In
regards to love: Kairos*
Alice: Per
quanto tempo è per
sempre?
Bianconiglio:
A volte, solo un secondo.
Il rumore delle lame
che graffiano il ghiaccio ed il concitato chiacchericcio
degli altri ragazzi sono l'unica compagnia a cui lo straniero dai ribelli capelli
corvini può ambire. L'ha realizzato
dopo appena una settimana dal suo arrivo, quando si è reso
conto che tutti i
suoi tentativi di comunicazione non facevano altro che infrangersi
contro
l'ostinata diffidenza dei suoi ospitanti; per quanto si sia sforzato di
instaurare
un qualche tipo di conversazione con loro, fosse anche delle
più banali e
portate avanti in un basilare russo stranamente melodico per via del
suo
accento, si è sentito rispondere con tutto l'astio di una
pura lingua dura e
fredda, nella sua pur difficilmente comprensibile bellezza, quanto la
stessa
terra in cui viene parlata.
La Russia
è bellissima. Così
simile
alla terra da cui proviene lui eppure diversa al punto da non trovare
nulla di
familiare a cui poter aggrapparsi per sentirsi almeno un po' accettato.
Sembra
che tutti e tutto vogliano mettere in chiaro che, lì, tu sei
solo un turista.
Un ospite passeggero, destinato a durare giusto il tempo di una
nevicata prima
di andare via. Solo un'impronta nella coltre bianca che, presto,
verrà coperta
e cancellata dalla neve nuova - a nessuno importa di te, nessuno
sentirà la tua
mancanza o noterà la tua assenza quando sarai andato via. E'
così che vanno le
cose, soprattutto se provieni da un'ex repubblica dell'Unione Sovietica
e sei
considerato una sorta di traditore.
Otabek questo,
dall'alto dei suoi tredici anni non ancora compiuti, lo ha
facilmente compreso ed accettato con la stessa rassegnata quietezza con
cui si
accettano le cose inevitabili della vita.
Del resto non
è che sia venuto a San Pietroburgo per farsi degli amici.
Quelli erano
solo una variabile che, sotto sotto, un ragazzino che non arriva
al metro e cinquanta con una massa di ribelli capelli corvini e occhi
nocciola
troppo grandi ed innocenti per un viso che già inizia a
perdere le rotondità
della fanciullezza, tiene in conto. Specie se hai qualche problema di
inespressività, cosa che ti rende assai difficile il compito
di socializzare
anche in situazioni meno ostiche di questa.
Perlomeno
rende difficile percepire la malinconia che riverbera appena nelle
pagliuzze dorate di uno sguardo apparentemente vacuo, fisso sulla pista
di
pattinaggio a cui non sembra aver voglia d'accedere.
Sta seduto
sugli spalti, rannicchiato in modo da occupare meno spazio visibile
e passare così inosservato (non che sia così
difficile quando gli altri fanno
di tutto per ignorarti), il viso seppellito fra le ginocchia strette al
petto e
i suoi pattini abbandonati al fianco con le lame ancora coperte dalle
loro
protezioni colorate, a riflettere sul fatto che la sua tuta blu scuro,
dorata e
bianca non sia poi così diversa da quelle di un blu
più chiaro, rosse e bianche
che sfoggiano i compagni nordici. Eppure una differenza minimale appare
così
sostanziale per loro, un intero abisso che non si può e non
si vuole colmare.
Sono solo dei
colori.
Certe volte
vorrebbe dirlo, quando vede le smorfie che non si curano di nascondere
in sua
presenza. Ma ogni volta rimane zitto e si limita a distogliere lo
sguardo.
Dovrebbe
allenarsi, Otabek. E' lì per quello, in fondo. Per diventare
più
bravo, per migliorare e così scrollarsi di dosso la
fastidiosissima sensazione
di non essere abbastanza
-
abbastanza
bravo, abbastanza talentuoso, abbastanza espressivo ed emozionante.
Solo che è
difficile quando ti scontri con la realtà che ti vede essere
di una spanna
inferiore a quelli che invece dovrebbero essere tuoi pari; non essere
riuscito
a stare al passo degli altri della Junior è uno smacco
all'orgoglio, ma
ritrovarsi addirittura con i principianti
è
anche troppo per chi il suo debutto l'ha fatto solo di recente e con
grande fatica e sacrificio.
E' demotivato.
E la cosa concorre ad abbatterlo ulteriormente considerato
quanto a casa si aspettino da lui e come abbiano fatto grossi sacrifici
a loro
volta per permettergli quel periodo in Russia. Dovrebbe impegnarsi
ancora di
più e dare il mille per mille per ringraziare i suoi
genitori e chi crede in
lui, invece sta seduto a guardare gli altri allenarsi come fosse uno
spettatore
qualsiasi.
''Forse dovrei lasciar
perdere.''
«Plisetsky,
dannazione!»
La voce del
coach Yakov rimbomba per tutto il palazzetto; sembra davvero
alterato, almeno dato il tono usato, e il giovane pattinatore asiatico
non può
fare a meno che tornare a mettere a fuoco lo sguardo per puntarlo nella
direzione da cui proviene quello che ha tutta l'aria di essere un
rimprovero.
La persona a
cui è rivolto, però, sembra fare orecchie da
mercante e non essere
particolarmente colpito dal viso rosso dell'uomo e dai suoi occhi
comicamente
strabuzzati - come sempre, quando si infervora.
Avrà
sì e no dieci anni, piccolino e magro magro come un chiodo,
con un visetto
candido ed una scodella di capelli biondissimi con la frangetta
ordinata ad
arrivare poco sopra arrabbiati occhi dal taglio allungato che, da
quella
distanza, il kazaco non saprebbe dire se azzurri o verdi.
«Me
ne fotto» sbotta il bambino, con sfida e una faccia tosta
tale da far
impallidire il suo allenatore prima che torni a diventare ancor, se
possibile,
più rosso.
Gli altri
presenti, dopo un attimo di attonito silenzio, sono tornati alle loro
faccende con l'indifferenza di chi deve vedere scenette del genere
tutti i
giorni o quasi.
Otabek
però non c'è abituato. Lui non si sognerebbe mai
di rispondere così ad
un adulto, soprattutto il proprio coach, educato e mite
com'è. Invece quel
marmocchio si atteggia come se di anni ne avesse venti e, soprattutto,
sapesse
già di averla vinta qualsiasi sia la scenetta che debbano
portare avanti.
Difatti
Feltsman dopo un po' sbotta, soffia forte dal naso e alza le mani in
segno di resa scuotendo con rimprovero il capo, prima di abbassarle di
botto e
dargli le spalle come a dire ''fa un po' come vuoi''. Sa già
che qualsiasi
tentativo sarebbe del tutto inutile con quel ragazzino e non ha la
pazienza per
stare dietro ad un altro piccolo prodigio testardo come un mulo - gli
basta ed
avanza Vitya per quello, anche se Yuretchka sembra fermamente
intenzionato a
seguire fedelmente le sue orme, grazie tante.
Il bambino si
lascia sfuggire un sorrisetto vittorioso, corredato di linguaccia
infantile alla schiena dell'adulto, prima di staccarsi dal muretto che
delimita
la pista ed iniziare a fare qualche giro di riscaldamento.
Il giovane
Altin non sa di preciso perché, ma c'è qualcosa
in quella figura
tanto graziosa quanto tremenda che gli impedisce di distogliere lo
sguardo da
lui. E' affascinante il modo in cui si muove con sicurezza sui pattini,
come
danza con una grazia che raramente ha visto in un ragazzo e come,
soprattutto,
si cimenta in salti che alla sua età dovrebbero essere
vietati. E, otto volte su dieci,
riesce
anche.
E'
così che si ritrova ad assistere agli allenamenti di Yuri
per la prima
volta.
Lentamente
seguire gli allenamenti del più piccolo diventa una costante
e, allo
stesso tempo, gli dà la spinta per riprendere i propri.
La luce che
vede in quegli occhi così belli - gli ricordano un po' la
luce del
sole che riverbera sulla pacata superficie del Big Almaty durante il
periodo
estivo, quando il ghiaccio si scioglie e l'acqua torna a scorrere
liberamente,
adesso che ha visto bene il loro colore - quando pattina e sfida il suo
allenatore ed i suoi limiti per dimostrare di poter essere il migliore
è
affascinante. In qualche modo d'ispirazione per lui, che non vorrebbe
mai
smettere di vederla brillare nello sguardo della fata russa.
Eppure, appena
mette piede fuori dalla pista, sembra che venga soffocata da
qualcosa che non riesce ad identificare perché gli occhi del
piccolo Plisetsky
tornano a guardare al mondo con noia, quando non rabbia.
Otabek non
ricorda di averlo mai visto sorridere da quando è
lì né, se è per
questo, rivolgersi a qualcun altro dei suoi compagni o passare del
tempo con
loro. Sta da solo, con quelle buffe cuffie tigrate nelle orecchie e
l'aria
corrucciata rivolta al cellulare dall'assurda cover leopardata stretto
in un
piccolo pugno.
L'asiatico non
ha mai avuto il coraggio di andare a parlargli. Si sono
incrociati, di tanto in tanto, scambiandosi occhiate distratte e poi
tirando
ognuno dritto per la sua strada. Ma mai più di questo.
Non
è neanche sicuro che si sia mai accorto che sia sempre
lì, seduto al suo
anonimo posticino negli spalti, quando si allena. Che non abbia mancato
una sua
singola prova e che abbia trattenuto il fiato tutte le volte in cui
è caduto ed
intimamente esultato quando, invece, i suoi salti hanno raggiunto man
mano
livelli sempre più alti.
In
realtà va bene anche così, se lo è
ripetuto spesso, ma adesso che deve
lasciare San Pietroburgo sente almeno di dover fargli sapere che esiste
e che
conosce ed ammira il suo valore.
«Volevo
solo dirti che sei davvero bravo.»
Trova il modo
di farlo il pomeriggio prima della sua partenza.
Lo incrocia
negli spogliatoi e gli appoggia con esitazione, mascherata da
sicurezza per via della sua non-espressione,
una mano su un braccio per fermarlo ed impedirgli di uscire dalla
stanza.
Il ragazzino
lo fissa in tralice, abbassando con astio lo sguardo sull'arto che
appoggia sulla stoffa scura, prima di tornare sul viso del kazako e
sbuffare
incerto qualcosa che suona come un vago ''grazie''. O potrebbe essere
anche
''vaffanculo'', è difficile per il più grande
dirlo con assoluta certezza.
Visto che il
tizio non sembra avere intenzione di mollarlo e continua a
guardarlo con quell'inquietante faccia da pescelesso, Yuri si sente in
diritto
di innervosirsi e strattonare il braccio per cui viene tenuto.
«Potresti
mollarmi, adesso?»
Non gli piace
che lo tocchino, soprattutto gente che non ha mai visto prima -
o, comunque, con quello non c'ha mai avuto a che fare. Del resto
è uno
straniero e nonostante l'età si allena ancora con i
principianti mentre lui è
già in aria di debutto. Di certo non può avere
nulla in comune con uno così.
Otabek esita,
arrossisce un po' sul naso e sgrana impercettibilmente gli occhi,
mormorando un fioco ''scusa'' prima di lasciarlo andare. Indietreggia
d'un
passo, prendendosi la mano con cui l'ha toccato nella gemella e
stringendovi
piano contro le dita mentre sente i passi secchi di quello allontanarsi
e la
porta chiudersi con un tonfo sordo alle sue spalle.
Non ha ancora
tredici anni, c'è un volo per New York che lo aspetta ed un
duro
programma lungo anni lontano da casa che ha voluto con tutte le sue
forze
nel momento in cui si è reso conto che non desidera altro
che poter gareggiare
con i migliori e dimostrare di esserlo a sua volta; eppure il suo cuore
batte
forte e rimbomba nelle orecchie con ferocia, mentre le parole che ha
soffocato
si arrampicano prepotentemente lungo la gola e premono per uscire.
«La
prossima volta che ci vedremo sarà da pari.
Perciò continua a fare del tuo
meglio, Yuri.»
Ed
è soltanto uno spogliatoio vuoto in una comune giornata di
inizio settembre
a San Pietroburgo ad accogliere la sua promessa. Ed il freddo a
suggellarla,
perché rimanga intatta negli anni a venire finché
non arrivi di nuovo l'estate a reclamarne i frutti.
«Dopo quell'estate, mi
sono spostato
molto per allenarmi, dalla Russia agli Stati Uniti, fino al Canada.
Sono
riuscito a ritornare alla mia pista, quella di Almaty, solo l'anno
scorso. Ora
più che mai voglio vincere il campionato, per il mio
Kazakistan.»
Non
lo guarda, mentre pronuncia quelle parole. Anche se adesso è
vicino a lui,
dopo cinque anni, anche se non viene fissato più con
superiorità ma con una
tiepida ed imbarazzata curiosità.
Ad
essere imbarazzato, perlomeno, è lui. Averlo al suo fianco e
rivelare quello
che ha tenuto solo per sé negli ultimi anni è
parecchio difficile anche se
dalla tua hai un viso che è difficile leggere e non viene
attraversato da
emozioni; eppure non sei sicuro che i tuoi occhi non ti tradiscano,
perché in
quelle parole c'è ben altro.
Ci
sono tutti i giorni, di quei lunghi cinque anni in giro per il mondo,
passati a pensare a lui e a dare il meglio per poter essere alla sua
altezza.
Per poter mantenere la promessa e sfidarlo, poter
parlargli, un
giorno, da pari a pari.
Perché
non è solo per il suo paese che intende vincere con tutte le
sue forze.
«Otabek,
perché sei venuto a parlarmi?
Siamo avversari, no?»
Continua
a chiederselo Yuri, eppure non sa darsi una risposta. Perché
l'ha
salvato come un eroe in brillante armatura a cavallo del suo rombante
destriero
e l'ha portato lì?
Non
si ricorda di lui, ad essere onesti, ed in fondo la cosa un po' gli
dispiace. Ma è la prima persona che gli si avvicina tanto,
di sua spontanea
volontà, e lo aiuta senza volere nulla in cambio. Solo un
po' del suo tempo,
solo due chiacchere in compagnia.
Non
sa cosa pensare.
«Ho sempre pensato
fossimo molto simili.
Tutto qui.»
Finalmente
si volta a guardarlo, trova il coraggio come l'ha trovato
quell'ultimo pomeriggio in Russia di cinque anni fa. Questa volta sono
i raggi
morenti del sole che colora le nuvole del cielo sopra Barcellona,
rendendo
lunghe le ombre e quasi accecandoli un po', a fare da testimone.
Lo
fissa e spera di non avere un'espressione troppo dura, troppo
scontrosa. Non
abbastanza limpida per ispirargli
quella fiducia che cerca.
«Vuoi essere mio amico
sì o no?»
Il
vento soffia e accarezza la frangia che nasconde in parte il bel viso
del
pattinatore più giovane. I suoi capelli sono diventati
più lunghi, in quegli
anni, i suoi lineamenti sono però rimasti gentili anche se
cerca di nasconderli
dietro espressioni feroci e scontrose. E' diventato bellissimo, come la
terra
da cui proviene, anche se forse non altrettanto irraggiungibile; sono
occhi
carichi di infantile meraviglia che lo guardano, le labbra socchiuse
nella
sorpresa ed un timido rossore a tingergli il viso.
Yuri
non dice nulla, in realtà. Si limita ad avvicinarsi di un
passo
all'asiatico ed allungare una mano con un accenno di sorriso. Non sa
spiegarsi
neanche il battito saltato nel ricambiare il suo sguardo - sembra oro,
in quel
momento - mentre ripensa a quella folle fuga in moto e decide che non
sarebbe
male sentire ancora il vento sul viso tenendosi stretto a lui mentre
corrono
per le strade della città - qualsiasi
città, non importa. Non
importa neanche dare un perché a quello che prova.
Non adesso.
Otabek
trattiene il respiro, il cuore che batte forte. Poi sorride a sua
volta,
impercettibilmente, e gli stringe la mano. La tiene fra le sue mentre
la luce
morbida del sole li bagna e li acceca per qualche istante.
E'
un primo passo. Ha aspettato tanto, cinque
anni, potrà
farlo ancora.
Tutto
il tempo del mondo vale l'attesa di un singolo istante perfetto.
N.d.a - *Kairos (καιρός)
o Cairo è
una parola che nell'antica
Grecia significava
"momento giusto o opportuno" o "momento supremo". Gli antichi greci
avevano due parole per il tempo,
χρονος
(chronos) e
καιρος
(kairos). Mentre la prima si riferisce al tempo cronologico e
sequenziale, la seconda significa "un tempo nel mezzo", un momento di
un periodo di tempo indeterminato nel quale "qualcosa" di speciale
accade. Ciò che è la cosa speciale dipende da chi
usa la parola. Chi usa la parola definisce la cosa, l'essere della
cosa. Chi definisce la cosa speciale definisce l'essere speciale della
cosa. È quindi proprio la parola,
la parola stessa, quella che definisce l'essere speciale. (Fonte:
Wikipedia)
Il discorso dell'ultima parte della OS è ripreso dalla
decima puntata uscita ieri, quindi potrebbe essere un piccolo spoiler
per chi ancora non l'ha vista. Io vi avevo avvisati (?)
Che dire. E' sbocciato l'amore, letteralmente. Sono bastati cinque
minuti insieme e il discorso di Otabek perché scattasse in
me la scintilla che mi ha fatto urlare all'OTP suprema - la Phitchuri-o
rimarrà sempre nel mio cuore, ma sono consapevole di quanto
sia infattibile e crack oltre ogni livello. E, sfortunatamente,
è stata soppiantata dalla Yurek? Otario? Yurebek?
Non ho idea di come si potrebbe chiamare o se un nome è
stato dato. Nel dubbio invadiamo il mondo con il tag #motopatati che come
nome è stupendo. E quindi niente, boh, è nata
questa piccola OS. E mi sa che non sarà l'unica sì
è una minaccia(?)
Al solito ringrazio in anticipo chi leggerà e chi
vorrà darmi un parere o semplicemente fangirleggiare con
me su questi due amorini.
Finalmente una gioia per
il nostro Yurio!
See ya
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