Capitolo 3. Caronte
Memorie...
"Correva
l'anno 2011, la mia vita era piuttosto strana in quel periodo ma avevo
le mie soddisfazioni. La mia carriera musicale andava bene e il mio
gruppo divenne la mia passione. Purtroppo però, la mia
famiglia stava trascorrendo
un periodo alquanto difficile, il mio amato zio malato di cancro, si
avviava verso il suo ultimo respiro, tutti i miei parenti cominciarono
a prepararsi al peggio. Certo, niente può preparati alla
morte
di un tuo caro, soprattutto quando questo è una figura
importante all'interno della famiglia, e mio zio era più che
importante, era un fedele marito, un ottimo padre, la guida di tante
persone, era la mia fortuna, in lui riuscivo sempre a scorgere
l'essenza della figura paterna, una figura che nel mio nucleo
famigliare è sempre mancata.
Purtroppo però a volte la vita può riservarti
sorprese
agghiaccianti. E' una cosa che dicono tutti, ma quando capita a
te, ne scopri il significato solo in quel momento. Ricordo bene il suo
ultimo giorno tra noi, una giornata che vorrei dimenticare e
contemporaneamente averla impressa nella testa, perchè
quando
capitano queste cose, l'ingiustizia è tanta che cerchi di
trovare spiegazioni logiche proprio lì dove non esistono, e
una
volta che lo realizzi non puoi far altro che apprendere il meglio da
chi ci ha lasciato."
Alla vista di quella curiosa scena, Dante esclamò "ci siamo
quasi!", ed io chiesi lui "sommo, chi è quello?" e lui
"ragazzo,
quel cavaliere è la dannazione di chi non prova orgoglio per
se
stesso, coloro che soffrono ai margini della città dolente.
L'indifferenza e il disprezzo nutriti nei loro confronti, gli ricorda
di come l'inutilità sia stata la loro condanna".
Così
c'eravamo, dopo l'ardua e sconvolgente passeggiata nella selva
arrivammo finalmente sul sentiero che ci avrebbe condotto alle porte
dell'inferno. Durante i miei studi, non trovai nell'opera di Dante la
descrizione precisa sull'ingresso della città dolente
(apparte
la scritta scalfita sopra), non so cosa mi sarei trovato davanti, se un
arco, se una porta ricamata con simboli diabolici, se un'apertura in
una caverna. Ora che ci riflettevo, molte cose vengono omesse, come la
pena degli ignavi che sono costretti a seguire insignificanti bandiere.
Bene, ora spaevo chi portava questi vessilli neutri, e cioè
dei
cavalieri di cui pareva che all'interno della loro armatura, non ci
fosse nessuno, quasi un'illusione. Forse anche questo va ricollegato
alla pena del contrappasso per gli ignavi, non solo rincorrere insulse
bandiere, ma anche dei cavalieri senza volto o personalità.
Vederlo lì mi sembrò curioso, così
chiesi al poeta
"sommo, non dovrebbe trovarsi nell'antinferno a fare il suo dovere?", e
lui senza proferire parola salì in groppa a Pegaso e mi
invitò a fare lo stesso.
Quell'atteggiamento
che a sprazzi Dante assumeva cominciò ad
insospettirmi, ma non mi azzardavo ad accendere una discussione dato
che era l'unico a cui mi potevo affidare, nonostante i suoi strani
comportamenti. Tuttavia, la
vista di quel cavaliere fuori dall'inferno non fece che colmarmi di
pensieri, così cominciai a maturare un brutto presentimento.
La cosa
però non mi preoccupava più di tanto in quel
momento
poichè ne avevo passate tante nella selva, e qualche altro
spiacevole
inconveniente mi spaventava meno. In più la grazia divina
era
dalla mia parte, e me lo dimostrò dandomi due preziosissimi
doni, la spada e Pegaso.
La
zona dove ora galoppavamo era una terra collinare, polverosa, senza
un minimo di vegetazione, pareva un paesaggio vulcanico, e
più
andavamo avanti più il suolo si faceva irregolare. Riuscimmo
a
trovare di nuovo il cavaliere, così Dante decise di seguirlo
sicuro che ci avrebbe portato nella giusta direzione. Quella landa
desolata probabilmente fù resa tale proprio durante la
creazione
dell'inferno stesso, quando Lucifero venne scagliato verso la terra, e
probabilmente l'avvenimento causò un incendio o la
fuoriuscita
di magma. Chiesi al poeta "sommo, cos'è questo
posto?","siamo sul
tetto della città dolente, vedi ragazzo, questa zona
confluisce
tutta nel suo centro, dove risiede l'occhio di Sirio" disse il poeta,
ed io chiesi ancora "l'occhio di Sirio?","é la rampa che ci
porterà nell'atrio della porta dell'inferno" rispose Dante.
Durante la corsa, il braccio ricominciò a farmi male e a
pulsare, temevo che stesse andando in cancrena e che prima o poi sarei
stato costretto ad amputarlo. Tolsi la manica che avvolgeva la ferita
per darci un'occhiata e vidi qualcosa di sconcertante. Le ferite che
avevano la forma dei denti della lince, erano bagnate dal mio sangue
che si presentava di colore nero, come il petrolio. Quella
visione
fu un pugno nello stomaco, non sapevo dare una spiegazione, non capivo
cosa mi stesse capitando. Diedi ancora un'altra occhiata e notai che la
mia pelle era diversa, come se avesse dei segni regolari quasi
impercettibili. Al momento pensai che fosse a causa
della manica legata stretta, ma quando guardai il braccio sinistro
notai che quei segni erano presenti anche lì. Cosa poteva
significare, forse la visione avuta nella selva c'entrava qualcosa?
Questo non lo sapevo ma tutto ciò mi spaventava, e il non
sapere
cosa mi stesse accadendo mi rese irritabile.
Più avanzavamo più la polvere aumentava tanto da
formare
un muro che ci limitò la visuale, abbastanza da perdere il
cavaliere, così ci fermammo. "Dobbiamo aspettare" disse
Dante,"aspettare cosa?" chiesi, e lui rispose sogghignando "lo vedrai".
Nell'attesa Dante mi suggerì di estrarre la spada e di
cominciare ad allenarmi", e senza perdere tempo, estraetti la lama
e mi preparai ad assimilare gli insegnamenti del sommo. Il poeta
iniziò a spiegarmi le basi
della scherma, la postura, come tenere la spada, come agitarla e come
muovermi. Mi illuminò su alcune tattiche e sul giusto metodo
per affrontare
psicologicamente vari tipi di avversari. Devo essere sincero, non ero
proprio un campione o uno nato per praticare la scherma, ma Dante mi
ripeteva spesso che non esistono esclusioni quando si tratta di vivere
o morire. In particolari situazioni i nostri sensi involontariamente
migliorano il loro operato, il nostro cervello trasmette azioni e
comandi che pensavamo non fossimo in grado di compiere, e in questo
gioco quasi sempre vince chi ha il sangue freddo. Non so se Dante mi
diceva certe cose per incoraggiarmi o se le pensava sul serio, ma in
entrambi i casi, riuscì comunque a rinvigorirmi. Il suo modo
di
brandire la spada era molto elegante, e i suoi movimenti erano
chiaramente combinazioni tecniche apprese grazie all'esperienza. Potevo
essere fiero di avere un maestro e una guida così eccelsa,
ed io
ero lusingato di essere un suo allievo. Cominciai ad affezionarmi al
poeta.
La notte calò, io stavo seduto con la schiena poggiato sulle
gambe di Pegaso, e avevo sete, tanta sete. Dante stava in piedi che si
guardava attorno, e per un attimo pensai che si fosse perso, anche
perchè spesso guardava il cielo come a cercare
l'orientamento
attraverso le stelle. Guardava in alto e poi guardava di fronte a
sè, e il sommo andò avanti così per un
paio d'ore.
Io intanto contemplavo il cielo, per cercare di tenere la mente lontana
da brutti ricordi. L'atmosfera era magica, la landa desolata era
debolmente illuminata solo dalla luce delle stelle, e nel buio pesto
lontano dalle luci della città, io riuscivo a scorgere ogni
genere di astro o costellazione. Mi persi completamente nella
magnificenza dell'universo, nella strana casualità del
cosmo. Mi
riguardai da ciò in cui avevo sempre creduto sulla
creazione,
ora che avevo la prova dell'esistenza di un creatore,
un'entità
molto lontana da quella che ci indottrinano da ragazzi. Ora vedevo il
creatore come un architetto dei destini, uno scrittore di una trama
intricata, un burattinaio che conosce il futuro delle sue marionette,
un essere superiore che agisce comunque per il bene del suo operato.
Stavo quasi per chiudere gli occhi quando Dante
esclamò
"eccolo!", ed io spalancai gli occhi verso di lui, che stava indicando
qualcosa, un fascio di luce che proveniva dal cielo verso un punto
preciso in quel deserto. "Cos'è quella luce sommo?" chiesi a
Dante, "è la nostra via" rispose lui, e continuò
aiutandomi ad rimettermi in piedi "dobbiamo seguire quella luce".
Cavalcammo
velocemente verso quello splendido fascio, che si faceva sempre
più splendente man mano che ci avvicinavamo. Improvvisamente
uscimmo dal muro di polvere e Dante frenò Pegaso. Il poeta
disarcionò e si avvicinò per vedere meglio il
fascio, che
si spostava lentamente, fino a che non illuminò un grosso
cunicolo nella terra. "L'occhio di Sirio!" esclamò Dante. Io
su
Pegaso mi avvicinai a tentoni per osservare. La scena era
mozzafiato, una magica luce che proveniva dal cielo illuminava uno
squarcio nella terra, il quale sarebbe stato completamente celato se
non fosse stato scorto dal fascio splendente. "Questa è la
via
che ci porterà alle porte dell'inferno, e solo grazie alla
splendente luce di una stella noi siamo in grado di vedere l'occhio"
disse Dante, ed io replicai "Sirio, la stella è Sirio,
l'astro
più brillante di tutti", e il poeta ancora "Andiamo ragazzo,
non
possiamo permetterci di perdere la luce".
Misi i piedi per terra e mi avvicinai lentamente al bordo del cunicolo
che era perfettamente circolare, e notai che all'interno c'era una
sorta di rampa che scendeva a chiocciola lungo tutto il foro, il quale
poteva avere un diametro di quattro metri circa. La luce
di Sirio ci permetteva di vedere la profondità dell'occhio,
e
senza perdere tempo cominciammo ad avanzare lungo la rampa. C'era un
forte odore di umido e più si scendeva, più
riuscivamo a
udire dei rumore seguiti da lunghissimi echi. Mi accorsi che sulle mura
fatte di pietra c'erano delle scritte, ma la poca luce non mi
permetteva di leggerle con accuratezza, così utilizzai la
lucentezza della mia spada per riuscire a decifarle. Erano delle frasi
scritte in Latino, una lingua che capivo in parte.
Semita magnitudo non est inventus in euis possessori, sed in
sè. Volo quod vos non potestis quia in aeternum tenebrarum.
" La via della grandezza non si cerca in chi la possiede,
ma
dentro se stessi. Chi desidera ciò che non si può
desiserare, avrà eterna oscurità" mi tradusse
Dante
notando che stavo contemplando la frase, e poi continuò
"Quando
il creatore scacciò Lucifero dal Paradiso,
utilizzò
queste parole, quasi per maledirlo. Oggi queste parole sono scolpite
qui come insegnamento". Rimasi per un attimo sconcertato, in un secondo
momento quasi provai compassione per la sorte del maligno, l'eterna
oscurità faceva più paura della morte stessa.
D'altro
canto ciò che spaventa di più l'uomo non
è la
morte in sè per sè, ma il non sapere cosa gli
attende
dopo, il dubbio sull'esistenza dell'oltretomba, la paura della
dannazione e la speranza della beatificazione. Ma molti sono
più
preoccupati di risultare perfetti agli occhi delle altre persone,
più che ai propri occhi, gli unici che ci conoscono sul
serio,
gli unici che ci possono guardare per come siamo veramente. "Il primo
passo verso la grandezza è riconoscere sè stessi
per
sè stessi, e poi per gli altri" disse Dante, e io ripensando
alle sue parole capì che spesso in vita avevo desiderato
quasi
essere un altro, soprattutto quando si trattava della mia carriera
musicale. Cercavo la grandezza in una dimensione che il mio cervello
aveva creato, un prototipo che secondo il mio ideale, sarebbe stato
perfetto. Avevo realizzato un prodotto che non era dentro di me, un
individuo che cercavo di imitare ma che nel profondo, sapevo di non
poter essere. E come disse il sommo, il primo step verso la
serenità, è riconoscere sè stessi.
Giungemmo a metà del cunicolo dove riuscivamo finalmente a
scorgere la fine, quando senza alcuna spiegazione, Pegaso
spiccò
il volo e tornò in superficie, lasciando dietro di
sè, la
scia della sua luminescenza. Forse gli mancava l'aria o si era
impaurito, fatto stà che ci abbandonò e fummo
costretti a
proseguire da soli. Dante mi disse "non ti preoccupare, Pegaso ha il
potere di apparire in qualsiasi luogo nel momento del bisogno, lo
rivedremo ancora, ne sono certo". Le parole del poeta mi confortarono,
come sempre. Pegaso ci aveva salvato da situazioni delicate, e non
potevo assolutamente pensare di proseguire il cammino senza di lui. Che
creatura fantastica! Il poco tempo passato con lui mi sembrava una
vita, e ovviamente mi ci affezionai.
La rampa a chiocciola giunse al termine, e noi finalmente mettemmo i
piedi sul fondo del cunicolo, che proseguiva in uno stretto corridoio
fatto di pietra, il quale culminava con un'arcata. Superata l'arcata,
mi ritrovai spiazzato dal vasto atrio della porta dell'inferno, che
pareva l'interno di una cattedrale in stile gotico. L'atmosfera
all'interno era mistica e i colori che rivestivano il pavimento di
marmo, erano in continuo cambiamento, ma mantenevano sempre colori
freddi sfumando dal nero al verde scuro, a seconda del tuo punto di
vista. Il tetto era paricolarmente alto e fatto di pietra, attaccato ad
esso c'erano tre grandi candelabri uno equidistante dall'altro, e al
centro
c'era un affresco che ritraeva la struttura del paradiso, come se
fosse una prima afflizione ai dannati che passavano da lì,
un'occhiata a ciò che non avrebbero mai vissuto. L'atrio era
diviso in tre parti; c'era il corridoio centrale che portava
all'ingresso dell'inferno, delimitato sui fianchi da dieci possenti
pilastri
circolari con la base cubica, tutti dello stesso colore del pavimento,
cinque sulla destra e cinque sulla sinistra. Mentre agli estremi dei
corridoi
esterni ergevano
delle mura dove c'erano le rappresentazioni di otto cerchi infernali,
con tutte le pene inflitte ai dannati, dal secondo al quinto sul muro
di sinistra, e dal sesto al nono su quello di destra. Chiesi a Dante
"sommo per quale motivo non è ritratto il vestibolo", e lui
rispose "la dannazione è più onorevole del
destino degli
ignavi. Loro soffrono senza essere ricordati". La porta dell'inferno
era un
maestoso arco gotico che si presentava di colore rosso carminio, avente
otto piccole spalle semicircolari divise in entrambi i lati, che
confluivano tutte nella sua chiave d'arco a punta. Sul rifianco,
seguendo l'arco, c'era la famigerata frase di ben venuto, scalfita nel
marmo.
"Per me si va ne la
città
dolente, per me si va nell'etterno dolore, per me si va tra la perduta
gente. Giustizia mosse il mio alto fattore: fecemi la divina podestate,
la somma sapienza e 'l primo amore. Dinanzi a me non fuor cose create,
se non etterne e io etterno duro. Lasciate ogne speranza, voi
ch'intrate"
Leggere
quei versi al
cospetto dell'arco infernale mi terrorizzava i sensi, ed io ero ancora
vivo. Non potevo immaginare cosa potesse provare un'anima dannata al
cospetto di parole che ti demoliscono ogni forma di speranza. Parole
che ti fanno desiderare una seconda morte non appena finisci di
leggerle. Il modo più crudele che il creatore ha ideato per
forzare le anime a inchinarsi al suo cospetto, anche se ormai queste
sanno di essere già perdute, ma alle quali non resta altro
da
fare.
Dante guardandosi intorno, mi spiegò "ragazzo, da qui non si
torna più indietro. Poggi i piedi sul pavimento della
cappella
di Mefistofele. Qui, proprio l'angelo caduto Mefistofele, aveva il
compito obbligato di accompagnare le anime dall'occhio di Sirio fino
all'arcata infernale, con l'aiuto dei rimorchiatori", ed io gli chiesi
"i rimorchiatori?","creature infernali che utilizzano delle fruste per
guidare i dannati verso l'atrio", mi rispose il poeta. Fui impietrito
dalla scena che mi immaginai all'ultima frase di Dante, in quanto
realizzai che le anime dannate cominciano a soffrire non appena
abbandonano la loro case fatta di carne ed ossa. Chi potrebbe mai
reggere una sorte simile!?
A un certo punto, mentre ammiravo la cappella, qualcosa
attirò
la mia attenzione, un particolare alquanto curioso. Notai che la porta
dell'arcata infernale, era semiaperta da un'anta, ma in quel momento
non
c'era nessuno che doveva entrare, se non io e il poeta. Mi pareva
troppo semplice aver trovato già la porta aperta per
facilitare
il nostro passaggio. Non potevo credere che nessuno avrebbe opposto
resistenza al passaggio di un vivente in un regno dell'oltretomba. La
cosa non mi convinceva più di tanto.
Cominciai a ragionarci su quando udiì una voce che chiamava
"Dante!", e il poeta si girò dando le spalle all'arcata
nella
direzione da cui proveniva la voce, e disse "Minosse, eccoci! Siamo
giunti". Io sconcertato mi intromisi nel discorso chiedendo al poeta
"Minosse? Intendi quel Minosse? Il giudice delle anime dannate?", e
l'uomo che richiamò l'attenzione del poeta, rispose "sono
proprio io, il giudice dei dannati, ragazzo!". Lo
guardai bene, aveva l'aspetto di un cinquantenne magro, con pochi
capelli brizzolati, un'espressione misteriosa ma allo stesso tempo
rassicurante, e il suo viso si presentava completamente liscio senza un
pelo di barba, portava un vestito tutto nero con giacca camicia e
pantaolni, sul fianco destro presentava una spada e sul sinstro un
grosso
coltello ricurvo, e alle sue spalle potetti intravedere la celebre
coda.
"Sommo, ma Minosse.. qui? Lui non dovrebbe essere qui! Cosa.. cosa sta
succedendo?" chiesi totalmente confuso al poeta, ma prima che egli
potè aprire bocca, Minosse parlò con una certa
delusione "ooh Dante! non glielo
hai ancora detto vero?","non volevo spaventarlo, l'ho trovato nella
selva che giaceva al suolo, non potevo rischiare che scappasse!"
disse il poeta. Ancora una volta mi intromisi, e dissi "Cosa? Di cosa
state parlando? Cosa dovrei sapere?", così Minosse
lentamente si
avvicinò verso di me buttando un'occhiataccia al poeta con i
suoi occhi rosso scuro da demone, e poi cominciò a parlare
"ragazzo, ciò che ti sto per rivelare non sarà di
tuo
gradimento, d'altronde è una verità che non piace
a
nessuno, ma come ha detto Dante, da qui non si torna più
indietro. Circa cinquecento anni fà, quando gli uomini
cominciarono a superare le colonne d'Ercole, Catone l'uticense
compì un atto che causò una tragedia, la quale
è
conosciuta oggi come cataclisma diabolico!! Il guardiano del secondo
regno dell'oltretomba, distrusse il purgatorio condannando tutti i
pentinenti alla dannazione eterna, compreso Dante stesso. Ma il peggio
è stato in seguito all'evento, quando l'equilibrio naturale
che
esisteva tra gli inferi e il purgatorio si ruppe. In seguito alla
distruzione del monte dei pentinenti, il lago ghiacciato di Cocito si
sgretolò, provocando inevitabilmente la liberazione di
Lucifero
dalla sua dannazione.
Il maligno ormai libero, radunò sotto la sua ombra tutte le
creature infernali, demoni, guardiani e anche i dannati più
cattivi. Lucifero liberò anche i giganti e con la sua
armata,
cominciò a risalire la voragine infernale per arrivare sino
alla
via d'uscita, dal momento che la natural burella era ostruita dalle
macerie. Il creatore ovviamente, spedì in maniera tempestiva
gli
angeli e le milizie celesti per fronteggiare l'armata di Lucifero, che
si barricò dietro la città di Dite, e ancora oggi
lì combatte contro gli angeli del creatore, in una guerra
che
dura da più di cinquecento anni. L'angelo oscuro non molla e
non
mollerà neanche un centimetro, finchè non
riverserà l'inferno sulla terra, e l'apocalisse
avrà
inizio". Io fui completamente impietrito dalle parole agghiaccianti di
Minosse, potevo vedere il terrore nei suoi occhi mentre mi parlava.
Volsi il mio sguardo verso Dante che aveva un'espressione addolorata, e
poi chiesi al giudice dei dannati "Non posso crederci! Tutto
ciò
è davvero incredibile. Ed io... io cosa centro in tutto
questo?"
e lui mi rispose "Tu sei stato ingannato da un'artifizio Diabolico, tu
hai perso il tuo amore. Lo vedo sai, il tuo sangue.. è nero
giusto? Solo le anime che vivono senza amore hanno il colore del sangue
nero, e solo delle creaure nascono così, i demoni. Si
può
dire che adesso tu sia quasi un demone, con la differenza che sei
ancora un mortale, un particolare da non sottovalutare. Così
il
creatore decise com..","combatteremo il fuoco con il fuoco!" lo
interruppi io continuando la sua frase.
Cominciai a capire i silenzi misteriosi di Dante, la vista del
cavalliere con l'insulsa bandiera fuori dall'inferno, la porta della
città dolente semiaperta e le sentinelle nella selva oscura.
Ora
avevo la situazione chiara ma ciò mi intimoriva il doppio di
quello che già ero. Però ancora non capivo
qualcosa,
così chiesi un'altra volta a Minosse "Perchè mai
Catone
ha compiuto un tale gesto? Proprio lui che aveva il compito di vegliare
sul purgatorio" e lui rispose "Non è ancora chiaro il motivo
della sua scelta, ma a mio parere, sperava di accelerare i tempi fino
al giorno del giudizio, dove sarebbe finalmente salito in cielo.
Ovviamente non sapeva che avrebbe causato tutto questo","E ora
dov'é lui.. Catone?" chiesi al giudice, e lui mi
illuminò
"dopo il cataclisma fù spedito dagli angeli direttamente
negli
inferi, tra i traditori dei benefattori. Egli non ebbe il tempo neanche
di proferire parola".
Mi girai verso l'arcata infernale contemplandola, poi mi guardai il
braccio ferito, e provai quasi un desiderio di voler un'altra sorte, un
altro destino, e dissi "dunque è deciso. Il creatore mi ha
scelto per vincere la guerra... sono il suo prescelto". Realizzai che
dentro di me avevo creato involontariamente un mostro, un essere che
non è capace di provare amore, una sorte ancor peggiore
della
dannazione. Fortunatamente però, come disse Minosse ero
ancora
un mortale, e che la mia maledizione non sarebbe stata
eterna, quindi non ero un dannato.
Dante mi poggiò la mano sulla spalla, e disse "ragazzo, il
creatore non ti ha solo scelto per vincere la guerra, ma anche
perchè la tua vita passata e la tua avventura futura,
simboleggiano la seconda possibilità che il creatore
dà
agli uomini. Un atto che purificherà il tuo destino, e
quello
dell'umanità!". Come sempre le parole del poeta riuscirono a
confortarmi e a darmi coraggio, anche dopo aver appreso la dura
verità.
Mi girai ancora verso Minosse e gli chiesi "Perchè tu ora
sei
dalla parte del creatore?" e lui accennando un sorriso, mi rispose
"è stato il creatore a onorarmi con il mio incarico di
giudice.
Non devo assolutamente niente a Lucifero. E poi il mio ruolo
nell'inferno, è tutto ciò che ho!"
Minosse stava per aprirmi la via verso l'ingresso infernale, quando un
rumore agghiacciante che proveniva dall'arco dell'occhio di Sirio,
attirò la nostra attenzione. Preoccupati ci girammo verso
l'arco
di pietra e Minosse subito estraette la spada che diede a Dante, mentre
lui si armò del coltello ricurvo. Anche io estratti la spada
ma
subito Dante mi suggerì di nascondermi. Non lo ascoltai
perchè volevo
lottare dal momento che avevo realizzato che ci saremmo trovati
più volte in queste situazioni, quindi avevo bisogno di
trovare
il mio coraggio, così ignorai il poeta e rimasi
lì. In un
batter d'occhio dall'arco di pietra sbucarono degli esseri che
purtroppo avevo già incontrato nella selva, le sentinelle.
Le
ombre spettrali armate di spade, si lanciarono a gran
velocità
verso di noi, e subito il poeta e Minosse cominciarono a duellare. Il
giudice pur parendo un uomo segnato dall'età, era molto
abile
con il suo coltello, veloce, tattico, in poche mosse riusciva a
liberarsi dei suoi avversari. La sua tecnica era sopraffina e il
coltello che brandiva era perfetto per il stile di combattimento. Dante
duellava con ogni sentinella che provava ad avvicinarsi a me, mentre io
rimanevo in posizione di guardia alle spalle del poeta impaurito.
Improvvisamente una sentinella riuscì a raggiungermi e a
sferrarmi un colpo, che però a fortuna riuscì a
parare,
solo che la potenza della mazzata ricevuta mi fece precipitare al
suolo. La sentinella si avvicinò verso di me per darmi il
colpo
di grazia, ma venne tempestivamente colpito alle spalle dal coltello di
Minosse, lanciato con abilità proprio da quest'ultimo.
Io terrorizzato strisciai dietro una colonna per proteggermi,
perchè sapevo di non essere ancora pronto ad una cosa
simile,
non lo ero decisamente. La battaglia avanzava quando io cominciai a
sentire delle fitte lancinanti al mio braccio ferito. Mi stavo sentendo
improvvisamente debole, la stessa sensazione che avevo provato nella
selva. Sporsi la testa per osservare la battaglia ma il dolore non mi
permetteva di essere lucido, in più cominciai a vedere
ombrato e
a respirare a fatica, fino a quando mi ritrovai in un altro posto.
Ero sotto un'impalcatura, probabilmente nella piazza della
città
in cui vivevo. Mi stavo proteggendo dalla forte pioggia e per strada
non c'era nessuno. Le gocce di pioggia avevano un sorprendente colore
rosso amaranto, e le carreggiate erano quasi allagate. Sotto
quell'impalcatura al mio fianco c'era lei, Giorgia, la ragazza dai
capelli rosso splendenti. Ciò che stavo vedendo era un
ricordo,
ovvero il primo bacio che io e Giorgia ci scambiammo. Un'appuntamento
sotto la
pioggia, una cosa troppo romantica per essere autentica. Tutte le
circostanze mi portarono a credere che Giorgia potesse essere la
ragazza giusta, e ogni pensiero di questo genere non lasciò
scampo al mio cuore, ormai perso. Ricordo che quella sera, Giorgia mi
raccontò dei suoi problemi di autostima, della sua orribile
esprienza d'amore precedente, di come il suo ex ragazzo la picchiava e
di come lei si provocava dolore fisico per metabolizzare le sofferenze
morali. Ricordo che mi disse che aveva il timore che il suo passato
potesse condizionare il nostro rapporto, ma io la tranquilizzai subito
dicendole che in realtà, dopo quello che mi aveva raccontato
sulla sua vita, io mi sentivo ancora più vicino a lei.
Poi improvvisamente si mise a piovere e fummo costretti a ripararci
sotto un'impalcatura. La situazione era perfetta e non persi neanche un
secondo per approfittarne, così le presi le mani, e la
baciai.
Nella visione che stavo avendo, l'atmosfera che c'era intorno a noi era
praticamente lo specchio delle sensazioni che provai non appena le mie
labbra toccarono le sue, e lei brillava, brillava di potere, e
più il nostro bacio si intensificava più l'odore
di rose
che c'era nell'aria aumentava. Ancora una volta dimenticai che in
realtà mi trovavo al cospetto dell'arcata infernale con
Dante,
poichè il mio unico desiderio era quella di concedermi
completamente a quel ricordo, sperando che si potesse rivelare
veritiero. Con la mia mano dietro la sua schiena, potevo sentire il suo
respiro pesante, come quello di qualcuno a cui gli batte forte il cuore
a causa della troppa euforia che sta provando, tutte cose a cui io sono
vulnerabile. La sua caratteristica di mostrare fisicamente
ciò
che aveva dentro era una cosa che amavo particolarmente. Era come se io
avessi il potere di percepire le sue sensazioni, le sue emozioni, i
suoi piaceri.
Quando le nostre labbra si staccarono la guardai intensamente negli
occhi lucidi. Ci guardavamo sorridenti senza dire una parola, e insime
pregammo perchè la pioggia non fosse mai cessata. Ad un
certo
punto però dal cielo cominciarono a cadere fiamme che si
sostituirono alle gocce d'acqua, sempre
più frequentemente, le quali non appena toccavano terra,
si tramutavano in figure umane prive di vesti e mal ridotte, come
quelle
dei dannati all'inferno. La strada si riempì di queste
figure
che pian piano, alzandosi a fatica da terra e gridando di dolore,
avanzarono verso di noi. Spaventato strinsi Giorgia a me per
proteggerla, ma notai che il suo corpo aveva qualcosa che di strano.
Poco alla volta si stava trasformando in una sostanza che pareva pece
bollente, il quale si stava riversando su di me bruciandomi le braccia.
Il dolore era davvero lancinante che cominciai a gridare e a correre
fuori dall'impalcatura per strada, esponendomi alla pioggia di fuoco.
Avevo le braccia e il petto completamente sciolti e il fuoco dal cielo
cadeva su di me provocandomi una forte agonia. La mandria di dannati
che si riversava nelle strade ore mi circondava, e con cattiveria e
terrore cominciarono ad ammassarsi su di me non lasciandomi via di
scampo o modo per respirare. Nel panico totale e nell'agonia, mi
risvegliai improvvisamente nella cappella di Mefistofele, con una
strana sensazione di bruciore alla gola, come se avessi respirato del
fumo da un incendio. Forse quelle visioni non erano poi tanto solo
delle proiezioni celebrali. Cosa poteva mai significare, che cosa mi
stava accadendo?
Stavo cercando di rialzarmi quando Dante venne verso di me e mi chiese
"tutto bene ragazzo?", ed io "sono un pò sconvolto. Ma dove
sono
le sentinelle?", e lui "sono riuscito ad opporre resistenza e le ho
mandate via, ma torneranno quindi dobbiamo muoverci". Guardai
casualmete verso il centro dell'atrio, e vidi Minosse che giaceva al
suolo, privo di vita, così chiesi al poeta "sommo...
Minosse!!
Cos'è successo?","ho cercato di salvarlo, ma prima che
riuscissi
a estrarre la tua rosa per spaventare le sentinelle, loro lo avevano
già accerchiato. Non ho potuto fare niente". Mi avvicinai al
corpo di Minosse lacerato dai colpi inflitti. Lo ringraziai per avermi
difeso con la vita, per avermi mostrato la giusta via e per essere
stato schietto con me al momento opportuno. "Sono onorato di essere
stato prezioso per un individuo di alto rango come il giudice dei
dannati. Possa il creatore accoglierti per essergli stato fedele,
sempre" dissi inginocchiato davanti al corpo del giudice dei dannati.
Chiusi gli occhi di Minosse e mi girai verso Dante, che aveva ancora la
mia rosa tra le mani, e gli chiesi "perchè le sentinelle
sono
scappate quando hai estratto la mia rosa?" e lui "la rosa contiene il
tuo amore
maligno, un forma d'amore molto potente che ha effetto sugli umani come
su altri esseri. Le sentinelle o le creature infernali, nate
senza amore, hanno il terrore del sentimento stesso poichè
è opera del creatore, e tutto ciò che egli tocca
inquieta
il male".
Vedere Minosse morto mi provocò una sensazione di
ingiustizia.
Non desideravo che altri dessero la vita per me, non volevo che la mia
incapacità di difendermi da solo potesse essere la causa di
morte di coloro che avrebbero deciso di guardarmi le spalle. Non sarei
più riuscito a vivere sereno, se fossi mai uscito vivo
dall'inferno.
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