La montagna non perdona

di lapoetastra
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Guardo il cielo, ed esso si riflette nelle mie lacrime causate dal freddo gelido che mi sferza la pelle come lame taglienti, arrossandomi gli occhi, tappandomi le orecchie.
Il vento mi urla di smetterla di fare l'impavida, e di tornare giù, al sicuro e al caldo, da tutti i miei amici che ora mi stanno guardando, con le mani premute sulle labbra dischiuse a formare un'espressione di preoccupazione e terrore.
Guardo ancora il cielo, azzurro come mai mi ero resa conto prima che fosse.
Poi tutto intorno a me trema, un boato rombante che per un attimo mette a tacere il vento, che ancora si agita nel suo forzato mutismo, come un bambino che vuole continuare a fare i capricci ma che ha paura della rabbia dei genitori.
Chili di neve fresca e pura come una vergine si riversano su di me, avvolgendomi con il loro peso, facendomi perdere la presa.
Precipito giù, lungo tutti quei chilometri che poco fa ho scalato con tanta dedizione e intraprendenza.
Precipito a fianco della montagna, la mia più cara amica, che ora mi ha tradito, che ora si è vendicata, dopo che io così impunemente e senza la sua volontà ho deciso di arrivare fin sulla sua cima, la prima tra i primi.
Quando, nel giro di pochi fugaci secondi arrivo a valle, distesa supina sulla morbida cotre bianca che appena ricopre l'erbetta appena nata, guardo di nuovo su, verso quel cielo che troppo tardi mi sono ricordata di ammirare.
L'unica cosa che penso è il monito che tutti gli scalatori, professionisti e non, dovrebbero ricordarsi, ma che spesso dimenticano, volutamente o no, come ho fatto io: la montagna non perdona.
Ed adesso ne pago il prezzo.




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