E' quasi magia, John di Lory221B (/viewuser.php?uid=660415)
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E'
QUASI MAGIA, JOHN
Narrano le antiche leggende dell’esistenza di spiriti che
vivono costantemente attorno a noi. E’ difficile vederli,
quasi impossibile, una persona potrebbe passare accanto a uno di loro
senza rendersene conto; potrebbe comunque avvertirne la presenza, una
sensazione di calore e gioia o al contrario di freddo e tristezza,
secondo il tipo di spirito.
Ci sono alcuni momenti dell’anno in cui, se si è
di mente aperta e cuore puro, è possibile vederli
nitidamente.
Uno di questi è il periodo di Natale.
*****
*****
Un bambino di sei anni, dai capelli biondo chiaro e lo sguardo curioso,
era seduto sul davanzale della finestra, intento a fissare i fiocchi di
neve che cadevano leggiadri dal cielo. Mancava ancora un
giorno a Natale e sperava con tutto se stesso che quell’anno
avrebbe ricevuto il trenino che tanto desiderava.
Sorrise allegro, sentendo la madre e la sorella che ridevano in cucina
e un delizioso profumo di biscotti appena sfornati. Amava il periodo
delle feste, con le luci, la gioia e tutta la famiglia a casa. Il padre
era un generale dell’esercito ed era sempre in missione
all’estero; l’unico periodo che il signor Watson
poteva trascorrere con i figli era durante le festività.
Il piccolo John sorrise alle persone che indaffarate correvano avanti e
indietro, affollando i marciapiedi di quella piccola via di Londra dove
abitava la famiglia Watson. Accanto ad un albero, quasi nascosto, a
John parve di scorgere qualcuno. Aveva qualcosa di strano, sembrava una
di quelle foto sfocate dove non si riusciva a distinguere i contorni.
Strinse gli occhi e si appiattì contro il vetro della
finestra per cercare di vedere meglio ma l’unica cosa che
riuscì a distinguere fu un violino e d’improvviso
sentì la musica che la figura stava eseguendo, posando
delicatamente l’archetto sulle corde dello strumento.
« John, a tavola » gridò la sorella, una
bambina dai capelli rossi, poco più grande di John. Il
piccolo non mosse un muscolo, rapito da quell’immagine, persa
nella neve, di un misterioso suonatore.
Un tovagliolo lo colpì in testa e fu costretto a voltarsi
« C’è qualcuno qui fuori, sta suonando
un violino »
« Cosa? » fece la sorella.
John indicò l’ombra vicino all’albero,
ma quando la sorella Harriet si avvicinò al vetro per
guardare, l’ombra scomparve, con estrema delusione del
bambino.
« Mamma, John mi prende in giro » gridò
la rossa, mentre il fratello passava avanti e indietro lo sguardo,
chiedendosi dove fosse finito il misterioso suonatore.
Tristemente si accomodò a tavola, chiedendosi chi potesse
essere e se non avesse freddo a stare in strada, nella neve, per tanto
tempo. John non era riuscito a vederlo bene, ma gli sembrava che fosse
coperto soltanto da una giacchetta. Rabbrividì, pensando
alle tristi storie di Natale, come la piccola fiammiferaia che moriva
assiderata e promise a se stesso che se lo avesse rivisto, gli avrebbe
portato almeno una sciarpa e un cappello.
Dopo cena si mise a letto, ancora con il pensiero rivolto al misterioso
suonatore, quando gli sembrò di sentire di nuovo la melodia
che l’ombra stava suonando, qualcosa di allegro e allo stesso
tempo malinconico. Fece per svegliare la sorella che dormiva
tranquillamente nel letto accanto al suo, ma temette che avrebbe fatto
la spia ai genitori se le avesse detto che voleva scendere in strada,
nel cuore della notte, coperto solo dal pigiama e dal piumino.
Si avvicinò alla finestra per essere certo che non stesse
sognando e a quel punto lo vide: era un bambino, della sua
età o poco più piccolo, dai capelli neri corvini
e gli occhi di ghiaccio. La pelle del bambino era talmente chiara che
poteva mimetizzarsi perfettamente con la neve. John aveva visto giusto,
era coperto soltanto da una giacchetta, nient’altro per
proteggerlo dal freddo di Londra, eppure non sembrava importargli,
stava ritto con il suo violino sulla spalla.
John scivolò silenziosamente fuori dalla propria stanza,
prese la sua sciarpa blu, quella che aveva ricevuto il Natale
precedente e uno dei tanti cappelli di lana che la nonna aveva cucito
per lui. Aprì piano la porta d’ingresso e corse in
mezzo alla neve per raggiungere il bambino dai capelli neri. Faceva
freddo, gli si stavano congelando anche le dita dei piedi, ma sentiva
attorno a sé uno strano calore, come qualcosa di magico.
Raggiunse il bambino, che non sembrava aver notato la sua presenza ed
esordì con un improbabile « Hey, ciao. Sono John
»
Il moro smise di suonare, quasi spaventato dalla presenza del bambino
« Tu mi vedi? » chiese guardandosi attorno.
« Certo che ti vedo » rispose John con un leggero
sorriso « Non dovrei? »
« In effetti no » rispose « Nessun umano
riesce a vedermi, qualche volta riesce a sentire il violino »
fece indicando lo strumento con un cenno del capo.
« Questi sono per te » esclamò John,
allungandogli gli indumenti di lana che aveva portato da casa. Il moro
allungò una mano, perplesso, per prendere quello che il
bambino gli stava porgendo. Era la prima volta che qualcuno lo vedeva,
gli parlava e soprattutto poteva toccarlo; fu una strana sensazione
quando le dita del piccolo John sfiorarono quelle del bambino.
« Quindi non sei umano? Cosa sei? Un elfo? Un mago? Un
folletto? » chiese John, con gli occhi che brillavano dalla
scoperta.
« Credo che i tuoi genitori abbiano notato la tua assenza
» fece il piccolo suonatore, fissando una luce della finestra
di casa Watson. John si voltò preoccupato ma sembrava essere
soltanto la madre che andava in bagno; quando si girò per
salutare il nuovo amico, non vide più nulla,
l’ombra era nuovamente sparita. Si guardò attorno
ma del bambino non c’era più traccia; sconsolato
corse dentro casa, prima di essere sgridato e passare il Natale in
punizione.
John guardò ogni sera, per tutto il resto delle vacanze, il
punto in cui aveva parlato con quel misterioso bambino, ma non lo vide
più e alla fine abbandonò ogni speranza.
L’unica cosa che lo rendeva meno triste era che il piccolo
suonatore aveva accettato il suo regalo e sarebbe stato al caldo.
Gli anni passarono e John non pensò più a
quell’episodio, almeno fino al Natale di otto anni dopo.
Uscì da scuola, contento dell’inizio delle vacanze
e della possibilità di passare del tempo con Sarah, una
compagna di classe che, inaspettatamente, aveva accettato il suo invito
per passare il pomeriggio al centro commerciale e John era felice come
gli sembrava di non essere mai stato.
Non rientrò a casa per pranzo, ma si diresse con tutta calma
verso il centro, per gustarsi il clima allegro delle feste e guardare
le bancherelle di Natale.
Fu allora che scorse qualcosa di strano: un ragazzino, alto, dagli
inconfondibili capelli corvini e gli occhi di ghiaccio, intendo a
suonare una melodia che John non aveva più sentito da tanto
tempo. Se tutti quei dettagli non fossero bastati, stava indossando la
sciarpa blu che anni prima gli aveva regalato. Sembrava invisibile, le
persone gli passavano accanto e nemmeno lo notavano, quasi gli
passavano attraverso, sfoggiando poi un’aria triste, come se
la vicinanza del ragazzino gli avesse fatto cambiare umore.
John si diresse a passo spedito verso il ragazzino, pensando che questa
volta non sarebbe svanito nel nulla senza dargli il tempo di capire chi
fosse e quando fu a un passo da lui, il violinista smise di suonare con
un leggero sorriso.
« John » mormorò.
« Esatto, ma non so ancora il tuo nome » rispose,
spiazzando il ragazzino, che non aveva pensato di essere visto e
sentito.
« Tu mi vedi? »
« Abbiamo già avuto questo dialogo »
rispose spazientito.
Il moro rise « Sherlock » rispose, squadrando il
biondo.
« Puoi dirmi cosa sei? Non sparirai come l’ultima
volta, vero? »
Il moro cercò qualcosa da dire, una scusa accettabile che
spiegasse il perché le altre persone non lo vedevano, non
era preparato ad un umano che gli rivolgeva la parola, ponendo simili
interrogativi.
« Mi hai detto che non sei umano, iniziamo da lì
» incalzò John.
« Fai sempre il terzo grado alle persone? »
« Solo a chi rischia di sparire nel nulla »
Sherlock sorrise e le gote divennero leggermente rosse e tutte la
figura sembrò come più corporea, al punto che le
persone attorno iniziarono a scansarlo, come se finalmente si fossero
accorti che era lì.
Si voltò, come a controllare qualcosa e poi
sussurrò a John « Non qui, andiamo da
un’altra parte »
Qualche minuto dopo era seduti su una panchina di Regent’s
park, con due cioccolate fumanti in mano e Sherlock con una storia da
raccontare « So che ti sembrerà strano, ma se mi
vedi, significa che hai la mente abbastanza aperta per capire
»
« Ti ascolto »
« Sono uno degli spiriti che popola Londra.
C’è una sorta di parete magica tra il mio e il tuo
mondo, ma durante alcuni eventi, quando si sprigiona una certa
felicità, come durante le feste, allora è
possibile che alcuni di voi riescano a vederci » rispose
tutto ad un fiato.
John lo fissò a bocca aperta e allungò una mano
per toccarlo. La sensazione fu strana, strinse il braccio di Sherlock
ma era come stringere qualcosa che si stava dissolvendo. Non era in
grado di descrivere quello che percepiva e ancora più strano
fu vedere Sherlock fissare il punto in cui la mano di John stringeva il
suo braccio, come rapito da quello che stava accadendo.
« Siete caldi voi essere umani »
commentò, in maniera quasi analitica.
« Dove sono gli altri spiriti? » chiese John,
guardandosi attorno alla ricerca di altre ombre « Hai una
famiglia, degli amici? »
« Ho una famiglia, un fastidioso fratello che mi controlla
sempre e sentimenti come l’amicizia per noi non esistono.
Siamo una sorta di custodi, John. Manteniamo a modo nostro
l’equilibrio nel Mondo. E’ un po’
complicato da spiegare » convenne, mentre l’altro
lo ascoltava rapito.
« Ho un’idea, andiamo a pattinare » fece
tutto ad un tratto il biondo, prendendo Sherlock per una mano.
Notò che era gelata e si pentì di non avergli
regalato anche un paio di guanti.
« Non sento il freddo come voi » fece Sherlock, che
aveva intuito i pensieri del ragazzino « Ma grazie comunque
della sciarpa »
Passarono il pomeriggio pattinando su uno dei laghetti del parco, si
rincorsero lanciandosi palle di neve e verso sera si trovarono di nuovo
seduti sulla panchina. Sherlock sembrava genuinamente felice, John era
addirittura raggiante, non sapeva perché ma si trovava
davvero bene assieme a quel ragazzino, al punto che aveva completamente
dimenticato l’appuntamento con Sarah.
Solo verso ora di cena, si ricordò che aveva abbandonato la
rossa ad attenderlo al centro commerciale e il solo pensiero lo fece
incupire, rendendo immediatamente meno visibile lo stesso Sherlock.
Solo in quel momento lo spirito notò una figura famigliare
che lo osservava con fare infastidito. Sospirò e
abbandonò di malavoglia la compagnia di John «
Scusami, mi stanno chiamando »
« Chi? » chiese il biondo, cercando di mettere a
fuoco un’ombra alta e lontana che sembrava puntare nella loro
direzione.
« Mio fratello » Rispose, alzandosi e diventando
sempre meno visibile allo sguardo del ragazzino.
« Io domani parto per le vacanze, ma tornerò il 6
gennaio. Ci rivedremo, vero? » chiese John speranzoso.
Sherlock sapeva che non appena sarebbe passato il periodo delle feste,
John non sarebbe più riuscito a vederlo e il solo pensiero
lo rese ancora più rarefatto agli occhi del biondo.
« Devo proprio andare, John » rispose, lasciando
l’amico sulla panchina e dirigendosi verso il fratello che lo
accolse con la faccia orripilata.
« Da quando parli con gli umani, Sherlock? »
« Non è vietato »
« No, ma lo sai anche tu che passato questo momento di
isteria collettiva le barriere tra il loro mondo e il nostro si
chiuderanno e non potrà più vederti. Non vorrei
ne soffrissi »
« Non mi importa di lui, è solo un umano
» mentì lo spirito, inoltre era certo che John
fosse diverso dagli altri umani, si sarebbero rivisti, era sicuro.
« Meglio così, anche perché
più crescerà più sarà cieco
rispetto al mondo magico » sentenziò il fratello.
Un anno dopo, era nuovamente dicembre, il primo del mese. Sherlock
aveva aspettato trepidante che fosse di nuovo quel periodo
dell’anno. Non aveva mai provato quella sensazione di calore
e felicità che solo l’amicizia con John gli aveva
dato; era strano ma era stato terribilmente geloso di tutte le persone
che potevano tranquillamente venire in contatto con il suo amico mentre
lui poteva solo guardarlo. Era stato tremendo stargli accanto e non
potergli parlare, ma finalmente avrebbero potuto trascorrere di nuovo
qualche giorno assieme.
Sherlock era appoggiato all’albero di fronte casa dei
Watson; John sarebbe uscito per andare a scuola come ogni
mattina e si sarebbero visti di nuovo, sarebbe tornato corporeo e
avrebbero passato tutto il mese assieme. Alle 7.05 John uscì
annoiato da casa, attraversò la strada e superò
l’albero, dove era appoggiato Sherlock, senza dare segno di
averlo visto. Il sorriso sul volto del moro si spese rapidamente,
rimpiazzato da un’espressione triste.
Sherlock pensò che era troppo presto, era dicembre ma la
città non era ancora del tutto immersa nel clima delle
festività. Sarebbe rimasto in zona, in attesa di farsi
vedere, magari suonando il violino avrebbe attirato
l’attenzione di John.
Provò e riprovò, ma non ci fu verso, John non
dava alcun cenno di averlo notato, nemmeno per sbaglio. Più
volte gli passò a fianco, sentendo un improvviso, tremendo,
freddo ma non si soffermò più di tanto ad
analizzare il fatto.
I giorni trascorsero, Sherlock passò tutta la vigilia ed il
Natale sotto la finestra di casa Watson, suonando e risuonando il brano
con il violino che aveva attirato l’attenzione del ragazzo
anni prima, il cuore che aveva un sussulto ogni volta che vedeva una
luce della casa accendersi per poi ripiombare nella delusione quando
nessuno si affacciava o usciva dalla casa.
Altri giorni trascorsero e passò anche capodanno senza alcun
risultato. Sherlock si ritrovò da solo, sulla panchina di
Regent’s park, chiedendosi cosa fosse successo a John e
perché non riuscisse più a vederlo.
« Ti avevo detto di non affezionarti »
commentò il fratello di Sherlock, sedendosi accanto a lui
« Le feste sono quasi finite, la felicità
immotivata degli esseri umani si sta esaurendo. Vuoi davvero restare
qui a chiederti come sarebbe essere uno di loro? »
« Non stavo pensando a questo, Mycroft »
« Sì, invece. Li spii, li studi, dimentichi che
noi non facciamo parte di questo mondo, siamo solo custodi, nulla di
più. Non proviamo questi sentimenti e fidati, è
meglio così. Guarda come si rovinano con le loro stesse
mani. Soffrono, rincorrono inutili speranze, questo tipo di esistenza
porta solo al dolore »
Non era vero che non potesero provare emozioni, ma Mycroft aveva capito
da subito che il fratellino aveva qualcosa di diverso, era
più sensibile di qualunque altro spirito avesse incontrato e
non voleva vederlo soffrire.
Sherlock alzò lo sguardo triste verso il fratello, non era
il fatto di voler provare le terribili emozioni degli esseri umani, ma
la verità che si celava dietro i pochi incontri che aveva
avuto con John: solo con lui si era sentito davvero vivo, gli era
sembrato di esistere davvero, di non essere solo un’ombra.
Gli anni passarono e John superò l’adolescenza e
gli anni dell’Università senza più
vedere né ricordare Sherlock, nonostante fosse costantemente
presente, muta ombra che controllava e vegliava sulla sua esistenza.
Qualche volta John aveva percepito qualcosa, come un bagliore, ma
quello che un bambino avrebbe subito interpretato come qualcosa di
magico, un adulto lo vedeva solo come uno scherzo della luce o della
stanchezza dovute a ore passate sui libri.
*****
* *****
Natale 2010
John Watson, ex medico militare rassegnato ad abitare in una Londra che
non riconosceva più, passeggiava stancamente per le vie
affollate della sua città. Che senso aveva festeggiare il
Natale se non c’era più niente che gli importasse?
La sua psicologa aveva parlato di disturbo post traumatico da stress,
ma a lui sembrava più un disturbo da mancanza di interesse
nella vita. Si sentiva solo, si sentiva inutile e niente era
più doloroso che vedere le luci e la neve e non provare
assolutamente niente, come se stesse guardando una foto o un quadro. Si
sentiva completamente avulso dalla realtà.
Infilò le mani in tasca per scaldarle un po’,
chiedendosi se avesse fatto bene a rifiutare l’invito della
sorella per le feste, dopotutto poteva essere una valida distrazione
dalla sua routine. Mike Stamford aveva promesso di trovargli un
coinquilino, ma erano già passati due mesi e di possibili
coinquilini nemmeno l’ombra.
Fermò un taxi e fu allora che gli parve di scorgere
qualcosa, come un lampo di luce, una sorta di saetta che sembrava
cercasse di bloccarlo, di non farlo salire su quel taxi. Rimase come
imbambolato, con la mano sulla maniglia della portiera e lo sguardo
diretto verso un punto imprecisato. Strinse gli occhi per mettere
meglio a fuoco, ma non riuscì a distinguere niente.
« Amico, problemi? » chiese il tassista,
avvicinandosi al finestrino « Prende il taxi, sì
o no? »
« Chiedo scusa, le luci di Natale mi hanno fatto uno strano
scherzo » rispose aprendo la portiera e accomodandosi nel
taxi, titubante. Iniziò a sentirsi quasi a disagio,
avvertiva qualcosa, come se ci fosse qualcuno accanto a lui. Non era
uno che si spaventava facilmente e non era quello il caso, ma
cominciò a temere di essere a un passo
dall’esaurimento nervoso.
Guardò fuori dal finestrino, il tempo di notare che il
taxi non aveva svoltato verso casa sua ma stava prendendo
tutta un’altra direzione.
« Scusi, ha capito l’indirizzo che ho detto?
» sbottò e quasi gli parve di sentire qualcuno
sbuffare, ma non era stato il tassista.
Il taxi svoltò verso Baker Street e appena si
fermò all’altezza del 221B, John
allungò la mano verso la maniglia, ma prima che potesse
aprire la portiera il tassista si voltò impugnando una
pistola che congelò l’espressione di John.
« Faremo un piccolo gioco e chi perderà
morirà. Ora, se vuole seguirmi, non c’è
nessuno in questo appartamento, sono tutti impegnati con il Natale
» e calcò infastidito e un po’
malinconico la parola “Natale”.
Effettivamente anche per strada non c’era nessuno, ormai era
ora di cena e chi non aveva abbandonato la metropoli per le feste,
stava gustando la classica abbuffata della vigilia. I proprietari del
221B dovevano essere tra quelli che avevano abbandonato Londra per
festeggiare il Natale. Entrò in quell’edificio e
salì a passo zoppicante i diciassette scalini che lo
separavano dal primo piano. Entrarono nell’appartamento con
il tassista che puntava la pistola alla schiena di John;
all’ex militare sembrava incredibile che dopo essere
sopravvissuto alla guerra, rischiasse di venire ucciso da un tassista
killer il giorno di Natale.
« Si accomodi» intimò l’uomo,
avvicinandosi al tavolo che era sistemato al centro del soggiorno e
prendendo posto su una delle sedie. John fece altrettanto, ma mentre si
sedeva vide di novo quella luce, un bagliore ancora più
forte del precedente. Non poteva essere stato uno scherzo della luce,
c’era qualcosa.
O qualcuno.
La sua mente vagò per un attimo a tanti anni prima, quando
il Natale era meraviglia e felicità e aveva creduto di aver
visto uno spirito che popolava Londra. Per anni si era chiesto quanto
avesse galoppato la sua immaginazione all’epoca, i ricordi
erano talmente confusi che aveva addirittura pensato di aver sognato
quello strano pomeriggio di quando era adolescente, perché
era impossibile che avesse davvero parlato con un essere di
un’altra dimensione.
Il battito si fece irregolare, gli sembrò di scorgere
un’ombra, qualcosa che si era accomodato accanto a lui. Era
alto, aveva i capelli scompigliati e aveva qualcosa attorno al collo
che sembrava essere una sciarpa.
« La mia sciarpa » commentò a voce alta.
Il tassista lo fissò « Bene, ho beccato uno appena
uscito dal manicomio, il suicidio sarà più
credibile »
« Suicidio? »
L’uomo si sfilò dalla tasca due boccette con delle
pastiglie all’interno « Ecco il gioco, una boccetta
vince, una perde. Con una vive, con l’altra muore ed io
prenderò quella che scarterà »
John allargò gli occhi stupito, doveva essersi imbattuto nel
killer che aveva causato tutti quei suicidi in serie di cui parlava il
giornale.
Vide l’ombra accanto a sé fare un cenno con la
testa, sembrava mimare un “no” ma a John non era
chiaro cosa intendesse. L’ombra allungò la mano
verso l’uomo ripetendo il cenno con la testa, ma John
continuava a non capire.
La presenza sembrò sbuffare e a John venne quasi da ridere,
nonostante la drammaticità della situazione.
« Ha capito? » incalzò
l’uomo « Deve scegliere o la pistola
sceglierà per lei. Nessuno opta per questa opzione di solito
»
L’ombra nuovamente fece un cenno di dissenso con la testa
agitando entrambe le braccia.
« No? » chiese John, rivolto alla presenza accanto
a sé.
« Con chi sta parlando? »
« Sherlock » esclamò ridendo, come
colpito da un’improvvisa illuminazione « Si
chiamava Sherlock »
John non poteva vederlo, ma dalla sua posizione Sherlock sorrise e fu
quasi naturale scendere a fissarsi le mani che man mano diventavano
più corporee.
John fece per allungare una mano verso il suo vecchio amico, che era
diventato un uomo alto e dai bei lineamenti; aveva conservato la stessa
espressione curiosa e al contempo distaccata della prima volta che lo
aveva incontrato. Sorrise leggermente, in attesa delle prime parole che
sarebbe riuscito ad udire dopo tanto tempo, chiedendosi
com’era diventata quella voce di bambino.
« Cavolo, ma quanto sei lento, John? La pistola
è finta! » sbraitò, riportandolo per un
attimo alla realtà.
Una volta che Sherlock ebbe sottolineato quello che per lui era ovvio,
le cose si fecero più semplici. John si alzò dal
tavolo, sotto lo sguardo stupito del tassista che non si capacitava di
aver rapito un matto che parlava da solo e fissava il vuoto come in
trance, e nella lotta che seguì John disarmò
l’uomo e lo stese a terra con un pugno.
Si voltò verso Sherlock con un gran sorriso ma era
nuovamente sparito. John annaspò per un attimo, sentendosi
come se avesse di nuovo sei anni e avesse passato il tempo a fissare
dalla finestra il piccolo suonatore poi scomparso nel nulla.
Chiamò la polizia, perse un sacco di tempo tra deposizioni e
poliziotti che continuavano a coprirlo con una coperta non capendo che
lui non era in shock per aver affrontato un serial killer ma per aver
rivisto un ricordo d’infanzia svanire nuovamente sotto i suoi
occhi.
Quando finalmente lo lasciarono in pace, corse via, lungo le strade
innevate di una Londra illuminata dalle luci e cullata dai canti dei
cori natalizi. Corse come quando era bambino, quando le scarpe nuove
appena ricevute in regalo gli davano l’illusione di essere
più veloce, quando tutto era magico come un piccolo
suonatore a cui aveva donato una sciarpa e finalmente raggiunse la sua
meta: la panchina di Regent’s Park dove lui e Sherlock
avevano passato un intero pomeriggio.
Si guardò in giro, non poteva e non voleva pensare di
esserselo sognato « Sherlock! » gridò
forte, leggermente nel panico, temendo un’amara delusione.
Si sedette stancamente sulla panchina; era solo, era demoralizzato, era
Natale, aveva sperato per un attimo in qualcosa che invece era solo
nella sua testa. Respirò profondamente, prima di sentire
accanto a sé un odore simile al tabacco. Voltò la
testa, il tempo di vedere Sherlock che gli sorrideva titubante.
« Mi vedi? »
« Facciamo sempre lo stesso dialogo? » rispose,
leggermente commosso « Perché sei sparito?
»
« Credevo avresti smesso di vedermi dopo l’incontro
con il tassista, non mi hai visto per tanti anni »
commentò, tra il deluso e il malinconico.
« Mi dispiace, credevo di aver immaginato tutto »
« Lo so, mio fratello mi ha spiegato che succede
così, dimenticate e basta »
« Io non ti ho dimenticato » rispose John,
allungando una mano tremante su quella di Sherlock e senza dargli il
tempo di replicare lo baciò sulle labbra e lo
abbracciò stretto, temendo che sarebbe nuovamente sparito.
Accadde qualcosa di magico e inspiegabile, una luce calda
attraversò il corpo di uno Sherlock quasi del tutto
corporeo, sotto gli occhi straniti e incantati di John, che
arretrò appena, cercando di capire cosa stesse accadendo.
La luce smise di abbagliarli e lentamente divenne più
rarefatta, fino a sparire. Sherlock si fissò le mani,
più e più volte, poi le allungò verso
John che istintivamente le prese « Sono gelide, Sherlock
»
« Sì, lo so. Sento il freddo » rispose
con una punta di emozione « Sono vivo, John! »
urlò, mentre trascinava l’altro in piedi
costringendolo a girare in tondo.
« Nel senso che resterai nel mio mondo? Non sparirai di
nuovo? »
« Non mi muovo più da qui, ho sempre voluto stare
qui » esclamò fissandolo negli occhi «
Con te » aggiunse, sperando che anche l’altro
sarebbe stato d’accordo.
John non se lo fece ripetere due volte e lo strinse nuovamente, per non
lasciarlo andare mai più.
Sherlock tremò leggermente guardando oltre la spalla di
John: qualcuno lo stava salutando e forse sarebbe stata
l’ultima volta che lo avrebbe visto. “Addio
Mycroft”, sussurrò appena.
« Secondo te, quell’appartamento in Baker Street,
sarà affittabile? » chiese improvvisamente John,
ma Sherlock non lo stava ascoltando, travolto da mille sensazioni.
Finalmente era vivo e avrebbe assaporato ogni attimo, ogni respiro. Con
John al suo fianco poteva iniziare la sua vita umana. Finalmente era
Natale anche per lui.
THE
END
Angolo autrice:
So che sono un
po’ in ritardo rispetto al Natale, ma sono riuscita a
pubblicare prima dell’Epifania (che tutte le feste porta
via). E’ una strana storia, ho avuto anche molti dubbi se
pubblicarla o meno, ma mi dispiaceva tenerla ferma fino al prossimo
Natale per cui eccola qui, il mio augurio per un buon 2017.
Spero vi stiate godendo
la nuova stagione di Sherlock ;)
Un abbraccio grande!
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