Ed
eccomi a voi, con immenso ritardo! Mi dispiace di aver fatto
aspettare più di un anno questo capitolo (è
davvero passato così
tanto tempo?!), chiedo scusa a tutti quelli che avessero letto il
primo capitolo e si attendessero una prosecuzione più
veloce,
pensare che dovrei sapere bene cosa si prova da lettori, quando
l'autore non aggiorna per molto tempo la mia fanfiction preferita!
Per questo motivo non ho neppure iniziato a leggere Martin, fino a
quando non concluderà l'opera, spero tanto che non la lasci
incompiuta! :'(
Chiedo
scusa davvero, ma voglio tranquillizzare in un qualche modo: le idee
per la storia non sono mai venute meno, anzi, mentre preparavo gli
esami continuavo a pensare a tantissime cose da aggiungere o
togliere, fino a quando mi sono sentita soddisfatta di quanto
andrò
a scrivere, sperando che possa piacere anche a voi! :D
Ringrazio
ancora la solerzia con cui Thurin mi supporta sempre, sia in League
of Legends sia nella vita, ed i gentili recensori che hanno lasciato
un commento a questa storia: Davos e SideshowEMS, grazie ancora per
il vostro sostegno e scusate se vi ho fatto attendere! :P
La
fanfiction la sto pubblicando anche sul forum di League of Legends,
il mio nickname è AngryPh03n1x, se volete andate pure a
darci
un'occhiata anche lì! :D
Se
riuscirò a portare a compimento questa storia, probabilmente
inizierò ad indagare con altri racconti le avventure dei
Campioni a
Valoran, spero che la pigrizia non prenda il sopravvento su di me! :P
Buona
lettura!
Capitolo
2 – Sussurri nelle ombre
Le Isole Ombra.
Non vi era nulla che
suscitasse
in lei più gelido disprezzo di quegli ammassi galleggianti.
Dalle
spiagge grigie, alle terre crepate e popolate da vermi, alle foreste
nere e ripiegate su stesse come insetti moribondi, fino alle
costruzioni in rovina che a stento pigolavano l'eco della
civiltà di
cui piangevano la scomparsa. Tutto aveva perso quel soffio vitale con
cui lei amava dilettarsi nei suoi giorni a Noxus.
Rammentava gli anni in
cui
studiava sui tomi della Biblioteca Centrale un arcipelago baciato
dagli Dei, su cui i raggi caldi del sole tramontavano solo per far
sorgere quelli gentili di una luna immensa, mai calante, per volere
dei maghi del regno che avevano creato un sortilegio che la mostrasse
sempre fiorita o crescente. Quel gesto scaramantico non aveva
impedito l'ineluttabile destino cercato dalla cupidigia umana: tutto
era immobile, sepolto sotto una nebbia soffocante. Molti esseri
deformi vegliavano sui morti. I loro assassini erano i custodi
più
solerti.
Leblanc scese
dall'imbarcazione e
levitò sopra la terra ed i boschi dell'isola più
grande di tutte. I
suoi occhi cercavano una creatura maledetta, ma ben presto
s'accorsero di una presenza straordinaria: qualcosa di pulsante ed
ansimante si muoveva sotto fronde di rami rugosi come mani di
streghe. Una persona in fuga. La donna s'insinuò fra le
fitte maglie
della foresta per ammirare quello spettacolo: un mantello bianco ed
una lunga gonna si dibattevano fra cespugli di rovi a cui erano
rimasti impigliati. Dai lembi strappati si scorgevano gambe pallide
di ragazza, il cui volto s'intravedeva appena nella penombra del
cappuccio, ma l'espressione era sufficiente a capire molte cose:
disperazione e terrore. Scendeva un rigagnolo dall'occhio pesto che
scivolava sulla guancia paonazza e precipitava dal mento rotondo, i
suoi singhiozzi increspavano le labbra piene come avrebbero fatto con
il visetto paffuto di un bambino. Non doveva avere più di
sedici
anni e già lottava per la propria vita. Le
camminò vicino, ma la
giovane era ancora concentrata sulle vesti: i ramoscelli
strattonavano il tessuto, l'Ingannatrice non dubitava che dietro a
quella tenacia vi fosse l'opera di qualche spettro.
«Guarda un
po' cosa c'è qui»
Sobbalzò lontano da lei. Un grido strozzato sparì
nell'aria densa,
quasi fosse provenuto da una distanza lunghissima.
«Statemi
lontano!» Rise di
gusto.
«Avete
così tanto desiderio di
morire?» La ragazzina si fermò, paralizzata dalla
sorpresa. Smise
perfino di respirare.
«Ma chi
siete?!» Vide
all'orizzonte addensarsi un mare di foschia che trangugiava ogni cosa
nella sua avanzata. Il silenzio innaturale del bosco si
riempì di
sibili. Non c'era più tempo a disposizione.
«Volete
vivere?» Le porse una
mano mentre il banco inondava un altro pezzo di foresta, a pochi
passi da loro. Anche la ragazza sentiva il terrore lambirle la
schiena, con la coda dell'occhio dovette notare alcuni fiotti candidi
trasformarsi in braccia scheletriche. Tentavano di afferrarle le
vesti improvvisamente libere dalla morsa delle spine, afflosciate sul
terreno come paglia secca.
«Sì!»
Eruppe afferrandole la
mano in uno slancio che la spinse fra le braccia dell'Ingannatrice.
Ella non cedette al peso, mentre la nebbia le circondò in un
mulinello di scheletri, levò il bastone sopra il capo. La
gemma
viola sulla sommità rifulse di luce.
«Sparite»
La sentenza echeggiò
sull'orda di spiriti insieme ad un vento feroce, si sollevava dalla
gemma e spaziava attorno alla sua padrona ed alla ragazzina. Le
avviluppò in una stretta sorda, s'avvertiva solo il
rimbombare degli
ululati con cui la magia stava spazzando via le tenebre bianche. Quel
poco che restò, si dissolse nella polvere del terreno. Tutto
tornò
muto ed immobile.
Il fagotto nascosto
fra le pieghe
del suo mantello ebbe un fremito: dall'incavo della spalla finalmente
sbucarono gli occhi e la bocca spalancati della fanciulla. Il cuore
scalpitante si era placato accanto al battito calmo della donna, il
viso umido era l'ultima traccia di singhiozzi e ansimi. Si guardava
attorno rapita dal panorama che tanto l'aveva spaventata, con
circospezione, tastò i rovi che erano stati spessi come
pietra,
piegarsi docili al suo tocco. Respirò a fondo l'aria
alleggerita
dalla presenza degli spettri, quel nuovo fiato accese una luce vivida
negli occhi rivolti verso Leblanc, rivelavano persino un barlume di
speranza. Supplicava con le labbra tese:
«Vi prego
mia Signora,
aiutatemi! Vi scongiuro seguitemi!»
«Perché
dovrei?» La ragazza
sussultò, ma non perse vigore nella voce.
«Vi prego
dobbiamo salvare mio
padre! Vi supplico... aiutatemi!» La donna restò
ferma per alcuni
istanti. Ascoltava quella voce chiara raggiungere vette di angoscia e
franare violenta su di lei, con mani piccole ed affusolate ad
artigliarle le braccia in un disperato tentativo di piegarla al suo
volere. Leblanc era assorta nei suoi pensieri, stava scorgendo una
verità oltre un'altra nebbia, come una figura che emergesse
dall'oscurità, dai lineamenti ancora celati.
La sua immaginazione
divenne
improvvisamente realtà: da un gruppo di alberi velati da una
normale
foschia, affiorò una persona ansimante avvolta in un ampio
mantello
nero. La bambina si avvinghiò nuovamente a lei ed
altrettanto
rapidamente corse contro il nuovo arrivato, il suo respiro a lei
riconoscibile.
«Padre! Oh
Dei vi ringrazio!»
Leblanc sorrise mentre li vedeva prima abbracciarsi e poi
raggiungerla. L'uomo zoppicava e si cingeva con le mani il fianco
sinistro, dove la camicia era macchiata di sangue fresco. Una ferita
inferta da un potente attacco velenoso, la maga dovette usare un
incantesimo di difficile esecuzione per rimarginare il taglio
profondo. Si prese cura anche delle altre escoriazioni disseminate
sul petto scoperto dal tessuto strappato e ben visibili sul volto
sbarbato dell'uomo, tuttavia non erano così gravi da
suscitare
preoccupazioni. Mano a mano che la magia dissipava il dolore, l'uomo
riprendeva colore ed il respiro si acquietava, persino i suoi occhi
si riempivano di vita; tuttavia Leblanc non poteva alcunché
contro i
segni di una stregoneria più potente di qualsiasi ella
potesse
apprendere: una persona amata che aveva condotto Sieur Dupont e
Yolande, questi erano i nomi dei due parenti, verso l'arcipelago.
Leblanc aveva chiesto
una
spiegazione come pagamento. Nella pelle esangue dell'uomo balenavano
le forme di muscoli ormai privi di allenamento, mentre narrava la sua
storia: dopo la morte della madre di Yolande, aveva incontrato una
fanciulla di una bellezza straordinaria e se n'era innamorato
perdutamente, ancora nel suo sguardo s'intravedeva un lampo di
passione mentre descriveva l'incarnato perlaceo e gli occhi scuri
sotto ciglia lunghissime. Diceva d'essere la sacerdotessa di un
ordine dedicato ad un Dio dimenticato, tale Vilemaw, e lui l'aveva
seguita in quei luoghi per ottenere l'agognata benedizione della
divinità e convolare a nozze.
«Elise era
tremenda padre! Una
donna orribile!»
«Perché
dici questo tesoro?!»
L'uomo scrutava stupito la figlia mentre replicava particolari che
giungevano da un'altra storia, di cui lui e la sua intrepida passione
non facevano parte e perciò i suoi pensieri capitolavano
precipitosamente nella realtà, nel volto e nei suoi
movimenti, da
aperta meraviglia a dolore stritolante.
«Ti chiedeva
sempre soldi e
regali, girava per casa con decine di gioielli mentre licenziavi
tutta la servitù! Hai mandato via anche Tata Marie, piangevo
in
continuazione! Quando presi il coraggio per parlarti, quella donna
orribile ti portò via dalla villa e tornaste dopo due
giorni, mi
lasciaste da sola come se fossi un animale!» I suoi occhi
s'inumidivano su quegli sprazzi di memoria, le parole scorrevano
veloci sulla lingua mai stanca e sempre pronta a rincarare con altri
spiacevoli dettagli: le velate minacce di Elise, i rimproveri del
padre per la sua mancanza di rispetto e la dimora di famiglia
giacente nell'incuria.
Quel fiume in piena
frenò solo
contro l'abbraccio ed i baci sulla chioma bionda con cui Sieur Dupont
parve risvegliarla da quell'incubo, insieme a sussurri di perdono e
rabbia per la sua cecità. Le loro sofferenze si unirono:
piangevano, ma questa volta era lei a rasserenare il padre, a
chiedergli perdono per la sua durezza, l'espressione stanca era
illuminata da una gioia ritrovata. A quel punto anche le
preoccupazioni dell'uomo caddero e semplicemente prese a cullare
Yolande fra le sue braccia, fino a quando la stanchezza prese il
sopravvento sulla giovane e, sorridendo, si addormentò.
«Povera la
mia bambina! Quanta
fatica ha dovuto sopportare!»
«Sì,
sono cose che capitano»
Fino a quell'istante, Leblanc era rimasta ad ascoltare in silenzio,
quasi volesse lasciare un briciolo d'intimità ai due, poi si
era
riavvicinata.
«Forza,
dobbiamo andare» Alle
sue spalle, tra i cespugli, giunse un rumore e si girò di
scatto, ma
non vide nulla.
«Aspettate
un attimo lasciatemi
dire una cosa!» Con urgenza, Sieur Dupont affidò
Yolande fra le
braccia di Leblanc: non pesava granché, riusciva a tenerla
senza
difficoltà.
«Sono stato
un pessimo padre per
Yolande, dopo la morte di Maia ero distrutto e l'ho ignorata per
mesi... Il suo viso me la ricordava costantemente...» Un
vento
improvviso tirò in alto il mantello dell'uomo, sembrava
dovesse
esserne inghiottito. I rumori tornarono dietro di lei, si volse
ancora ma non scorse nessuno.
«La mia
bambina ha sofferto
troppo, abbiate pietà di lei!» Questa volta
udì chiaramente dei
passi, ma davanti a loro. Un ticchettio inconfondibile, non solo per
le sue orecchie. Sieur Dupont aveva gli occhi lucidi mentre
all'orizzonte appariva una sottile figura nera. Il suo corpo si
alzò
col vento e quando Elise li raggiunse, si dissolse nell'aria insieme
al mantello.
«Uno dei
vostri incantesimi
Ingannatrice? Mi sorprendete» Gambe di ragno ed artigli
sanguinolenti su mani pece. Questo era Elise e nulla più.
Un tempo, Leblanc
aveva
immaginato un futuro diverso per quella donna: gli occhi neri avevano
covato ambizione, persino la trasformazione non avevano cancellato il
suo sorriso lezioso e l'elegante andatura con la quale scivolava come
acqua su tela. Con interesse l'aveva scrutata al loro primo incontro,
saggiando quell'apparenza di bellezza ed avarizia, fino a sentire
l'inquieto battito del desiderio: “la forza sopra
ogni cosa”,
il motto supremo a Noxus.
Una delle tante
scommesse che
aveva perso.
«Quindi hai
seguito il mio
consiglio» Il sorriso di Elise mostrò affilate
zanne bianche e
s'inchinò dinnanzi a Leblanc, gli arti inferiori come spilli
puntati
sul terreno.
«Tutto
è andato secondo i
vostri piani: la donna uccisa da Vladimir ha lasciato l'uomo
completamente in mio potere... La sua vita ha soddisfatto
Vilemaw!»
La risata vibrò lenta, gli occhi scuri iniettati di rosso
sangue.
«Grazie per
aver catturato la
bambina, la sua magia rinvigorirà molto il mio
Signore!» La nuova
natura di Elise le aveva donato uno scatto animale, ma la maga
conosceva bene le sue capacità. L'aria sfrecciò
fredda su di lei
mentre si librava lontano dalla presa della creatura che si stringeva
nel vuoto. Brividi percorsero la sua pelle nuda ed il cuore le
batteva all'impazzata per via dell'adrenalina. Ora la fissava
dall'alto di un albero con gli occhi ricolmi d'eccitazione: avrebbe
testato volentieri la sua magia contro la mutaforma, tuttavia non
tutti i suoi desideri potevano essere esauditi.
Dal basso, Elise era
piegata in
una posa che lasciava presagire un altro movimento repentino, ma la
figura si tendeva ansimante, senza dare segni di slancio. Lo stupore
nei suoi occhi rossastri era smorzato dalla bocca digrignata.
«Cosa state
facendo?!» Per
tutta risposta, Leblanc si sedette su un ramo robusto,
appoggiò
Yolande sulle gambe, mantenendo alta la staffa brillante di luce con
la mano sinistra.
«Oh? Ti sei
dimenticata
l'accordo?» La voce era volutamente stucchevole, talmente
tanto che
l'aria gelò di colpo. Elise la fissava ridendo, sebbene
tutto in lei
fosse rigido ed avesse smesso di ondeggiare al ritmo del respiro.
«Certo
ricordo, ma ho bisogno di
lei» indicò la fanciulla fra le sue braccia
«per portare a
compimento il tutto».
«Avevi
bisogno di un'ultima
vittima» Leblanc afferrò un lembo rimasto fra le
mani chiuse di
Yolande: era nero e macchiato di sangue rappreso «l'hai
avuta».
Lasciò che il tessuto galleggiasse, fino a quando si
sbriciolò nel
nulla.
«Sono stata
anche troppo
paziente».
«Lo so
Ingannatrice, vi ho fatto
attendere mesi, ma lasciate che prenda la bambina...» Tremava
sebbene il freddo non potesse scalfirla, come se qualcosa dentro di
lei le impedisse un pieno controllo di sé.
«Lui
è impaziente di averla...»
Gli occhi di Leblanc si aprirono maligni.
«Rispetta la
tua parte
dell'accordo ed avrai altro sangue nobile per il tuo Dio» La
furia
di Elise fece posto ad un'espressione assorta. Sembrava catturata da
un richiamo lontano, della cui natura Leblanc non dubitava: il legame
che la univa a Vilemaw era molto potente soprattutto sulle Isole
Ombra, sapeva che la vicinanza all'essere si manifestava tramite una
sorta di collegamento nei pensieri, come dei sussurri all'orecchio.
La maga immaginò che stessero discutendo se ucciderla o meno
ed il
solo pensiero la fece sorridere divertita.
La giovane fra le sue
braccia
ebbe un sussulto, mormorava il nome del padre. Leblanc scese con lo
sguardo ad osservare quell'espressione beata: occhi chiusi,
incorniciati da ciglia luminose per via delle lacrime; la guancia ora
chiara si mosse appoggiandosi al suo petto, calda e morbida,
così
come il resto del suo corpo ancora pulsante di vita. Emilia volse lo
sguardo più in basso, verso il terreno dove prima stava
l'immagine
di Sieur Dupont, creata con i ricordi che aveva estrapolato dalla
mente di Yolande e dalla sua magia. Ripensò alle suppliche,
a quegli
occhi ricolmi di amore, un sentimento da lei non artefatto, ma vero e
disperato. Senza realmente vederla, fissò alla sua destra la
vastità
del bosco, oltre quel nero orizzonte vi era la barca con cui era
giunta all'arcipelago: una modesta scialuppa, abbastanza grande per
accogliere due persone.
«Avrete
quanto vi spetta e dopo
mi darete la ragazzina».
«Va
bene».
Elise teneva fra le
braccia
Yolande mentre Leblanc aveva appena riposto il sacchetto affidatole
dall'altra nella borsa attaccata alla cintola. Lo scambio era
avvenuto senza intoppi, l'Ingannatrice la lasciò
ricordandole che
l'avrebbe contattata per la prossima riunione della Rosa Nera, poi si
sollevò in volo. La nebbia che aveva scacciato cominciava a
ritornare nella foresta, imprigionandola sotto il suo manto di
spettri agonizzanti, sebbene non potessero competere con la potenza
della voce del suo Signore: riempiva la sua mente di un canto
profondo ed antico, catturava ogni membra del suo corpo al suo
volere, anche se una parte di lei rimaneva vigile e pensierosa.
Camminava tranquilla
verso la
tana del suo Dio, la nebbia si dipanava al suo passaggio
riconoscendola come una comune abitante di quelle terre e lei aveva
imparato ad apprezzare quel mondo e quegli esseri che vagavano
perennemente nell'oscurità. Era un ponte fra due mondi
separati da
un confine impalpabile, di cui lei confondeva spesso e volentieri il
tracciato, portando la vita alla sua condanna eterna, saziando per un
po' i fantasmi nell'attesa della prossima Mietitura e porgendo al suo
Signore le vittime sacrificali più appetitose per la sua
magia.
Liberò la
manica della bambina
impigliatasi in un rovo e per un istante si soffermò su quel
volto
su cui sbocciava un sorriso; l'Ingannatrice l'aveva illusa facendo
apparire il padre, poi l'aveva addormentata poco prima del suo
arrivo, nello spiazzo di rovi in cui si trovavano. Quel pensiero la
martellava mentre percorreva il sentiero fra alberi sempre
più radi:
una premura di cui non capiva la necessità.
Si volse di scatto
indietro,
scrutando la foresta, muta ed immobile: la nebbia non poteva
nascondere nulla ai suoi occhi corrotti, eppure non scorse niente di
particolare. Ritornò sui suoi passi, i nervi a fior di
pelle:
giurava di aver udito un rovo calpestato da qualcuno.
***
La spiaggia grigia era
deserta,
non che fosse solitamente popolata da spettri desiderosi di
rivederlo, ma qualcosa guastava l'atmosfera al punto tale che Lucian
trattenne un sospiro nervoso. Scese dalla barca annusando l'aria
umida ma libera da quella sensazione di oppressione a lui familiare,
per le lunghe frequentazioni che lui e la sua signora avevano avviato
decine d'anni prima, quando si erano decisi che intraprendere la
carriera dei genitori fosse una brillante idea. Non c'era nebbia, non
c'erano tracce di non-morti sul terreno, né di animali
maledetti.
Nessun comitato di benvenuto.
«Qualcuno mi
avrà rubato il
lavoro» La battuta lo rese ancor più teso,
indeciso se ritenerla un
segno positivo. Proseguì al limitare della gigantesca
foresta
davanti a lui, seguì il confine degli alberi per una dozzina
di
metri, aspettandosi di scorgere, da un momento all'altro, qualche
creatura demoniaca intenta a sussurrare maledizioni contro di lui.
Nulla di tutto questo.
Stava iniziando a
spaventarsi,
quando un urlo lontanissimo, di donna, riportò tutto alla
normalità.
«Detesto le
sorprese» Sbuffò
cominciando a correre.
Il vento freddo
schiaffeggiava il
suo viso e congelava i suoi polmoni, i piedi percorrevano un sentiero
aperto da uno degli amuleti appesi al collo, che aveva il potere di
districare il fitto nugolo di rami e rovi davanti al suo passaggio.
Cercava di ricordare la provenienza del grido, angolava la corsa
verso quella direzione, ma più credeva di avvicinarsi,
più il bosco
si ribellava e si apriva su vicoli ciechi, come se il suono fosse
stato la trappola architettata da qualcuno. Lucian sapeva che non
poteva essere così, la mancanza dei non-morti sulle coste
poteva
significare solo una cosa: una preda più succulenta della
sua
pellaccia dura a morire.
Si fermò di
scatto in mezzo ad
uno spiazzo brullo. Si diresse piano verso una serie di alberi con le
gambe appesantite da fitte di stanchezza, il respiro evaporava
davanti al suo sguardo concentrato. Giurava di aver visto qualcosa al
di là dei rami...
Una botta allo stomaco
lo
travolse improvvisamente in una girandola di eventi: una donna si
scontrò con lui, ebbe giusto il tempo d'intravedere un
bozzolo
bianco fra le sue braccia, prima di cadere sulla terra dura.
Annaspò,
un dolore lancinante gli attraversò la schiena. Con molta
fatica, i
suoi occhi misero a fuoco il volto affilato sopra: i suoi lunghi
capelli neri gli solleticavano il mento ed il naso.
«Ma
cosa...» Alcune ciocche gli
finirono in bocca e sputò incapace di proseguire. La donna
si
mordeva le labbra, sospettò che dietro gli occhiali da sole
ci
fossero due occhi stretti dal dolore. Gemette muovendosi ed
inavvertitamente pungolò lo sterno con il suo gomito,
togliendogli
per l'ennesima volta il fiato.
Ad un certo punto,
capì che
avesse riaperto gli occhi.
«Oh
cazzo!» Si alzò in fretta,
però la forza l'abbandonò quasi subito e cadde in
ginocchio. Sangue
fresco macchiava il bozzolo che teneva abbracciato, ma non fu questo
a preoccuparlo.
«Lucian!»
«Shauna?!»
Non poteva essere.
Non poteva essere!
Si alzò in
piedi anche lui,
stava per dire qualcos'altro, tuttavia non ne ebbe il tempo: un
brivido spiacevole gravò ancora di più sulla sua
schiena e la
sensazione di un pericolo dietro di sé lo spinse a girarsi,
scattando vicino a Shauna. Dove c'erano le sue gambe, ora due
tenaglie attaccate al muso di un ragno mostruoso fendevano il vuoto.
«Merda!»
Era enorme, un
disgustoso animale nero con il dorso attraversato da grandi linee
rosse, le estremità delle fauci vibravano provocando un
suono
stridulo. Assottigliò gli occhi in preda al fastidio ed
estrasse
dalle fondine le pistole, che s'illuminarono sulle canne.
«Detesto davvero
le
sorprese».
«Attento
sputa veleno!» L'aveva
intuito, ma non era diretto contro di lui. Fece appena in tempo ad
afferrare Shauna e correre, prima che il balzo del ragno giungesse su
di loro. Il sangue gli martellava nelle tempie, frenò solo
quando
arrivarono dietro un albero dal tronco largo, ad una ventina di metri
di distanza. Espirò rumorosamente, lasciando la donna a
terra, la
fronte bagnata di sudore.
«Presto
dimmi qualcos'altro!»
«E' una
mutaforma, può lanciare
magie da umana!»
«Fantastico!»
Lucian staccò un
amuleto dal polso mentre osservava la creatura: stava zampettando
verso di loro molto velocemente, troppo velocemente!
«Prendilo e
dì: Occultus!»
«Occultus!»
La donna sparì nel
nulla e Lucian scattò contro il ragno, pregando che Shauna
fuggisse.
«A noi due
bestione!» Unì le
pistole davanti a lui scaricando un fascio di luce contro l'essere.
Colpì in pieno la creatura: dal dorso schizzò un
fiotto di sangue
nerastro. Il verso stridulo che seguì lo assordò,
ma riuscì lo
stesso a scansare un altro getto di veleno.
«Maledizione!»
La corteccia
colpita al suo posto sfrigolava e la testa gli girava. Il ragno
scattò indietro, come se non si aspettasse una potenza del
genere
dalle sue armi. Lucian sparò una serie di proiettili verso
l'animale
muovendosi più rapidamente che poteva, ma stava perdendo
l'equilibrio per via dello stridio. Nel frattempo, il mostro si era
levato in aria con un filo e guizzava via da ogni dardo di luce,
girava intorno a lui di ramo in ramo, il mal di testa stava
peggiorando.
«Per l'amor
del cielo stai
fermo!» Esclamò, un moto di nausea gli ghermiva lo
stomaco, ma la
creatura continuava a saltare da una parte all'altra, sembrava quasi
ridere di lui. Molti rami precipitavano mentre cercava di
bersagliarla, pezzi di corteccia schizzavano alti insieme ai rumori
del legno spezzato. Con orrore, udì dei sibili ovattati
aggiungersi
al frastuono dei colpi e gli occhi notarono la nebbia che via via
imbiancava l'orizzonte della foresta.
Si stava prendendo
gioco di lui
nell'attesa degli spettri.
S'accorse in ritardo
dello sputo,
ma lo evitò: vide con precisione il liquido vischioso ed
arancione a
pochi centimetri dal suo volto, poi come prima, una botta improvvisa
lo sbalzò via, questa volta contro un albero.
«Merda
Lucian! Non distrarti!»
«Cosa ci fai
ancora qui?!» La
spalla gli doleva, ma non era per questo che sentiva la furia
crescergli all'altezza della gola. Ebbe il tempo di scorgere il ragno
fermo contro un albero, impalato da una freccia sull'addome, prima di
sentire l'aria fredda percuoterlo e la foresta correre accanto a lui.
«Ti salvo la
vita imbecille!»
Shauna lo teneva per un braccio, anche se non poteva vederla per via
dell'amuleto. Il medaglione al collo dell'uomo brillava spalancando
loro la strada. Il sudore gli scivolava via dalla fronte in aria, il
fischio alle orecchie stava sparendo come la nausea.
«Ti ho dato
l'amuleto per
scappare, non per farti ammazzare!»
«Allora sei davvero
imbecille!
Se
volevi suicidarti bastava che lo dicessi!»
«Non
capisci!» Lo sguardo di
Lucian era infuocato. Le grida dei fantasmi erano alle loro spalle,
tuttavia fiotti di foschia stavano cominciando a raggiungerli
pericolosamente.
«Volevo
trattenerlo, devi
assolutamente prendere un antidoto o morirai!»
«Io non ti
lascio in balia di
quel mostro!» Avrebbe voluto urlargli che allora sarebbero
morti
entrambi.
Un fulmine di dolore
lo fece
urlare. Una zampa nera e pelosa trapassava la schiena e perforava la
pancia. Il calore del sangue gli annebbiò la vista.
Inciampò ed il
polso sgusciò via dalla presa di Shauna.
«Lucian!»
Lo strillo arrivò
debole e confuso. Sentiva l'oscurità salirgli alla testa,
quasi non
vide le mani nere che gli arpionarono le spalle e lo sbatterono
supino. Gemette, sentiva la schiena a pezzi, la nausea ritornare
notando la ferita e le vesti nere scurite dal sangue. Non voleva
soffermarsi sulla faccia che lo fissava dall'alto: vide come macchie
gli occhi e la bocca rossi sul viso di un bianco cadaverico, lei
spalancò le labbra mostrando una fila di zanne grondanti
veleno.
Avrebbe vomitato se il dolore dei suoi artigli rossi sul collo non lo
avesse strozzato. Riconosceva l'eccitazione negli ansimi che
rimpicciolivano gli occhi iniettati.
«Preparati a
morire!» La bocca
scese a mordere la gola.
To
be continued
Next:
Capitolo 3 - Quiete
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