Rewind
Pochi tra coloro i quali la conoscevano da adolescente, avrebbero
riconosciuto nell’avvenente ed elegante giovane donna seduta
al bancone del Dressing Club di L.A. la loro compagna, amica, nemica:
Veronica Mars. Certo aveva fatto strada, la sua vita era profondamente
cambiata: non viveva più a Neptune, né si
riconosceva nell’orfana detective che, pur di scoprire
l’assassino della sua migliore amica, aveva messo in dubbio
la lealtà di chi la circondava, le dava e chiedeva fiducia.
Erano passati molti anni, anche se non troppi, rintracciabili nella
postura elegante, nello sguardo maturo, nell’abbigliamento
ricercato. Anzi, i più l’avrebbero scambiata
magari per una giovane attrice, in cerca di fama e successo, disposta a
tutto o quasi per compensare la scarsa abilità recitativa.
Il nero e succinto abito, dall’ampia scollatura sulla
schiena, poteva trarre in inganno: chi si fosse seduto di fianco alla
giovane donna dai sottili polsi delicatamente fasciati da un
braccialetto d’oro bianco avrebbe creduto di trovarsi in
compagnia di una viziata ragazza, in cerca di compagnia o di emozioni
forti. Ma avrebbe sbagliato di grosso. Eppure era quella
l’impressione che la minuta figura mandava. E poi quel drink,
in un pesante bicchiere di vetro, colmo di ghiaccio e di un liquido
dall’ambrato colore, che di sicuro, a chi l’avesse
assaggiato, non sarebbe sembrato fresco succo di mela. Veronica Mars,
la cui madre l’aveva tradita e abbandonata per una bottiglia
di Vodka stava sorseggiando del buon Whisky, una bevanda non adatta a
una signorina, ma a una donna disperata.
“Avevo promesso a me stessa di non finire mai in queste
condizioni, eppure mi ci hai portata. Ma è possibile? Dopo
tanti anni torni a tormentarmi, e a rovinarmi la vita…
Certo, rivanghiamo i vecchi tempi, si ti devo indubbiamente un favore,
comprendo quanto tu sia nei guai, ma questo è davvero
troppo! Non te la perdonerò! Prima però portiamo
a termine il compito, incassiamo la ricompensa, e poi
vedrai!”.
Sbattendo il bicchiere mezzo pieno sul lucido bancone di marmo bianco,
destando quindi l’attenzione degli avventori concentrati in
superficiali conversazioni accompagnate da dolce musica Jazz,
s’alzò, prese il soprabito ed uscì a
passo spedito dal bar, per salire al piano superiore, dove
l’attendeva il proprietario del locale. Sapeva dove andare,
anche se non era mai stata in quel luogo. Ma tutto parlava di lui, e
lei lo conosceva bene, molto bene. Imboccò le ampie scale,
preferendole all’ascensore. Troppi ricordi. Il tappeto
bordeaux attutiva il ticchettio dei suoi alti tacchi. Con ostentata
sicurezza avanzava, ma in cuor suo tremava.
Arrivata alla porta del salottino privato, tentennò, e poi
estrasse una busta bianca, bordata d’oro, e la porse allo
scimmione muscoloso dai tratti indios che le si parava di fronte. A
questi bastò un’occhiata per farsi da parte e far
accomodare la giovane nella stanza privata del padrone.
“Ti stavo aspettando. Grazie di essere qua!”. Il
cuore di lei fece un balzo al sentire quella voce calda e suadente.
Già, era passato proprio tanto tempo, forse troppo.
Kieth Mars aspettava con ansia che la sua bambina lo chiamasse. Erano
diversi giorni che le lasciava messaggi in segreteria e lei rispondeva
con bervi sms nei quali gli assicurava che stava bene e che presto
avrebbe chiamato. Ma ciò non accadeva. Stava seduto alla sua
scrivania, fissando il telefono. La sua attenzione venne distolta da un
movimento sulla soglia.
“Keith, ti stanno chiamando insistentemente sulla linea uno,
potresti rispondere? Non vorrei perdere tutta la mia giornata nel farmi
insultare dall’ennesima moglie insoddisfatta e
diffidente!”.
“Scusa Leo, aspettavo una chiamata sulla linea privata e non
mi sono accorto di quella maledetta luce rossa che lampeggiava.
Rispondo subito”.
Il bel giovane sorrise, e si chiuse la porta alle spalle.
“So cosa tormenta Keith, ha tormentato tutti almeno una volta
nella vita. Te sei suo padre, quindi lo farà
finché ci sarai, vecchio mio!”. E con fare
baldanzoso si sedette alla sua scrivania, compilando i vari moduli e
facendo le solite telefonate di routine.
“Pronto, Keith Mars, in cosa posso esserle utile?”
“Ciao Keith, ne è passato di tempo eh? Penso che,
nonostante io sia molto contrariata, dovrò chiederti aiuto.
Solo te puoi muoverti con la dovuta discrezione e hai i contatti
necessari per essermi utile.” Era una voce di donna seria e
di classe, poco cordiale, ferma e decisa. Una voce nota, anche se da
lungo tempo non udita.
“Già, sembra quasi una vita. In cosa posso esserti
utile?”
“E’ inutile sottolineare quanto questa faccenda sia
delicata. Sono certa tu possa comprendere. Devi trovare qualcuno per
me, e non è un qualcuno qualsiasi. Ho poco tempo, o meglio
tu hai poco tempo, dal momento che ti ho assunto. Tempo pieno, servizio
gold, o come si chiama… i soldi non sono un problema, lo
sai.”
Keith annuì.
“Immagino tu preferisca parlare faccia a faccia.
Potrebbe sempre esserci qualcuno che ascolta. Dimmi dove e quando. Ma
sarò assunto solo se e quando lo deciderò io.
Tienilo presente.”
“Vedo che non hai perso la tua grinta. Forse gli anni non
passano allo stesso modo per tutti”
“Oh si che passano! Credimi!”
“Bene, tra un’ora al Java de Hut?”
Il responsabile uomo all’altro capo del telefono non fece in
tempo a rispondere: ora il suo interlocutore era un monotono e
ripetitivo “tuut tuut”.
Wallace Fennel stava tornando a casa in auto. La sua giornata si era
rivelata assai fruttuosa: era riuscito ad ottenere che la marca
produttrice delle divise della sua squadra devolvesse parte del
ricavato in borse di studi per giovani africani. Il suo progetto era
iniziato diversi anni prima, quell’estate in cui aveva
conosciuto la vita aldilà dell’imbellettata e
ricca California. In quell’estate di diversi anni prima aveva
deciso che sarebbe diventato qualcuno, e che con i propri soldi avrebbe
finanziato non carità o beneficenza, ma formazione e
istruzione, investendo direttamente in progetti di sviluppo e non di
pietà.
E ci era riuscito. Aveva coniugato le proprie passioni, ed era divenuto
ricco, molto ricco. Ma non aveva tenuto i soldi solo per sé:
li aveva reinvestiti in California, ma anche in questo progetto in
Africa. Wallace Fennel capeggiava sia sui manifesti pubblicitari, sia
nel campo dell’economia. Chi l’avrebbe mai detto?!?
Di certo non i bulletti che al lice lo avevano deriso ed isolato.
Neppure i professori che all’università lo avevano
sottovalutato. Solo una persona avrebbe puntato tutto su di lui:
Veronica Mars, la sua migliore amica, fisicamente svanita da un giorno
all’altro qualche anno prima.
Spesso pensava a lei, a come finita la laurea avesse salutato tutti,
con la promessa di una vita ricca di successo. E così era
stato. Molti conoscevano il suo nome, ma pochi sapevano chi fosse.
Aveva a lungo capeggiato sui titoli delle più famose testate
del paese, per le sue incredibili doti, la bravura nel fare il suo
mestiere, la capacità a scovare la verità,
ovunque essa si celasse. Eppure non era più tornata a
Neptune. Una volta era andato fino a L.A., dove la giovane aveva il suo
ufficio, e aveva aspettato a lungo. Ma la segretaria aveva
più volte sottolineato come la sua datrice di lavoro fosse
“in missione” e non avesse dato informazioni sulla
prevista data di ritorno. Con le mani in tasca Wallace aveva sollevato
le sue atletiche chiappe dallo scomodo divanetto in sala
d’attesa ed era tornato sui suoi passi. Si sentivano spesso,
e la tecnologia li aiutava a restare in contatto ovunque si trovassero,
ma quella lontananza forzata iniziava a infastidirlo. Sapeva a chi
rivolgersi. Imbocco la prima strada sulla destra e si
ritrovò di fronte ad una sontuosa villetta immersa nella
quiete e nella natura, abbarbicata su una scogliera che, trecento metri
più sotto, si gettava nell’agitato oceano pacifico.
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