Capitolo
ventuno
Senza
scampo
Silye
strizzò gli occhi e aggrottò la fronte,
manifestando tutta la sua
concentrazione. “Cresci” pensò.
“Andiamo: cresci!” Continuò
a ripetere quelle semplici parole per qualche minuto nel silenzio
totale, interrotto solo da lievi rumori che non era ancora riuscita
bene ad identificare, ma di cui sospettava la fonte.
Aprì
gli occhi, convinta di trovare davanti a sé un rigoglioso
fiore, lo
stesso che aveva assiduamente visualizzato nella sua mente lungo
tutto l'ultimo quarto d'ora, ma, con suo estremo disappunto, vide
solo la comune e monotona erba.
«Peccato»
commentò Vidar, seduto in ginocchio di fronte a lei, mentre
lanciava
in aria una mela per poi riafferrarla e ricominciare da capo. Ecco
spiegato il rumore che lei aveva sentito per tutto il tempo che aveva
trascorso ad occhi chiusi. «È
davvero un peccato perché ti eri molto concentrata su quelle
piantine.»
Silye
sospirò, massaggiandosi la fronte con le dita.
«Smettila. Mi farai
venire il mal di testa...»
Vidar
afferrò la mela al volo e le diede un morso.
«Contenta?» chiese
con la bocca piena.
Silye
fece una faccia disgustata, prima di lanciare un altro sguardo alle
pagine del libro e alle istruzioni scritte. «È
inutile» disse, quindi, sconsolata.
«Non ce la faccio.»
«Non
ci credo» Vidar scosse la testa.
«Cosa
non credi?» domandò Silye, non comprendendo il
motivo della sua
affermazione.
«Che
tu ti arrenda così facilmente in qualcosa in cui io non
c'entro, o,
almeno, non direttamente» rispose, alludendo alle
innumerevoli volte
in cui lei non era riuscita a batterlo, il che diede non poco
fastidio alla ragazza. «Non riesco a credere che Silye Dahl
lasci
perdere tanto velocemente.»
Silye
comprese subito la sua tattica: premere sull'orgoglio ferito della
ladra per indurla a perseverare. Non le andava giù che lui
la
considerasse tanto stupida da abboccare, ma allo stesso tempo le era
grata per i tentativi che stava facendo per spingerla a non darsi per
vinta. “Forse è vero” pensò,
tuttavia. “Sono davvero più
debole di prima.”
Come
terminò di formulare quel pensiero, si ritrovò il
viso e gli occhi
di Vidar a pochi centimetri dai suoi. «Allora?»
insistette lui. A
quella vicinanza, Silye poteva sentire il respiro del dio
solleticarle le guance e vedere ogni singolo dettaglio della sua
bocca: le labbra leggermente screpolate per il freddo, come le erano
anche quelle della ragazza, e il loro colore roseo. «Sei una
perdente o una vincitrice?»
Forte
e fiera. Forse si era davvero fiaccata, ma rimaneva pur
sempre
una Dahl, una ladra, una che non lasciava perdere alle prime
difficoltà. Una vincitrice.
Socchiuse
nuovamente gli occhi e fece sprofondare con impeto le mani nella
terra; sentì immediatamente quel caldo e potente contatto
con la
natura. Stavolta, però, era diverso; questa volta aveva
più fiducia
in se stessa. Riversò tutto il suo essere e la sua forza
nella
terra, sfruttò quel ponte tra lei e la natura per
convogliare le
energie al suolo e nella sua mente si andarono a delineare tante
piccole radici, che proprio in quel momento stavano fuoriuscendo
dalle sue dita. Continuò a cedere energia al suolo fin
quando non
iniziò a sentirsi stanca e pesante, e allora
sollevò finalmente le
palpebre.
Davanti
a lei, proprio nello spazio tra i punti in cui le mani si trovavano
immerse nella terra, era apparso come per magia un fiorellino dai
petali dello stesso rosso dei capelli di Silye e dagli stami colmi di
polline. La ragazza tirò fuori dal suolo gli arti, senza
smettere di
guardare la pianta appena sbocciata.
«Ce
l'hai fatta!» esultò Vidar, emettendo una risata
quasi di sollievo.
Silye ancora non riusciva a capire come ci fosse riuscita e da dove
le fosse venuta l'improvvisa idea di dare la sua energia alla terra,
cosa che non aveva fatto durante gli esercizi di quei giorni.
«Io...»
mormorò, spostando lo sguardo dal fiore alle proprie mani
sporche di
terra, che era talmente umida da somigliare a melma. Toccò
delicatamente un petalo con un dito, come per accertarsi che fosse
vero, e non una delle sue tanti visioni, e, quando lo
sfiorò, la
ritrasse subito. In quel momento, la sua mente era un insieme
confusionario di pensieri e domande a cui non riusciva a dare un
ordine o una spiegazione plausibile per ciò che aveva appena
compiuto.
«Ho
bisogno d'aria» disse, sebbene fosse conscia del fatto che si
trovassero già all'aperto. Sentiva solo il bisogno di stare
da sola
e realizzare quello era accaduto.
«Vuoi
che io venga con te?» chiese Vidar, guardandola per la prima
volta
da quando Silye aveva inspiegabilmente fatto nascere quel fiore, che
lui era stato ad osservare con un'espressione di incredulità.
«No.
Mi serve solo qualche minuto senza nessun altro che non sia
io»
affermò, alzandosi a allontanandosi dal luogo dove era
avvenuto
quello che non sapeva in che altro modo definire se non un qualcosa
di magico e incredibile.
Vagò
per quelle che le parvero ore nella foresta, senza guardarsi intorno
e senza controllare la strada che stava facendo. All'improvviso,
iniziò a correre. Sfrecciò tra i tronchi degli
alberi, saltando
laddove le radici erano troppo alte e rischiavano di farla
inciampare. Si lasciò andare alla sensazione del vento che
le
sferzava la pelle e i capelli, cercando di svuotare la mente da ogni
pensiero e preoccupazione e focalizzandosi soltanto sul suo respiro
affannato e sulla terra sotto i suoi piedi. All'improvviso si
fermò
e si accasciò vicino alla corteccia di un grande albero.
Appoggiò
sul legno il capo e socchiuse gli occhi, mentre prendeva un profondo
respiro.
Sono
una völva
pensò, mentre gli occhi le iniziarono a pizzicare, segno che
le
lacrime stavano per uscire. Non voleva. Non voleva piangere e, come
per impedire a se stessa di farlo, sbatté la testa sul
tronco.
Sono
una völva
e non posso
fare nulla per tornare indietro. Una
lacrima riuscì a penetrare la barriera che aveva cercato di
creare a
tutti costi e colò lungo la guancia. Colpì di
nuovo la dura
corteccia, lanciando un grido.
Lo
fece di nuovo: una, due, tre volte. Si fermò
solo quando
iniziò a sentire un liquido denso colarle sul collo e un
forte
dolore dietro la testa. Forse la sofferenza fisica sarebbe bastata a
coprire quella che sentiva dentro, a cui non trovava altro modo per
farla smettere se non facendosi del male.
Ormai
non aveva più scampo. Da quel momento in poi avrebbe dovuto
dimenticare lo stile di vita con cui aveva vissuto fino a quel
momento, ciò che aveva imparato da suo padre, il suo
mestiere di
ladra. Tutto. Era divenuta una völva
a tutti gli effetti e non poteva in alcun modo tornare indietro nel
tempo, a quando era solo una ladra e una cacciatrice. Si chiese a
cosa fossero serviti anni e anni di insegnamento e fatiche, se poi
ogni cosa era stata soffiata via dall'arrivo di Vidar e dalla
scoperta che aveva conseguito. Finora non si era davvero resa conto
di quanto quello che era successo avesse cambiato la sua vita, ma ora
che aveva per la prima volta agito in tutto e per tutto come una
völva
la situazione
le era fin troppo chiara. Facendo crescere un piccolo fiore, aveva
irrevocabilmente segnato il suo futuro.
Angolo dell'autrice:
Buonsalve carissimi lettori!
Anche questo è un capitolo abbastanza corto, ma vi prometto
che mi sto impegnando per farli più lunghi (dovrete
sopportarne solo un altro, prima che arrivi il bello)! Nel frattempo,
Silye inizia a fare progressi nelle sue lezioni per imparare le arti
delle völve, ma per lei la situazione non
è affatto facile da accettare. Sono momenti duri per la
povera ladra, e questo non è ancora niente (non sto mettendo
ansia, vero?).^^
Vi
ringrazio immensamente per continuare a leggere e lasciare le vostre
opinioni alla storia. Il vostro contributo è fondamentale
per permettermi di migliorare nella scrittura!
Sophja99
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