flowers in your hair.

di fannyswriting
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prologo.

Adam Parrish amava l’alba.
A volte dimenticava quanti anni avesse passato ad alzarsi a quell’ora per completare un lavoro o, nei casi più fortunati, per disegnare di nascosto prima di andare a scuola.
La verità era che Adam non voleva dimenticare — la memoria, insieme al suo diploma e al suo misero monolocale, era tutto quel che aveva e tutto quel che lo rendeva se stesso. Apparentemente, però, rimuovere i dettagli di un periodo traumatico e ricordarne a malapena i contorni sfocati era un meccanismo relativamente comune, per la mente umana.
Bella merda. Tutta la sua vita era stata traumatica, e tutta la sua vita era un ricordo traballante. Talvolta Adam non sapeva dire se esistesse per davvero.
Non sotto la luce dell’alba, però. L’alba era l’inizio di una nuova giornata di lavoro — suo, suo, suo, il suo lavoro, scelto da lui, era suo, se l’era meritato —, e tanto bastava a renderla importante.
Sentì il cellulare vibrare mentre fissava la finestra, seduto a lato del suo lettino di legno antico, e sospirò lievemente. Era Blue, di nuovo.
« Sto aspettando delle scuse per ieri sera. Non hai più quindici anni, Adam, non ti puoi permettere di riversare su di me le tue pare. »
Ovviamente, aveva ragione lei. Negli anni Adam aveva imparato relativamente bene a gestire l’insieme scombinato di emozioni che suo padre gli aveva lasciato. Buona parte di questo processo aveva implicato andare via di casa, cercare lavoro dopo il diploma, ripartire. Un’altra buona parte aveva richiesto tante camminate nelle foreste, da solo a pensare. Avrebbe voluto pagarsi un terapeuta, ma la paga dell’apprendistato bastava per l’affitto e le spese, così aveva visto dei professionisti nei consultori gratuiti, qualche volta.
In ogni caso — giunto a vent’anni era quasi certo di sapersi gestire, un po’. Restava il fatto che un po’ non equivaleva a sempre, e troppo spesso sbagliare equivaleva a prendersela con Blue senza un vero motivo. Adam scosse la testa.
Le avrebbe offerto una scusa ed una spiegazione. E magari un mazzo di fiori.

« Parrish? »
Adam si girò di scatto, già sulla soglia del negozio. Poco distante, la campana della chiesa di Henrietta batteva otto rintocchi — l’orario della fine del turno.
« Sì? »
Era soddisfatto del suo datore di lavoro. Roger Malory era una brava persona — logorroico forse, ma onesto. Ci aveva messo un po’ a trovare uno studio che lo convincesse come qualità e che non offrisse paghe infime agli apprendisti. Blue, anche quando erano ancora solo amici, si era presa gioco di lui ridendo del suo perfezionismo, ma Adam sapeva che lo apprezzava e che guardava al suo percorso lavorativo con orgoglio. Non era certo di saper mostrare quanto questo fosse importante.
« Da domani inizi coi tatuaggi. »
Adam rimase immobile. « Non sono ancora a tre anni di lavoro », obiettò a voce bassa. Le regole della Virginia, e in generale della maggior parte degli Stati Uniti, erano semplici: per i primi anni si imparava, si osservava, si creavano disegni sulla frutta, ma non si lavorava sui clienti. Tecnicamente sapeva che tre anni non erano necessari per gli apprendisti più dotati, di fatto dotato equivaleva al concetto di valere qualcosa e non era un concetto che risuonava bene con l’esistenza di Adam Parrish.
Malory roteò gli occhi. « Vai a casa, ragazzo. E preparati. »
Adam annuì e obbedì.

Poco distante, un ragazzo dalla testa rasata camminava nella luce del sole morente verso casa, allontanandosi passo dopo passo da un piccolo negozietto verde acqua.
Ad Adam parve di sentir gracchiare un corvo in lontananza. 





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