Non
c’è più
Barcollai sino in camera mia.
Mi
sentivo stordito, come se avessi ricevuto un colpo violento alla
nuca. Ma il male che provavo era molto più intenso di quello
che mi avrebbe dato una semplice botta.
Sentivo
le lacrime bruciarmi le ciglia, e non sapevo come fermarle.
Ansimai. Finalmente eccomi nella mia stanza. Mi chiusi dentro a chiave.
Non
volevo vedere nessuno.
Non
volevo che nessuno mi vedesse.
Se mi
avessero visto, avrebbero capito che qualcosa non andava. Mi
avrebbero fatto delle domande, ed io avrei dovuto rispondere. E allora
avrei visto la pietà incisa sui loro lineamenti, come un
urlo in conferma che ciò che stavo vivendo non era frutto di
un incubo, ma reale... Orribilmente reale.
E io non
volevo che lo fosse, non lo volevo con tutto il cuore.
E
finché non avessi visto la mia sofferenza sul volto di
qualcun altro, avrei potuto raccontarmi mille bugie e aggrapparmi a
brandelli di ricordi alla deriva nella mia mente.
Volevo
urlare, gridare che non era giusto, non era affatto giusto.
Ma anche
la mia gola sembrava straziata dal dolore, ed ero certo che,
una volta avessi iniziato ad urlare, non avrei più potuto
fermarmi.
Guardai
la vasca con gli occhi che mi bruciavano.
In quel
momento nemmeno il conforto offerto dai suoi bordi lisci e
freschi poteva valere qualcosa. Mi avvicinai al muro e mi rannicchiai
in un angolo.
Volevo
solo essere il più piccolo possibile, sino a
dimenticarmi di esistere.
Mi presi
la testa tra le mani, e dalle mie labbra uscì un
singolo gemito straziato, seguito da un respiro brusco e doloroso.
Sentii un
cigolio e, chiedendomi stordito se avevo gli occhi arrossati,
alzai lo sguardo verso la finestra. Jessi stava entrando.
Percepii
il suo profumo e deglutii, stringendo i pugni quasi sino a
farmi male.
Lei
guardò subito verso di me, ed il suo viso era teso,
ansioso. «Kyle, che ti è successo?»
domandò con voce tremante. «Sei...» La
sua frase si spense. In modo così inutile e patetico, pensai.
«Perché
sei venuta?» le domandai, una
volta che riuscii a radunare energia a sufficienza per parlare.
«Io...
ho sentito che non stavi bene»
mormorò lei, cercando il mio sguardo con i suoi occhi
smeraldo. Fuggii da quel contatto visivo.
Io non
volevo non stare bene. Volevo che fosse tutto a posto. Volevo
non avere alcun motivo per stare male, volevo che fosse una bugia. Una
stupida, infida, mostruosa bugia.
Come
potevo essermi disperato così tanto davanti al fatto di
aver perso Amanda? Per quello che provavo ora, avrei preferito perderla
migliaia di volte. In quel momento lei, che era stata così
importante per me, mi sembrava solo una cosa priva di senso...
«Kyle,
che è successo?»
sussurrò Jessi.
Si era
avvicinata. Sentii la sua mano sul mio braccio e percepii tutta
la sua ansia per me.
Pensavo
non l’avrei mai potuto esprimere a voce.
«Foss è stato qui» sussurrai, troppo
sfinito per usare un tono di voce più energico.
«Ha detto...» Mi si spezzò la voce.
La mano
di Jessi scese lungo il mio braccio, calda e leggera, sino alla
mia mano. Chiuse le dita intorno alle mie e le strinse con forza, in un
tacito incoraggiamento.
Per un
attimo il dolore minacciò di travolgermi. Mi
concentrai sulla presa calda di Jessi, sul suo lieve respiro, sulle
nostre emozioni condivise, sul nostro legame...
«Adam...
Adam è...» Trassi un respiro
tremante, chiudendo gli occhi mentre le mie palpebre avevano un
tremito. «Adam è morto» conclusi con
voce strozzata. «Oggi» aggiunsi.
Aprii gli
occhi, e cercai quelli di Jessi. Erano sgomenti e spalancati.
«Oggi.
E io... Mentre lui moriva... Io ero
ubriaco».
Il senso di colpa si contorse nel mio petto, mentre
la vergogna mi attanagliava in fitte solo di poco più
misericordiose rispetto a quelle della sofferenza.
La mia
mente tornò all’altra volta che avevo
creduto fosse morto. Mi chiesi come avessi potuto crederci, anche solo
per un attimo. Il cupo sconvolgimento di allora non era nemmeno
lontanamente paragonabile alla voragine, all’abisso che ora
mi straziava il petto, lacerando la mia anima.
Solo.
Non avevo
mai conosciuto pienamente il significato di quella parola.
Jessi
parlò. «Mi dispiace».
La
guardai, e vidi che aveva gli occhi lucidi.
Ruppi in
un singhiozzo strozzato. Un momento dopo stavo piangendo,
impotente nella mia solitudine, inutile nella mia stupidità.
«Se...
solo» ansimai. «Se solo fossi
andato con lui... Avrei potuto salvarlo, avrei... E invece ero
ubriaco». I singhiozzi e la paura mi rendevano incoerente.
«Aveva
detto che sarebbe tornato!
“Tornerò”, aveva detto. Doveva
tornare!»
Piangevo,
e mi facevano male la gola, gli occhi e i denti. Piangevo,
eppure non mi sembrava abbastanza, come se la sofferenza si acuisse
sempre di più, come se potesse intensificarsi senza limite,
senza raggiungere il punto massimo, senza poter diminuire.
«Mi
aveva detto...»
La mano
di Jessi lasciò la mia, e per un momento mi ritrovai
ad annaspare nel vuoto, un bambino solo e indifeso contro il mondo
intero. Per un momento mi trovai a sprofondare nella voragine che avevo
nel petto...
Poi
sentii il calore di Jessi, più forte e concreto. Mi
stava abbracciando.
Ansimai
tra i singulti e mi aggrappai a lei, cercando conforto nella
sua fragilità. Aveva detto che la facevo sentire protetta,
ma era lei la mia salvezza.
Lei, che
aveva Sarah, e sapeva come mi sentivo.
Non disse
nulla, ma mi offrì in silenzio il conforto.
«Adam...»
sussurrai, la mano stretta contro il
cuore come a volerlo trattenere. «Adam non
c’è più».
«Lo
so» disse Jessi. «Lo so».
Ed era
l’unica che poteva saperlo davvero.
Oddio, a momenti mi metto io a piangere.
Adam! Ma accidenti, tra tutte
le puntate della terza serie (vabbe', sono dieci...) devo proprio
andare a beccare quella in cui arriva Foss con la tragica notizia. Dire
che ci sono rimasta male è troppo poco. Allora ho deciso di
ipotizzare la reazione del povero Kyle.
Lasciando perdere la modestia e compagnia, devo dire che questo brano
mi piace. E solitamente non giudico così bene quello che
scrivo.
In ultimo, vorrei dire che il testo contiene lievi accenni alla coppia
Kyle/Jessi, ma se ad uno proprio non piace può anche
ignorarli, e giudicarli come semplici segnali di amicizia.
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