Questa
storia partecipa al contest La
tua carta dei Tarocchi indetto da Ynis sul forum di
EFP.
{Di
equilibri precari e altri dolori.}
Il
Bene e il Male sono i due sproni del mondo, e lo tengono in
carreggiata. Se pungesse soltanto il Male, il mondo perderebbe
l’equilibrio e cadrebbe tutto da una parte. E così
viceversa del
Bene.
(Carlo
Bini)
La grande festa
Hayili
stava ridendo in un modo che forse non si confaceva all'Imperatrice,
ma non se ne curava.
Quella
era la festa prima della guerra, ed un sovrano che non era in grado
di rincuorare e rallegrare lo spirito dei propri sudditi non poteva
essere definito tale.
Si
aggirava nella sala grande tra le lunghe tavolate che accoglievano i
suoi generali e consiglieri con le famiglie. Non era un caso che in
quella sala ci fossero molte donne, anche con incarichi militari,
essendo una donna l'Imperatrice, e i bambini sembravano girarle
attorno come pulcini.
Si
fermava quasi ad ogni due posti per salutare, baciare, e fare
previsioni riguardo alla battaglia imminente.
Dopo
la cena avrebbe partecipato alla parata in città, per
coinvolgere il
popolo e l'esercito che, per ragioni di spazio, non aveva potuto
partecipare alla cena.
«Non
hai ancora vinto la battaglia.» una voce interruppe il suo
giro di
saluti e convenevoli, e una presa ferrea la strattonò verso
una
delle colonne che torreggiavano alle pareti del salone. La sua
scomparsa non venne quasi notata, dal momento che stavano entrando i
circensi per intrattenere gli ospiti prima del dessert. Aveva fatto
le cose in grande per portare gioia a chiunque incrociasse il suo
sguardo, per far capire che non avrebbe lasciato il suo regno a
nessuno.
«Neanche
la guerra, se è per questo.» rispose, voltandosi a
guardare la
Prima Sacerdotessa negli occhi. Le poggiò una mano sulla
guancia e
sorrise, mentre la donna arrossì.
«Sei
imprudente. E invadente.» si scansò, arricciando
le labbra in una
smorfia di disapprovazione. «Dovresti riposare, questa festa
è
inutile.» fece una pausa, l'Imperatrice aprì la
bocca per
ribattere, ma fu troppo lenta. «E poi, perché non
mandi i generali
a combattere? Non serve che vada anche tu.»
«Un
sovrano che non combatte per il proprio popolo non è degno
di essere
un sovrano, lo sai come la penso, Imi.»
Imineti,
la Prima Sacerdotessa, sbuffò e le puntò l'indice
al petto, mentre
il suono delle trombe riempivano la stanza insieme alle risate e agli
applausi. «Sei l'Imperatrice, te ne sei forse
dimenticata?»
Hayili
roteò gli occhi scuri al cielo e prese Imineti per mano,
portandola
fuori dalla grossa porta finestra e facendola appoggiare alla
ringhiera in pietra. Il balcone era spazioso, la notte iniziava a
raffreddare l'aria e le due donne erano completamente sole.
«Il mio
popolo ha bisogno di sapere che il sovrano morirebbe per
loro.»
«E
se succedesse davvero? Sei una donna, sola, senza figli. Chi ti
succederà?»
«È
un tuo dovere scegliere il mio erede, no? Ha sempre funzionato
così,
non cambierà. Se morirò in battaglia,
sarà perché le divinità
avranno deciso così.»
«Hai
troppa fiducia nelle divinità.» sbuffò
Imineti, appoggiandosi con
i gomiti alla ringhiera e sporgendosi leggermente in avanti.
Hayili
ridacchiò e le poggiò una mano sulla schiena,
avvicinandosi di più
a lei. «Te lo ricordi che sei la Prima
Sacerdotessa?» disse, con
tono canzonatorio. Per qualsiasi questione, Imineti era la persona
più seria che avesse mai conosciuto, avrebbe riposto ogni
decisione
importante nelle mani di Misik e Mizani, le divinità a cui
aveva
fatto voto, ma quando si parlava di Hayili diventava una semplice
ragazza innamorata, che cercava di preservare la vita della sua
amata.
«E
tu sei l'Imperatrice!»
«Io
sono Hayili, e tu sei Imineti, ora.» la rettificò,
prendendola per
i fianchi e costringendola a voltarsi. La guardò
intensamente negli
occhi chiari, il ghigno che spesso la accompagnava era mutato in una
smorfia seria, qualcosa che non le apparteneva. «Imperatrice
e
Sacerdotessa, quando siamo insieme, non esistono.»
Imineti
si mordicchiò l'interno della guancia, abbassò lo
sguardo e
sospirò. «Ma lo siamo. E se tu
morissi…»
«Non
morirò.» appoggiò la fronte contro la
sua, delicatamente.
«Ma
se dovessi morire… io non potrei più vivere,
senza di te.»
alzò gli occhi e sfiorò le sue labbra dolcemente.
Hayili
la strinse a sé, approfondì il bacio,
toccò la sua anima e le
accarezzò il cuore come solo lei sapeva fare, intensa come
un
acquazzone estivo e soffice come neve fresca.
«Sei
sempre così melodrammatica, sai? Mi alleno ogni giorno,
combatto
meglio di qualunque altro soldato del mio esercito, sono stata a capo
di innumerevoli battaglie vinte… cosa potrebbe andare storto
proprio questa volta? E poi, perché
dovrebbe andare storto?»
«Ho
una pessima sensazione.»
L'Imperatrice
Hayili si aprì in un leggero sorriso. «Come tutte
le altre volte.»
decise di porre fine a quel discorso, perché non sarebbe
finito bene
se avessero continuato. Attorniò le spalle di Imineti con un
braccio
e la portò ad appoggiarsi alla sua spalla, nella quiete
della
solitudine.
«Senti,
Hayili. Se dovesse farsi brutta… devi considerare la
ritirata. Non
voglio ricominciare il discorso, voglio solo che ci pensi.»
Hayili
inarcò un sopracciglio. «Che prometti
di pensarci, almeno.»
«Oggi
sei particolarmente testarda e di cattivo umore.» le fece
notare
l'Imperatrice, sbuffando. «Non si metterà male, ma
se succedesse, ci penserò.»
si staccò dalla Prima Sacerdotessa e si appoggiò
con i gomiti nudi
sul balcone in pietra scura. Il suo sguardo vagò sulla
città ai
suoi piedi, si intrufolò in ogni città, diede il
bacio della
buonanotte ai bambini, sorvolò le case e percorse i cunicoli
più
bui, fece visita nelle case delle prostitute, in quelle dei gendarmi,
negli orfanotrofi, e seguì la via della musica per tornare
nel suo
corpo. «Non posso permettermi di essere sconfitta. La
vittoria, Imi,
è l'unica cosa che conta. Distruggerò qualsiasi
cosa che si
frapporrà tra me ed essa ad ogni costo. Non ho paura di
sacrificare
la mia vita per la vittoria, purché il mio popolo sia
salvo.»
espirò e sembrò immediatamente più
rilassata. I pensieri da
guerriero la rendevano spesso un'altra persona, meno giocosa e vivace
di quando doveva semplicemente governare in tempo di pace.
«Pregherò
per te.»
«Lo
spero bene.» Hayili la guardò e sorrise, dandole
un bacio leggero a
fior di labbra. Poi sospirò, le baciò la fronte e
si allontanò.
«Raggio di sole, sta per iniziare la mia parata. Devo
andare.»
lesse la tristezza negli occhi della sua Imineti, ma la
attribuì
semplicemente alla separazione. Le pizzicò dolcemente una
guancia e
tornò all'interno della festa, indossando il più
grande sorriso che
avesse nel repertorio.
La battaglia
Hayili
si sentiva pesante.
Il
sangue che le colava dalla fronte le offuscava la vista dall'occhio
destro e iniziava ad accusare la fatica. Si passò
l'avambraccio sul
volto e prese un profondo respiro, forse per scacciare un po' di
quella stanchezza che sembrava chiamarla a terra a gran voce.
Tornò
in posizione eretta e le cadde la corona, scivolandole sui lunghi
capelli biondi, ormai spettinati.
La
spada le sfuggì di mano, tintinnò sulla sabbia e
si fermò, alzando
una leggera coltre di polvere.
Si
sentiva morire.
Ogni
fibra muscolare bruciava anche solo respirando, le ossa sembravano
scricchiolare come se avessero dovuto andare in frantumi.
Ma
erano le stesse inebrianti sensazioni che bramava di sentire ogni
volta che scendeva in battaglia, che sguainava la spada. Quella
volta, però, si sentiva troppo esausta per potersi rimettere
in
piedi come avrebbe dovuto.
Strizzò
gli occhi mentre cadeva in ginocchio, dopo tutta la fatica che aveva
fatto per rimettersi in piedi, e vide sfocata la figura di Imineti:
gli occhi tristi che la seguivano mentre se ne andava, le labbra
rosee inarcate in un sorriso incoraggiante, la sua schiena che si
allontanava. Vedere la sua donna appena prima di partire per una
guerra da cui non sapeva se sarebbe ritornata l'aveva ricaricata, le
aveva dato le energie sufficienti per affrontare i suoi nemici al
meglio.
Appoggiò
la fronte al terreno arido, espirò, il cuore le
bruciò per un
secondo e poi strinse il pugno e lo batté con forza,
serrando le
mascelle. Si mise in ginocchio, recuperò la propria corona e
tornò
in piedi, pur non sapendo dove trovare le energie.
Non
poteva, in nessun modo, in nessun caso, lasciare che la fatica la
fermasse: doveva proteggere il proprio popolo, doveva proteggere i
bambini, le donne, gli uomini, la sua
Imineti.
E
l'avrebbe fatto.
Impugnò
l'elsa della sua spada con la determinazione nel cuore,
espirò
profondamente e spalancò gli occhi, puntandoli davanti a
sé.
Un
uomo si stava avvicinando con passo pesante, la sua corazza
tintinnava come un sacchetto di monete preziose.
Hayili
lanciò un urlo e svuotò i polmoni di tutta l'aria
in eccesso, un
grido che riecheggiò sul campo di battaglia e
sembrò fermare il
tempo: i soldati si immobilizzarono sul proprio posto, la fissarono
sconvolti. Il portabandiera le si avvicinò tenendo lo
stendardo
alto, glielo porse. L'Imperatrice lo piantò al suo fianco,
con un
ringhio animalesco a grattarle la gola per uscire.
«Io
sono Hayili, l'Imperatrice del Regno delle Acque Rosse! Chi sei
tu?»
L'uomo
di fronte a lei si fermò, il suo portabandiera dietro di lui
quasi
non gli andò a sbattere contro, e si tolse l'elmo,
lanciandolo alle
sue spalle.
«Imperatrice?
Una ragazzina? Solo un regno caduto in basso si affida ad una giovane
donna.» ghignò, sprezzante. Il volto era ricoperto
di cicatrici,
profonde e chiare, segno di innumerevoli battaglie vinte,
incorniciato da una zazzera di capelli bianchi tagliati corti e
spettinati. Gli occhi erano profondi, neri come la pece, sembravano
due pietre di ossidiana incastonate in un viso perlaceo.
«Ho
chiesto, chi sei tu?» Hayili ripeté la domanda,
piuttosto che
lanciargli la spada dritta in mezzo agli occhi. Il bene del suo regno
erano ad un passo da lei, al di là di quell'uomo dall'aria
pericolosa. Se avesse ucciso lui, avrebbe salvato il regno. Ne era
sicura.
«Io
sono T'Orineti, Generale dell'Impero del Nord. Sono qui per liberare
il Regno delle Acque Rosse, per ricongiungerlo al resto dell'Impero a
nome del nostro Imperatore Ikane.»
Hayili
sentiva il sangue ribollirle nelle vene: era proprio da persone come
lui che voleva proteggere il suo popolo, da uomini che credevano che
le donne non potessero combattere, non potessero regnare, non
avessero la stessa forza. Inclinò la testa di lato e le ossa
del
collo scricchiolarono, non solo per il dolore.
I
nervi erano tesi, sembrava un felino pronto a scattare in avanti e
azzannare alla giugulare il proprio nemico.
«T'Orineti,
se sei così convinto di potermi sconfiggere, allora
dimostralo! Al
tuo esercito, al mio, dimostra la superiorità dell'uomo e
sconfiggimi.» stava puntellando il suo ego nella speranza di
fargli
accettare la sfida e umiliarlo, distruggerlo, salvare il suo regno
dall'Imperatore Ikane, chiunque esso fosse.
«Farò
di te la mia schiava.» T'Orineti lasciò a terra il
proprio scudo,
su cui era inciso un grande drago a due teste color verde smeraldo, e
sogghignò spavaldo. «Potrai avere il mio esercito,
se riuscirai a
battermi. Improbabile, comunque.»
«Non
vedo l'ora di poter avere questi uomini tra le mie fila.»
Hayili
fece una sorta di inchino e strinse la presa sull'impugnatura della
sua fedele spada, iniziando a camminare verso di lui.
T'Orineti
la imitò, avvicinandosi.
Si
trovarono faccia a faccia in una manciata di secondi, immobili, i
respiri che si mescolavano l'uno con l'altro, l'odore della guerra e
del sangue che evaporava dai loro corpi brucianti dalla voglia di
uccidersi.
L'uomo
si pulì il viso dal sangue che si era raggrumato nella sua
ispida
barba bianca con il bracciale di cuoio, osservava con il suo sguardo
di pietra la ragazzina che aveva di fronte come se fosse stato un
lupo affamato nascosto nella vegetazione, pronto ad attaccare la
preda che non sospettava di nulla, ignara e indifesa.
L'Imperatrice
aveva il fiatone, ma dopo un profondo respiro il tempo si
fermò di
colpo, raccolse tutte le forze rimaste per lo scontro più
importante. Non combatteva per lei, per il suo orgoglio ferito, ma
per tutte le persone che contavano su di lei. Sentì che
tutto
introno a loro due si fermava, come una platea immobile e silenziosa
si appresta ad osservare i protagonisti di uno spettacolo cruento e
senza esclusioni di colpi. L'Imperatrice strinse l'elsa della sua
spada, la alzò al cielo e con uno strattone deciso, la
portò verso
il basso lasciando che tutto il sangue sulla sua stretta ed affilata
lama corresse per la sua lunghezza e cadesse al suolo, lasciando la
lama lucente e priva di macchie. Si sciolse i muscoli della spalla e
del polso facendo dei cerchi con la spada e infine, con grazia e
imponenza, degne di una reggente, si mise in guardia.
Dall'altra
parte del campo, anche T'Orineti si preparò, facendo
scrocchiare il
collo con il movimento delle spalle. Con prepotenza, afferrò
ed
estrasse dal terreno lo spadone a due mani che aveva piantato, fece
qualche passo in avanti, trascinando lo spadone intriso di sangue e
sabbia che formavano uno strato pastoso e disgustoso. T'Orineti si
fermò e allargò le gambe, puntando i piedi a
terra; alzò lo
spadone e lo portò sulla spalla, e con quello sguardo
assassino
urlò: «Imperatrice!» Udendo quel grido
bestiale, l'Imperatrice
scattò in avanti con grazia e maestosità, e nel
silenzio di risacca
dall'urlo di quell'animale, si sentì solo il leggiadro suono
della
cotta di maglia della donna che tintinnava attraverso l'armatura di
piastre lucenti.
T'Orineti,
vedendola correre verso di lui, alzò lo spadone al cielo e
gridò:
«Muori!»
Scagliò
un attacco dall'alto, l'Imperatrice con un abile scivolata
passò,
grazie alla sua costituzione longilinea, attraverso le gambe di
T'Orineti schivando l'attacco che si schiantò al suolo con
un rumore
sordo.
In
un attimo fu in piedi dietro il suo avversario. Ebbe solo qualche
momento di vantaggio, ma quanto bastava per sferrare il suo attacco:
come un lampo scagliò un fendente alle gambe di T'Orineti
costringendolo ad inginocchiarsi e a mollare la presa sulla sua arma.
Con la vittoria in mano e il nemico alla sua mercé,
l'Imperatrice,
colta da un'arroganza giovanile, abbassò la spada ringhiando
un:
«Parli troppo, scimmione.»
Ma
l'uomo, ben lontano dall'essere sconfitto, preso dalla furia
animalesca di una bestia messa all'angolo, afferrò
nuovamente lo
spadone e, con una forza inaudita, sferrò un colpo violento
all'Imperatrice che ebbe a malapena il tempo di mettere la spada
sulla difensiva in direzione del colpo. Venne comunque presa in pieno
dallo spadone che, essendo ancora impastato di sabbia e sangue,
sembrava una barra di metallo che spezzò la spada
dell'Imperatrice.
Hayili venne sbalzata all'indietro insieme alle due parti della sua
spada, T'Orineti urlò e si rimise in piedi accecato dalla
rabbia, e
si diresse verso la donna che, dolorante, cercava di trascinarsi
verso ciò che restava della sua spada. Ancora stordita dal
colpo,
sentiva il suo avversario che si avvicinava velocemente e, non avendo
il tempo di preoccuparsi oltre, sentì la sua mano che la
afferrava
per la spalla e la girava sulla schiena.
L'Imperatrice
cercò di proferire parola, ma T'Orineti la
afferrò per la gola e la
alzò.
Il
silenzio ricadde di nuovo sulla scena. Si sentiva solo il rumore
della mano di T'Orineti che si stringeva attorno alla gola di
Hayili, scricchiolando in un modo inquietante. Sentiva che sarebbe
morta, l'aria stava iniziando a non entrare più nel corpo e
i dolori
della battaglia si arrampicavano su di lei, affamati della sua
sofferenza.
All'improvviso,
come se fosse stato un intervento divino, le gambe di T'Orineti
cedettero a causa delle ferite subite precedentemente, diventando
stranamente più larghe e profonde. L'Imperatrice
sfruttò
quest'opportunità per raccogliere le poche energie rimaste
per
colpire l'avambraccio di T'Orineti con una gomitata. Cadde e, con uno
scatto che non credeva essere in grado di compiere, recuperò
una
parte della lama della sua spada e si avventò sulla gola di
T'Orineti, recidendola con un grido selvaggio. Si sentì solo
un
ultimo gemito soffocato dal sangue e dalla saliva, dell'animale e,
tenendosi la gola con entrambe le mani, cadde al suolo con la
schiena, decretando così l'esito del combattimento.
Hayili
si permise solo in quel momento di riprendere fiato, un violento
colpo di tosse la scosse da capo a piedi e poi si mise in posizione
eretta, tremante. Andò ad afferrare lo stendardo del suo
Regno e lo
piantò poco distante dal cadavere, poi passò lo
sguardo omicida su
tutti i presenti, che deglutirono.
«Io
sono l'Imperatrice del Regno delle Acque Rosse e nessuno
può imporre la propria legge sulla nostra.
Proteggerò il mio popolo
a costo della mia vita.»
disse, con la gola che ancora le bruciava per il soffocamento di poco
prima. «E adesso, tornate a casa vostra, dite al vostro
Imperatore
che finché io sarò in vita, non
lascerò mai il mio Regno nelle
mani di un vigliacco che non scende in battaglia con i propri uomini.
Se non gli va bene, che si faccia avanti e mi sfidi!» si
abbassò,
prese lo spadone del suo avversario e, sfruttando gli ultimi
rimasugli di adrenalina, decapitò T'Orineti.
«Portategli la testa
di quest'uomo e non tralasciate che è stata una donna,
Hayili delle
Acque Rosse, a sconfiggerlo.» lanciò la testa
insanguinata al
portabandiera dell'Impero avversario, che la fece saltellare tra le
mani per la sorpresa.
Dopo
una manciata di secondi di silenzio, un grido vittorioso si
levò in
cielo, e Hayili potè finalmente sorridere, vedendo la
soddisfazione
negli occhi scuri di Imineti nella sua mente.
Aveva
vinto.
E
non era morta.
La notte
Non
riusciva a prendere sonno, nonostante l'adrenalina della battaglia
fosse ormai scemata da un pezzo. La luna era alta nel cielo e non
riusciva a smettere di pensare a com'era scampata alla morte per un
soffio.
Solo
a ripercorrere quei momenti, il cuore tornava a batterle con violenza
nel petto.
Si
costrinse a respirare con calma, a rallentare il ritmo, e si mise a
fissare il soffitto della sua tenda personale. Si intravedeva il
cielo attraverso di essa, sereno, senza nuvole.
Aveva
immaginato una guerra molto più lunga ed estenuante, era
stata una
fortuna aver trovato il generale durante il primo giorno. Sarebbe
potuta tornare a casa in fretta, già per la sera del giorno
dopo
avrebbe abbracciato Imineti e avrebbe passato la notte con lei, a
bere e a fare l'amore, per festeggiare la pace del Regno.
Già
si sentiva più tranquilla ad immaginare il viso delicato
della Prima
Sacerdotessa che le sorrideva, che l'abbracciava e che la baciava.
“Sei
stata imprudente, sfidare il Generale!”
Le sembrava di sentire
la sua voce riecheggiare nella mente, con quel tono imperioso che
tanto amava. Una volta tornata a palazzo avrebbero potuto rendere
ufficiale la loro relazione, iniziata un anno prima, quando era stata
proclamata Imperatrice.
Non
vedeva l'ora di poterla avere tra le sue braccia, di nuovo, e per
sempre.
«Non
succederà.»
Sgranò
gli occhi quando si accorse di non conoscere la voce che aveva
mandato in frantumi le sue fantasie con quella facilità. Due
parole
che l'avevano svegliata completamente, riportandola su un terreno di
guerra. Si mise seduta sul letto e si guardò intorno
finché non
scorse una figura incappucciata e bianca.
«Chi
sei? Cosa vuoi da me?» andò a tentoni di fianco
alla branda per
cercare di recuperare la spada più in fretta possibile, e
quando la
afferrò, la figura era seduta ai suoi piedi.
«Io
sono Misik.»
Hayili
spalancò la bocca e se la coprì con le mani,
lasciando cadere la
spada che tintinnò a terra. «Mia
Dea…» sussurrò a bassa voce,
cercando di inchinarsi il prima possibile. Come aveva potuto puntare
la propria arma contro una Dea? Una Dea benevola, oltretutto!
«Io…
la ringrazio, mia Dea, per avermi salvato la vita.»
ingollò il
groppo di saliva che le ostruiva la gola e strusciò la
fronte contro
le lenzuola di seta pregiata, in una posizione di sottomissione
totale.
«Tu
credi che sia stato il mio volere, salvarti… ma ti sbagli.
È stata
Mizani, mia sorella.»
«La
Dea del chaos?»
La
figura bianca sogghignò, si mise in piedi e
scoprì il volto dal
cappuccio: la carnagione era bianca, lattea, gli occhi di un leggero
azzurro tendente al grigio, il naso all'insù e le labbra
sottili,
anche loro azzurrognole.
Hayili
impallidì e tornò ad inchinarsi, cercando di
vincere la propria
curiosità.
«Mizani
è mia sorella gemella. Dove io porto bene, lei porta
male.» Misik
fece una pausa carica di tensione, facendo qualche passo nella tenda.
«Ma dove io porto male, lei porta bene. Mizani è
l'equilibrio dopo
il mio
chaos. Per voi umani è difficile da comprendere, il bene che
è
male, e il male che è bene.»
sospirò profondamente e Hayili rabbrividì.
«Vieni, Imperatrice. Ti
mostro qualcosa.» ed uscì dalla tenda in uno
sfarfallio bianco,
come se fosse stata un turbine di neve fresca.
L'Imperatrice
saltò giù dalla branda e la seguì,
coperta solo dalla vestaglia da
notte.
Si
trovò nel suo Regno, nella Città Madre, e di
fronte a lei si
stagliava il tempio della dea Mizani, dove vivevano le sacerdotesse,
prima fra tutte Imineti.
«Perchè
siamo… come abbiamo fatto a…» le parole
le morirono in gola
quando vide la sua amata sorridente, mentre saliva le scalinate del
tempio. «Imi…»
«La
Prima Sacerdotessa ha appena visto l'Imperatrice partire per la
battaglia.» le spiegò la divinità al
suo fianco, facendola
sobbalzare. Hayili, dopo aver visto Imineti, aveva quasi dimenticato
di avere la Dea accanto. «Sa che l'Imperatrice corre un
pericolo
molto grande.» la Dea si incamminò, seguendo i
passi decisi di
Imineti all'interno del tempio.
Hayili
pensò che forse era irrispettoso entrare in un luogo sacro
vestita a
quel modo, ma non poteva di certo lasciare che Misik procedesse senza
di lei. La raggiunse e imitarono Imineti che scendeva nella cripta.
Lì,
la Prima Sacerdotessa si inginocchiò davanti alla statua di
Mizani,
la Dea che credevano fosse malevola, e disse: «Madre Mizani,
io ti
invoco. Ti chiedo di portare equilibrio, di salvare una
vita.»
Un
turbinio di ombre oscure avvolse la statua, e poco dopo essa prese
vita, mostrando una donna nera come la pece e dagli occhi brillanti
color della brace ardente. «Imineti, Prima Sacerdotessa. Tu
chiedi
qualcosa a me, Mizani?»
Imineti
si mise in piedi, mentre Hayili tratteneva il respiro.
«Sì, mia
Dea. L'Imperatrice Hayili non deve morire.»
«La
richiesta che poni necessita di equilibrio, Imineti.»
«Propongo
uno scambio. La mia vita per la sua. Nel momento in cui l'Imperatrice
dovrà morire, sarò io a prendere il suo posto, e
morirò pregando
le divinità.»
«Che
cosa… no.» Hayili credette di urlare, ma lo
scenario che aveva
davanti agli occhi non cambiava, anzi, si faceva via via più
vivido,
costringendola a dubitare della sua sanità.
«Prima
Sacerdotessa, sei sicura di quello che stai chiedendo?»
Imineti
socchiuse gli occhi e sorrise. «Pensare di vivere in un mondo
senza
la mia Imperatrice è inaccettabile. Preferisco di gran lunga
morire.» li riaprì e in essi, Hayili scorse una
determinazione che
non era propria della sacerdotessa.
«Imi
non ti azzardare, non devi farlo.» l'Imperatrice corse
davanti alla
sua amata, le mise le mani sulle spalle, ma con sua sorpresa e
terrore le passò attraverso. Si voltò di scatto
verso la divinità
bianca, che sogghignava. «Devi farmi parlare con lei! Devi
impedirle
di farlo!»
Misik
sembrò sgranare gli occhi ed inclinò la testa di
lato, in
un'espressione che doveva essere confusa. «Non posso farlo.
Ciò che
è passato non può tornare com'era. La Prima
Sacerdotessa ha
scambiato la propria vita con la tua, Imperatrice.»
Hayili
si sentì le gambe cedere e gli occhi pungerle, tanto che si
accasciò
in ginocchio, coprendosi il volto con le mani. La donna che aveva
sconfitto un generale, che in battaglia si era resa portatrice di
libertà, fiera come un leone, ora era semplicemente una
ragazza
disperata, col cuore che doleva.
«Perchè…»
pigolò tra un singhiozzo e l'altro.
«Perchè l'ha fatto…»
La
Dea Misik le mise una mano gelida sulla nuca. «L'amore fa
fare cose
impensabili. Imineti ti aveva avvertito, lo sapevi che sarebbe
successo qualcosa, ma sei andata comunque. Non le hai lasciato
scelta.»
Hayili
singhiozzò più forte. Aveva ragione. Per orgoglio
si era buttata in
una guerra che aveva portato alla morte l'unica persona che aveva mai
amato così profondamente e intensamente. La gloria, la
vittoria,
tutto quel discorso sul proteggere le persone, che senso avevano se
non riusciva a proteggere la donna che amava? Come poteva
considerarsi degna di regnare su un popolo se Imineti aveva dovuto
sacrificare la propria vita per lei?
Si
pulì gli occhi dalle lacrime in eccesso e
continuò a guardare la
scena, mentre Mizani prendeva il viso di Imineti tra le mani. Si
fissarono negli occhi per un tempo che sembrò infinito, poi
Imineti
cadde a terra, trattenendosi la gola. Ad Hayili parve perfettamente
chiaro: stava soffocando.
«L'equilibrio
è stato concesso, Prima Sacerdotessa.»
Mizani
svanì in una nuvola nera, e l'Imperatrice si
trascinò sul corpo
morente della sua amata. Il suo corpo non era fisico, eppure riusciva
a percepire le ossa dolenti che scricchiolavano e i muscoli che
tiravano, come se non avessero voluto raggiungere la sacerdotessa.
«Imi… Imi sono io, mi senti?»
però Imineti non rispondeva, la
fissava, ma guardava attraverso. «Mi dispiace… mi
dispiace così
tanto… non doveva andare
così…» pianse, appoggiata al suo seno.
Quel seno che aveva saggiato così tante volte e di cui
faceva fatica
a fare a meno, ora era percorso da tremiti e scossoni. «Sono
qui…
sono qui, va tutto bene.» le prese la mano, la strinse come
solo uno
spirito poteva fare. Si sentiva inerme come mai si era sentita prima.
Guardava Imineti morire nel modo in cui sarebbe dovuta morire lei: si
ricordava la sensazione di impotenza, la propria vita era
letteralmente nelle mani del suo avversario, l'ossigeno che cercava
di intrufolarsi nelle vie respiratorie era affilato come lame e la
graffiavano, rendendo un atto così normale doloroso da
impazzire. E
ora pensare, o meglio, vedere
che la sua donna stesse patendo quelle sofferenze a causa sua la
faceva infuriare oltre ogni limite. Era arrabbiata con se stessa,
prima di tutto: se solo l'avesse ascoltata, ora sarebbe stata viva,
sarebbe stata a dormire tra le sue lenzuola di seta bianche e magari
avrebbe sognato di riabbracciarla, proprio come aveva fatto lei.
«Ti
amo… ti amo. Ti amo più di qualsiasi altra cosa
al mondo, ti
prometto che mi prenderò cura della vita che mi hai
regalato, farò
tesoro di ogni momento, proteggerò il mio popolo,
diventerò forte
affinché nessun altro debba sacrificarsi per me. Sono qui
con te,
Imineti… sarò qui per sempre.»
sussurrò a fior di labbra, mentre
le lacrime continuavano a scenderle sulle guance.
Che
immagine patetica, l'Imperatrice che si disperava come una ragazzina
comune.
L'agonia
di Imineti finì in un paio di minuti, socchiuse gli occhi e
la sua
anima volò via leggera e candida, lasciando il corpo
immobile.
Il
silenzio pervase la cripta, Hayili sentiva solo il rumore del proprio
pianto.
«Dobbiamo
tornare, Imperatrice.» Misik la interruppe e la fece alzare
senza
toccarla.
Hayili
si sentì sollevare di peso e lasciò che la Dea la
trasportasse
senza opporre resistenza. Sperava fosse un sogno, voleva davvero
credere che fosse un brutto incubo, perciò non si fece
troppe
domande quando, arrivate in cima alla scalinata, si ritrovò
all'interno della propria tenda.
«Ricordati
delle tue promesse. Finché avrai vita, dovrai proteggere i
tuoi
sudditi. La Prima Sacerdotessa ti ha regalato la sua vita
affinché
tu possa governare. Il tuo tempo si è fermato:
ripartirà quando la
vita della Sacerdotessa sarà esaurita.»
E
anche Misik scomparve in uno sbuffo candido.
Hayili
rimase immobile al suo posto, fissando il punto in cui la Dea si era
dissolta nell'aria. Era sicuramente un incubo. Le due Dee esistevano,
senza ombra di dubbio, ma perché avrebbero dovuto farle
assistere ad
una scena tanto cruenta? Probabilmente era solo un brutto sogno
dovuto all'adrenalina della battaglia, nulla di più.
Convinta
di ciò, si intrufolò tra le lenzuola della branda
e aspettò di
prendere sonno, di nuovo, ripetendosi che il mattino dopo sarebbe
tornata a casa e avrebbe confermato le sue teorie.
Il ritorno
In groppa al suo
cavallo, Hayili
si godeva il trambusto che facevano i suoi soldati, strillando di
gioia e cantando canzoni in suo onore, descrivendola come la
salvatrice del Regno.
La
“Benedetta dalle Dee”, la
chiamavano, e lei si sentiva sempre più importante e piena
di
energie, come se avesse recuperato tutte quelle spese nel
combattimento.
Ma una pulce si era
infilata nel
suo orecchio, lasciandola meno serena di quello che avrebbe voluto
essere: aveva fatto un incubo terribile, tanto che si era svegliata
in lacrime – e lei non si era mai svegliata piangendo,
neanche dopo
la morte dei suoi genitori. Si sentiva un peso sullo stomaco che la
faceva sentire goffa e lenta, indietro rispetto a chiunque le fosse
vicino. Qualcuno dei suoi comandanti provò anche a
rivolgerle la
parola, facendo qualche complimento, ma lei era totalmente distratta.
Non riusciva a
smettere di
rivivere quelle scene inquietanti nella sua mente, eppure doveva
mostrarsi felice e soddisfatta di com'era andata la battaglia.
Dopotutto aveva vinto, era riuscita a proteggere tutti, cosa poteva
rimproverarsi?
Quando vide le porte
della Città
Madre si sentì immediatamente sollevata: era quasi sera, il
sole
aveva iniziato a calare, come un genitore che aveva aspettato i figli
per poter riposare, e il cicaleccio del suo popolo le riempì
il
cuore.
«L'Imperatrice
è tornata!» il
generale Sakti urlò, e la città si
chetò. «Ha combattuto con
coraggio, e ha rischiato la propria vita per noi.» fece una
pausa,
guardò Hayili e sorrise, sinceramente orgoglioso. Sakti era
l'uomo
che l'aveva allenata, istruita, la figura più simile ad un
padre che
avesse avuto dopo la morte del proprio. Aveva visto in lei il sangue
che ribolliva, la forza d'animo e la gentilezza di un governante, e
l'aveva seguita senza invadere il suo spazio, lasciandola sbagliare
quanto possibile. «Nessun uomo, o nessuna donna,
potrà mai invadere
il nostro Regno senza sfidare la Benedetta dalle Dee!»
La città si
aprì in un boato di
applausi e grida, e poco dopo si preparò una banda musicale
che
seguì l'Imperatrice per tutto il percorso fino al castello.
Hayili salì
le scale,
imbracciando la spada del defunto T'Orineti come un trofeo. Chiunque
fosse nei paraggi ammirava quell'arma ancora intrisa di sangue e ne
percepiva la potenza: potevano solo immaginare la forza animalesca
dell'uomo che aveva potuto brandirla senza fatica.
L'Imperatrice la
appese sopra il
proprio trono e si sedette. Era a casa e tutto sembrava andare per il
meglio. Finalmente.
«Mia
signora, la festa inizierà
a breve. Non ci aspettavamo che sarebbe tornata così
presto.» una
sacerdotessa si affrettò a raggiungerla, inchinandosi a lei
e
prendendole le mani. Fece un largo sorriso, e solo allora le
riaffiorò alla memoria l'incubo. La consapevolezza di dover
controllare la colpì al petto e la spinse all'indietro,
mozzandole
il respiro in gola.
«Imperatrice?»
Hayili
tossì, portandosi una
mano al petto. «Sì… sì,
scusami. Prima vorrei rendere grazie
alla Dea Mizani per la clemenza in battaglia.»
annuì e si alzò in
fretta e furia. Si mise quasi a correre per la città in
direzione
del tempio tanta era la fretta che aveva.
Doveva assolutamente
controllare
che quello che aveva sognato non fosse la realtà. Ma come
poteva
essere la realtà? Era talmente assurdo che…
che… non c'era
neanche da immaginarlo! Non era possibile!
Arrivò al
tempio e si fiondò
sulle scale che portavano alla cripta, incespicando sulle gambe molli
dall'ansia.
Non poteva essere vero.
Non poteva essere vero.
Incrociò
un'altra sacerdotessa
che cercò di fermarla, ma quasi non la sentì
parlare, la superò
con una leggera spallata e proseguì, caracollando
giù per le scale.
Sembravano non finire mai.
Quando finalmente si
trovò in
piano, aveva finito il fiato nei polmoni e si piegò per
appoggiarsi
alle ginocchia. Stava tremando, e non poteva fermarsi per nessuna
ragione al mondo.
Si rimise in posizione
eretta,
fece qualche passo addentrandosi nella cripta: l'aria gelida del
sottosuolo le si insinuò nelle ossa, facendola rabbrividire.
Faceva saettare gli
occhi da un
angolo angusto all'altro, finché non trovò una
teca di vetro.
Il cuore le si
fermò per un
tempo che sembrava interminabile.
Urlò e il
rumore della sua voce
le rimbombò nella testa per molto ancora, prima di esaurirsi
nel
silenzio tipico di un luogo sacro.
Imineti sembrava
così serena
sdraiata su quella lastra fredda di marmo.
«No…»
sussurrò, creando
della condensa sul vetro. Era vero. Era morta.
Imineti era morta.
E lei non aveva potuto
fare
niente.
Pianse, cadde in
ginocchio, ma
non interruppe il contatto con la teca, la cosa più vicina
alla sua
amata.
Non appena
riuscì ad aprire un
poco gli occhi, intravide una busta sotto la teca. Lesse il suo nome,
anche se offuscato dalle lacrime e la aprì, con le mani che
le
tremavano.
Cara Hayili,
mia Imperatrice,
quando
tornerai io sarò
morta, lo so.
Come so che
sarai infuriata, e
penserai che l'abbia fatto per te.
Purtroppo no,
devo
contraddirti, ma l'ho fatto per me e per il nostro popolo. Io non
avrei potuto pensare di vivere senza di te, senza la mia guida e la
mia forza. Nessuno potrebbe mai sostituirti, in nessun campo: sei una
persona splendida, come non ne sono più nate, hai un cuore
grande
che riempie d'amore anche quelli altrui, un sorriso da guerriera
impenitente. Sei bella, Hayili, ma non bella perché hai la
pelle
liscia e gli occhi grandi, il fisico snello; sei bella
perché rendi
bello qualsiasi cosa tu tocchi. Come avrei potuto permettere che il
mondo continuasse ad andare avanti senza di te? Sei necessaria.
Chiunque
saprebbe pregare una
divinità, ma solo tu puoi guidare un Regno nel modo migliore
possibile.
Ti amo,
Hayili, ti amerò per
sempre.
Ti ho donato
la mia vita, è
tua, ora. Mi spiace non poter vedere le meraviglie che compirai, ma
mi consola sapere che molti altri le vedranno.
Arrivederci,
amore mio.
Tua per
sempre,
Imineti.
Hayili strinse la
lettera al
petto, stropicciandola e riempiendola di lacrime amare.
Chissà
quando si sarebbero consumate, quelle lacrime maledette, che
bruciavano come fuoco sulle sue guance fredde.
Non poteva lasciare
che la sua
vita, la vita di Imineti, scivolasse nel baratro
dell'oscurità.
Tirò su col
naso, si pulì come
meglio poteva il viso per rendersi presentabile.
«Imperatrice
Hayili…» una
mano le si posò sulla spalla, una sacerdotessa la interruppe
dai
suoi pensieri pericolosi.
«Lasciami
sola.» ringhiò, gli
occhi fissi sulla teca e le mascelle serrate. Non era proprio il
momento di fare conversazione, sapeva cosa doveva fare.
«Ma, mia
signora…»
«Ho detto:
lasciami sola.» si
fece forza e si arrampicò sulla teca per potersi alzare in
piedi.
Perse l'equilibrio, ma non cadde. Non sarebbe più caduta.
La giovane
sacerdotessa sparì
sulle scale, probabilmente spaventata.
Hayili
respirò profondamente:
Imineti era estremamente serena, sorrideva. «Arrivederci,
amore
mio.» sussurrò. Poggiò le labbra sul
vetro e fece cadere la sua
ultima lacrima, per poi rizzare la schiena e scrocchiare le ossa del
collo. Si voltò verso la statua della Dea Mizani e la
fissò negli
occhi. «Madre Mizani! Sono l'Imperatrice Hayili, ti
invoco!»
Ritrovarsi
Quanti anni erano
passati?
Venticinque? Trenta?
Forse anche
quaranta? Hayili non ne aveva la più pallida idea, sapeva
solo che
non invecchiava.
Per ogni battaglia che
vinceva,
il tempo era immobile sul suo viso e sul suo corpo. Aveva visto il
suo regno prosperare, era diventata una leggenda vivente tra i casati
nemici, tanto che stava diventando difficile onorare il patto, ormai.
Erano tutti spaventati dalla sua forza, dal fatto che rimanesse con
l'aspetto di una ventenne nel pieno delle proprie forze, girava voce
che avesse fatto un patto con il Demonio.
Niente di
più vero,
pensò mentre addentava una coscia di pollo arrosto.
«Madre
Mizani! Sono
l'Imperatrice Hayili, ti invoco!»
Il famigliare
turbinio scuro
comparve davanti a lei e la Dea Mizani ne uscì,
incappucciata e nera
come aveva visto nella visione di Misik.
«Imperatrice,
cosa chiedi?»
«Ti
propongo un patto!»
La Dea
inclinò la testa e il
cappuccio le scivolò dalla testa. I capelli neri erano
tirati
all'indietro mostrando la pelle scura, i lineamenti duri e freddi. Le
labbra erano leggermente più chiare del resto della pelle,
gli occhi
neri e lucidi e le ciglia lunghe.
«Mi
parli in modo strano.»
il tono era distaccato, ma Hayili coglieva una punta di disprezzo.
«La
Prima Sacerdotessa è
morta. Sono necessari almeno sette anni perché la sua anima
torni in
questa Terra, e quando succederà io sarò troppo
vecchia. Devo avere
di nuovo l'anima di Imineti per me.»
«Imperatrice,
mi stai
chiedendo di non morire?»
Hayili
annuì e si
inginocchiò. Non era mai successo,se non per quell'unica
volta in
cui la Dea Misik era andata a farle visita nella sua tenda.
«Ti
sto chiedendo, Madre
Mizani, di fermare il mio tempo finché non potrò
rincontrare
l'anima di Imineti. Da quel momento la mia vita ripartirà,
ma fino
ad allora…»
«Io
sono Mizani, la Divinità
dell'equilibrio. Per ogni domanda pretendo un'offerta. Cosa puoi
darmi, tu?»
«Scenderò
in battaglia, ogni
volta. Ti darò tutte le vite che desidererai, tutte quelle
che
valgono la mia. Non mi opporrò.»
«Se
ti imponessi stragi?»
Hayili
strinse le mascelle e
chiuse le palpebre fino a farsi male. «Se valgono la mia
vita, non
mi opporrò.» ripeté con tono solenne.
La Dea Mizani
le posò la mano
sulla testa e svanì in una nube di zolfo,
dicendo:«Il patto è
stato sigillato, Imperatrice. La tua vita riprenderà a
scorrere
quando incontrerai nuovamente l'anima della Prima
Sacerdotessa.»
L'Imperatrice
sbuffò e lasciò
cadere l'osso di pollo nel piatto. La festa per l'ennesima battaglia
vinta la stava annoiando in modo particolare, quasi si sentiva
infastidita da tutta quella bolgia di gente che strillava e ballava,
producendo un fracasso insopportabile.
Sgusciò via
dal palazzo senza
essere vista, nel momento in cui la banda stava iniziando a suonare
la canzone sulla “benedetta dalle Dee”, e si
intrufolò di
soppiatto nel tempio, andando dritta alla cripta.
Ogni giorno si recava
in quel
luogo, rendeva grazie e parlava con la tomba di Imineti, e quel
giorno non sarebbe stato diverso. Si inginocchiò di fronte
alla
tomba, sfiorò l'epitaffio con la punta delle dita e vi
appoggiò la
fronte, espirando delicatamente.
«Non hai
idea di quanto mi
manchi, Imi…»
Si staccò
dalla tomba, incrociò
le gambe e lesse l'epitaffio per l'ennesima volta.
Imineti,
colei che porta
l'equilibrio.
Ogni Imperatrice o
Imperatore,
per tradizione, doveva scrivere l'epitaffio per la morte della Prima
Sacerdotessa, e lei non era stata da meno. In molti avevano domandato
cosa stesse a significare, cosa voleva dire quella frase, ma si era
sempre rifiutata di rispondere: aveva deciso che si sarebbe portata
il suo sacrificio nella tomba, quando sarebbe stato il suo momento.
Ogni tomba, nella
cripta,
equivaleva ad una sacerdotessa morta. Si chiese se ogni volta, ognuna
di loro avesse un rapporto così stretto con il regnante come
Imineti
aveva con lei; si chiese se fosse capitato altre volte ad una
sacerdotessa di sacrificarsi, di dare la propria vita in cambio di
quella di qualcun altro. Avrebbe voluto saperlo.
«Imperatrice
Hayili, cosa ci
fate qui?»
La donna si
alzò in piedi,
spolverandosi i pantaloni in cuoio con dei veloci gesti delle mani.
«Stavo andando via.» borbottò brusca,
senza alzare lo sguardo.
«Potrebbe
essere il destino.
Imperatrice, lei è Inidegena, la nostra novizia.»
Hayili non sapeva cosa
fosse
stato, ma qualcosa l'aveva spinta ad alzare gli occhi e guardare in
faccia quella nuova sacerdotessa. Il cuore le si fermò, per
poi
ripartire con la forza di un fiume in piena, rendendole difficile
stare in equilibrio sui suoi stessi piedi.
Grandi occhi chiari,
perlacei,
pelle liscia e candida, capelli scuri legati in una treccia laterale.
I lineamenti delicati, le guance rosate, le spalle sottili e il corpo
longilineo, senza particolari accenni di curve sotto la tunica da
novizia.
Sentì caldo
e resistette a
malapena all'impulso di spogliarsi.
«Imineti…»
sussurrò.
E la novizia sorrise,
come se
avesse saputo.
Sophie's
space____________
Ed eccomi qui.
Era una
novità, per me, spero
che vi piaccia e che io sia riuscita a far passare quello che volevo
far arrivare.
Volevo dire
solo un'ultima
cosa… questa storia è incentrata sull'amore,
sull'amore che vince
su tutto e che è eterno, se è quello giusto.
Avrei voluto
pubblicare ieri, ma non avevo ancora trovato il titolo (shame on me),
e quindi arriva oggi, un giorno in ritardo rispetto alla festa per
eccellenza dell'amore.
In
realtà, per me, l'amore va
celebrato tutti i giorni, perciò me ne frego e quindi buona
festa
dell'amore a tutti!
In
particolare alle mie
preziosissime amiche, la fatina del ghiaccio, la principessa perduta
e il marshmallow. Perché io ci sono sempre per voi.
|