Aperitivo
senza senso
Erano solo loro tre: l’uomo, il ragazzo ed il mare.
Tre vecchi nemici di lunga data che non si parlavano da tempo; che si
odiavano da tempo.
Seduti sulla sabbia bianca ed intonsa i primi due si guardavano, senza
proferire parola; l’adulto chiaro, il giovane scuro.
Due parti di mondo che si ritrovavano lì, accanto al mare,
il loro terzo compagno.
L’Uomo era steso a terra, gli occhi coperti da una foglia
verde brillante, i vestiti eleganti anche se rovinati e ruvidi di sale,
un anello d’oro a incatenargli il mignolo della mano destra,
ciciotto e paffuto, e quell’espressione di
superiorità a solcargli il viso.
L’Uomo era ricco, l’Uomo era importante,
l’Uomo era naufragato su quell’isola.
Il Ragazzo giocherellava con il pezzo di stoffa logoro che erano
diventati i suoi pantaloni, stracciati e rovinati, quel colore celeste
ormai diventato bianco. Fissava l’orizzonte con occhi vuoti,
ma alla costante ricerca di una soluzione per scampare a quella
trappola mortale che si stava rivelando l’isolotto; la sua
pagaia era a pochi metri da loro, ridotta a ciò che fu in
origine: legno, semplice legno.
La pelle, scurita dal sole, formava proprio tra le sopracciglia una
ruga di concentrazione che lo rendeva più vecchio di quanto
i suoi sedici anni dimostravano.
Il Ragazzo era povero, il Ragazzo aveva solo una barca, il Ragazzo era
naufragato su quell’isola.
Nessuno dei due sapeva come mai erano caduti dalla piccola canoa,
entrambi non erano a conoscenza del perché il mare li avesse
portati fin lì, su quello sputo di terra dimenticato da Dio;
l’unica cosa che entrambi ricordavano è che
stavano litigando quando il remo cadde in acqua e il ragazzo si
voltò disperato per riprenderlo, mentre l’Uomo
continuava ad insultarlo: i prezzi per un giro in pagaia erano troppo
alti.
Così fu un attimo e il blackbarry
si ritrovò in
acqua, insieme a loro due.
Non parlarono molto una volta toccata terra, ognuno si
ricavò il suo posto e lì rimase, mentre il Mare,
con calma canzonatoria, si infrangeva sulla sabbia, producendo il suono
di una risata divertita.
Fu l’Uomo a rompere per primo il silenzio, alzandosi con
sonori sbuffi dalla sua posizione di beato, e scrollandosi i granelli
dalla schiena. Una volta seduto si girò e fissò
il giovane, che non lo degnava di uno sguardo: odiava quelli come lui,
odiava gli uomini di mezz’età che venivano sulla
sua isola per passare le vacanze con donne sempre diverse, li odiava.
-Hey, ragazzo! Che fai?- esclamò, la voce calma, quasi
divertita.
Questi si girò un attimo con aria scocciata, senza
rispondere.
-Ti annoi, vero? Io pure, non ci sta niente da fare- sbuffò,
mentre con sforzo immenso decise di alzarsi completamente. Attese una
risposta che non arrivò, perciò, come da sua
natura, continuò imperterrito, non era da lui azzittirsi.
–Sai che ore sono ragazzo? Il mio rolex è andato
con tutta quest’acqua; da non crederci! Con tutto quello che
l’ho pagato, come minimo dovrebbe resistere, invece no!-
rise, divertito da non si sa cosa.
Il ragazzo alzò un sopracciglio, l’espressione
scocciata di chi non vuol essere disturbato da inutili conversazioni,
poi lo riabbassò e rispose, sentendosi obbligato dagli occhi
acquosi del suo vicino di isola.
-Interessante. Mi dispiace. Adesso vedrò di controllare.-
poche sillabe, mai tutte di seguito.
-E come farai ragazzo? Non abbiamo neanche un orologio, almeno che la
tua barchetta- il tono dispregiativo – non abbia incorporato
un satellite.- ghignò strafottente, proprio come
l’umanità che rappresentava.
Il giovane si alzò e senza parlare prese un piccolo ramo,
sottile e delicato, lo piantò a terra e si sedette affianco,
senza fiatare. Per circa due minuti guardò l’ombra
dell’uomo, dapprima con un sorrisetto divertito, infine con
un sottile sibilio di rabbia.
-Si deve levare. Ora.- ordinò, imperativo solo come la gente
di mare sa essere, perché lui, così come suo
padre, così come suo nonno, così come tutti nella
sua famiglia, lo era.
L’uomo non capì immediatamente, si
guardò intorno confuso, poi, sollecitato da uno schiaffo
deciso sui polpacci, fece un saltello e si tolse.
Il ragazzo sorrise e annunciò il verdetto: -Sono le sette...
o otto, comunque giù di lì. -
L’uomo rimase in silenzio, poi corrugò la faccia
impensierito: qualcosa non andava, non andava affatto.
Infatti erano le otto, così diceva questo ragazzo
maleducato, e lui ancora non aveva avuto il suo aperitivo.
E’ di norma, assai in uso, così si dice,
l’avere un aperitivo a questa specifica ora. Normale
abitudine di un popolo fasullo, che adora sprecare i suoi soldi in
inutili passatempi, che diventano, una volta insinuatesi nella genetica
delle tradizioni, vitali ed essenziali.
Perciò è assai facile capire come
l’Uomo si sentisse incompleto in quel momento, senza il suo
aperitivo.
Fortunatamente il nostro manager aveva un’ottima
capacità di problem solving, così, in pochi
attimi, si rese conto che una noce di cocco sarebbe stata perfetta per
il suo scopo.
Un aperitivo a bordo
piscina.
Era la stessa cosa, dopotutto. La questione, ora, era come poter
rompere il guscio impenetrabile.
Lo scagliò più volte sulla palma, ma con scarsi
risultati, il sassolino peloso ritornava, rotolando, sempre davanti ai
suoi piedi, con un moto di sfida che fece infuriare l’uomo.
Perché?, si chiedeva, come mai non si rompe?.
Non riusciva a capire come mai fosse così difficile. Per lui
aperitivo era sinonimo di relax, calma, pace. Non di combattimenti
all’ultimo sangue con una noce di cocco.
Là, nei bar alla moda, pieni di giovani, di vita, e di
monotonia, tutto era più semplice, più liscio,
più falso. La plastica regnava padrona, i rumori, le luci, i
suoni; il continuo parlare, che rendeva intelligenti anche le cose
più stupide. Tutto, insomma, era perfetto; niente doveva
essere fuori posto, niente doveva essere vero.
Invece, quella noce di cocco, che non si rompeva, era vera,
maledettamente vera; e lui, una cosa del genere, non la poteva
sopportare. Non poteva sopportare che qualcosa non andasse secondo il
suo volere.
Difatti, è normalissimo, per un uomo di età,
statura, peso ed intelligenza media, il non tollerare che qualcosa non
si svolga come lui voglia.
Questa, mi par logico, è un chiaro sintomo della
mediocrità.
Il Ragazzo osservava annoiato la scena, chiedendosi cosa potesse volere
quell’uomo da quel povero cocco; lui, al contrario, non
sapeva cosa voleva dire la parola aperitivo.
Lui sa semplicemente che la vita è vera, dura; non ci sono
luci soffuse a nascondere gli sbagli, né parole rumorose a
sopprimere gli errori, nessun cocktail a coprire l’asprezza
del sentirsi poveri.
Niente, semplicemente vita.
Aspettò diversi minuti, poi, ritrovatosi di colpo sorpreso,
domandò: -Cosa sta facendo?-
-Un aperitivo, anche se mancano i salatini.- mugugnò alla
fine, scagliando la noce di cocco, che, finalmente, si
incrinò.
-Vedi, ragazzo, quello che ci vuole nella vita è costanza-
gongolò, sedendosi nuovamente accanto a lui.
Strano da dirsi, da parte di uno, che, nella vita, non ha concluso mai
nulla, se non il vivere sulle spalle dei genitori.
Poggiò il cocco su un sasso piatto, trovatosi lì
per puro caso, e lo batté ripetutamente, finché
questi, soccombendo alla caparbietà dell’uomo, non
si ruppe, in modo quasi perfetto.
L’Uomo, orgoglioso del suo lavoro, lo spezzò e ne
diede una parte al ragazzo, che finse freddezza
nell’accettarlo, mentre in realtà non vedeva
l’ora di poter bere quel latte bianco e dolce.
L’uomo prese a parlare di cose stupide, che non divennero
intelligenti, questa volta. Semplici parole che si alzavano turbinando,
per poi finire, inevitabilmente, nel silenzio che il ragazzo produceva.
L’Uomo odiava il silenzio, era così…
vero.
Proprio come quella noce di cocco, che si era rivelata troppo dolce,
così poco delicata.
Non era come quelle miscele alcoliche, da sballo, che amava assaporare
con lentezza, mentre tentava di abbordare qualche ventenne, che lo
guardava divertita.
Quelle, di noci di cocco, erano perfette, non avevano questo sapore
grezzo e fastidioso. O meglio, non era cocco, quello, era
l’aroma; molto meglio.
Il Ragazzo, invece, sembrava non curarsene, bevendo avido quel nettare
naturale, come se fosse ambrosia, non ascoltava quello che
l’uomo diceva.
Aperitivo.
Che nome strano, pensò, non lo aveva mai sentito. Era un
pescatore, lui, di cose mondane non se ne intendeva, e questo aperitivo
sembrava tanto una cosa da ricchi.
Eppure gli piaceva, se stare seduti su una spiaggia, senza reti da
riparare, senza pensieri, semplicemente lui ed il mare, significava
aperitivo, gli piaceva.
Era come se fosse libero, per un attimo non considerava più
la sua situazione di naufrago come quella di prigioniero, ma,
bensì, come quella di un uccello, che si poteva librare
alto, oltre tutto, oltre tutti. Oltre i doveri, oltre la fatica, oltre
la rabbia.
Il Ragazzo non sentì l’Uomo alzarsi di colpo
interrompendo la sfilza di idiozie che diceva, non lo vide neppure
gettarsi in acqua e nuotare fino ad una barchetta a vela, appena dopo
la baia, non sentì gli uomini scendere sulla spiaggia ormai
deserta, per cercarlo. Nulla.
Dopo tutto cosa serviva ritornare nella civiltà?
Bastava lui ed il suo aperitivo.
Angolo autrice:
Come sia nata non lo so, neanche come è uscita fuori dal mio
cervello.
Forse fa schifo, forse no.
Non lo so.
So solo che mi sono scervellata ed alla fine è uscito
questo. ò.ò
Questa fanfiction partecipa al Contest 100 prompts indetto dal Fanfiction Contest ~ { Collection of
Starlight since 01.06.08 }.
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