Rimetti
a noi i nostri debiti
***
Miseno.
Il
promontorio, il mare, il sole di quella parte d'Italia poco a sud di
Roma sono vere meraviglie.
La
gens Arria aveva avuto uno straordinario buon gusto quando aveva
scelto di edificare la sua villa a poca distanza dalla città,
su una collina da cui si vedeva il porto ma lontano dal suo chiasso e
dalla confusione della vita cittadina.
La
villa stessa era una residenza confortevole ma non sfarzosa.
La
comodità era priva di lusso ostentato, come si addiceva alla
dimora di una gens che era la culla di militari; consoli, centurioni,
legati, ambasciatori, generali, tutti prima di servire Roma erano
stati bambini sotto il portico ornato di glicine e tra i campi di
cereali ed i filari di vite.
Il
giardino della casa continuava naturalente nella campagna
circostante, tanto che non si poteva più dire se gli imponenti
pini marittimi e gli alberi di limoni facessero parte della proprietà
oppure no.
Il
tramonto era incantevole, e nelle sere d'estate l'aria era satura di
tutti i profumi della macchia mediterranea.
Ad
aprile la ginestra spandeva il suo profumo dolce eppure discreto
tutto intorno alla casa e sulla strada, ed i suoi fiori di un giallo
brillante annunciavano l'estate imminente.
Judah
Ben Hur, o Arrio il Giovane come era conosciuto, viveva felice in
quell'angolo di paradiso con la sua famiglia.
Esther,
la ragazza che lui non era mai riuscito a considerare sua serva e che
aveva scelto come moglie, i tre meravigliosi bambini che erano nati
da loro, il vecchio Simonide, leale come nessun altro chegli aveva
restituito intatta la sua fortuna, sua sorella Tirzah; infine
Malluch, che era troppo affezionato ai suoi padroni, come loro a lui,
per pensare di lasciare la famiglia, anche se non lavorava più
come prima.
Il
principe di Gerusalemme era contento di fare parte di due mondi.
Era
ebreo e non lo avrebbe mai dimenticato.
Osservava
la legge di Mosè, ma ne osservava anche un'altra che a lui
sembrava più imponente.
La
legge di Mosè era per le sue azioni, la legge di Cristo era
per il suo cuore.
Era
una legge che aveva trovato dentro di sé, una legge che
seguiva per amore e non per obbligo.
Era
proprio quella legge, tanto radicata nella sua coscienza da divenire
un tutt'uno con essa, che a volte gli faceva avvertire una puntura
dolorosa.
Lo
avvertiva che, sebbene la sua vita fosse giusta, qualcosa di
sbagliato c'era.
La
coscienza era inesorabile. Judah non avrebbe mai potuto nascondersi
da sè stesso. Anche se il rabbi della sinagoga lo avesse
dichiarato il più santo degli uomini, lui che sapeva dentro di
sé c'era una macchia.
Lui
sapeva perfettamente cos'era che gli faceva rimordere la coscienza e
che lo faceva rigirare nel letto la notte, che toglieva sapore al
cibo che mangiava e al vino che beveva.
Era
l'angoscia del senso di colpa.
Messala.
Se
Ben Hur non avesse mai conosciuto gli insegnamenti del Cristo avrebbe
continuato ad essere soddisfatto della vendetta che aveva ottenuto
sul romano.
La
vendetta era accettata dalla legge ebraica, anzi era un dovere.
La
legge del Cristo invece, la legge del suo cuore, aborriva il fare del
male a qualunque altro essere umano.
Judah
aveva sentito tante volte il Nazareno predicare il perdono, ma non
aveva realmente capito cosa significasse perdonare finchè non
aveva visto i suoi occhi nel giorno della crocifissione.
In
quell'azzurro non c'era nemmeno un'ombra di odio o di risentimento
per chi lo torturava.
Eppure,
cosa avrebbe potuto fare il Messiah con il potere che Dio gli aveva
concesso!
Guariva
la lebbra, guariva i ciechi e gli storpi, resuscitava i morti e
scacciava i demoni.
Ed
il suo insegnamento più grande era stato perdonare in punto di
morte i suoi assassini.
Se
lui, condannato a morte da innocente aveva perdonato...
Judah
non riusciva ad accettare.
Il
suo cuore non era ancora pronto e quindi lottava contro i sentimenti
contrastanti che gli si agitavano dentro.
La
notte, la luna e le stelle erano testimoni della sua angoscia quando
si rifugiava nel terrazzo per non disturbare il sonno della moglie.
Allora
sedeva sotto il pergolato con la testa tra le mani e restava in balia
dei suoi pensieri.
Si
ripeteva che era stato giusto prendersi la sua vendetta su Messala.
Non
aveva il romano rovinato lui e la sua famiglia? Non aveva tradito la
loro amicizia? E per cosa? Per avidità e capriccio!
E
allora che si tenesse la schiena spezzata come lui se l'era spezzata
per tre anni faticando al remo della galea!
Judah
era più irrequieto del solito quella notte.
Malgrado
quelle fossero le stesse motivazioni che lo avevano mosso in passato
adesso gli sembrava che stesse cercando di convincere sé
stesso.
Si
era dedicato con tanto impegno alla rovina di Messala che era
tremendamente difficile ammettere dopo tutti quegli anni che aveva
sbagliato.
In
fondo cosa gli aveva portato la vendetta?
Solo
una soddisfazione momentanea come quella di una coppa di vino troppo
forte, qualcosa che era presto svanito senza lasciargli alcun utile.
Nella
sua vita erano state altre le cose che lo avevano aiutato.
Il
senso dell'onore del duumviro Quinto Arrio lo aveva liberato dalla
schiavitù e lo aveva reso cittadino romano, la lealtà
di Simonide gli aveva restituiti in parte i beni della sua famiglia
quando era tornato da Roma, ed infine un miracolo, un atto di puro
amore aveva restituito alle sue braccia la madre e la sorella che lui
aveva creduto morte e poi aveva creduto perdute peggio che morte tra
le piaghe della lebbra.
Lui
stesso aveva ricevuto in cambio ciò che aveva dato: aveva
salvato Quinto Arrio e lui lo aveva ricompensato liberandolo, aveva
mantenuto la parola con lo sceicco Ilderim e lui gli aveva lasciato
in eredità quel gioiello del deserto che era l'Orto delle
Palme; e ancora, era stato giusto con Simonide, che solo dopo aver
capito che tipo di uomo era si era fidato di lui.
Ma
Messala! Cosa aveva ricevuto lui da Messala? Disprezzo, tradimento,
slealtà, la rovina per sé e per le persone che amava.
Una delle famiglie più antiche di Gerusalemme cancellata per
capriccio di due uomini, Messala e Valerio Grato.
E
se Valerio Grato era stato complice, certo Messala era stato mente ed
istigatore dell'inganno che aveva condotto lui al banco del remo e
sua madre e Tirzah sepolte vive in una cella della Torre Antonia
infettata dalla lebbra.
Era
stato giusto progettare la rovina di Messala con tanta precisione
quanta Messala ne aveva messa per progettare quella della sua
famiglia.
Judah
cercava di convincersene quella notte tra lo stormire delle foglie ed
il canto dei grilli.
Cercava
con tutte le sue forze di ricordare a sé stesso che la
vendetta era sacra, che lui non era stato altro che uno strumento
nella mano di Dio contro il romano come Mosé lo era stato
contro il faraone dell'Egitto.
No,
non ci riusciva.
Più
pensava a cosa aveva fatto a Messala più la vendetta spariva
davanti all'orrore.
Aveva
di fatto rovinato la vita di un uomo, ed ogni volta che cercava di
tornare al suo vecchio pensiero che era stato Messala a cominciare
per primo, gli tornavano in mente gli occhi azzurri pieni di dolcezza
e malinconia del nazareno.
Perdonali
perchè non sanno quello che fanno.
Il
principe di Hur cercava di scappare da sé stesso.
La
soddisfazione che aveva provato alla notizia che la vita di Messala
era rovinata gli sembrò all'improvviso orrenda.
Era
davvero stato lui? Lui aveva provato soddisfazione a sapere una
persona torturata?
Sì,
lo era stato.
Non
poteva fuggire, era marchiato come Caino, perchè anche se
tutto il mondo gli avesse dato ragione lui avrebbe sempre saputo la
verità.
La
legge di Mosé non gli dava alcun conforto perchè aveva
visto con i suoi occhi quanto fosse incompleta.
La
legge di Mosé non era per il cuore, ed ormai che il cuore di
Judah aveva conosciuto l'amore del Cristo non poteva sottrarsi al suo
richiamo.
Cadde
in ginocchio sulla terrazza con la testa tra le mani, e allora non
sapendo che altro fare, si rivolse al Cristo come se fosse stato lì
in quel momento.
-Signore,
ti prego, ho bisogno il tuo conforto. Ho peccato contro un mio
fratello e ne sono pentito. Signore, ho ascoltato tante volte la tua
parola ma il mio cuore era ancora induito dall'odio e dall'ambizione,
era il terreno arido su cui il seme non può germogliare.
Adesso comprendo il mio errore. Signore, io farei qualsiasi cos per
disfare ciò che ho fatto, vorrei prendere su di me la sventura
che ho causato a Messala. Non posso farlo, non mi è concesso,
e allora dimmi, cosa posso fare?-
Quando
gli era capitato di attraversare il villagio di Nazareth era caduto a
terra stremato dalla sete, e allora era stata la prima volta che il
Cristo era venuto in suo soccorso.
Ricordava
di aver riconosciuto qualcosa di maestoso eppure di sublime in lui.
L'acqua
che gli aveva offerto gli era sembrata la più fresca che
avesse mai bevuto e la sua mano gentile che gli accarezzava i capelli
gli aveva donato un conforto che non aveva mai provato prima.
All'improvviso
gli sembrò di rivivere quel momento, con la presenza del
Cristo vicina al suo spirito.
-Sia
fatta la tua volontà-
Mormorò
piano, in attesa di consiglio.
La
sua memoria andò da sola a una delle volte che aveva sentito
il nazareno predicare.
"Se
un uomo ha un debito di un talento ed un'altro ha un debito di dieci
talenti, quando il padrone li condona entrambi, chi avrà più
ragione di essergli grato?"
Era
la parabola dei talenti.
Perchè
proprio i talenti? Nessun denaro avrebbe potuto comprare la salute
per Messala.
Non
capiva perchè ma quella parola gli era rimasta in mente.
L'aveva
già sentita.
Sì,
anni prima, l'aveva sentita pronunciata da una voce di donna superba
e sdegnata.
Iras!
"Sì,
Messala. Tu sei suo creditore"
"Salvalo!
Per un nobile romano come lui la miseria è peggio della morte!
Salvalo dalla povertà!"
All'epoca
lui aveva risposto con parole d'odio dettate non solo dal suo odio
verso Messala ma anche dalla rabbia che gli dava l'idea di scoprire
che Iras era una spia, che lo aveva igannato e che anche lei lo
disprezzava come il romano.
Ora
tutto ciò che riusciva a sentire rievocando quelle parole era
la supplica di salvare Messala dalla vergogna.
Come
aveva potuto non capirlo prima? Come aveva potuto non sentire nemmeno
un minimo moto di pietà?
Forse
nel frattempo Messala era morto.
Le
sue condizioni fisiche erano disastrose, ed in più il romano
era terribilmente orgoglioso. Forse pur di evitare l'onta della
rovina economica si era suicidato.
Per
la religione ebraica il suicidio era un peccato estremo che
condannava all'inferno, mentre per greci e romani era solo uno dei
modi in cui poteva finire una vita; a volte era persino un gesto
onorevole.
Judah
fu scosso dai singhiozzi.
Che
demone si era impossessato di lui quando aveva pianificato la
vendetta? Perchè una folgore dal cielo non lo aveva fermato
oppure perchè non era toccato a lui l'incidente?
No...
si sforzava di convincersi che le cose erano andate in quel modo
perchè tutto faceva parte di un disegno più grande.
-Signore,
ti prego, concedimi ancora poche ore. Domani all'alba partirò
per andare a cercare Messala e restituirgli quanto gli devo. Come tu
hai insegnato, gli rimetterò il suo debito. Signore, è
per lui che ti prego. Fai che io lo ritrovi e possa rimediare al
torto che gli ho fatto-
***
L'insula
era in un quartiere periferico. Era un posto sudicio e dimesso, e
l'unica ragione per cui il vicolo era tranquillo era che accanto
all'insula c'era un bordello, che nelle prime ore del pomeriggio era
chiuso e quindi silenzioso.
Lì
gli schiamazzi erano per quando calava la sera e si accendevano le
lanterne.
Il
principe di Gerusalemme ci era arrivato dopo essere stato in visita
da parenti alla lontana di Messala che, dopo molto tempo e molte
reticenze, gli avevano fatto a mezza voce il nome di quel quartiere.
Avrebbe
giurato che Messala fosse ancora ad Antiochia, e invece no. Quando
era andato a parlare con i parenti alla lontana del romano aveva
scoperto che si era fatto riportare a Roma perchè ad Antiochia
troppe persone lo conoscevano e gli rammentavano la sua umiliazione
al Circo.
Solo
che, dopo il ritorno a Roma, nessuno della sua gens lo aveva accolto
in casa come forse lui aveva sperato, e poichè in Messala
l'orgoglio non era spezzato come la sua schiena, non aveva
elemosinato l'attenzione di nessuno ed aveva preferito affittare una
stanza ed un servo in un'insula con i pochi soldi che rimanevano
delle sue rendite mensili.
Judah
scosse la testa. Sperava di ritrovare Messala, certo, ma era
addolorato dal fatto che si fosse ridotto a vivere in un posto come
quello per colpa sua.
Vide
una donna con un bambino in braccio ed una cesta nell'altro che
usciva dalla casa e subito chiese notizie a lei.
Sì,
un uomo che non poteva camminare. Un romano che si diceva fosse di
una famiglia patrizia, ma nessuno conosceva il suo vero nome.
Judah
si spacciò per un suo parente e ricompensò le
informazioni della donna con monete d'argento.
Lei,
che fino a quel momento lo aveva guardato con sospetto, lo venerò
come un principe.
Si
era appena offerta di accompagnara fino alla stanza dell'uomo che
cercava quando un vecchio nubiano con un sacco sulle spalle si
diresse verso la loro stessa casa.
-Ah,
eccoti qui, Corium! Questo nobile signore è parente del tuo
padrone-
Il
vecchio, che aveva effettivamente la pelle del volto rugosa e scura
come il cuoio, le rivolse una smorfia.
-Se
è suo parente che mi faccia il favore di portarselo a casa
sua-
-Usa
un pò di creanza se non vuoi assaggiare la frusta, per
Giunone! E adesso accompagnalo di sopra-
Judah
seguì il servo sù per le scale fino al secondo piano.
Cercava
di non prestare troppa attenzione ai suoi borbottii astiosi in lingue
sconosciute, e comunque il battito del cuore che gli rimbombava nelle
tempie era abbastanza per cancellare ogni altro rumore.
Stava
davvero per incontrare Messala?
Corium
aprì una porta e subito Judah ebbe la certezza di aver trovato
il posto giusto: solo Messala aveva una voce così sprezzante.
-Ah,
ecco, finalmente sei tornato, vecchio della malora! Parola mia,
rinuncerei a mangiare per tre giorni pur di avere il denaro per
pagare un altro servo per frustarti. Da troppo tempo non assaggi la
cinghia sulla tua schiena. E adesso cosa c'è, ti porti pure
dietro i tuoi degni compari perdigiorno come te? Non... -
Quel
fiume di improperi venne interrotto bruscamente quando Ben Hur si
scoprì il viso.
Fino
a quel momento aveva tenuto sula testa un fazzoletto che lo riparasse
dal sole e che gli nascondeva in parte il volto, ma appena lo ebbe
lasciato cadere Messala, da che lo guardava con il più
profondo disprezzo, spalancò occhi e bocca.
Sembrava
aver perso la parola.
Judah
si avvicinò di un passo all'uomo semisdraiato sul pagliericcio
nell'angolo.
-Sono
io, mi riconosci?-
Gli
chiese. Non lo aveva chiamato per nome perchè immaginava che
Messala avesse nascosto la sua vera identità e non voleva
essere lui a svelarla.
Il
romano fece un fischio al servo e senza tante cerimonie ordinò
"Fuori".
Quello
uscì di casa lanciando sguardi astiosi ad entrambi, come se la
colpa di tutte le disgrazie della sua vita fosse dei due uomini che
aveva davanti.
Quando
furono rimasti soli rimasero a scrutarsi in silensio per lunghi
minuti.
Nessuno
dei due avrebbe saputo esattamente cosa dire perchè nessuno
dei due era preparato ad un incontro.
Messala
non avrebbe mai potuto immaginarlo e Ben Hur era troppo preso
dall'incertezza se lo avrebbe trovato o meno per pensare a cosa
dirgli quando fossero stati faccia a faccia.
Il
primo a rompere il silenzio fu Messala. La sua parlantiva aveva perso
di vivacità ma non certo di prontezza di riflessi.
-Ebbene,
finalmente ci siamo arrivati! Ci hai messo molto pià tempo del
previsto ma eccoci qui. Bene, non mi oppongo, sia mai che si dica che
un romano ha supplicato un ebreo-
E
sollevò il mento in segno di sfida.
Judah
non aveva capito bene il discorso perchè non era un maestro di
retorica come Messala, e comunque nemmeno gli interessava capire.
Ringraziò
Dio per averlo trovato vivo e con quello che sembrava lo spirito di
un tempo.
-Messala-
si avvicinò al giaciglio e si inginocchiò accanto a
lui.
Messala
ebbe un moto come di spavento, allora Judah prese la borsa con i sei
talenti e la vuotò sulla coperta.
-Ti
restituisco quello che ti devo perchè ho vinto questo denaro
con l'inganno. Prima della corsa di Antiochia ho mandato io un
emissario per far salire più possibile la posta della
scommessa, e l'ho fatto con la precisa intenzione di rovinarti
economicamente. Lo ammetto e me ne dispiace. Il denaro vinto con
l'inganno è come rubato, per questo tu non hai più un
debito con me ed io ti restituisco i tuoi beni-
Per
la seconda volta Messala era senza parole.
Lasciava
vagare lo sguardo sulle monete e poi sul viso di Ben Hur ma senza
vederli davvero.
-Grande
Giove, questo è un sogno. Gli dei immortali si prendono gioco
di me-
Disse
con voce flebile.
-No.
No, Messala, è tutto reale-
-La
scommessa di Antiochia... sei talenti...-
Mormorò
ancora lui con voce sorda.
-Sono
sei talenti che ti appartengono-
Sei
talenti erano una somma enorme, specialmente nella miseria in cui si
trovava Messala.
Il
romano non sapeva cosa dire o cosa fare.
-Potrai
usarli per andare via da qui- insistette Ben Hur -Potrai ricomprare
la casa della tua famiglia o comprarne un'altra a Roma o dove vorrai-
Messala
non rispose. Sei talenti! Con la mente già si vedeva in una
casa dignitosa, dove non avrebbe più dovuto nascondere il suo
nome e non avrebbe più dovuto dipendere dalla carità
dei pochi parenti che gli restavano e che lo evitavano come se la sua
disgrazia fosse contagiosa.
E
tutta quella fortuna veniva da...
-Judah-
Disse
con voce sommessa.
-Sì,
sono io-
Messala
aveva ancora il fiato corto per l'emozione e a stento riusciva a
parlare.
Sollevò
lo sguardo su di lui ed i suoi occhi si animarono come se lo vedesse
per la prima volta.
-Allora
tu non sei tornato per uccidermi?-
-No,
Messala, no! Io ho un debito con te. È colpa mia se sei in
queste condizioni e voglio fare tutto il possibile per aiutarti. Se
tu me lo permetterai-
Si
aspettava che Messala dicesse qualcosa, magari qualcosa di
sarcastico, caustico e pungente come al suo solito, e invece no.
Il
romano, pur orgoglioso come era, non poté trattenere
l'emozione e per la prima volta da quando erano bambini Judah lo vide
in lacrime.
***
Due
settimane dopo alla villa Arria a Miseno c'era una novità: un
ospite.
Era
un ospite stizzoso, altero ed irascibile, che metteva nella lingua
tagliente tutta la velocità di cui le sue gambe non erano
capaci.
Era
davvero un brutto carattere e lo si sentiva sempre inveire contro i
servi o contro la cucina o contro il caldo o contro il vento o contro
qualunque sciocchezza capitasse.
Solo
la sera, quando Judah andava a fargli visita dopo cena, lo si sentiva
piangere.
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Cantuccio
dell'Autore
Salve
a tutti e benvenuti in questa nuova sezione.
Prima
dei miei sproloqui qualche chiarimento:
Per
questa storia mi sono ispirata sia al film che a al libro, prendendo
da ciascuno ciò che serve a me per motivi di trama.
Per
esempio nel film Messala muore, nel libro invece resta paralizzato
(senza però specificare che grado di paralisi, quindi io mi
sento autorizzata a stabilire arbitrariamente che siano solo le
gambe); nel libro Messala viene ucciso da Iras, un personaggio non
presente nel film.
Nel
libro Messala sopravvive, sebbene in condizioni pietose, ma
letteralmente sparisce dalla trama , non viene più citato nè
compare direttamente, per cui mi sento autorizzata a immaginare che
sia tornato a Roma da Antiochia.
Altra
differenza: nel libro la corsa dei carri si svolge ad Antiochia
(storicamente molto più esatto) mentre nel film si svolge a
Gerusalemme.
Bene,
ho esaurito le cose serie; da qui in poi se non leggete non vi
perdete nulla di importante.
Avete
letto il libro "Ben Hur"? Io sì. E non mi è
piaciuto. Ho trovato senza senso che Judah diventi cristiano ma poi
in concreto se ne sbatta degli insegnamenti evangelici, perchè
continua a fare il ricco. Solo nell'ultima pagina c'è un vago
accenno al fatto che usa le sue ricchezze per costruire le catacombe.
Avrei
preferito qualcosa di più emotivo. In particolare mi è
sembrao strano che non pensi nemmeno una volta "Ehi, guarda, ho
rovinato la vita a Messala più di quanto lui abbia fatto con
me, perchè le ricchezze si possono ricostruire, una schiena
spezzata no".
Non
so perchè, ma nel libro manca una parte importantissima che è
quella in cui Ben Hur dimostra di applicare in un modo concreto i
valori cristiani.
Poi
Ben Hur riceve eredità da tutti, sembra Gastone Paperone, il
cugino fortunatissimo di Paperino. È irritante.
Non
so se condividete la mia opinione, in ogni caso grazie per aver letto
la mia storia e un altro grazie come bonus per essere arrivati a
leggere fino alla fine.
Grazie!
Makoto
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