Time
Will Heal
Le
persone dicono sempre che il tempo guarisce ogni ferita, Mick si era
sentito
ripetere quella frase talmente tante volte che aveva finito con
l’ignorarla.
Perché era una bugia. Non era vero che il tempo guariva ogni
cosa, le ferite
non svanivano mai del tutto, restavano lì, impresse come
marchi sul suo corpo,
nel cuore che aveva chiuso al mondo prima ancora di rendersene conto,
in
quell’anima in cui non credeva veramente, bruciata
anch’essa dal fuoco. Il
tempo non aveva mai guarito nulla, al contrario, aveva congelato ogni
ferita in
modo che ovunque si voltasse, su qualunque superficie riflettente, Mick
avrebbe
potuto vederle. E
ricordare.
E Mick
le odiava tutte, dalla prima all’ultima, anche quelle che
diceva di apprezzare,
era così facile mentire. Len era l’unico capace di
leggere tra le righe,
l’unico in grado di vederlo davvero, Len non gli aveva mai
detto che il tempo
guariva tutto, che le cose sarebbero cambiate in meglio, Len le aveva
cambiate.
E ora se n’era andato.
«Il
fuoco è rinascita.» Non si aspettava che qualcuno
lo stesse ascoltando, Len era
chino sulla planimetria di un qualcosa
che in quel momento gli sfuggiva, il loro prossimo colpo in ogni caso,
Mick
fissava il fiammifero che si estingueva sulle sue dita troppo
velocemente, una
vita così effimera e nel contempo così calda e
brillante nella penombra. Le
bruciature sul suo corpo erano ancora rosse, guarivano lentamente e
bruciavano
ogni volta che si infilava una maglia o si copriva.
«Tutti
quegli strizzacervelli non lo capiscono. Dicono che è solo
un meccanismo di
difesa che ho preso quando ho perso la mia famiglia.» Si
pulì le mani dalla
cenere del fiammifero sui pantaloni. «Non hanno capito che
sono stato io a ucciderli. Che il
fuoco è sempre stato
parte di me, anche prima.» Accese un altro fiammifero e lo
avvicinò alla
scatola aperta che aveva nell’altra mano, una minima
scintilla e l’intera
scatola si sarebbe incendiata in un colpo solo. Mick ghignò.
«Non
ti conoscono.» La voce lo sorprese, ma ancora di
più lo sorprese la mano che si
chiuse sulla sua. «Il fuoco ha mostrato al mondo quello che
sei e loro non
vogliono vedere.» Non si aspettava che Len lasciasse perdere
la sua preziosa
planimetria per quello, per lui.
«Io,
al contrario, l’ho sempre visto.»
La
scatolina non prese fuoco e il fiammifero si estinse sulle sue dita
come gli
altri ma in quel momento il fuoco era passato in secondo piano, Snart
aveva
fatto quella strana magia che sembrava riuscirgli sempre
così bene, aveva
quietato il fuoco e i suoi pensieri lasciandolo in uno stato di
completa calma
che Mick apprezzava più di quanto ammettesse. Non durava mai
molto, ma quel che
seguiva non era mai distruttivo come lo sarebbe stato in teoria.
La
maschera era crepata quando Mick si guardò allo specchio al
mattino, o
qualunque ora fosse nello spazio, una crepa che scendeva sottile lungo
il volto
e lasciava intravedere il nulla sotto di essa, chiuse gli occhi
stringendo il
bordo del lavandino con le mani e inspirò profondamente.
Quando li riaprì la
crepa stava sbiadendo lentamente fino a svanire, grugnì con
tono basso e lasciò
il bagno e la stanza senza più voltarsi verso la sua
immagine riflessa. Quel
rituale, così semplice, quasi infantile, assolutamente
indispensabile, lo
ripeteva tutti i giorni da quando avevano distrutto l’Oculus,
era tutto ciò che
gli permetteva di restare intero, di non mostrare nulla di quello che
era. Di
non mostrare il nulla che era.
Aveva
pensato che forse, finalmente, facesse parte di quella squadra,
nonostante
quello che era accaduto, nonostante Chronos, nonostante il fuoco,
nonostante
tutto. Più i giorni passavano, più il ricordo del
sacrificio si allontanava e
meno sentiva di appartenere veramente in quel luogo, quella nave
temporale,
quegli eroi. Era tardi per tornare
indietro, tardi per prendere la navetta e tornare nel 2016, per cosa
poi? Non
apparteneva più nemmeno a quel tempo, non c’era
nulla che lo aspettasse,
nessuno desideroso di vederlo tornare, di certo non Lisa. Era solo, con
la sua
maschera ogni giorno più crepata, con due pistole opposte e
gemelle, un
accendino che presto si sarebbe scaricato e un anello che, diavolo, non doveva avere lui. Era tutto
sbagliato e non c’era modo
di sistemare le cose, non poteva tornare indietro a salvarlo, non
poteva andare
avanti, il peso che ormai gravava su di lui si faceva ogni giorno
più
opprimente, poteva solo restare fermo, in stallo in attesa di un
cambiamento
che non sapeva se sarebbe mai arrivato.
«Non
posso.» La fiammella dell’accendino era immobile
davanti a lui, non ondeggiava
e non rispondeva. «Non posso farlo.» La crepa si
era diramata in due spezzando
la maschera in tre parti, una di quelle diramazioni già
mostrava segni di
cedimento, presto si sarebbe rotta anch’essa e ripararla ogni
mattina sarebbe
stato sempre più difficile. «Non posso farlo da
solo.» Aveva smesso di sperare
che qualcuno si accorgesse di quello, che qualcuno notasse quel che
c’era di
sbagliato, ma tutti erano troppo presi dai loro problemi; come
biasimarli,
cambiare il passato anche solo di poco può avere conseguenze
disastrose, di
certo non incolpava il professore di questo, e nemmeno il ragazzino che
cercava
di aiutarlo. E non incolpava nemmeno Palmer, non quando la sua armatura
era
praticamente l’origine del suo essere un eroe, falso ma
l’uomo la pensava in
quel modo. O il nuovo arrivato alle prese con dei poteri che se fosse
rimasto a
casa quel giorno non avrebbe mai acquisito, e Mick sarebbe ancora in
stasi
probabilmente. O le due donne della squadra, entrambe in cerca di
vendetta
contro due uomini potenti e pericolosi. No, Mick non li incolpava di
non vedere
la verità dietro ogni parola, dietro ogni mugugno, dietro
ogni tentativo di
rissa o di incendio. Ma non negava che almeno all’inizio lo
avrebbe voluto.
Magari gli avrebbero detto che il tempo cura ogni ferita ma avrebbero
notato.
Ma loro non erano Snart e nulla aveva più veramente senso.
La fiammella si
spense davanti a lui senza che i suoi occhi la vedessero davvero e il
buio lo
avvolse confortandolo nel suo silenzio come un vecchio amico.
La
maschera era crepata in cinque parti, l’aveva riparata come
al solito quando si
era svegliato ma c’era un buco che non voleva proprio
scomparire, si era
formato dove tre crepe si incontravano e un pezzo di maschera era
saltato via,
sapeva che era solo questione di tempo prima che accadesse. Eppure
nessuno lo
notò, nessuno colse la rassegnazione nelle sue azioni mentre
Ray disinnescava
la bomba, e le bottiglie di birra si accatastavano attorno alla
poltrona su cui
si addormentava normalmente.
Le
crepe erano sette, il buco si era allargato, aveva una cassa coperta di
esplosivo in una miniera e l’accendino che avrebbe innescato
la detonazione
stretto in mano, aperto vicino alla miccia. Tutto ciò che la
sua mente riusciva
a mettere insieme in quel momento era il desiderio di vedere il fuoco
da vicino
ancora una volta, non la fiammella controllata
dell’accendino, non quella più
libera della pistola lanciafiamme, no. Voleva un fuoco come quello che
lo aveva
quasi distrutto. Voleva che il fuoco finisse quel che aveva iniziato.
Invece
alla fine della giornata si ritrovava di nuovo nella sua stanza, sempre
più
piena di oggetti e cose inutili, come a voler occupare il vuoto che si
era
creato. L’accendino era aperto sul tavolo, la fiammella
danzava lentamente
davanti ai suoi occhi, la bottiglia di birra non era la prima che
beveva e
probabilmente non sarebbe stata l’ultima. Il buco nella
maschera si era
tramutato in un peso che sostava sul suo petto, che avvolgeva il cuore
in una
morsa e affogava ogni pensiero finché non gli restava altro
da fare se non
galleggiare nel nulla. Allungò lentamente, quasi
meccanicamente, la mano sopra
la fiamma, lasciò che il calore avvolgesse il centro del
palmo, che la pelle
bruciasse, non si aspettava di provare dolore, una cosa così
piccola non faceva
più male da molto tempo, se doveva essere sincero non dava
nemmeno il sollievo
che avrebbe dato all’inizio, era più
un’abitudine. Malata, avrebbero detto
tutti, ne era ben più consapevole di quanto non credessero,
ma non avrebbero
mai compreso perché fosse così indispensabile,
come il nascondere le crepe sul
suo viso ogni volta.
«Devi
smetterla, Mick.» Len tolse con uno scatto
l’accendino dalle sue mani portando
su di sé l’attenzione che fino a quel momento
aveva avuto la fiamma, Mick
ghignò sfregando la mano sui pantaloni, il dolore era
scomparso nel momento in
cui l’accendino gli era stato tolto, restava solo un vago
calore che presto
sarebbe svanito anch’esso.
«Non
ti fa bene.» Snart era serio, aveva aggrottato le
sopracciglia e parlava con
voce gentile, non nascondeva la preoccupazione quando erano solo loro
due. Posò
l’accendino sul tavolo basso alle sue spalle e si
accucciò davanti a Mick, i
suoi movimenti erano perfettamente calcolati, come se si fosse scritto
e avesse
imparato a memoria come farli, posò le mani sulle sue
tirandole verso di sé e
baciandogli piano il palmo.
«Non
ti serve il fuoco, non ti serve farti del male. Puoi aggrapparti a me
quando
senti che stai andando a fondo.» Mick si accigliò
a quelle parole, era davvero
andato così a fondo, per usare i termini del compagno, da
costringerlo a dire
qualcosa del genere? Len si lasciava andare a qualcosa di simile al
sentimentalismo solo con Lisa e quando lui si perdeva in modo veramente
molto, molto, brutto. Aveva davvero
superato il
limite quella volta?
«Ti
trascinerei a fondo con me.» Oh, lo aveva superato eccome, se
ne rese conto nel
momento in cui aprì bocca, quando la voce uscì
debole e avvolta da una
tristezza che aveva sempre tentato di tenere il più lontano
possibile da Snart,
e da chiunque. Len avvicinò ancora le labbra alle sue mani e
Mick avrebbe tanto
voluto allontanarle, incerto se meritare o meno quel gesto
così gentile e
intimo. Ma non lo fece.
«A
differenza tua,» E sottolineò quelle parole con un
sorriso alzando gli occhi
fino ad incrociare i suoi. «si dà il caso che io
sia un eccellente nuotatore, e
tu non sei così pesante come pensi di essere.»
Mick sbuffò leggermente
distogliendo lo sguardo, Len lasciò una mano per posargliela
sul volto e farlo
girare nuovamente verso di lui. «Tu non devi far altro che
aggrapparti.» Mick
sembrò rifletterci qualche istante prima di abbassarsi verso
di lui senza una
parola, la voce lo avrebbe certamente tradito ben più
velocemente che le
azioni, e nascondere il viso nell’incavo del suo collo mentre
le mani di Len si
posavano sulla sua schiena e lo tenevano saldamente. Non era la
posizione
ideale né la più comoda ma non disse nulla,
continuò semplicemente a tenerlo
stretto, ancorato alla realtà ancora una volta. Non era la
prima e non sarebbe
stata l’ultima, Mick non sapeva quando sarebbe accaduto di
nuovo, quanto brutto
sarebbe stato, ma Len era lì ogni volta a rimettere a posto
i cocci prima che
il fuoco e l’oscurità lo divorassero completamente.
Soprattutto
in quel momento, soprattutto ora che la sua unica ancora era morta per
salvarlo. Soprattutto ora che Len non era più con lui.
Il
fuoco
aveva perso la sua attrattiva più velocemente di quel che
Mick avrebbe voluto,
al suo posto la bottiglia contenente un qualche alcolico di cui Mick
non aveva
mai sentito parlare si faceva sempre più invitante.
Probabilmente il mattino
seguente non l’avrebbe più pensata in quello
stesso modo ma in quel momento non
aveva importanza, tutto ciò che contava era mettere da parte
i ricordi. allungò
una mano e si portò la bottiglia alle labbra.
Leonard
si muoveva silenzioso come un fantasma. Aveva convinto Gideon a non
informare
nessuno della sua presenza, che aveva bisogno di tempo per pensare a
quel che
era accaduto. Era una bugia e una parte di lui sapeva che
l’AI non gli aveva
creduto ma lo aveva comunque assecondato per chissà quale
ragione. Fece scorrere
la mano sul pannello accanto alla stanza in cui era certo di trovare
Mick ed
entrò chiudendo alle sue spalle la porta. Aveva controllato
prima nella loro
camera trovandola innaturalmente ordinata e ovviamente vuota. Con un
piede fece
rotolare via dalla sua traiettoria una bottiglia di birra abbandonata a
terra e
si avvicinò alla figura profondamente addormentata. Ai suoi
occhi Mick sembrava
improvvisamente invecchiato, le occhiaie erano più scure e
marcate e Len riusciva
a contare minimo cinque nuove cicatrici. Era tutto sbagliato.
Esitò un istante
prima di sfiorargli il volto in una carezza.
«Non
ti meritano.» Disse in tono sommesso per non rischiare di
svegliarlo anche se a
giudicare dalle bottiglie abbandonate non c’era quel
pericolo. «Credevo di
proteggerti e sono diventato la tua condanna.»
Lasciò scorrere la mano sulla
catena al suo collo, sollevò l’anello da cui Mick
non si separava mai, se lo
rigirò tra le dita prima di posarlo nuovamente contro il suo
petto, nascosto
dalla maglia grigia.
«Ma
ora sono qui. Sono tornato.» Si chinò su di lui,
l’orologio al suo polso diete
un flebile BIP informandolo che il
tempo a disposizione stava scadendo e doveva andarsene di
lì. «Sii paziente
ancora un po’. Sopravvivi
ancora un
po’, per me.» Gli sfiorò le labbra con
un bacio leggero e quando si separò Mick
si lasciò sfuggire un sospiro. «Verrò
presto a prenderti. E la pagheranno per
questo.» Promise prima di uscire in silenzio dalla nave, come
un fantasma, lasciando
dietro di sé una promessa che avrebbe mantenuto presto.
Molto presto.
Angolino
dell’Autrice: Ok,
non è esattamente come la immaginavo, era un po’
più cruda forse, entrava di
più nella metafora della maschera crepata, e se non ricordo
male doveva
spezzarsi completamente e crollare. Il punto è che
l’ho fatto prima io e non
riuscivo a scrivere quello così ho dovuto ripiegare su
qualcosa di più soft.
Il
Len
alla fine è stato salvato da Eobard un istante prima che
l’Oculus esplodesse,
quindi ha tutti i ricordi, sa perché si stava sacrificando e
tutto. Ma mentre
per lui sono passati un paio di giorni… beh, per le leggende
credo di aver
perso il conto… è un po’ di
più.
Spero
comunque vi sia piaciuta, E se non vi piace la coppia cercate di
vederla in
modo più generico sul finale, può funzionare
comunque :3
Bye
Bye~
Aki
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