Titolo:
La bella e la bestia
Personaggi: Adrien Agreste;
Marinette Dupain-Cheng; Altri
Genere: fantastico, romantico
Rating: G
Avvertimenti: AU, longfic,
Wordcount: 1.194 (Fidipù)
Note: Allora, io non avevo in
mente di iniziare questa storia, veramente. Nonostante qualcuno mi
passasse fanart o altro, ho cercato di resistere ma questo Qualcuno è
stato veramente insistente e quindi...beh, eccomi qua! Dopo La sirena,
perché non mettere le mani anche su un'altra fiaba e rimaneggiarla? (Se
continua così faccio la saga FairyTale, eh!) E quindi ecco che nasce
questa storia che ricalca la storia originale (E' una storia sai, vera
più che mai...ok, la smetto), che noterete fin dalle prime battute ha un
che di diverso: l'ambientazione in cui si muovono i personaggi è quella
steampunk (è un anno che sto provando a creare qualcosa di steampunk su
Ladybug e, finalmente, ce l'ho fatta!) e...
Beh, vi lascio direttamente alla storia! Premetto che ancora non so
quando l'aggiornerò perché devo ancora collocarla nel giusto ordine dei
post settimanali, intanto metto questo primo capitolo come regalo a quel
Qualcuno che mi ha scartavetrato (ovviamente sto scherzando!) affinché
iniziassi anche questa storia (Ora basta, eh. Almeno finché non finisco
qualcosa di quello che in corso).
In anticipo, voglio dire grazie a tutti coloro che leggeranno le mie
parole, le commenteranno o semplicemente la inseriranno in una delle
loro liste.
Grazie tantissimo!
Tanto
tempo fa, in un paese lontano lontano, un giovane principe viveva in un
castello splendente.
Benché avesse tutto quello che poteva desiderare, il principe era
viziato, egoista e cattivo.
Accadde però che una notte di inverno una vecchia mendicante arrivò al
castello e offrì al principe una rosa in cambio del riparo dal freddo
pungente.
Lui, che provava repulsione per quella vecchia dal misero aspetto, rise
del dono e la cacciò.
Ma lei lo avvertì di non lasciarsi ingannare dalle apparenze, perché la
vera bellezza si trova nel cuore.
Il principe la respinse di nuovo e in quel momento la bruttezza della
mendicante si dissolse ed apparve una bellissima fata.
Il principe si scusò, ma era troppo tardi, perché lei ormai aveva visto
che non c'era amore nel suo cuore e per punirlo lo tramutò in una
orrenda bestia e gettò un incantesimo sul castello e su tutti i suoi
abitanti.
Vergognandosi del suo aspetto mostruoso la bestia si nascose nel
castello con uno specchio magico come unica finestra sul mondo esterno.
La rosa che gli aveva offerto la fata era davvero una rosa incantata e
sarebbe rimasta fiorita fino a che il principe avesse compiuto 21 anni.
Se avesse imparato ad amare e fosse riuscito a farsi amare a sua volta
prima che fosse caduto l'ultimo petalo, l'incantesimo si sarebbe
spezzato; in caso contrario sarebbe rimasto una bestia per sempre.
Con il passare degli anni il principe cadde in preda allo sconforto e
perse ogni speranza...
Chi avrebbe mai potuto amare una bestia?
[Incipit de La bella e la bestia - 1991]
Tom Dupain si asciugò la fronte, alzando
il viso verso il cielo grigio e sospirando: mancavano molte miglia e di
certo non sarebbe tornato a casa quel giorno; strinse le redini del
calesse e guidò i cavalli lungo il sentiero tortuoso, sperando di essere
in prossimità di una locanda.
Un rumore meccanico gli fece di nuovo alzare la testa, notando un
dirigibile solcare avventuroso quel cielo plumbeo: ricchi, pensò con tono
di sfida l’uomo, trattenendo con più forze le cinghie dei cavalli e
pregando che il suono non li spaventasse.
Speranza vana, poiché lo scoppio di un tuono nelle vicinanze, li fece
imbizzarrire: Tom aumentò la presa sulle redini, usando tutta la sua forza
per trattenerli mentre questi correvano lungo il sentiero, reso
accidentato dalla pioggia.
Doveva fare qualcosa.
Doveva assolutamente fare qualcosa o non sarebbe uscito vivo da tutto ciò.
Strinse i denti e, con tutta la sua forza, costrinse gli animali a curvare
onde evitare di finire fuori dalla strada, mentre la folla corsa
continuava; l’uomo si chinò per evitare un ramo in pieno viso e, usando
nuovamente le sue energie, costrinse i cavalli a lasciare la strada
maestra per entrare in un piccolo sentiero che portava verso l’alto della
montagna che, fino a quel momento, aveva costeggiato e sperando che, con
la salita, le bestie si sarebbero stancate maggiormente.
Tom respirò a fondo, sentendo la forza degli animali venir sempre meno e,
alla fine, gli animali sebbene ancora spaventati fermarono la loro corsa:
«Dove siamo finiti?» mormorò l’uomo, balzando a terra e, sempre tenendo le
cinghie, avvicinandosi lentamente ai musi dei due cavalli, carezzandoli
dolcemente in modo da calmarli.
Si guardò attorno, cercando di capire dove quella corsa pazza lo avesse
portato ma tutto ciò che riusciva a vedere era solo un muro, che aveva
ceduto il potere alla natura selvaggia: «Dove sono finito?» ripeté Tom,
mentre un lampo squarciava il cielo e illuminava la notte, mostrando la
figura maestosa dell’abitazione al di là della recinzione muraria.
Tom carezzò il muso ai due cavalli, stringendo le redini e facendo un
passo in avanti, tirando leggermente le bestie per seguirlo: forse, più
avanti, avrebbe trovato un cancello.
Forse in quel castello, arroccato su quello spunzone di montagna, qualcuno
lo avrebbe aiutato.
Forse sarebbe riuscito a tornare a casa, da sua moglie e sua figlia.
Il motore scoppiettò all’improvviso e rilasciò una nube di fumo nero
direttamente in faccia alla ragazza che, tossendo, si alzò velocemente
dalla sua postazione, per avvicinarsi alla finestra e spalancarla in modo
che l’aria satura di fuliggine venisse in qualche modo cambiata da quella
pulita esterna.
Pulita.
Beh, per quanto poteva essere pulita l’aria di Parigi in quel periodo.
Alzò la testa, osservando alcuni dirigibili solcare il cielo: ricchi,
pensò mentre si toglieva gli occhiali da saldatore e li teneva in mano,
mentre studiava le linee dei mezzi che attraversavano il cielo. Le sarebbe
piaciuto creare un qualcosa di simile, un giorno…
Magari meno ingombrante e con una forma più elegante.
Forse anche un qualcosa di più leggero, in modo che si potesse muovere più
veloce e non con il passo pesante che avevano quelli.
Con un sospiro si voltò, e posò gli occhiali sul ripiano lì vicino,
storcendo la bocca alla vista che le rimandava lo specchio che aveva
appeso sopra: il suo viso era completamente sporco di fuliggine e così
anche la parte superiore della maglia chiara che indossava.
I capelli? Un disastro.
E presto Monsieur Bourgeois sarebbe giunto per ritirare il suo lavoro, con
l’odiosa figlia al seguito che le avrebbe fatto notare quanto carente
fosse in fatto di buone maniere e lato prettamente femminile.
La ragazza sospirò, cercando di ripulirsi alla meglio, ma peggiorando solo
il lavoro: con uno sbuffo, si tolse i guanti da lavoratore e li gettò
accanto agli occhiali: «Sei fortunata che non ti interessa sposarti,
Marinette Dupain-Cheng.» dichiarò al proprio riflesso, fissandolo
sconsolata: «Nessun uomo ti vorrebbe in questo stato. Nessuno. Fidati.»
«Marinette! Marinette!» la voce della madre la mise in allerta e la
ragazza si guardò attorno, pensando velocemente a come far sparire il
danno che aveva compiuto: «Marinette, cosa è…?» la porta del suo
laboratorio si aprì di schianto e una donna piccola e formosa si fermò
sulla soglia, osservando a bocca aperta il risultato dello scoppio del
motore.
Fuliggine ovunque.
Un lieve segno di bruciatura sul tavolo e, ovviamente, tanto disordine.
Ma quest’ultimo c’era già da prima che il motore scoppiasse.
«Marinette!»
«Ho dato troppo vapore.» dichiarò la ragazza, pulendosi le mani alla gonna
a balze che indossava e avvicinandosi al colpevole di cotanta apprensione:
«Vedi? Ho girato troppo la manopola del vapore e il motore non ha retto
e…bum!» esclamò la ragazza, allargando le braccia e sorridendo
timidamente: «Un incidente di percorso.»
«I tuoi incidenti di percorso hanno reso il tetto peggio di un pezzo di
hemmental!» bofonchiò la donna, scuotendo la testa: «Marinette, cosa devo
fare con te?»
«Aiutarmi a pulire prima che arrivi Monsieur Bourgeois?» buttò lì la
ragazza, sorridendo allegramente e iniziando a raccattare i fogli sparsi
per terra, ascoltando distrattamente il borbottio della madre che, entrata
nella stanza, aveva subito messo mano alla ramazza, iniziando a spazzare
il pavimento: «Mamma, attenta!» esclamò la ragazza, lasciando andare i
fogli e salvando dalle ire della donna alcune viti: «Mi servono queste.»
La donna sospirò, alzando gli occhi al cielo: «Io non so davvero cosa fare
con te, Marinette.» sbuffò, riprendendo a spazzare e scuotendo il capo:
«Se tuo padre fosse qui…»
«Ma papà non c’è. E’ sempre fuori per i suoi commerci.» mormorò la
ragazza, recuperando i fogli che aveva abbandonato e posandoli sul tavolo,
vicino al motore: «E con quel carretto trainato da cavalli. Cavalli!
Impiegherebbe molto meno tempo se potesse usare uno di questi…»
«Ma non abbiamo soldi per permettercelo.»
«Proprio per questo sto cercando di mettere a nuovo questo bambino.»
dichiarò la ragazza, battendo una mano sul motore e ricevendo in cambio
uno scoppiettio e uno sguardo scettico da parte della madre: «Beh, non
sono ancora vicinissima al risultato che voglio, ma ce la farò.»
Un sospiro sconsolato si levò dalle labbra della madre, mentre scuoteva il
capo: «Certamente.» mormorò, riprendendo a spazzare il pavimento:
«Intanto, hai finito il lavoro per Monsieur Bourgeois, vero? Lo sai come…»
«E’ tutto pronto. Era solo una vite allentata e per questo il suo orologio
non segnava più.» spiegò la ragazza, indicando l’oggetto dorato
abbandonato in un angolo del laboratorio: «Io dovrei creare macchine
volanti oppure che si spostano per terra utilizzando il vapore, non…»
«Sì, sì.» mormorò la madre, spintonandola da parte: «Oh. Come vorrei che
tu fossi come la figlia di Bourgeois. O anche solo come la tua amica
Alya…Ah! Se tuo padre fosse qui…»
Marinette sorrise dolcemente, appoggiandosi al davanzale della finestra e
osservando la madre affaccendarsi per la stanza, cercando di mettere a
posto il caos che lei aveva creato; la ragazza piegò la testa
all’indietro, ascoltando i rumori che provenivano dalla strada sottostante
e contando rapidamente i giorni che erano passati da quando il padre era
andato via, per l’ennesimo viaggio: presto sarebbe tornato a casa e lei
avrebbe avuto di nuovo con sé l’unica persona che la capiva veramente.
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