1_Pensieri sul davanzale
Non sapeva perché, eppure si sentiva stranamente attratto da lei.
Forse perché le piaceva rischiare nonostante fosse ben consapevole delle poche vite a sua disposizione.
Forse perché somigliava in modo terribilmente affascinante ad un macabro angelo di morte.
Forse perché era un suo simile, un Homunculus, come lui.
Forse perché era l’incarnazione di un peccato, come lui.
Forse perché era un’emarginata, come lui.
Forse perché aveva una perversa inclinazione violenta, come lui.
Forse perché provava anche lei un profondo odio verso gli umani.
O forse era per altro, per qualche particolare che ancora gli sfuggiva ma che l’attraeva innegabilmente a lei.
Eppure era davvero strano: lui era
un Homunculus e, in linea di principio, gli Homunculus non dovrebbero
provare nessun tipo d’emozione, essendo del tutto privi
d’anima, però, a distanza di ben due anni dalla sua
“nascita”, non ne era più tanto convinto: forse le
emozioni potevano sussistere autonomamente indipendentemente dalla
presenza o meno di un’anima.
Oppure, pur essendo un Homunculus e
nonostante fosse fermamente convinto del contrario, in un qualche
remoto angolo di se stesso era presente un minuscolo abbozzo
d’anima.
Sospirò, alzando le sue
vuote iridi dorate verso il cielo trapunto di stelle, adagiando la
testa contro lo stipite della finestra, circondando con le braccia la
gamba sinistra.
Star seduto sul davanzale della
finestra della sua camera a rimirar le stelle era il momento della
giornata che preferiva: quella vista gli dava una pace interiore quasi
irreale e dava piena libertà ai suoi pensieri di vagare
indisturbati alla deriva.
No, non proprio: solitamente si soffermavano su una cosa in particolare.
Malice.
Nella sua mente la rivedeva con una
nitidezza indescrivibile: ogni più piccolo dettaglio del suo
fisico, ogni espressione, ogni particolare del suo sguardo magnetico.
Era semplicemente perfetta: era la Malizia perfetta.
Di solito si vedevano di rado: a
lei piaceva girovagare per Amestris per seguire i comportamenti degli
umani nel loro ambiente naturale. Era il suo passatempo preferito,
subito dopo il sottile, perverso gusto che provava nell’uccidere
gli stupidi umani che l’avvicinavano, ignari della
fatalità del loro gesto.
Era già passata una
settimana dall’ultima volta che l’aveva vista e il maniero
sembrava aver perso ogni fascino, ogni segno di vita.
Lui era l’incarnazione dell’Orgoglio.
Non era da lui abbassarsi a provare futili emozioni come l’infatuazione.
Lui era tutto ciò che caratterizzava un uomo: il rifiuto degli
stupidi sentimenti femminili, la virilità racchiusa in un'unica,
semplice espressione.
L’Orgoglio.
Eppure Malice era tutto ciò
che di più simile ad una famiglia aveva e forse anche di
più. L’infatuazione che provava per lei gli sembrava la
cosa più concreta del suo piccolo mondo racchiuso fra quelle
quattro mura.
In lontananza, vide il riverbero
lunare riflettersi sul mare, che appariva come un’immobile
distesa mimetizzata con l’oscurità della volta celeste.
Socchiuse gli occhi e poggiò
delicatamente una mano sulla parete dietro di sé, nella camera,
sfiorando appena l’elsa della sua inseparabile spada: un
po’ gli mancava il piacere di perforare la tenera carne umana con
la sua lama, di assaporare il gusto del sangue fresco, ma ancora di
più sentiva la nostalgia della compagnia di Malice.
Chissà, forse quando sarebbe tornata sarebbe rimasta con lui più a lungo di qualche misero giorno.
E magari, forse, avrebbe capito cosa lui provava verso di lei.
Pride si sentì avvampare
istantaneamente al solo pensiero di una dichiarazione in piena regola:
non era esattamente da lui esprimere apertamente cosa sentiva dentro.
Preferiva lasciare agli altri il compito d’intuirlo.
Aveva ancora qualcosa, in fondo,
dell’essere umano che era stato: da quanto ne sapeva, nemmeno a
lui piaceva molto manifestare direttamente i propri sentimenti.
Sorrise fra sé e sé
pensando a che razza di essere umano potesse essere stato un tempo:
quello che l’aveva creato, un certo Alphonse, gli aveva detto che
Edward, così pareva chiamarsi l’umano che Alphonse voleva
riportare in vita, fosse un tipo un po’ stravagante, una vera
testa calda, ma anche un alchimista molto dotato.
Lui ne era rimasto assai colpito,
data la difficoltà che sapeva di avere ad arrabbiarsi: preferiva
la calma e la tranquillità del silenzio, della pace, anche se
non disprezzava affatto un po’ di moto.
Era freddo e calcolatore, come non
mancava mai di ripetergli Malice ogni volta che lo vedeva, impassibile
dinanzi a tutto e tutti.
Ma davanti a lei perdeva tutta la sua freddezza e si lasciava un po’ trasportare dal suo istinto di maschio.
Era imbarazzate da ammettere, terribilmente, eppure non poteva negare l’evidenza.
E tutte le volte si ripeteva sempre
la stessa domanda, cercando di trovarvi una risposta: “ma
l’infatuazione fa sempre quest’effetto?”.
Non lo sapeva proprio: era la prima
volta che lo sperimentava. Non sapeva se anche quell’Edward si
fosse mai infatuato di qualcuna.
I suoi occhi scintillavano della luce riflessa dalle stelle.
Appena Malice fosse tornata, forse avrebbe potuto comprendere meglio cosa stesse realmente provando.
Sospirò ancora e schiuse le livide labbra in un dolce sorriso.
Appena Malice fosse tornata...
Pride scese dal davanzale con un
fluido, aggraziato movimento e s’avvicinò al letto a
baldacchino posto dietro di lui, drappeggiato da tende bianche bordate
da raffinato pizzo nero.
Si distese sotto le coperte, voltandosi su un fianco, attendendo che il sonno sopraggiungesse.
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