The cursed castle

di Claireroxy
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Il pavimento era marcio e pieno di buchi. Fu questa la prima cosa che notò Step, quando entrò nel Castello della Morte, insieme al freddo che entrava dalle finestre rotte. Non troppo differente da una qualsiasi fabbrica abbandonata di città, insomma. Si era aspettato qualcosa di più…

“AAAAAAAAAAH!”.

Fede, che era entrata nell’altra stanza, balzò indietro e alzò le mani. Il cellulare le cadde a terra, da parte dello schermo, e si spaccò.

“No! Ma davvero?” si lamentò lei, raccogliendolo.

“Tutto a posto?” si avvicinò Step, preoccupato. Il modo in cui la sua ragazza aveva urlato era davvero terribile… Quasi come se avesse visto un fantasma!

Perché ci aveva pensato? Lui aveva smesso da un po’ di credere a queste cose.

Fu Fede a riportarlo a terra.

“C’è un ratto qui!”.

L’animale entrò nella stanza in quel momento. La ragazza indietreggiò, bianca in volto, e Step le si avvicinò per metterle una mano sulla spalla, con un sorrisino stampato in faccia. Il topo osservò la coppietta con i suoi occhi rossastri, per poi infilarsi in un buco del pavimento, incurante della novità.

“… Davvero una cosa terrorizzante” commentò Step, per poi scoppiare a ridere. Il suono rimbombò nell’edificio. “Mi sono immobilizzato dalla paura!” aggiunse poi con voce molto acuta.

“Sai che fai schifo a fare le imitazioni”. Fede, che ora in volto era rossa, ritornò con lo sguardo sul cellulare, e premette il pulsante d’accensione. Che non fece accese l’aggeggio. “Com’è possibile?!”.

“Com’è possibile?!” fu imitata.

Fede stava per girarsi a replicare, ma poi un pensiero le venne in mente. “Scusa… ma gli altri?”.

Step la guardò perplesso. “Sono più avanti. Sono entrati prima di noi, ricordi?”. 

“Sì, ma… abbiamo fatto un casino di rumore. Non sarebbero dovuti venire a controllare?”.

Step ci riflettè su. “Magari sono andati così aventi che non ci hanno sentito” propose, sebbene con poca convinzione. In effetti, era strano.

“Matteo ci avrebbe aspettato” affermò Fede con sicurezza. Il che innervosì l’altro.

“E allora che devo dirti? Che abbiamo sbagliato strada?” Step fece qualche passo avanti, abbastanza per superare il grande arco che divideva i due saloni, e si girò con le braccia aperte “Guarda! Non ci sono altre vie o stanze!”

“E allora quella cos’è?”.

Step si girò. In un angolo del salone freddo e umido, piuttosto lontano dall’apertura che portava su un altro salone freddo e umido, c’era una porta in ferro, piuttosto piccola e pesante.

“Forse è quella che ha attutito il rumore” ragionò Step, avvicinandosi.

“Che fai?!” gli corse accanto Fede.

“Entro, no? Se c’è un luogo macabro, puoi essere sicura che Chiara vi si infilerà! E gli altri saranno con lei” disse, provando a suonare convincente. Già lui non ci credeva troppo, ma era l’unica idea che gli veniva in mente.

Il ragionamento sembrava giusto, pensò Federica. Ma allora, perché sentiva quel groppo in gola? Come se ogni passo che faceva verso quella stanza fosse una… una profanazione? Non sapeva neppure che cosa significasse di preciso, eppure le sembrò perfetta per la situazione.

E poi, non credeva che i suoi amici fossero lì.

Appena lo pensò, percepì che era molto più ragionevole di tutte le altre ipotesi, in qualche modo. Ma prima che potesse parlarne, Step spalancò la porta.

“Cazzo…” fece, entrando e guardandosi intorno.

Anche se intimorita, Fede lo seguì.

La stanza era piccola, nemmeno un sesto degli enormi saloni precedenti. Non v’erano finestre, quindi puzzava di chiuso. L’odore appesantì il suo petto.

Come altra particolarità, aveva dei mobili: un armadio a muro con gli scaffali sfasciati e le ante penzolanti, e al centro della stanza una branda in ferro, senza materasso, contro cui Step andò a sbattere. Nello sofficiante spazio risuonò un clamore metallico. Nessuno dei due ragazzi lo sentì, troppo presi a fissare le pareti.

Erano ricoperte di scritte. Alcune sembravano normali: filastrocche oscene, tag, messaggi sdolcinati di coppie con date accanto, ma non erano quelle che risaltavano agli occhi.

Erano quelle scritte in rosso lucido. 

Nomi, tantissimi nomi, con accanto una data, e una frase ripetuta ovunque, che spesso ricopriva le altre.

“Son assai vera, io Strega Nera” la lesse bisbigliando Federica.

E poi la sua bocca venne tappata da Step.

“Stai zitta! Non lo senti?”.

Fede stava per chiedergli cosa, ma poi capì.

Quella puzza che aveva sentito entrando… Non era odore di chiuso. Neppure era classificabile come odore: era qualcosa che entrava nel petto non solo dal naso, ma da tutti i singoli pori nella pelle, e che riempiva fastidiosamente i polmoni. Soffocava.  

“Fede!”.

Fu il richiamo del ragazzo a riscuoterla dalla trance in cui era caduta. La scritta rossa s’infittiva sulle pareti, rendendole del suo stesso colore e cancellando tutto il resto. E lei non ne era spaventata.

Era sbagliato. Terribilmente sbagliato.

“Ci sono” emise, aprendo a fatica la bocca, combattendo contro le vocali per pronunciarle. Ah, quanto era difficile muovere qualcosa!

Ma se fosse rimasta ferma, sarebbe certo accaduto di peggio.





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