Prologo
Finito
il turno, due ufficiali stavano parlando fra loro mentre percorrevano
un corridoio della Morte Nera.
“Il
colonnello Waxen?” chiese incredulo il maggiore, “quel
Waxen?”
“Proprio
così,” confermò il capitano
compiaciuto, “me l’ha detto il
tenente Brown del reparto trasmissioni che ha intercettato la
comunicazione. L’eroe di Myrkr viene a farci
visita.”
“Ma
se è il Waxen che dico io ormai dev’essere un
vecchio
rincoglionito. Mi ricordo che stavano già discutendo di
metterlo a
riposo quando ero un cadetto!”
“In
effetti è lui, ed è anche completamente
rincoglionito, ma non ne
vuole sapere di andarsene in pensione.”
“Immagino
che lo metteranno a riposo d’ufficio,” disse il
maggiore, “ non
possono tenere in servizio uno con la demenza senile.”
Il
capitano replicò: “Non c’è
verso di mandarlo via, ci hanno già
provato un sacco di volte.” Poi, abbassando la voce,
aggiunse:
“Sembra che abbia amici influenti che lo proteggono. Si parla
addirittura di Sua Maestà
l’Imperatore…”
I
due ufficiali scomparvero lungo il corridoio parlando animatamente
fra loro.
Il
governatore Tarkin fissò i suoi collaboratori uno per uno,
con
deliberata e persecutoria lentezza. “Waxen è di
nuovo sulla Morte
Nera,” disse infine, “la missione diplomatica su
Gamorr, con la
quale speravamo di togliercelo dai piedi per almeno tre settimane,
è
durata tre ore e cinquantasette minuti. Ha litigato con
l’interprete
prima ancora di decollare da MPX e si è rifiutato di
partire.”
Un
mormorio di disappunto serpeggiò fra gli astanti.
“Inoltre,
è rientrato da meno di due ore e ha già
ricominciato a creare
problemi,” proseguì il governatore,
“poco fa mi è arrivato un
rapporto dall’armeria 12/B del terzo livello, pare che il
colonnello sia entrato di nascosto, abbia rubato un blaster e tenuto
sotto tiro l’intero corpo di guardia fino
all’arrivo del nuovo
turno. Era convinto di trovarsi nel bel mezzo della battaglia di
Sarmak.”
Gli
ufficiali presenti furono attraversati da un fremito di orrore ed
ognuno di essi cominciò a sperare ardentemente che Waxen non
fosse
assegnato al suo reparto.
Waxen,
infatti, un ormai ottuagenario colonnello della vecchia scuola, era
una mina vagante di inaudita pericolosità: iperattivo ai
limiti
della maniacalità, insonne, logorroico, affaccendato, era
affetto da
una forma particolarmente perniciosa di demenza di Alzheimer, che lo
faceva oscillare costantemente tra il rincoglionimento e la
caparbietà. Date e orari per lui non avevano alcun
significato, dal
momento che li dimenticava e li confondeva continuamente, deficit di
memoria e falsi riconoscimenti facevano sì che combinasse un
casino
dietro l’altro ed aveva la perversa abitudine di massacrare i
coglioni a chiunque gli stesse vicino con i lunghi e circostanziati
racconti delle missioni cui aveva partecipato durante la sua
carriera. Siccome la sua memoria era sconquassata e confusa come un
carrozzone jawas, il malcapitato interlocutore era capace di beccarsi
lo stesso racconto anche cinque volte nell’arco di una
giornata.
Generalmente,
la sua era un’assegnazione punitiva. Nel senso che quando un
ufficiale doveva ricevere una punizione esemplare per aver commesso
qualche grave mancanza si vedeva assegnare in qualità di
consulente
anziano l’arzillo ma indementito colonnello, che subito
cominciava
alacremente a massacrargli i testicoli con estenuanti aneddoti e
pericolosissime iniziative volte a migliorare l’efficienza
del
reparto.
Nel
silenzio sconcertato della sala si udì il ronzio di una
chiamata in
arrivo. Il governatore attivò la comunicazione video.
“Tarkin,”
disse rivolto verso lo schermo.
L’interlocutore
era un ufficiale della compagnia comando di Coruscant, che si
schiarì
la voce e con qualche esitazione disse: “La chiamo per il
capitano
Veers, signore…”
Il
governatore ebbe un fremito di rabbia, ci mancava anche quel dannato
capitano, che come al solito compariva col senso
dell’opportunità
di una ragade anale.
“Cos’ha
combinato stavolta?” ringhiò stringendo i pugni
ossuti.
“È
stato arrestato durante una rissa al Worrt Arrapato.”
“Arrestato?”
fece eco Tarkin con la voce tremante di fiero sdegno,
“Arrestato?
Questa volta ha veramente passato ogni limite! È inaudito!
Non ne
aveva abbastanza di quello che ha combinato finora! Doveva farsi
arrestare in una rissa! E cos’è poi questo Worrt
Arrapato?”
“Un
locale dei bassifondi di Coruscant,” si intromise una voce
euforica
proveniente dal fondo della sala riunioni, “Gestito da un
gamorreano che si fa chiamare Hoynk lo Sbronzo. Ci sono le
twi’lek
più troie della galassia e fanno dei cocktail che
stenderebbero un
gundark.”
Tutti
si voltarono sbalorditi verso il capitano Needa, che nel frattempo
era arrossito fino alla radice dei capelli.
“E
lei come lo sa, capitano?” gli chiese Tarkin fulminandolo con
uno
sguardo tagliente come un laser ad accelerazione fotonica.
“Ecco…
Io… Lo conosco per motivi di servizio,
s’intende.”
“Da
quando in qua un ufficiale della flotta ha a che fare per servizio
con i locali malfamati di Coruscant?”
Ma
per fortuna, prima che il capitano Needa si vedesse costretto ad
inventare su due piedi una scusa credibile, dal monitor giunse la
fatidica domanda: “Allora, che dobbiamo fare con Veers,
signore?”
“Questa
volta resta dov’è!” gridò
Tarkin dando un violento pugno sul
tavolo, “In cella, dove avrebbe dovuto finire da un bel
po’ di
tempo! Razza di delinquente depravato! La mia pazienza è
esaurita,
basta!”
“Ma
è il nipote del generale Veers,” intervenne
sottovoce il generale
Tagge al suo fianco.
“Non
mi interessa! Anche se fosse il figlio di primo letto
dell’Imperatore
in persona, questa volta resta dov’è,
imparerà a sue spese il
prezzo di certe bravate!” poi, nuovamente rivolto verso il
monitor,
proseguì: “Ha sentito: Veers rimane esattamente
dov’è, e spero
che si trovi nella più buia e sordida cella di tutta
Coruscant. E
che ci resti a lungo!”
“Ecco,
sembra che ci sia un piccolo problema…” rispose
esitante
l’interlocutore, dopo aver letto un foglio che nel frattempo
gli
era stato passato.
“E
sarebbe?” il governatore sentì una certa
apprensione che
lentamente lo pervadeva al posto della rabbia. L’esperienza
gli
aveva insegnato ad aspettarsi di tutto quando aveva a che fare con il
capitano Veers.
“Mi
hanno comunicato adesso che non è più in cella.
Supponendo che
voleste la procedura solita, il capitano è già
stato imbarcato su
un trasporto. Dovrebbe atterrare da voi entro breve.”
Tarkin
avrebbe voluto rispondere, perlomeno per dire senza mezzi termini
all’ufficiale ciò che pensava di lui e di tutta la
compagnia
comando di Coruscant, ma una comunicazione video di priorità
uno si
sostituì prepotentemente a quella in corso. Il governatore
strinse i
denti preparato al peggio: il canale a priorità uno era
riservato
alle comunicazioni di gravità eccezionale: sciagure,
invasioni,
epidemie e simili.
Sul
monitor apparve la faccia rugosa di un vecchietto con i capelli
bianchi e un bel paio di baffi dalla punta
all’insù.
Tarkin
soffocò un’imprecazione e disse: “Waxen!
Come mai chiama sulla
frequenza riservata?”
L’attempato
interlocutore si guardò intorno disorientato, come alla
ricerca
della provenienza della voce, poi finalmente fissò lo
sguardo su
Tarkin. “Ah, è lei giovanotto, è lei!
Stavo proprio chiedendomi a
cosa servisse questo pulsante rosso dentro la capsula di
vetro!”
Il
governatore spezzò involontariamente la matita che teneva in
mano.
Cercando di mantenere la calma, rispose: “Colonnello, questa
è la
frequenza riservata, la usano solo Lord Vader e l’Imperatore
in
casi del tutto eccezionali.”
“Due
ottimi elementi,” gli assicurò Waxen con
entusiasmo, “godono di
tutta la mia fiducia. Soprattutto quel Vader, anche se non capisco
perché si ostina a vestire tutto di nero. Mi ricordo quando
eravamo
di guarnigione su Tatooine, allora ero solo un giovane tenente alla
prima nomina…”
“Voleva
dirmi qualcosa in particolare, colonnello?” lo interruppe
Tarkin
con ira repressa.
“Veramente
no, giovanotto. Non era lei che voleva parlarmi? No? Davvero
bizzarro. Questa situazione a dir poco inconsueta mi ricorda un
episodio che mi capitò quando ero primo ufficiale su un
incrociatore, all’epoca della battaglia di Mahavamsa, se non
ricordo male. O era la battaglia di Tundu Kunaa? Be’, fa poca
differenza, in fondo. Ma cosa stavo dicendo…?”
Al
governatore sfuggì un sospiro che sembrava
l’ultima esalazione di
un rangkor morente.
A
quel punto, con molto senso pratico intervenne il generale Tagge
dicendo: “Signore, ma non dovevamo proporre al colonnello
quella
pericolosissima missione su Sullust?”
Anni
di delicatissimi colloqui diplomatici avevano addestrato Tarkin a
cogliere al volo ogni minimo appiglio per trarsi d’impaccio
in
situazioni del genere. Lo stato di prostrazione lo abbandonò
infatti
in un attimo ed egli prontamente rispose: “Certo, ma sono
sicuro
che il colonnello non accetterà mai. È troppo
pericolosa.”
Waxen
drizzò le orecchie ed i suoi baffi ebbero un fremito di
eccitazione.
Che
la missione fosse pericolosa era vero. Si trattava di andare su
Sullust, in mezzo a giungle intricate ed inospitali, alla ricerca di
una spedizione che era partita mesi prima e della quale dopo qualche
tempo non si era più saputo nulla. Ma sembrava anche
un’occasione
d’oro per togliersi finalmente dai piedi quel devastante
rompicoglioni. Con un po’ di fortuna avrebbe potuto
addirittura
fare la stessa fine della prima spedizione.
Stando
abilmente al gioco, Tagge ribatté: “In effetti
è vero, questa
missione è troppo pericolosa. Chi mai potrebbe avere
sufficiente
fegato per accettarla? Solo il colonnello Waxen, il cui coraggio
è a
dir poco leggendario.”
“Però
non possiamo rischiare di perdere un elemento prezioso come il
colonnello in una missione che è un autentico
suicidio.”
“No,
non possiamo proprio.”
I
due si voltarono lentamente verso il monitor, dal quale Waxen li
fissava bramoso, coi baffi che tremavano come quelli di un segugio.
“Signori,”
cominciò autorevole l’attempato ufficiale,
“quando il dovere
chiama non si può rimanere indifferenti. E del resto, chi
muore per
l’Impero vissuto è assai, come recita il motto
dell’Accademia di
Carida. O era un verso di una poesia? Be’, non importa,
accetto la
missione!”
“Ma
no, colonnello, non è il caso,” dissero i due per
pura formalità,
con l’entusiasmo di una segreteria telefonica automatica.
“Non
tollererò rifiuti. Io sono l’unico che ha
l’esperienza
necessaria per portare a termine una missione di questo genere. Sono
già stato su Sullust almeno tre volte. Conosco perfettamente
quella
giungla maledetta! Ho solo bisogno di un aiutante!”
“Un
aiutante?” fece eco Tarkin, preso in contropiede
dall’insolita
richiesta.
“Un
ufficiale esperto ed affidabile che mi affianchi nel corso della
missione. Ricordo che durante la battaglia di Thali avevo ai miei
ordini un giovane capitano estremamente brillante, mandatemi
lui!”
“Come
si chiamava, colonnello?”
“Veers,
Maximilian Veers. Davvero
un ottimo elemento.”
Non
si ricorda neppure dov’è il suo alloggio,
l’altra sera lo hanno
trovato a dormire nelle cucine del quinto livello, ma se deve rompere
i coglioni la memoria gli torna eccome, accidenti!
Pensò Tarkin.
“Colonnello,
non è possibile, non posso darle quel capitano,”
rispose.
“Come
sarebbe a dire che non è possibile?”
replicò l’altro
indispettito, “io mi offro volontario per una missione
pericolosissima e non ho neppure diritto a un aiutante? Devo
purtroppo constatare che nelle forze armate imperiali le cose sono
molto peggiorate in questi ultimi anni, giovanotto. Non è
questo il
modo di trattare un ufficiale dei reparti combattenti!”
Tarkin
sospirò nuovamente. Ora lo aspettava l’arduo
compito di convincere
il colonnello che il Veers del quale stavano parlando aveva smesso di
essere un capitano da quindici anni buoni.
“Colonnello,
Veers non è più…”
“Se
non mi date il capitano Veers non parto!” minacciò
Waxen con
veemenza. Dopodiché chiuse la comunicazione lasciando nello
sgomento
più cupo tutto l’uditorio.
Gli
ufficiali si guardarono smarriti. La loro unica possibilità
di
togliersi dai piedi il devastante rompicoglioni era sfumata. A meno
di non degradare Maximilian Veers a capitano per spedirlo dietro a
Waxen nella giungla sullustiana.
“Mi
scusi, governatore…” una vocetta astuta si
levò da un angolo
della sala.
Tutti
si voltarono in quella direzione. Il capitano Piett, con un ghigno a
dir poco mefistofelico, proseguì: “Il signor
colonnello non parte
senza il capitano Veers. Ora le farò una domanda: chi di noi
non
sarebbe felice di veder partire il capitano
Veers per una missione possibilmente senza ritorno dall’altra
parte
della galassia?”
Per
quanto Tarkin fosse un maestro nel rimanere impassibile di fronte
agli spettacoli più inusitati dell’universo, la
diabolica
genialità del ragionamento gli fece comparire sul volto un
sorriso
che a non andare troppo per il sottile poteva quasi essere definito
radioso. Ecco che dopo una mattina di beghe e fastidi, che sembrava
cominciata male e finita peggio, gli si presentava la
possibilità di
liberarsi in un colpo solo di Waxen e Veers. Se
questo è un sogno,
pensò, non
svegliatemi.
“Forse
possiamo prendere due bog-wing con uno scurrier,” disse
compiaciuto, “mandatemi questo Veers.” Poi, rivolto
al capitano,
aggiunse: “Davvero un’ottima idea, mi complimento
per il suo
acume.”
“Modestamente,
cerco solo di fare il mio dovere per l’Impero,”
rispose l’altro.
Che
Piett fosse un leccaculo arrivista era ben noto a tutti, ma il tono
della risposta risultò talmente grondante di untuoso
servilismo che
persino l’ammiraglio Ozzel gli rivolse uno sguardo
disgustato.
Piett fece finta di non accorgersene.
Poco
dopo arrivò un personaggio che fu presentato come il
capitano Veers.
Entrò
lentamente, affiancato da due guardie che però sembravano
avere il
compito di sorreggerlo più che di impedire una sua eventuale
fuga,
perché aveva un’andatura barcollante e piuttosto
malferma.
Indossava come unico indumento una vestaglia di seta di un rosso
postribolare lunga fino al ginocchio e aveva un paio di mutandine da
donna ornate di lustrini intorno al collo. Sulla sua tempia sinistra
era ben evidente un’ecchimosi prodotta da un tirapugni
rodiano.
Gli
alti ufficiali riuniti nella sala lo fissarono a dir poco
annichiliti, nel silenzio che regnava si sarebbe sentito cadere uno
spillo.
“Lei
sarebbe il capitano Veers?” domandò diffidente
l’ammiraglio
Ozzel.
“…In
persona…”
“Non
le hanno insegnato come ci si presenta a dei superiori?”
Latenza
di svariati secondi. “Mi pare di sì…
anzi, sono quasi sicuro…”
L’ammiraglio
represse un moto di rabbia.
“Che
fine ha fatto la sua uniforme, capitano?” chiese bruscamente.
Veers
abbassò lo sguardo sui propri abiti, dei quali
sembrò accorgersi
solo in quel momento. Li contemplò perplesso per un mezzo
minuto
abbondante, poi rialzò la testa e lentamente disse:
“Bella
domanda…”
Ozzel
lanciò un’occhiata smarrita a Tagge, che
però si strinse nelle
spalle con aria rassegnata. “Cos’ha combinato
stavolta,
capitano?” chiese quest’ultimo, con un tono di
quasi paterna
preoccupazione.
”Boh…
il Worrt Arrapato è come una sala operatoria: sai come entri
ma non
sai come esci. L’ultima cosa che ricordo è che mi
bevevo un
cocktail gamorreano nel camerino di Samyra la danzatrice dei
ventri…”
Tagge
scosse la testa sempre più rassegnato.
“Forse
queste mutande sono sue,” aggiunse Veers dopo un
po’, cercando
con movimenti maldestri di sfilarsi l’indumento femminile dal
collo, “di Samyra, intendo… ma perché
ce le ho io? E che fine
hanno fatto le mie?…”
“Basta
così, capitano,” intervenne Tarkin,
“credo che nessuno qui abbia
voglia di assistere al degradante spettacolo di un essere umano
abbruttito dall’alcool. Le comunico che è stato
scelto per una
missione su Sullust in qualità di aiutante di campo del
colonnello
Waxen.”
Il
capitano rimase silenzioso, segno abbastanza evidente che era
completamente sbronzo. Qualsiasi ufficiale in possesso del proprie
facoltà mentali avrebbe reagito ad una notizia del genere
quantomeno
con un attacco di panico.
“Vada
a farsi una doccia fredda,” aggiunse Tarkin,
“partirà fra poche
ore.”
“Una
doccia fredda? Come si vede che lei non si è mai sbronzato,
signore…” rispose Veers esibendo il consueto
sorriso disarmante.
“Portatelo
via!” ruggì il governatore, che di fronte a
quell’espressione di
noncurante serenità aveva sempre scatti d’ira
incontrollati.
Veers
fu trascinato fuori dalle guardie. Sul pavimento lucido della sala
riunioni rimasero, al tempo stesso provocanti e minacciose, un paio
di mutandine rosse i cui lustrini mandavano riflessi abbacinanti.
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