Riportami a casa
Riportami
a casa
Quando
l'amore vi fa cenno, seguitelo,
Benché
le sue strade siano aspre e scoscese.
E
quando le sue ali vi avvolgono, abbandonatevi a lui,
Benché
la spada che nasconde tra le penne possa ferirvi.
E
quando vi parla, credetegli,
Anche
se la sua voce può mandare in frantumi i vostri sogni
come
il vento del nord lascia spoglio il giardino.
(Khalil
Gibran – Il Profeta)
Non
fu affatto facile reagire alla fine di Dekher. Il suo tradimento mi
aveva traumatizzata molto più della sua drammatica dipartita
avvenuta, tra l'altro, mentre tentava di strangolarmi. Il suo
voltafaccia mi aveva sconvolta molto più della
consapevolezza che
fosse stato Harlock stesso a freddarlo. Ma il Capitano aveva agito per
proteggermi e non potevo fargliene una colpa. Se non fosse stato
per il suo provvidenziale intervento non mi sarei potuta rintanare
tra le amate e arrugginite paratie della mia Astral Gale a rimuginare
per l'ennesima volta sulla patetica nullità della mia
esistenza.
Come
avevo potuto farmi fregare da uno come Dekher? Cuore di serpente a
sonagli… Che diavolo mi era preso? Possibile che non fossi
più in
grado di distinguere un’adorabile canaglia dalla peggiore
feccia
dell'umanità?
La
mia vita aveva preso davvero una piega grandiosa. Che gran favore mi
aveva fatto, il mio salvatore! Quasi sarebbe stata meglio la morte
melodrammatica che il mio
caro ed amato fidanzato
voleva concedermi con tanto entusiasmo, piuttosto che il desolante
ritorno a quella patetica routine. Sarebbe stata un'uscita in grande
stile, degna di un vero e proprio pirata della miglior
specie. Invece...
In
pochi istanti, il mondo che mi ero costruita faticosamente in cinque
anni, si era sgretolato di nuovo. Non c'era via d'uscita, o forse,
non c'era mai stata. Avevo solo bisogno di sbatterci il grugno ed
aprire gli occhi. Avevo bisogno di guardare in faccia la
realtà e
convincermi che, in tutto l'universo, non ci sarebbe mai stato un
altro posto per me, se non la mia buona e vecchia casa
sull'Arcadia. Nessun altro amore
se non quello per lui,
il magnifico bastardo.
Harlock
mi aveva vegliata segretamente in quei lunghi anni, ma
perché lo
aveva fatto? Desiderava che trovassi un brav’uomo col quale
sfornare una mezza dozzina di marmocchi? O era con me che avrebbe
voluto sfornarli? L'ennesimo enigma con il quale mi sarei dovuta
arrovellare il cervello. Nonostante mi avesse concesso addirittura il
lusso di un bacio, non ero ancora così sicura che mi volesse
davvero
e soprattutto... nel senso
in cui lo intendevo io.
Già,
mi aveva baciata, e in che modo poi... Tralasciando il piccolo
macabro
particolare di Dekher stecchito ai nostri piedi, era stato
inaspettato, passionale, coinvolgente, e mi aveva scombussolato fin
nel profondo. Come un uragano mi aveva violentemente risucchiato
dalla mia banale realtà scaraventandomi in una dimensione
intrisa di
passione, di desiderio. Mi aveva fatto solo leggermente assaporare
quello che avremmo potuto vivere, ma che non sarebbe mai stato. Avevo
davvero faticato a trattenermi dallo strappargli i vestiti di dosso e
farlo mio in quel merdoso buco di frontiera. Ma fortunatamente, quel
briciolo di ragione che ancora mi teneva aggrappata alla
realtà, mi
aveva saggiamente suggerito che, davanti al cadavere del mio ex,
non era proprio il caso di lasciarsi andare a quei bollori.
E
poi ero arrabbiata, furiosa con lui. Dopo aver penato per anni per
cercare di sciogliere quel suo fottuto cuore di ghiaccio non potevo
cedere al primo approccio come un'ingenua ragazzina alla prima cotta.
Non gliel' avrei resa un'impresa facile!
Così
me ne andai, senza spiegazioni, melodrammi o smancerie, rendendogli
pan per focaccia.
Passai
dei giorni infernali dopo aver lasciato quel dannato pianeta, ma
avevo un disperato bisogno di restare sola a metabolizzare
l'accaduto. Gli ero molto grata per avermi salvata ma la gratitudine
non era l'unico sentimento che mi ritrovavo a provare. Lo aveva fatto
di nuovo: quel meraviglioso bastardo mi aveva condizionato e
stravolto la vita. Dovevo sapere se mi aveva salvata solo per dovere,
senso di responsabilità... sì, pure rimorso, per
quante me ne aveva
fatte passare. O se fosse davvero innamorato
di me.
Innamorato...
era una parola che esisteva davvero nel suo
vocabolario? Rabbrividivo solo al pensiero, anzi, a dire il vero, mi
scioglievo solo ad immaginarlo. Però il dubbio mi aveva
molto più
che sfiorata.
Gli
inviai un messaggio nel codice criptato che conoscevano solo i membri
dell'Arcadia ( mossa astutissima, da vera volpe
spaziale...)
ed attesi. Era l'unico modo per avere la conferma di ciò che
davvero
rappresentavo per lui. Solo poche parole che non lasciavano adito a
fraintendimenti... o provvidenziali vie di fuga. Avevo gettato
l’amo,
dovevo solo aspettare che il pesce
abboccasse.
______________________
Un
giorno come tanti me lo ritrovai alle spalle, apparso così,
all'improvviso. Sbucato dal nulla, come se si fosse materializzato in
quell'istante, chiamandomi con un nome che ormai avevo quasi
dimenticato: “Kei Yuki.” Lo scandì bene,
con quel suo
inconfondibile tono profondo e rassicurante, che mi fece
letteralmente schizzare fuori il cuore dal petto. Dekher non era
riuscito a farmi fuori, nonostante ce l'avesse messa tutta, ma
Harlock avrebbe concluso l'opera, prima o poi, e con molto meno
impegno.
Eravamo
nel bel mezzo di un sudicio, maleodorante e sgangherato hangar del
Settore Alpha, in pieno giorno e circondati da centinaia di persone.
Mi voltai lentamente, pronta a dargli battaglia, forte di tutti gli
anni passati a sperare, ma, appena lo ebbi nel mio campo visivo, miei
istinti omicidi si andarono a sgretolare miseramente contro qualcosa
che mai mi sarei aspettata di vedere. Non indossava la sua solita e
oscura mise da pirata, ma non per questo la sua figura era meno
appariscente ed affascinante. Una pesante giacca di pelle metteva in
risalto l’ampiezza e la possanza delle sue spalle, dei
morbidi
pantaloni chiari gli fasciavano le cosce lunghe e slanciate, a
completare l’opera degli stivali scuri che gli arrivavano fin
sotto
le ginocchia, un foulard bianco che svolazzava dalla giacca
semiaperta e un’espressione lievemente impertinente che lo
facevano
sembrare un aviatore d’altri tempi. Il volto vagamente
sorridente
incorniciato dall’ondeggiare leggero della sua capigliatura
castana. Nonostante si mimetizzasse alla perfezione in
quell’ambiente, a me sembrava splendesse di luce propria.
Che
dire? Era perfettamente in
tinta con
il mio tutone lurido e sbrindellato da meccanico improvvisato. Dopo
l’ultimo sabotaggio l’Astral Gale aveva quasi
esalato l’ultimo
respiro e ormai partiva solo a suon di pedate e colpi di chiavi
inglesi. Facevamo proprio una bella coppia.
Nonostante
tutto non riuscii a nascondere lo stupore dell’essermelo
trovato
alle spalle e lui se ne accorse: “Qualcosa non va, secondo
ufficiale?” Ruppe il silenzio, vagamente ironico.
Scossi
il capo regalandogli un leggero sorriso: “Se mai fossi venuto
davvero a cercarmi mi ero immaginata una situazione del tutto
diversa...” mormorai divertita.
“Del
tipo?” Quella sua aria da improbabile sbruffone mi stava
piacendo,
molto più del dovuto. Non avevo mai immaginato di
potergliela vedere
dipinta in faccia. Era sempre così ombroso e serio, quasi
non fosse
nemmeno più capace di cambiare espressione.
“Beh... tipo
un'entrata in scena in grande stile. Una cosa più... da
te,
un'apparizione mistica che scatenasse il panico tra la gente, con
tanto di svolazzata di mantello” gli confidai mimando le
virgolette
con le dita.
“Sì,
certo. Capisco...” mi concesse un altro sorrisino che avrebbe
disintegrato la vocazione di un esercito di novizie. In quel momento
un destro glielo avrei mollato volentieri, ma eravamo in mezzo ad un
mare di persone e poi, non era un comportamento propriamente da
signora.
“Che
ci fai qui?” Ero sinceramente curiosa di sentire le sue
ragioni, e
soprattutto di come avrebbe giustificato il suo comportamento,
“Sei
di nuovo sulle tracce di qualcuno intenzionato a farmi la
pelle?”
Lo provocai sorniona incrociando le braccia al petto.
Lui
scosse il capo senza smettermi di fissarmi, si avvicinò
lentamente,
allungò una mano verso il mio viso e mi pulì
sensualmente uno
zigomo da uno schizzo di olio per motori: “Lo sai il
perché.” Il
suo tono cavernoso e seducente mi fece sgranare gli occhi dallo
stupore, un leggero brivido mi attraversò la schiena e
sentii un
tremito alle gambe come se fossero fatte di gelatina.
Scossi
la testa per recuperare il mio autocontrollo. Sbuffai fingendomi
indignata, cadeva sempre in piedi, avrei dovuto immaginarlo che
avrebbe evitato abilmente la risposta esattamente come avrebbe fatto
con un fendente di spada.
Chiaramente
non ero prigioniera o in pericolo. O forse… prigioniera lo
ero
sempre stata, delle mie aspettative, delle mie disillusioni, del mio
amore che avevo sempre creduto unidirezionale. Ed Harlock era
finalmente venuto a liberarmi dai miei dubbi, per sempre.
Lo
amavo così tanto che gli avrei tirato volentieri due
ceffoni, un
calcio negli stinchi e, per chiudere in bellezza, una ginocchiata tra
le gambe, ma mi limitai a torturarlo
ancora virtualmente concedendogli invece uno dei miei più
radiosi
sorrisi. “Perché qui, oggi, e davanti a centinaia
di persone?”
Lo misi alle strette di nuovo.
Lui
inclinò appena la testa da un lato, nel suo solito modo
adorabile e
vagamente presuntuoso e poi assottigliò quel suo sguardo
accattivante: “Visto come hai reagito l'altra volta ho
pensato che
ti saresti almeno trattenuta dall'istinto di puntarmi addosso una
pistola... E che mi avresti lasciato parlare.”
Non
potei evitare di arrossire. Beh, perspicace lo era sempre stato.
L'idea di piantargli un laser nella pancia non mi aveva abbandonato
del tutto. Non un colpo mortale, era inteso. Qualcosa di
superficiale, che gli avrebbe fatto digrignare i denti dal dolore.
Nulla di irrimediabile. Ma il desiderio di fargliela pagare, in
qualche modo, era sempre lì, vivo e in agguato. Tuttavia non
lo
avrei mai seguito se non me lo avesse chiesto espressamente. La sua
presenza lì, in quell’hangar puzzolente e malsano,
era sicuramente
più esaustiva di mille parole. Ma io pretendevo che me lo
chiedesse,
dopo tutto quello che avevo penato, era un mio sacrosanto diritto.
“So
cosa stai rimuginando. Vuoi che te lo chieda.” Mi lesse nel
pensiero con un'espressione stranamente divertita e tranquilla, ma
notò comunque il mio scetticismo. “Kei Yuki, sono
venuto per
riportarti a casa.”
Inspirai
profondamente. D’accordo, più che una richiesta
aveva tutta l’aria
di un comando… o di una proposta che non si poteva rifiutare, ma il tono con cui aveva pronunciato quelle
poche
parole e l’intensità del suo sguardo mi fecero
semplicemente
sciogliere come neve al sole.
Sorrisi
soddisfatta. Mi sentivo come un'antica principessa che il suo
principe azzurro era venuto a salvare. Beh forse principe
azzurro
non era il termine più adatto... Cavaliere
nero
suonava decisamente meglio, anche visivamente, senza contare che io
non ero esattamente l'incarnazione di una principessa delle fiabe.
“Vado...
Vado a prendere la mia roba...” mugugnai inebetita, indicando
con
il pollice il rottame alle mie spalle.
“Non
ne hai bisogno...” mi rassicurò senza mai smettere
di fissarmi.
Deglutii
a vuoto. Ecco, ero fottuta! Al diavolo l'Astral Gale e le sue
ventidue libbre di quantinuum. Un carico che mi avrebbe fruttato
almeno diecimila crediti. Chiunque avesse raccattato quella vecchia
bagnarola arrugginita avrebbe fatto l'affare della sua vita.
Ma
a me non importava. Non più almeno. Di fronte a me
c’era tutto ciò
che avevo sempre desiderato, sognato, bramato... Un magnifico stronzo
bastardo!
Mi
fece scivolare una mano dietro la schiena e con l’altra mi
sollevò
per le gambe, in un attimo mi ritrovai avvolta dal suo abbraccio,
confortata dal suo calore. Mi rannicchiai contro il suo petto e lui,
camminando verso il lupo spaziale, avvicinò la fronte alla
mia.
Se
era vero il detto che la sposa doveva far ingresso nella sua nuova
vita in braccio al suo consorte, quel gesto aveva tutta
l’aria di
un tacito
matrimonio.
Sperai però che poi non mi avesse scaricata sulla sua
navetta come
un sacco di patate. Conoscendo certi
suoi precedenti, non era da escludere del tutto.
__________________
Riabbracciare
i miei vecchi compagni mi aveva incredibilmente commossa e reso di
buon umore, perfino la faccia monoespressiva di Meeme mi era apparsa
meno verdognola e… stranamente sorridente. Tuttavia non ero
poi
così sicura di esserle mancata, sicuramente più
di quanto lei era
mancata a me. È proprio vero che quando le cose cominciano a
funzionare per il verso giusto, tutto ti appare sotto una luce
diversa, sotto un’altra prospettiva.
Finiti
i convenevoli Harlock mi invitò nel castello di poppa per
brindare
al mio ritorno. Brindare
era la scusa che aveva preso per congedare gli altri, ma io
ovviamente mi auguravo ben altri
tipi
di festeggiamenti.
Sperai
che fosse lui a prendere l'iniziativa. Non che fossi una verginella
casta e pura che non sapesse che pesci pigliare, per carità,
in
cinque anni avevo avuto abbastanza avventure da poter vantare una
certa esperienza, ma di fronte alla sua gentilezza e
disponibilità
mi ero quasi dimenticata di come si facesse, tanta era la soggezione
che mi metteva quel suo dannato occhio ambrato e indagatore. Era
stupido e anche infantile, me ne rendevo pienamente conto, ma lui
riusciva ancora a scatenarmi quell'effetto. I miei sensi erano come
paralizzati ed il corpo incapace di assecondare i miei pensieri. Lo
vidi avvicinarsi tenendo in mano due bicchieri di vino, sorrisi
constatando che in tanti anni le sue buone abitudini non erano
affatto cambiate. Ma in quell'istante non c'era l'aliena a
condividere con lui quel gesto così intimo e privato, c'ero
io.
Istintivamente mi pizzicai una coscia per svegliarmi da quel bel
sogno e ritornare alla mia scialba vita da mercante di quantinuum.
Era certamente meglio tagliare corto prima di giungere ad un punto in
cui sarebbe stato molto più doloroso svegliarsi. Il dolore
che mi
auto infersi però non cancellò l'immagine
meravigliosa di lui che,
in camicia semiaperta e calzoni, mi scrutava con l'espressione
più
dolce che avessi mai visto dipinta sul viso sempre cupo da
implacabile pirata.
Deglutii
a vuoto e lo lasciai avvicinare di più fino a sentire il suo
fiato
caldo sul viso, lo lasciai avvicinare fino a sfiorare le sue labbra
in un bacio carico di promesse e di rimpianti, disperato e agognato
da tanto, troppo tempo...
__________________
Avevo
urlato qualcosa... Forse il suo nome. Sdraiata sul suo letto
ansimante e sudata, mi augurai di non averlo mandato davvero al
diavolo ad alta voce. Quando finalmente riuscii a recuperare un
briciolo di lucidità mi accorsi di lui completamente
abbandonato su
di me, il suo viso affondato nell'incavo del mio collo, il suo
respiro veloce a solleticarmi impertinente l’orecchio.
Sorrisi
soddisfatta. In quel momento fui grata a me stessa per non avergli
tirato la famosa
ginocchiata. Gli infilai le dita tra i capelli e, per la prima volta
in vita mia, non fui tentata di strapparglieli ciocca dopo ciocca.
Gli accarezzai dolcemente la schiena. E poi lo strinsi forte.
Non
potevo credere che quello che era appena accaduto tra noi avesse
posto fine alla rigorosa tradizione di cent'anni di castità.
Ma
nello stesso tempo, immaginarlo avvinghiato a Meeme, in quello stesso
letto, non mi faceva stare meglio.
Era
il mio chiodo fisso. Cosa ci potevo fare? Mi augurai che ogni tanto
avesse almeno consumato
come ogni altro stramaledetto pirata che si rispetti. Come faceva
tutto il resto della ciurma. Ero ridotta proprio male per preferirlo
tra le gambe di una sconosciuta piuttosto che tra le grinfie di
quell'aliena.
Scossi
il capo istintivamente cercando di scacciare quei perniciosi pensieri
e lui se ne accorse. Si sollevò da me mettendosi su un fianco.
“Su cosa stai rimuginando?” Mi chiese rilassato e
curioso allo
stesso tempo.
Sogghignai.
Potevo farmi sfuggire una così ghiotta occasione?
“Sul
fatto che sei un meraviglioso stronzo, bast...”
Mi
chiuse subito la bocca premendomi due dita sulle labbra.
“Basta
così, ho afferrato il concetto”
ironizzò, con quel suo solito
sorrisetto assassino che in quel momento gli illuminava lo sguardo.
“E
la cosa non ti disturba...?” Mi affrettai ad aggiungere
aggrottando
la fronte. Ero davvero curiosa di sapere cosa lo avesse spinto a
lasciarsi tutto alle spalle e a compiere finalmente quel tanto
sofferto primo passo verso di me.
“No.
So che nutri ancora del risentimento nei miei
confronti…” Bravo,
che tipo perspicace! “Ma al proprio destino non si
può fuggire…
e tu, malgrado tutto, sei e sarai sempre legata a questa nave. E a
me...” svelò finalmente con il sentimento di un
tostapane.
Mi
sollevai leggermente sui gomiti e lo fissai come una leonessa che sta
per azzannare la sua preda, pronta a vomitargli addosso ogni sorta di
ingiuria che mi fosse passata per la testa. Ma appena aprii bocca mi
trattenni, scossi la testa divertita cambiando subito espressione:
“Lo sai vero che è la peggiore dichiarazione
d’amore che la
storia ricordi?” Sogghignai.
L'unica
risposta che ricevetti fu un affascinante sorriso sibillino. Era
inutile sperare nell’impossibile, non avrebbe mai pronunciato
quelle due fatidiche e magiche parole, nemmeno sotto tortura. Anche
se, in quel frangente, manette e frustino stavano diventando un
pensiero davvero allettante. Come anche quello di una doccia... avevo
ancora l’odore del carburante misto a fumi di scarico addosso
e tra
i capelli, gli scoccai un bacio a fior di labbra e mi sollevai
mettendomi seduta sul bordo del letto. Feci per alzarmi ma una mano
forte e calda mi afferrò per la vita facendomi ricadere
all’indietro.
“Dove
credi andare?” Mi bloccò, rotolando sopra di me,
imprigionandomi
con la sua iride ambrata ancora ardente di desiderio.
Non
feci in tempo a replicare che mi trovai la bocca chiusa dalla sua.
Era vero, da quelle labbra morbide e tiepide un ti
amo,
non sarebbe mai venuto fuori, ma dopo aver sperimentato le prodezze
della sua lingua sapiente su tutto il mio corpo, la consapevolezza
che sapesse parlare
in tutt’altra maniera mi allettava certamente di
più.
Quasi
soffocata dai suoi baci e dalle sue carezze roventi e audaci, fui
pervasa da una drammatica
consapevolezza: non
avevamo preso nemmeno uno straccio di precauzione. Sorrisi sulla sua
bocca e lui non ne intuì il motivo. O forse non si era
nemmeno posto
il problema. Il fatto che mi avesse donato tutto se stesso, senza
preoccuparsi delle conseguenze, valeva molto più di
qualsiasi
sdolcinata e prolissa dichiarazione d’amore.
Fantastico!
Pensai. Già mi prefiguravo gli sforzi sovrumani per tentare
di
infilarmi la tuta aderente combattendo con l'ingombrante pancione e
mi immaginavo a sfornare il mio primo marmocchio sotto l'imperversare
di una battaglia. Ma la cosa stranamente non mi dispiaceva,
né mi
intimoriva, anzi ero fiduciosa, elettrizzata. Sapevo che su una nave
pirata una pistola è la prima cosa che si mette in mano ad
un
bambino ancora prima che cominci a camminare, perché per noi
avrebbe
dovuto essere diverso?
Quella
era la vita che avevamo scelto, con le sue gioie impreviste da
accogliere come benedizioni e gli inevitabili dolori. L'unica vita
che avremmo mai potuto amare. Mi lasciai andare alle sue focose
effusioni mentre l’Arcadia, fendendo il nero dello spazio
infinito,
si godeva tranquilla e silenziosa quel prezioso momento di quiete
prima della prossima avventura.
Ecco,
mi stava accadendo di nuovo, sentivo il cuore battere all'impazzata,
il sangue pulsane nelle vene e l'adrenalina salire alle stelle. Ero
di nuovo un pirata, parte di quella meravigliosa ciurma di scalmanati
pronti a tutto, a dare anche la vita per quello in cui avevano sempre
creduto. Ero di nuovo quella che, in fondo, non avevo mai smesso di
essere nel corpo e nell’anima: Kei Yuki, secondo ufficiale
della
corazzata più invincibile dell’universo ed ero
finalmente tornata
a casa.
F I N E
L'angolo
dello smatto fobico ^ ^'
Questa
fiction l'ho ripescata in una vecchia cartella del mio PCino ormai
dimenticata e sepolta tra un mare di altri files, l'avevo scritta per
dare un finale a Precious, ma poi avevo perso l'entusiasmo e...
nulla, l'avevo abbandonata. Perché l'ho tirata fuori proprio
adesso?
Nessun arcano mistero da svelare, semplicemente è un periodo
in cui
ho bisogno di lieti fine, che non schiatti nessun protagonista in
modo barbaro e disumano, insomma amore e felicità a iosa
contro
l'infinita merda di questo mondo infame. Y___Y
Per
la scena del capitano che prende in braccio Kei per portarla sullo
space wolf il credit va alla mia amica A. lei sa chi è
(oddio spero
se lo ricordi... Te lo ricordi vero?) quindi
non c'è bisogno che faccia nome e cognome.
Visto che in qualche modo ce l'ho messa? <.< il
mio mal di schiena ti ringrazia NdHarlock
Grazie
a chiunque passi di qua. Se qualcuno vuole lasciare pure un parere,
son pronta a staccare un assegno (no scherzo, sono pressoché
al
verde) ^ ^' ma certamente gli sarò infinitamente grata :)
E
dopo questa piccola parentesi Harlockiana me ne ritorno in una
galassia lontana lontana... fa pure rima what
Besos
a todos e che la forzah sia con voih!
Disclaimer:
Tutti
i personaggi di Capitan Harlock sono © di Leiji Matsumoto. La
fan art invece è opera mia ;)
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