- mi hai deriso rivolgendoti al me
ragazzetto che si era intrufolato di soppiatto nel tuo backstage-
E’ bastato
dire il mio nome.- hai sogghignato.
Avrei
voluto dirti di voltarti ed andartene. Il tuo scopo era umiliarmi,
c’eri
riuscito e potevamo chiuderla lì. Ma tu hai allungato una
mano e mi hai
sfiorato la pelle.
È
stato casuale, lo so.
Volevi
solo prendere il plettro sul mio petto.
Volevi
toccare solo quello.
Ma
sai, ce lo avevo appoggiato addosso, era anche inevitabile, Brian.
-Te
lo sei messo davvero.- hai constatato in un tono indecifrabile.
Sai
che i tuoi occhi riescono ad essere privi di qualsiasi espressione
quando vuoi?
Hai
soppesato il triangolo di plastica sul palmo.
-Sei
proprio un idiota.- hai concluso nello stesso modo, lasciandolo
ricadere.
Sapevo
che saresti andato via.
In
effetti non ci voleva molto per capirlo, ti eri già voltato
e mi davi le
spalle, avevo un istante e poco più per afferrarti. Un
istante, è vero, e
tanta, tantissima voglia di riprendermelo.
-…lo
rivuoi?- ti ho chiesto in un eco che è arrivata chiara e
precisa attraverso uno
spazio di anni.
Decenni.
…secoli.
Mi
hai guardato sgranando appena gli occhi. Ho capito che te lo ricordavi
ancora,
sia le mie parole sia quel tono esitante, quasi una preghiera. E tu hai
capito
che per me non era passato un solo giorno.
Quanto
sono stato imbecille, Brian?
***
In
questo istante – questo, non il
prossimo
o quello precedente, questo e dubito ce ne sarà un altro
– mi dico molto.
Troppo.
Tanto
per cominciare perché abbiamo, appunto, troppo
da perdere. Tu. Io. Per una volta tanto accomunati da qualcosa.
Questo
qualcosa è la mia idiozia, come tu l’hai definita,
ma anche la tua voglia di
rivalsa. Ci ha portati a fare una cazzata –
perché, diciamoci la verità, questa
cosa è stata una cazzata – e
questa cazzata ci marchierà entrambi. Entrambi dovremo
nasconderla e
dimenticarla e, se devo essere onesto…ed io voglio esserlo,
perché, hai ragione
tu, sono un idiota, non ho neppure così tanta voglia di
dimenticarla.
Forse
è davvero per questo che spero che tu non ti debba svegliare
mai più.
-Il
criceto nel tuo cervello fa talmente tanto rumore quando pensi,
Bellamy, che mi
viene da chiedermi se la sua ruota non si sia arrugginita a furia di
stare
ferma.
Deglutisco
a fatica.
Sei
tu a spezzare l’immobilità. Ti rigiri tra le
lenzuola con un fruscio talmente
sottile ed insieme così penetrante che mi perfora le
orecchie. Io resto
comunque fermo, recupero il fiato dal fondo della gola e ti guardo. Hai
degli
occhi talmente vividi che riesco a vederli perfino al buio e so di
averceli
puntati addosso come la canna di una pistola.
Fanno
anche più o meno lo stesso effetto.
-Sei
sveglio?- interrogo in una domanda che so già totalmente
superflua.
Mi
costerà l’ennesima presa in giro della nottata, la
mia imbecillità riesce a
stupire perfino me stesso e, se potessi, ti risparmierei anche la
fatica di
prendermi a parolacce.
Evidentemente
intuisci i miei pensieri, sbuffi un sorriso storto e non ti sprechi
neppure ad
affondare.
-Respira.-
mi consigli, invece, pacato. E poi ironicamente fai notare- Sono quasi
certo tu
sia ancora un organismo aerobico.
Il
momento successivo lui –
sì, è
tornato ad essere “lui” nel mio cervello in
confusione – è già lontano. Si
è
alzato dal letto ed ha iniziato a recuperare i propri vestiti. Mi sento
molto
una puttana.
Presumibilmente
sono la cosa che ci si avvicina di più in questo frangente.
-…Brian-
mormoro, pur sapendo di non avere assolutamente nulla da attaccare a
quel nome
per giustificare il suo voltarsi verso di me in attesa.
Intuisco
la figura magra, tonica, ritta in piedi al fianco del letto e con il
capo
voltato nella mia direzione, lascio perdere immediatamente
l’idea di ricambiare
i suoi occhi, fanno abbastanza paura anche al buio. Preferisco
abbassare lo
sguardo a studiare il profilo del suo addome, dei fianchi e delle gambe
snelle,
mentre nel silenzio pesante registro che l’unica domanda che
vorrei davvero
formulare non ha alcun senso porla.
“Che
significato ha tutto questo?”
La
risposta la conosco già.
Per
lui è qualcosa di simile
a “nessuno”.
Per
me è qualcosa che suona tragicamente come un “ti
amo”.
Sono
bugie entrambe le risposte.
Sono
bugie.
Sono
menzogne.
E
si trascinano da anni.
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