The Kill

di ikuccia
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<< Cosa ci fai sul mio letto e, soprattutto, come sei entrato? >> chiesi infastidita da quella scoperta.
Sembrava una serata come le altre mentre rientravo da lavoro ignara di cosa mi stava attendendo.
Poggiai la borsa e le chiavi sul tavolino in ferro battuto e vetro che adornava l’ingresso e, sfilate le decoltè che mi stavano torturando i piedi dalla mattina, mi diressi verso la camera da letto ed ecco la mia infelice sorpresa: era sdraiato sul mio letto con la schiena sorretta da due grossi cuscini, in attesa del mio rientro.
<< Nemo gradirei una risposta, oppure devo chiamare la polizia? >> lo esortai, con tono sarcastico, a darmi spiegazioni sulla sua presenza in casa mia mentre sul mio viso si accennava un sorriso di sfida.
Restò immobile a guardarmi.
La mia attenzione fu catturata dalle sue scarpe perfettamente allineate alla base del letto e dal suo completo nero di alta sartoria senza neanche una piega. Era lì da molto e mi aveva aspettata predisponendo tutto nel migliore dei modi e con maniacale attenzione per i dettagli.
<< Non sono in vena di giochetti stasera. E’ stata una giornataccia e vorrei solo fare un bagno caldo. >> e gli diedi le spalle mentre abbassavo la zip del tubino nero che scivolò via sul pavimento.
Mi irritava quel silenzio.
In lingerie mi avvicinai al mio ospite e, chinandomi all’altezza del suo viso, gli dissi che poteva chiamare la mia segretaria per prenotare una seduta; poi mi rifugiai in bagno.
Lo scrosciare del rubinetto della vasca inondava la stanza ormai ovattata dal vapore. Mi abbandonai a piacevole calore dell’acqua che stava allentando la tensione delle mie membra.
Il profumo inebriante di lavanda, con la sua soffice schiuma, mi aveva fatto dimenticare che dietro a quella porta c’era un uomo che mi attendeva.
Avevo deciso di ignorarlo e mi stavo godendo quell’angolo di paradiso.
Ormai l’acqua era diventata tiepida e la schiusa si era rarefatta addensandosi sulle pareti della vasca mostrando il mio corpo nudo galleggiante, quando la porta del bagno si aprì e Nemo fece il suo ingresso avvicinandosi al bordo della vasca dove sedette.
<< Perché hai fatto così tardi stasera? >> mi chiese percorrendo tutto il mio corpo con i suoi occhi color ghiaccio. Sentivo quello sguardo gelido scivolare centimetro per centimetro ed un brivido mi attraversò.
<< Avevo da lavorare. Piuttosto tu cosa ci fai qui? Chi ti ha fatto entrare? >> gli chiesi socchiudendo gli occhi per sottrarmi alla sua presenza mentre mi raggomitolavo su me stessa per nascondere la mia nudità.
Me ne stavo immobile in quella vasca che ora sembrava un pozzo senza fondo.
<< Ho le chiavi, ricordi? >>
<< Nemo, per favore esci… E’ imbarazzante…>> gli implorai mentre stringevo forte le braccia intorno alla gambe per difendermi dal freddo dell’acqua e del suo sguardo fisso su di me.
<< Come ti sei fatta quel livido? >> mi chiese tenendo la sua attenzione fissa su una chiazza violacea che si era allargata sul mio fianco come inchiostro su carta bianca. Era un livido molto scuro ed evidente, complice anche il pallore della mia pelle.
<< Non ricordi? Sei stato tu, una settimana fa… >> e raccogliendo un po’ di coraggio puntai le mie biglie azzurre nelle sue color ghiaccio.
Come era possibile che avesse dimenticato quell’incidente?
<< Eravamo nel mio studio, durante l’ultimo incontro. Eri fuori di te e mi hai colpita. >> provai a ricordargli.
Stavo analizzando il suo blocco emotivo mentre lui cercava di contraddirmi, di negare la veridicità della mia analisi, ed all’improvviso si era deformato sotto la spinta dell’ira: aveva sgranato gli occhi, la pelle del suo viso era diventata tesa, la sua voce si era fatta cupa ed alterata dalla rabbia. Mi ero avvicinata a lui per provare a calmarlo ma, di rimando, mi aveva violentemente spinta facendomi precipitare sulla mia sedia.
Non saprei dire cosa fosse stato peggio: il dolore fisico che si propagandava dal punto dell’impatto e divampava per tutto il mio corpo mandandomi in fiamme i polmoni ormai assetati d’aria, oppure il terrificante stupore di una reazione tanto violenta quanto inaspettata.
Nemo non era un uomo violento.
Era un uomo ben educato, dal lessico molto forbito, chiaro segno di un’eccellente formazione culturale, talentuoso e consapevole di esserlo al punto tale da poterlo definire un narcisista.
La sua diagnosi: un blocco emotivo che gli impediva di relazionarsi in modo profondo. Probabilmente la sua incapacità di amare era dovuta a pessimi rapporti familiari ma era difficile confermarlo perché ogni volta che mi relazionavo con lui ero costretta a ricostruire una serie di indizi e ad interpretare numerose metafore. Era proprio questo che mi affascinava di lui.
<< Le tue labbra sono diventate livide. >> mi disse e, prendendo il mio accappatoio, mi aiutò ad uscire dalla vasca.
Era una situazione fin troppo intima e mi creava disagio condividerla con quell’uomo.
Che cosa voleva da me?




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