He saw the darkness in her beauty, she saw the beauty in his darkness. di Soly_D (/viewuser.php?uid=164211)
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contest
He saw the darkness
in her
beauty,
she saw the
beauty
in his
darkness.
#05.
Di draghi e principesse
Tratto
dal film (scena precedente all'incontro con Victor):
Enoch:
- Oh, dev'essere frustrante per te... tra le regole di Miss Peregrine e
il patto dei miei compagni di non impaurirti, è un po' come
se nessuno ti volesse dire nulla.
Jake: - Be', perchè non lo fai tu allora? Non mi sembra che
tu mi voglia qui.
Olive: - Enoch, non puoi, l'hai promesso!
Enoch: - Olive ha ragione, ma conosco qualcuno che se ne infischia di
infrangere le regole. Lo vuoi conoscere?
[...]
Olive: - Enoch, no, non farlo, ti prego!
Enoch: - Se vuoi stare con me e Jake, possiamo giocare tutti insieme...
quello che hai detto tu.
[...]
Enoch: - Be, eccoci qua. Spostati, Olive.
Olive: - Se hai intenzione di comportarti così, allora non
voglio essere più tua amica.
***
Erano davvero poche le cose in grado di entusiasmare Enoch
O’Connor, o meglio, erano più le cose che non lo
entusiasmavano.
Il riavvio dell’anello, ad esempio, che tutti consideravano a
dir poco fantastico. Ma che diamine c’era di bello in una
scena vista e rivista migliaia di volte? Nemmeno i film di Horace erano
un granché: sogni sui vestiti, perlopiù, e Enoch
di abbigliamento non ci capiva proprio niente (i suoi vecchi maglioni
scuri ne erano la dimostrazione).
Ma la cosa che odiava di più era la passeggiata quotidiana.
Rotolarsi sui prati fioriti e giocare con la sabbia in riva al mare non
era roba per uno come lui, preferiva di gran lunga restarsene
a casa a trafficare nel suo laboratorio, in silenzio e
all’ombra. Aveva provato più volte a saltare la
passeggiata, ma Miss Peregrine l’aveva sempre trascinato a
forza, sostenendo che tutti i suoi bambini avessero bisogno di
respirare un po’ d’aria fresca ogni giorno.
D’altronde, disobbedire alla direttrice era
pressoché impossibile.
Quel giorno Enoch odiò la passeggiata più del solito.
Miss Peregrine guidava il gruppo in silenzio, dietro di lei i
più piccoli chiacchieravano tra loro. Enoch trascinava un
passo dopo l’altro, le mani svogliatamente infilate nei
pantaloni e il viso contratto in una smorfia. Al suo fianco camminava,
come sempre, Olive, la schiena dritta e il passo lento e aggraziato;
teneva per mano la piccola Claire e ogni tanto le due si scambiavano
qualche parola, ma – Enoch l’aveva notato fin da
quando erano usciti – Olive non mostrava alcun segno di interesse verso di lui. Solitamente quello era il momento in cui lei gli raccontava
qualcosa di divertente oppure proponeva attività da fare
insieme; a volte, semplicemente, i loro gomiti si sfioravano per
sbaglio (per sbaglio?)
e Olive si limitava a rivolgergli un sorriso, senza pretendere che lui
ricambiasse.
Questa volta, però, la ragazza non sembrava apprezzare
particolarmente la sua presenza e a Enoch il motivo appariva piuttosto
chiaro: poco prima di uscire di casa, aveva terrorizzato Jake con la
storia di Victor, venendo meno al patto che aveva stretto con i bambini
− far sentire il loro nuovo amico a casa, convincerlo a
restare, magari per qualche tempo, magari per sempre.
La situazione, in realtà, non
era poi così tragica: i bambini, tranne Fiona che aveva
assistito all’accaduto, non erano a conoscenza del fatto che
avesse rotto il loro accordo e a dire il vero nemmeno Jake sembrava poi
così traumatizzato dall’accaduto, dato che se
l’era svignata con Emma chissà dove.
Perché Olive, che in tutto quello c’entrava
veramente ben poco, se l’era presa tanto? E per cosa poi? Per
aver rivelato a Jake che il mondo degli Speciali non era tutto rose e
fiori come appariva dall’esterno? Se davvero Jake era uno
Speciale come loro, aveva tutto il diritto di sapere. E comunque non
capiva perché Olive ci tenesse tanto a tenerlo allo scuro, a
proteggerlo.
Che provasse qualcosa nei suoi confronti...? Quel pensiero gli fece
storcere il naso. Non era possibile, Olive conosceva Jake da troppo
poco tempo e poi a Jake piaceva Emma, quindi... caso chiuso.
L’indifferenza di Olive nei suoi confronti, comunque, era a
dir poco logorante.
Abituato ad averla costantemente intorno, le rare volte in cui
litigavano e smettevano di parlarsi, la sua lontananza, il suo sguardo
offeso, la sua espressione sofferente gli pesavano come un macigno
sullo stomaco.
«Olive», tentò, tirando un lembo del suo
vestito. «Hai intenzione di ignorarmi ancora per
molto?».
Lei si voltò giusto il tempo di rivolgergli una breve
occhiata fredda
− piuttosto ironico, dato che tutta l’essenza di
Olive ruotava intorno al fuoco:
i capelli, le mani, il cuore.
Scocciato, Enoch afferrò la ragazza per un polso.
«Vieni», le disse, ma in realtà gli
venne fuori più come una sorta di ordine [maledetto orgoglio],
tanto che Olive si scostò da lui un po’
spazientita. «Per favore», aggiunse allora. Sapeva
che la dolce
Olive non sarebbe rimasta indifferente di fronte ad una sua supplica e
infatti la vide sospirare, lasciare la mano di Claire e sussurrarle
«Torno subito».
Soddisfatto, Enoch si voltò e prese a camminare in direzione
del mare con Olive al suo seguito.
***
Quando arrivarono in spiaggia, si sedettero entrambi sulla sabbia,
l’uno al fianco dell’altra, e rimasero per un
po’ in silenzio.
Enoch si limitava a vagare con lo sguardo su tutto ciò che
lo circondava. La brezza soffiava piano increspando tanto le onde del
mare, che emanavano luccichii argentei, quanto i capelli rossi di Olive,
che sembravano brillare alla luce del sole. Sarebbe stato un bel momento in buona compagnia,
pensò Enoch, se non fosse stato per il fatto che Olive ce l’aveva a morte con
lui.
«Sei arrabbiata con me?», fu la prima cosa che gli
venne da dire, la più stupida, dato che la risposta era
“Ovvio che sì”.
«Si». ...Ecco, appunto. Ed era anche piuttosto
evidente: da quando si erano seduti, Olive non l’aveva
guardato nemmeno una volta, più interessata alla linea del
mare che sfumava all’orizzonte e al volo di qualche uccello
in lontananza.
Enoch ne aveva abbastanza: allungò un braccio e
afferrò il mento di Olive con il pollice e
l’indice, obbligandola a voltare la testa per incrociare i
suoi occhi. A quel punto Olive gli restituì uno sguardo
spaesato, forse perché tra loro non c’erano mai
stati veri e propri contatti... fisici.
Nonostante fossero buoni amici, non si erano mai scambiati un abbraccio
o una carezza. Non che a Enoch non piacessero quei gesti −
spesso e volentieri si lasciava stringere dalle piccole braccia di
Claire oppure scompigliava i perfetti capelli di Horace in segno
d’affetto − ma non gli era mai passata per la testa
l’idea di toccare Olive. In nessun modo, in nessuna
situazione. Anzi, il solo pensiero lo metteva in agitazione. Forse era
la paura di apparire goffo o di essere respinto o di deturpare una
pelle tanto delicata come quella di Olive con le sue mani costantemente
sporche di sangue, abituate a giocare con la vita e la morte. O forse
non era per nessuno di questi motivi, Enoch non riusciva proprio a
capirlo.
Rendendosi conto di essersi spinto oltre quel limite che lui stesso
aveva eretto tra loro, allontanò immediatamente la mano dal
viso di Olive. Era stato un gesto dettato dall’istinto, nuovo
e strano, forse anche piacevole.
Non era pentito, comunque, dato che perlomeno era riuscito ad attirare
l’attenzione di Olive.
«È vero quello che mi hai detto a casa? Non vuoi
più essere mia amica?».
Olive abbassò lo sguardo. «No, se continui a
comportarti in quel modo».
«In che modo?».
«Come se non ti importasse niente di nessuno... né
di Jake, né di Fiona e Bronwyn1, nè
di... me».
Enoch sgranò gli occhi. Era davvero questo che pensava di
lui?
«Olive, non è così...».
«E allora perché hai infranto la nostra
promessa?».
Enoch aprì la bocca per rispondere ma si rese conto che non
poteva dire ad alta voce ciò che gli passava per la testa.
La verità era che provava una fottuta gelosia nei confronti
di Jake, più di quanta ne avesse provata per Abe. Era come
se i riflettori fossero costantemente puntati su Jake Portman, il
ragazzo fuori dal comune e sbucato dal nulla che tutti volevano come
amico, lasciando nell’ombra Enoch O’Connor, il
povero vecchio amico di cui nessuno aveva bisogno.
Se guardava bene in fondo al suo cuore, si rendeva conto che aveva
mostrato a Jake il lato negativo del mondo degli Speciali non
perché credeva che avesse il diritto di essere informato a
riguardo, ma per il semplice gusto di fargli male,
sperando che in questo modo si sarebbe allontanato per sempre dal loro
anello. Ferire Olive, tuttavia, non era nelle sue intenzioni. Era stato
solo un incidente di percorso e gli stava costando parecchio caro.
Enoch non sapeva come rimediare. Gli sembrava che le parole
“scusa” e “mi dispiace” non
fossero sufficienti per farsi perdonare. Guardò Olive che a
sua volta fissava il mare assorta nei suoi pensieri, con le gambe unite
al petto e il mento poggiato sulle ginocchia. Enoch non capiva
perché lei continuasse a stargli vicino, nonostante la
facesse soffrire. Allungò una mano per toccarla di nuovo, ma
la voce di Bronwyn accorsa verso di loro lo bloccò
all’istante.
«Olive, vieni a giocare con noi!».
La ragazza sembrava sul punto di ribattere che non le andava molto di
giocare, ma Bronwyn la prese di peso e la portò in spalla
dagli altri bambini.
Enoch non potè far altro che restarsene lì seduto
in disparte con un’assurda sensazione di vuoto.
***
Hugh, il viso nascosto per metà dalle api, impartiva ordini
ai bambini come un giovane comandante al suo piccolo esercito.
«Ricapitolando... Olive è la principessa, Bronwyn e
Claire sono le sue serve fedeli. Millard è il Guerriero Invisibile,
Horace il Cavaliere
dall’armatura scintillante, i Gemelli sono i Principi...
be’, i
Principi Gemelli. E io sono il Conte di Apiston.
Tutti noi cercheremo di liberare la principessa Olive rinchiusa nella
torre». Sorrise soddisfatto, per poi ricordarsi di un dettaglio fondamentale che gli fece spalancare gli occhi. «Aspettate, chi fa il drago?».
Un silenzio tombale, rotto solo dall’infrangersi delle onde contro gli scogli, calò sui partecipanti al gioco.
Evidentemente nessuno aveva voglia di interpretare il ruolo del cattivo.
«Oh, avanti, nessuno vuole fare il drago?», chiese
Hugh deluso. «Non possiamo andare avanti senza un
drago!».
«Lo faccio io».
Enoch, che fino ad allora aveva osservato la scena in disparte, si era
appena offerto di giocare. Ci aveva riflettuto a lungo: non che gli
andasse davvero di scorazzare per la spiaggia come un bambino, ma aveva
come la sensazione che Olive avrebbe apprezzato quel gesto. Voleva
dimostrarle che anche lui era in grado di essere gentile, che era
pentito, che ci teneva ai bambini... che ci teneva a lei.
«Enoch, ne sei sicuro? Tu non giochi mai con noi!»,
gli fece notare Millard.
Enoch guardò i volti esterrefatti di tutti e si
sentì a disagio.
No, non si
stava davvero
offrendo come drago
in uno stupido gioco per bambini.
Non lo stava facendo sul serio. No... insomma... no!
E invece sì.
«Be’, oggi mi va! Qualcosa in
contrario?!», esclamò agitato.
«Assolutamente no! Anzi, sei a dir poco perfetto per il
ruolo del drago!», rispose Millard agitando un braccio senza
mano... o meglio, con una mano invisibile.
Enoch non seppe se sentirsi lusingato o offeso da quelle parole. Detto
con quel tono, sembrava un complimento, ma in realtà,
riflettendoci bene, era come se Millard gli avesse appena fatto notare
che il suo carattere cupo e minaccioso lo rendesse adatto a impersonare
il ruolo del nemico.
Davvero i bambini avevano quell’opinione di lui? In cuor suo
fu costretto ad ammettere che non era proprio una bugia...
***
Qualche minuto dopo, il drago Enoch teneva la principessa Olive davanti
a sé a mo’ di ostaggio, con il braccio stretto
intorno al suo collo sottile.
«Enoch... non devi farlo per forza se non ti va».
Il tono di Olive non era arrabbiato come quando avevano discusso in
disparte, anzi sembrava abbastanza tranquilla, forse solo un
po’ a disagio (come lui) per l’assurda situazione
in cui si erano cacciati: a stare così vicini, letteralmente
incollati l’uno all’altro, per far piacere ai loro
piccoli amici, non erano abituati.
Tuttavia Enoch dovette ammettere che non era poi così male. La
schiena sottile di Olive combaciava perfettamente con il suo petto, i
capelli di lei emanavano un buon profumo e gli solleticavano
piacevolmente il collo. Tra le sue braccia sembrava così
piccola e indifesa che a Enoch venne spontaneo stringerla un
po’ di più, quasi si sentisse in dovere di
proteggerla. Da cosa poi? Era
lui il drago cattivo!
«Cominciamo! Olive, tocca a te!», urlò
Hugh a qualche metro di distanza.
Olive cominciò a dimenarsi tra le braccia di Enoch,
fingendosi impaurita. «Qualcuno mi venga a
salvare!», disse in maniera decisamente poco credibile. Di
sicuro non aveva un futuro da attrice, ma ai bambini non sembrava
importare.
«Ti salverò io!», esclamò
Millard avventandosi con una spada di cartone sul drago Enoch, il quale
prontamente si difese e contrattaccò.
Il Guerriero Invisibile cadde a terra K.O., poi anche Horace e Hugh
fecero la stessa fine.
Il drago stava decisamente avendo la meglio sui valorosi combattenti
intenzionati a salvare la principessa e questo non faceva parte della storia.
«Enoch, non ti sembra di stare esagerando...?»,
bisbigliò Olive in modo che Enoch fosse l’unico a
sentirla.
«No». Il giovane O’Connor ci stava
decisamente prendendo gusto. Soddisfatto e divertito, stese anche i
Principi Gemelli e pose fine alla battaglia. Solo quando si vide
circondato da facce turbate, si rese conto che forse quello non era un
finale adatto ai bambini, che forse aveva sbagliato di nuovo... e che
Olive non lo avrebbe perdonato mai.
«Colpo di scena!», esclamò Horace, «tutti i combattenti sono stati
sconfitti! Alla principessa non rimane altro che... scappare!».
«Cosa?!».
Dopo un breve minuto di silenzio, si sollevò un intero coro
di esultazioni e incoraggiamenti nei confronti di Olive. Enoch era
spiazzato: a nessuno dei bambini importava il finale della storia,
ciò che contava davvero era giocare e divertirsi, lontano
dai pericoli, al di là delle preoccupazioni.
A quel punto capì perché Olive ci era rimasta
così male per la storia del patto: terrorizzare Jake per
farlo scappare via avrebbe significato privare i bambini di un nuovo
amico. In fondo l’amicizia era tutto ciò che li
manteneva in vita, felici, giovani, spensierati. Era tutto
ciò che rendeva sempre nuovo e diverso lo stesso 3 settembre 1943
che si ripeteva ormai da settanta anni. Come poteva lui infrangere i loro sogni, le loro speranze? Semplicemente, non se lo meritavano: né i bambini, né Olive, né tantomeno Jake la cui unica colpa era quella di aver amato il suo defunto nonno così tanto da volersi addentrare nel loro mondo, anche a costo di scoprirne aspetti spiacevoli e pericolosi. Quando Enoch tornò alla realtà, Olive era ormai
sgusciata via dalla sua presa e aveva cominciato a correre.
«Scappa, principessa, non farti prendere!»,
urlarono Claire e Bronwyn sbracciandosi.
Enoch si sentì improvvisamente tornare bambino mentre
scattava in avanti e cominciava a rincorrere Olive, incespicando con le
scarpe nella sabbia.
Quello fu uno dei momenti più belli della sua vita, era
certo che non lo avrebbe mai dimenticato.
***
Il sole di mezzogiorno spiccava alto nel cielo riscaldando la spiaggia.
Enoch correva ancora, i piedi gli facevano male e forse qualche
granello di sabbia gli era entrato negli occhi. Olive
correva un metro avanti a lui, con i capelli e il
vestito che svolazzavano ad ogni passo; correva e rideva, e la sua risata cristallina risuonava nella calma circostante. A Enoch sembrava di averla rincorsa
per tutta la spiaggia, era stanco morto e accaldato ma inspiegabilmente felice.
Lanciandosi con le braccia tese in avanti, riuscì finalmente
ad acchiapparla e caddero insieme rotolando l’uno
sull’altro.
Enoch poggiò i gomiti sulla sabbia e si sollevò
di poco, quanto bastava per non schiacciare Olive stesa sotto di lui e
allo stesso tempo rimanerle abbastanza vicino da poterla guardare
attentamente in volto. Si accorse che gli occhi di lei brillavano di un
verde lucente, che le labbra erano piegate in un sorriso dolcissimo e
un tenue rossore si era impossessato delle sue guance. O forse era solo
una sua impressione?
Enoch sorrise a sua volta. «Ti ho preso, ora sei mia».
Olive sbatté le palpebre, imbarazzata. «Eh?».
«I-Il gioco, mi riferivo al gioco!», si
affrettò a precisare, rendendosi conto che le sue parole dovevano essere suonate parecchio equivoche.
La ragazza si lasciò sfuggire un “Oh”
accompagnato da un’altra risatina sommessa.
«Grazie, Enoch. È stato... divertente».
«Sei ancora arrabbiata con me?».
Olive lo fissò in silenzio per qualche secondo,
poi sospirò. «Non riesco a rimanere arrabbiata con
te, lo sai».
«Quindi siamo ancora amici?».
«Sì».
Era la risposta che voleva, eppure Enoch non si sentiva totalmente
soddisfatto. Era come se mancasse ancora qualcosa, come se la
parola “amici” non esprimesse a pieno quello che
sentiva per lei. Scrutò il viso di Olive, così vicino al suo, alla ricerca di qualche indizio utile, ma
sfortunatamente non vi scorse nulla che fosse abbastanza chiaro
da poter essere espresso a parole.
«Sei tutta piena di sabbia», fu l’unica
cosa che trovò da dire, mentre le toglieva qualche granello
impigliato tra i capelli.
«Anche tu», rispose Olive, come se avesse capito
che dietro quelle parole banali, dietro quel semplice gesto di pulirle
i capelli, si nascondesse altro. Come se lei condividesse i suoi stessi
pensieri, i suoi stessi dubbi, le sue stesse emozioni.
All’improvviso arrivarono da lontano due voci divertite.
«Incredibile! La principessa non vuole più essere
salvata!»
«Sì! Altro che principe azzurro... a lei piace il drago!».
«HUGH! MILLARD!».
Rossa come un peperone, Olive scivolò via esclamando che a lei non piaceva proprio nessuno,
che il gioco era finito e Miss Peregrine li stava certamente aspettando per il pranzo.
Quel giorno Enoch imparò tre cose.
Primo: le passeggiate potevano rivelarsi piuttosto piacevoli, se
trascorse in buona
compagnia. Secondo:
toccare Olive
non era un male, lo avrebbe fatto molto più spesso
– una carezza, un abbraccio o... chissà.
Terzo: sia Olive che i bambini lo apprezzavano così
com’era, un orgoglioso, impulsivo, burbero drago cattivo. A
patto che ogni tanto si desse una regolata, si intende.
1 Nel film Fiona assiste alla scena in cui Enoch propone a
Jake di conoscere Victor, il fratello morto di Bronwyn. A quest'ultima
dà fastidio quando Enoch usa il suo potere per svegliare
Victor.
Ci tengo a
ringraziare infinitamente CatherineEarnshaw
per la bellissima recensione e believeher
per aver inserito questa storia nelle preferite! ♥
Spero che il capitolo vi sia piaciuto e scusate se mi sono dilungata,
mi stavo divertendo parecchio a scriverlo... :D
Commenti e consigli sono più che graditi, ovviamente.
Al prossimo capitolo!
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