Le rose dei secoli

di Beauty
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Carolina Matilde di Danimarca
 
La piccola fiammiferaia
 
“Ora la bambina camminava scalza, e i suoi piedini nudi viola per il freddo; in un vecchio grembiule aveva
una gran quantità di fiammiferi e ne teneva un mazzetto in mano”


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La prima fiammella si spegne, e un frammento di vita vola via.
La scarlattina brucia, le piaghe sul suo corpo si stanno prendendo a poco a poco ogni granello di vita che le resta, ma quando la fiamma della prima candela muore, Carolina Matilde vuole tenere vivo ciò che resta di lei.
Il fuoco del camino è caldo, ma mai caldo quanto il raro sole inglese che lottava contro le nubi per regalare a lei e ai suoi fratelli un pomeriggio di gioia nel fresco luglio dell’Inghilterra. Il cielo è limpido, ma mai limpido come il celeste del suo abito estivo preferito, perso in un turbinio di seta mentre lei e Luisa compivano un girotondo nel verde e fiorito prato di Leicester House.
I giorni di gioia e spensieratezza, quando il sogno del matrimonio era una prospettiva vaga e speranzosa, un futuro luminoso che non sarebbe stato intaccato dalle nubi – dal gelo e dalla neve della Danimarca, dal ghiaccio della follia – le paiono più vicini ora di quando ha compiuto il suo primo grande viaggio, dalla corte di Hannover fino al Palazzo di Christiansborg.
La seconda fiammella si spegne, e il sogno muore.
Fa freddo, constata Carolina Matilde, nonostante la malattia la stia bruciando da dentro. Eppure, dovrebbe essere abituata al gelo, perché la neve della Danimarca non è mai stata nulla in confronto al ghiaccio di un matrimonio senza amore ma colmo di follia.
Quando anche il sogno si era infranto, l’unica cosa che era stata in grado di provare nei confronti di Cristiano era stato un sordo e implacabile disprezzo; ora, suo marito le ispira solo un’infinita pena. Non può fare a meno di rimproverarsi di essere stata sciocca e immatura; forse, se avesse compreso prima che Cristiano era solo malato, e non malvagio…no, non sarebbe cambiato nulla.
Illudersi è inutile. Anche la più viva fiamma di speranza è destinata a spegnersi.
A sciogliere la neve del suo cuore era stato suo figlio, prima.
Il calore dell’amore di una madre è in grado di abbattere qualsiasi muraglia di ghiaccio.
E la passione di un amore puro e sincero fa liquefare ogni gelo.
La terza fiammella muore, e il destino ha fatto il suo corso.
Non si dovrebbe morire a ventitré anni. Non si dovrebbe morire giovani, lontano dalla propria casa, dalla propria famiglia, e dai figli a cui non è stato più concesso nemmeno di parlare. L’unico rimpianto di Carolina Matilde è forse non poter riabbracciare un’ultima volta Federico e Luisa Augusta.
Ma, in fondo, non le dispiace di morire.
Ritiene di aver sofferto abbastanza, in cuor suo.
Ed è stata lei stessa ad invocare la morte, quando le è stato comunicato dell’avvenuta esecuzione di Johann Friedrich Struensee. Ha pianto e gridato e pregato Dio di lasciare che si ricongiungesse con il suo amore.
Il Signore forse l’ha ascoltata.
Ed è con il cuore caldo d’amore che Carolina Matilde chiude gli occhi, e si lascia avvolgere dal gelo.




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