Capitolo
ventitre
Viaggio
«Insomma,
non sarà una visita piacevole, giusto?»
domandò Silye, mentre
radunava tutto il cibo che avevano comprato il giorno prima e lo
racchiudeva in un panno, legando i due lembi alle estremità
e
creando un fagotto.
«Affatto,
ma non abbiamo altra scelta» rispose Vidar, anche lui
affaccendato a
preparare le scorte e sellare Sleipnir.
«C'è
sempre una scelta: non che tu me ne abbia lasciate molte ultimamente,
però» affermò l'altra, stizzita, poco
prima di volgere lo sguardo
verso il dio. «Andremo a cavallo?»
«Non
c'è altro mezzo per raggiungere l'Hel, o almeno da vivi.
Infatti,
solitamente solo i morti possono arrivarvi, subito dopo aver
terminato la loro vita sulla terra. Oltretutto, si trova
nell'entroterra e non è raggiungibile a piedi.»
«Se
non possiamo arrivarci a piedi, perché, invece, possiamo a
cavallo?
Non capisco...»
«Certe
volte ti comporti da vera idiota» esclamò Vidar,
guadagnandosi
un'occhiata di fuoco da parte della ladra. «A piedi o a
cavallo non
cambia nulla: ciò che varia è il tipo di
destriero. Potremo
arrivarci grazie a Sleipnir e alle sue rune.»
«Se
magari ti fossi subito spiegato meglio, non ci sarebbe stato alcun
bisogno per me di farti delle domande, idiota.»
«Non
ti consiglio di insultare un dio» affermò Vidar,
con un tono che
avrebbe dovuto spaventare Silye, ma che la fece solo ridere.
«Perché?
Altrimenti cosa mi fai? Sai bene che sono troppo preziosa per te e
dovrò servirti nel caso Nidhöggr non si trovi da
Hel» disse lei,
guardandolo con fare altezzoso per mostrargli che non era affatto
intimorita da lui. «E, fino a prova contraria, io sono una völva
e nemmeno a te conviene insultarmi.»
«E
tu vorresti spaventarmi in questo modo? Vediamo un po': cosa mi
farai? Mi farai crescere un fiore in testa?» la derise lui,
poco
prima di uscire dalla casa. «Che paura!»
Silye
sbuffò, guardandolo male, mentre richiudeva la porta dietro
di sé.
Almeno le aveva lasciato qualche minuto da passare con
Úlfur, prima
della separazione. Le faceva male il pensiero di doverlo lasciare
andare, perché in tutti quegli anni il cane era stato il suo
unico
compagno e amico. La sua presenza era stata fondamentale e aveva reso
la permanenza nel solitario bosco di Hoddmímir
più vivibile. Le si
strinse il cuore a guardare il muso del cane, ignaro che di
lì in
poi non avrebbe più rivisto Silye, o comunque non prima di
un tempo
indeterminato. Lei sperava con tutto il cuore che, una volta conclusa
quella storia, sarebbe potuta tornare a casa sua per riprendere la
sua normale vita con Úlfur, ma in quel momento, - doveva
dare
ragione a Vidar -, il cane non sarebbe stato altro che un impiccio
nel viaggio verso l'Helheimr. Sarebbe stato impensabile portarlo con
loro, dati i pericoli che avrebbero dovuto affrontare, e Silye si
sarebbe sentita più sicura a saperlo nella foresta, dove il
cane
sapeva destreggiarsi e avrebbe certamente trovato un modo per
sopravvivere.
Lasciò
un po' di cibo accanto al loro giaciglio e abbracciò stretto
a sé
Úlfur, che le leccò la guancia e la faccia.
«Ci vediamo presto»
mormorò. “O almeno spero” aggiunse
nella sua mente.
A
malincuore uscì dalla casa con in mano la scorta di cibo,
che andò
a deporre nella sacca collegata alla sella di Sleipnir. Vidar si
stava ancora assicurando che le cinghie fossero ben strette, quando
Silye venne attratta da un lungo bastone, ricoperto da un panno che
sbucava dalla bisaccia opposta a quella in cui lei aveva riposto i
viveri. Afferrò l'asta in legno, ma come vi mise mano, venne
scossa
da una fulminea visione.
Era
solo un immagine, che si stagliò nella sua mente come un
fulmine, e
con la stessa rapidità scomparve, ma non prima che lei ebbe
il tempo
di osservarne i dettagli.
Un
uomo possente e dai muscoli ben visibili da sotto l'armatura e il
mantello che lo coprivano, sedeva su un cavallo ad otto zampe, che lo
portava a trotto in quella che pareva essere una foresta. Odino.
Lo riconobbe immediatamente, dopo le innumerevoli volte che
le
era capitato di vederlo nelle visioni; ma stavolta
identificò anche
Sleipnir, il formidabile destriero che ora era divenuto di Vidar. Il
particolare che più attrasse l'attenzione di Silye fu la
lancia che
teneva in mano; questa aveva una lunga asta, la stessa che aveva
visto spuntare dalla bisaccia, che culminava su una grande lama
appuntita. All'apparenza dava l'impressione di essere un'arma molto
semplice, nulla di epico o potente, ma in mano a Odino incuteva un
senso di paura e rispetto.
Come
Silye si riprese, lasciò andare il bastone, che aveva
scoperto
essere una lancia. Riposizionò bene il panno in modo che non
si
vedesse più nulla della lancia, lanciò poi
un'occhiata a Vidar da
sopra Sleipnir e si accorse che la stava guardando. Aveva finito di
legare la sella ed ora la osservava con la testa leggermente piegata,
come faceva sempre quando studiava i suoi movimenti e cercava di
comprendere qualcosa. “Avrà forse capito che ho
appena avuto una
visione?” si chiese, sebbene lo credesse improbabile,
poiché
solitamente gli altri non si accorgevano di quando lei ne aveva corta
e leggera come era stata quella e Vidar, nonostante avesse
sicuramente captato qualcosa, probabilmente non se ne era accorto.
«Tutto
a posto?» domandò e lei annuì in
risposta. “Sì, eccetto il
fatto che ho appena visto tuo padre” pensò.
Abbassò
di nuovo la testa. Sapeva che lei non c'entrava nulla nella storia e
nel passato di Vidar, ma la curiosità di vedere dal vivo la
lancia
di cui aveva appena vuto la visione era troppo forte. Tirò
fuori
dalla bisaccia la lunga lancia, scostando di nuovo il panno e
rivelando la punta prima coperta e cammuffata in modo da far apparire
l'arma come un semplice bastone. È
una delle poche cose che mi rimangono di lui, insieme alla sua
lancia, Gungnir. Queste
erano state le parole di
Vidar, quando le aveva parlato di Sleipnir. Aveva fatto solo un lieve
accenno alla lancia, ma, trovandola e vedendola, Silye lo aveva
subito rammentato. «La lancia Gungnir»
mormorò, passando la mano
lungo il legno saggiamente intagliato e prodotto. «Era di tuo
padre.»
Vidar
le venne accanto e ammutolì quando la vide con in mano la
lancia di
Odino. «Sì» sussurrò,
improvvisamente con la voce un poco roca.
Tossì per schiarirsela e continuò:
«L'ho presa poco dopo la sua
morte e con essa l'ho vendicata uccidendo il lupo Fenrir.»
Silye
se la rigirò tra le mani, saggiandone la consistenza e la
facilità
di movimento grazie alla leggerezza dell'arma, prima di riconsegnarla
al legittimo proprietario. «Tieni.»
Lui
la prese e rimase per qualche secondo ad osservarla, come in trance.
Silye avrebbe voluto lasciargli qualche minuto per riflettere,
perché
evidentemente a quella lancia erano connessi avvenimenti molto
sofferti di cui non aveva alcuna intenzione di parlare, ma quello non
era il momento adatto. “Ognuno di noi deve combattere con i
propri
demoni interiori, ma ora abbiamo cose più impellenti di cui
occuparci.”
«Ehm,
avrei un problemino con... il cavallo.»
Vidar
si riscosse e, dopo aver nuovamente riposto la lancia nella bisaccia,
in modo tale che non desse fastidio ai loro piedi, domandò:
«Di che
tipo?»
«Non
ci sono mai salita.»
«Mai
salita su un cavallo?» rincarò Vidar, che pian
piano iniziava a
riacquistare la vitalità e l'ironia ormai tipiche del suo
carattere.
«Se
te l'ho detto significa di no, altrimenti non mi sarei posta il
problema. Che dici?» esclamò Silye, infastidita e
imbarazzata per
avergli mostrato una delle sue debolezze.
«Beh,
il salire non è difficile» disse Vidar,
posizionandosi accanto a
Sleipnir e facendole spazio. «Lo è il
rimanerci.»
Silye
lo guardò male, ma la sua espressione ebbe l'effetto
contrario,
poiché Vidar scoppiò in una breve risata, prima
di riprendersi e
iniziare a darle le direttive sul come salire a cavallo.
«Devi
poggiare il piede destro sulla staffa. Quindi, ti spingi verso l'alto
e alzi l'altra gamba per sederti sulla sella. Semplice, no?»
«Come
rubare a un bambino» sibilò Silye, mentre tentava
di fare come
aveva detto Vidar e spiccarsi su. Il dio fece per aiutarla
appoggiandole una mano sulla gamba e l'altra sulla schiena, ma, come
sentì Vidar toccarla, sebbene lo stesse facendo per
aiutarla,
istintivamente si girò ad intimargli di smetterla.
«Toglimi le mani
di dosso. Faccio da sola.»
«Va
bene, va bene» affermò Vidar, alzandole e
allontanandosi,
rimanendole comunque abbastanza vicino in modo da riuscire ad
afferrarla in tempo nel caso scivolasse e cadesse a terra.
Silye
alla fine, non con poca difficoltà, riuscì a
mettersi seduta sulla
sella e tirò un sospiro di sollievo quando finalmente si
accomodò
su Sleipnir.
«Tirati
indietro» disse poi Vidar. «Devo salire
anch'io.»
«Ma
come? C'entriamo in due?»
«Naturalmente.
Come ogni cavallo normale, Sleipnir è in grado di portare
tranquillamente due persone insieme.» Vidar salì
nello stesso modo
in cui aveva fatto poco prima la ladra e si sedette poco davanti a
lei. «Pronta?»
«A
dire il vero, no.»
Silye
poté percepire Vidar sorridere, sebbene lui non la stesse
guardando.
«Tieniti forte.»
«E
dove?»
«A
me, ovviamente.»
«Non
ci penso neanche» ribatté Silye, incrociando le
braccia.
«Allora
vale a dire che cadrai e non potrai reggerti a niente.»
«Bene»
pronunciò e subito dopo Vidar tirò le redini e
serrò i polpacci,
facendo partire improvvisamente Sleipnir. Per la rapidità
con cui il
cavallo si mosse, Silye venne sballottata indietro e sarebbe
certamente caduta se non si fosse aggrappata al mantello di Vidar. Si
avvicinò a lui per paura di essere sbalzata a terra, ma,
quando si
rese conto di quanto si trovasse vicino al suo collo, si
allontanò
leggermente.
Non
le piacevano quei contatti fisici, anche se occasionali e spesso
innocenti, come quello che c'era stato mentre saliva su Sleipnir;
sebbene a separarli ci fossero strati di indumenti anche molto
pesanti, quando lui la toccava, si sentiva nuda e indifesa: fragile.
E lei odiava sentirsi così, a maggior ragione nei confronti
di un
individuo come Vidar.
«Vedo
che ti sei decisa a reggerti a me» disse il dio, girandosi
leggermente in modo che Silye potesse vedere metà del suo
viso.
La
ragazza evitò di rispondere perché sapeva che, se
avesse aperto
bocca, da essa non sarebbe uscito altro che parolacce e imprecazioni.
«Preparati»
esclamò Vidar, mentre il cavallo passava dal trotto alla
corsa, per
quanto gli alberi riuscissero a permettergli. «Si
parte.»
Sleipnir
aumentò talmente il passo che il vento fece calare il
cappuccio del
mantello di Silye, scoprendo i capelli rossi, che si alzavano e
riabbassavano a seconda dell'andamento del cavallo.
Improvvisamente
gli alberi si fecero offuscati e evanescenti, fin quasi a scomparire,
mentre davanti a loro compariva un grande vortice azzurro, verso il
quale si stavano dirigendo rapidamente. D'istinto Silye si fece
più
vicina a Vidar e si strinse a lui, come temendo cosa stava accadendo
e dove li avrebbe portati quel vortice dai riflessi celesti e
bianchi.
Sleipnir
vi passò attraverso e la ladra venne attraversata da una
sensazione
di stordimento. Sentiva la testa e lo stomaco in subbuglio, come dopo
una lunga corsa, che le lasciava ogni singolo muscolo del corpo
fiaccato. Il bianco e l'azzurro del vortice sparirono improvvisamente
e si ritrovò nello stesso luogo buio e tetro della visione
di quella
mattina. Quando si girò per guardare il turbine che li aveva
portati
fin là, non vide nulla, se non il paesaggio nero che li
circondava e
che già ricordava dalla visione. L'Helheimr.
Angolo dell'autrice:
Ed
ecco a voi l'Helheimr! Nel prossimo capitolo incontrerete da vicino la
dea degli Inferi, ma ancora non posso rivelarvi se sarà un
incontro piacevole o meno.
Inoltre,
devo avvertirvi che non so se la prossima settimana riuscirò
a pubblicare con regolarità (tendo ad aggiornare ogni
settimana, a volte la domenica, altre il lunedì, ma
ovviamente ciò varia dalle possibilità che ho di
farlo), perché sarò occupatissima a causa della
scuola (me sventurata!). Spero comunque che il capitolo vi sia piaciuto
e ci tengo a conoscere le vostre impressioni e a ringraziarvi!
Sophja99
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