1x1 Gli Altri
Luogo sconosciuto, 1972
Due giovani fuggono disperatamente lungo il corridoio asettico
dell’edificio.
Niente sembra esistere al di fuori dei loro passi urgenti e frettolosi,
ansiosi, rapidi. La luce bluastra, cadaverica, li segue silenziosa fino
al loro obiettivo, una grande apertura nel muro, dalla quale i rifiuti
vengono espulsi dall’edificio.
I due ragazzi si fermano, aprono la grata di metallo e scrutano nel
buio. Non vi è posto per entrambi.
Altri passi, altrettanto urgenti, si avvicinano alle loro spalle.
I due ragazzi si guardano:
«Vai prima tu» dice il più giovane, un
ragazzino dai lineamenti morbidi e dai grandi occhi neri, un nero
liquido, dolce e indagatore.
L’altro, più alto, più anziano e
più avvenente, non è uno sprovveduto. Ha sentito
i passi avvicinarsi.
«No, Charlie. Sono più alto e ho le spalle
più larghe. Se rimango incastrato siamo fregati
entrambi.»
«È una scusa idiota»
«Muoviti!»
«No, Erik…!»
Ma quest’ultimo ha già afferrato il gracile amico
per le gambe, tentando di gettarlo nello scarico rifiuti.
Charlie si dimena, Erik impreca.
«Sei uno stupido, ti vuoi muovere? Così
prenderanno entrambi!»
«Vai prima tu! Lasciami andare!»
«Eccoli!»
Alcuni uomini in nero hanno avvistato i due ragazzi e corrono verso di
loro, sfoderando le pistole.
Erik affonda il suo penetrante sguardo algido sulla squadra in nero e
comincia a sudare freddo.
«Muovi quel culo, Charlie! Su, su!»
Charlie è dentro, tenuto saldo soltanto dalla presa
dell’amico.
Le ombre degli uomini in nero si fanno sempre più vicine.
«No! Erik!» geme il ragazzo. «Fermi!
Lasciateci in pace! Erik! Erik!»
Erik tenta di divincolarsi dalla presa di due uomini, ma un terzo lo
calma, sparando un colpo di pistola. Una siringa affonda nella gamba di
Erik, che mugugna, continuando però a divincolarsi.
«Scappa, Charlie!»
Non vi è molto tempo: gli occhi di ghiaccio incontrano
quelli neri, atterriti.
«Ti voglio bene, amico.»
«Erik!». È l’ultimo grido
disperato di Charlie, che scivola giù, lungo il tubo,
lontano dal pericolo.
L’apertura che dà sul corridoio si allontana
sempre di più, e anche Erik…
New York, 2012
In un malfamato pub del Bronx, alcuni bikers portano scompiglio,
inneggiando i loro cori e facendo baldoria. La birra scorre a fiumi.
«Ehi, Stan! Dammene un’altra!» urla uno
di loro, rivolto al barista.
Con l’aria di uno che sta per essere crocifisso,
l’uomo si inumidisce le labbra, deglutisce, non dice nulla.
«Ehi, dico a te!»
Stavolta il barista sembra prendere coraggio:
«Ehm… mi dispiace, non posso servirvene altre,
signore. È già la decima.»
«I miei cazzo di soldi però ti
piacciono!» sbraita il centauro.
«V-veramente… non… non mi ha ancora
pagato le ultime tre.»
Alcuni uomini accanto a quello che sembra essere il capo si guardano, a
metà tra il divertito e l’intimorito.
Cala un silenzio di tomba e il boss si avvicina al barista, tirando
spallate violente agli altri tre avventori del pub.
Due di loro si spostano senza fiatare; il terzo si fa da parte,
continuando tranquillamente a fumare il suo sigaro, il volto nascosto
dalla penombra di un cappello da cowboy che lo oscura al resto del
mondo.
Il capo centauro nel mentre raggiunge il barista: «Dammi una
cazzo di birra, se vuoi tornare a casa senza costole rotte,
frocetto.»
L’uomo sembra rassegnarsi e allunga un braccio per prendere
un nuovo boccale da dietro il bancone, poi sembra ripensarci:
«No, signore. Mi scusi, ma davvero, è meglio
se…»
Il boss afferra immediatamente il barista per il collo e lo trae a
sé, alitandogli in faccia. Il barista impallidisce seduta
stante.
«Vuoi scherzare?»
«Lascialo stare, te la offro io la birra» annuncia
l’uomo con il cappello, avvolto dal fumo del suo sigaro.
Il centauro si gira.
«E tu chi cazzo sei?»
«Uno che vuole offrirti l’undicesima
birra» risponde tranquillamente l’uomo.
«A patto che lasci andare il nostro Stan.»
Il centauro guarda i compagni, poi il barista, e infine sembra indagare
a fondo sull’uomo misterioso.
«Dimmi… chi è, il tuo
ragazzo?» ridacchia il boss, rivolto al barista, che non osa
muoversi, sempre avvolto nella presa stritolatrice dell’uomo.
«Vuoi la birra, sì o no?» insiste il
misterioso avventore. «O preferisci quattro calci nel
culo?»
Un borbottio agitato si solleva dal resto della squadriglia di bikers.
«Tu sei fuori!» borbottò uno.
Il capo lascia andare immediatamente il barista, si volge verso
l’altro uomo e afferra un coltello a serramanico dalla tasca
dei jeans. «Vieni, voglio proprio vedere come me li dai,
questi calci nel culo.»
L’avventore con il cappello da cowboy sospira, scuotendo la
testa: afferra il tagliasigari, recide l’estremità
incandescente del sigaro e ne ripone la parte buona in un cofanetto di
latta, per poi riporlo accuratamente nel taschino del cappotto di pelle.
Nel frattempo, fuori dal locale, un vecchio furgone nero parcheggia nel
piazzale.
L’uomo che ne esce è vestito di tutto punto, con
giacca e cravatta e mocassini tirati a lucido. Due agenti in nero lo
seguono a ruota fuori dal furgone, armi in pugno.
Improvvisamente, un tizio viene catapultato fuori dalla finestra del
pub, disegna un arco in aria, tra schegge di vetro e sangue, e atterra
esattamente di fronte al trio.
I due agenti alzano le armi, ma il signore in giacca e cravatta fa
segno a entrambi di abassare le pistole. Dopodiché ordina ai
due di precederlo all’interno del locale e la scena che si
para di fronte a loro è assolutamente irreale: una decina di
uomini è a terra, chi privo di sensi, chi semplicemente in
silenzio, tramortito o spaventato, non tutti scioccati quanto il
barista (nascosto dietro il bancone), ma tutti laceri e feriti da
quelli che sembrano profondi tagli.
Un colosso d’uomo giace sul pavimento, riverso a pancia in
su, gli occhi vitrei spalancati a fissare il vuoto, annegato in una
pozza di sangue.
Sopra di lui, a gambe incrociate, siede un uomo sulla trentina,
scarmigliato, lurido, insanguinato. Ma sembra star bene. Sta fumando un
sigaro.
Gli agenti alzano per la seconda volta le armi e per la seconda volta
il loro capo ordina loro di metterle giù.
«Cappello da cowboy, sigaro di bassa qualità
– a giudicare dall’odore – inconfondibili
basette e… una scia di morte famigerata. Buonasera, signor
Howlett Logan.»
«Io gli avevo detto di prendere la birra» commenta
il misterioso uomo, facendo spallucce con aria di sufficienza, ma senza
staccare mai lo sguardo vigile dal signore ben vestito.
Quest’ultimo abbozza un sorriso e si avvicina a Logan
Howlett, scansando con disgusto la pozza di sangue che si allarga
sempre più sul pavimento.
«Bentch. Alfred Bentch. La sto cercando da un po’
di tempo» e gli tende una mano.
«Non è il mio tipo» bofonchia Logan,
alzandosi dal cadavere e spazzolandosi la giacca.
«Non la voglio io, ma il mio capo» si corregge il
signor Bentch. «Ci sarebbe un nuovo
“obiettivo” sulla lista. Le andrebbero bene
diecimila, stavolta? Sono duemila in più rispetto alla
scorsa caccia.»
«Mi offrite un cognac, prima?»
«Molto volentieri.»
«Allora vada per diecimila.»
Westchester, Istituto Xavier
La scena si fa buia per qualche istante. Poi qualcosa sembra schiarire
le tenebre. Una tenue luce bluastra, asettica.
“Charlie”. Qualcuno lo sta chiamando. Charlie lo
avverte, ma non può muoversi.
“Charlie, aiutami” ripete la voce.
“Charlie, perché non sei tornato a
prendermi?”
“Volevo tornare. Voglio tornare” afferma Charlie.
“Dimmi dove sei, Erik.”
“Ho paura”. Questo è tutto
ciò che la voce può rispondergli. “Ho
paura”.
«Charlie, sei qui?»
Charles Xavier apre gli occhi.
Qualcuno ha bussato alla porta dello studio ed è entrato
nella sua stanza. I sensi del professore tornano acuti e vigili, ma
l’eco di quella voce rimbomba ancora nella sua testa.
«Charlie, tutto bene?»
Una donna dall’aria materna e dai morbidi boccoli castani gli
si para di fronte, scrutandolo in volto: «Tesoro, va tutto
bene?»
Xavier non risponde immediatamente. La voce nella sua testa sta
svanendo.
«Charles?»
«Sì. Sì, Moira»
l’uomo abbozza un sorriso alla moglie. «Certo, sono
solo un po’ stanco.»
Moira Kinross non sembra convinta, ma non indaga oltre, afferra i
manici della sedia a rotelle del marito e comincia a guidarlo fuori dal
suo studio, immergendolo nel caos dei corridoi dell’istituto.
Bambini e adolescenti corrono su e giù per il corridoio, uno
di loro rischia anche di investirlo, ma il bimbo esplode in tanti
piccoli granuli e si riforma subito dopo alle spalle della coppia.
«Ehi, Rickles! Se ti rivedo correre così nei
corridoi ti sospendo! Intesi?» lo ammonisce Moira.
«Scusi, signora Kinross!»
Xavier sorride, divertito.
«Che c’è di così
divertente?» chiede la donna, continuando a guidare la
carrozzina del marito infermo lungo il corridoio.
«Niente» ridacchia l’uomo.
«Stavo solo pensando a quanto siano fortunati questi
ragazzi.»
«Non festeggiare, Charlie. Ce ne sono ancora pochi al sicuro,
e molti ancora là fuori alla mercé dei
pregiudizi.»
L’uomo rimane in silenzio, lasciandosi trasportare fino
all’aula di lezione.
«Questa scuola necessita di fondi, lo sai» prosegue
la Kinross. «E una cena di beneficenza non è
proprio il tipo di evento che un istituto atto a raggruppare giovani
mutanti con poteri assurdi e fuori da ogni controllo potrebbe
pubblicizzare. Non ancora, almeno. La gente non si fida di
noi.»
«Noi? Tu non sei una mutante» le ricorda Xavier.
«Ah, no? Pensi che la pazienza di sopportare un branco di
bambini esplosivi, con turbe psichiche, magari anche acuminati non
faccia parte di una super calma o roba simile?»
Xavier scoppia a ridere: «Probabilmente hai ragione, tesoro.
E comunque mi hai frainteso, prima.»
La donna si arresta di fronte alla porta dell’aula dove il
professore avrebbe tenuto la sua lezione.
«Che cosa avrei frainteso?»
«Il motivo per cui questi ragazzi sono fortunati»
spiega Xavier. «Sono fortunati ad avere
un’insegnante premurosa come te.»
Moira scuote la testa, imbarazzata, poi stampa un bacio appassionato
sulle labbra del marito, chinandosi per trovarsi alla sua solita
altezza.
I due rimangono vicini.
«Tu meritavi una vita diversa da questa. Un uomo
diverso» le sussurra Charles.
«Forse hai ragione» controbatte la donna.
«Forse ho commesso un errore con queste scelte. Ma questo
errore mi rende felice ogni giorno.»
Xavier china la testa.
«Smettila di crearti complessi adolescenziali. Ce ne sono fin
troppi, in questo posto» ammette la donna, aprendo la porta
dell’aula e lasciando che il marito entri da solo,
spostandosi grazie alle maniglie sulle ruote.
L’aula è già gremita.
«Buongiorno, ragazzi» saluta Charles Xavier.
«Buongiorno, professore» rispondono in coro i
giovani. Non vi sono bambini, però. Quello è il
dipartimento Gamma, che comprende alcuni dei ragazzi più
anziani della scuola, oscillanti dai diciassette ai diciotto anni.
Alcuni salutano anche Moira Kinross.
«Salve, ragazzi. Buona lezione. Mi raccomando, non
stressatemelo che poi devo sorbirmelo io!»
Risata generale.
Dalle spalle di Moira appare una ragazza dalla bellezza mozzafiato, dal
carnato niveo e dal corpo slanciato, con un volto vagamente chiazzato
di lentiggini, un volto incorniciato da una chioma di capelli rosso
fuoco.
La ragazza ha il fiatone. Deve aver corso.
«Scusi il ritardo, professore…»
«Non preoccuparti, mia cara» le sorride Xavier,
incitandola a prendere posto in aula.
«Signorina Grey, le sembra l’orario più
consono per arrivare a lezione?» ribatte però
Moira.
«Mi scusi, signora Kinross. Ho avuto un
contrattempo…»
«Beh, visto che un contrattempo l’ha fatta arrivare
in ritardo, un contrattempo la terrà di più a
fine lezione» dice Moira, inarcando un sopracciglio.
«Sarà lei ad accompagnare il professore nei suoi
alloggi, dopo lezione. Che ne dice?»
Jean Grey non sembra averla neanche udita. Prende posto in silenzio
accanto ai suoi amici e tace.
«Moira, può bastare. Adesso penso io a
loro» Xavier la esorta ad andarsene, a metà tra il
divertito e lo spazientito.
La donna si chiude la porta alle spalle e la lezione comincia. Xavier
comincia ad elargire le sue nozioni di anatomia e neuroscienza, una
lezione che osa affrontare soltanto con i ragazzi più grandi.
Jean Grey prende tranquillamente appunti, ma a un certo punto le voci
nella sua testa, quelle che l’hanno perseguitata fino a pochi
minuti prima, ritornano più forti che mai.
Jean tenta di ignorarle e torna a prendere appunti, ma poi ecco una
nuova crisi e un filo di pensieri sembra sfuggirle dalla testa,
trapanandole il cervello e fuggendo via, lontano. Le sembra di essere
sospesa davanti a un grande schermo. Al di là dello schermo
vi è qualcuno… sembrano due ragazzi. È
buio, attorno a loro.
In una zona periferica di New York, un giovane di circa diciotto anni
si sta nascondendo in uno scantinato. Sente dei rumori al di
là della porta. Il ragazzo deglutisce, ma anche quel rumore
potrebbe essere udito da chiunque sia nell’altra stanza.
È buio nello scantinato, ma il giovane indossa comunque un
paio di occhiali da sole.
Cerca di prendere coraggio e grida: «A-Alex, sei
tu?»
Nessuna risposta.
Sente però dei passi dietro la porta, proprio a pochi metri
da lui.
Istintivamente, una mano del giovane corre agli occhiali mentre
l’altra si accinge a spalancare la porta. Pochi attimi di
suspence, prima che la porta si apra, lasciando entrare un altro
ragazzo, che grida, scoppiando poi a ridere.
Anche il ragazzo con gli occhiali grida, ma poi s’incupisce.
«Sei uno stronzo!»
L’altro ragazzo, più grande del primo di qualche
anno, scoppia a ridere: «Dai, Scott, era uno
scherzo!»
«Sei comunque un idiota» ribatte Scott, digrignando
i denti. «Stavo per farti fritto» e
indicò gli occhiali.
«Te li stavi per togliere?» chiede
l’altro, un po’ sorpreso. «Dai, ma chi
pensavi che ci fosse? Non avevi capito che ero io?»
«Non mi hai risposto» mugugna Scott, quasi in
lacrime. «Cazzo, Alex, non mi hai risposto! Hai detto che
tornavi tra una mezz’ora sicché ho
pensato… ho pensato che…»
A quel punto, il giovane più grande si avvicina
all’altro e lo afferra per le spalle, scrollandolo:
«Ehi, ascoltami. Ehi, fratellino, ascoltami bene. Siamo al
sicuro ora. Nessuno ci farà del male. Nessuno ti
farà del male. Ci sono io a proteggerti, hai capito
bene?»
Scott annuisce. Alex non può guardare il fratello negli
occhi, ma può immaginare il suo sguardo. Alcune lacrime
sbucano da dietro le lenti scure e solcano il volto del giovanotto.
Alex lo prende a sé e gli scompiglia i capelli:
«D’accordo, cretinetto. Forse ho esagerato. Ma tu
asciugati quelle lacrime e prepara le tue cose. Ce ne
andiamo.»
Scott geme: «Ancora?»
«Ormai ci siamo» ribatte Alex, stiracchiandosi e
guardando il loro nascondiglio. «Ci basta raggiungere la
stazione più vicina e arriveremo dal dottor Lance in un
battibaleno!»
Scott non sembra convinto. Il ragazzo indugia, pensieroso.
«Ti fidi di me?» chiede Alex, senza lasciare andare
il fratello minore. «Il dottor Lance saprà cosa
fare. Dopotutto è lui che ti ha dato il quarzo-rubino, no?
Stavolta ci aiuterà ancora. Ma tu devi fidarti.»
Scott annuisce.
Alcuni spari lacerano il silenzio. Entrambi i ragazzi sobbalzano.
«Che diavolo…?!» impreca Alex,
voltandosi verso la porta.
«Per di qua!». È la voce di un uomo.
«Ci hanno trovato!» Scott è atterrito.
«Ci hanno trovato, Alex, ci hanno trovato!»
«Stai dietro di me» lo avverte Alex. I suoi occhi
sono fiammeggianti.
La fiamma di un clipper d’argento accende la sigaretta
dell’uomo seduto su una bella poltrona rosso sangue.
L’uomo in questione – ben tarchiato e dai corti
capelli brizzolati – si trova in quello che sembra essere uno
studio e scruta pensieroso oltre la vetrata, ammirando il paesaggio
urbano, forse senza neanche vederlo. Sembra preoccupato.
Si alza, fa il giro della scrivania e poi si sofferma, sospirando.
Infine sembra prendere una decisione: afferra il telefono dal tavolo,
digita un numero e attende.
Dall’altra parte della cornetta vi è il professor
Charles Xavier.
«Pronto?»
«Charles, buongiorno. Spero di non disturbarti». La
voce dell’uomo è profonda e possente. Salda.
«Hank! Che piace sentirti! È un po’ che
non ti fai vivo. Spero sia tutto apposto». Il professore
capisce immediatamente che qualcosa non va, ma aspetta che sia il suo
interlocutore a fare il primo passo.
«Sai, Charles, queste giornate mi distruggono. Non manca
molto alle candidature e ho i nervi a fior di pelle. Ma non
è questo che mi preoccupa.»
«Sono tutt’orecchi, amico mio»
«Si tratta dei coniugi Summers.»
Xavier controlla che nel suo studio non ci sia nessuno: «Ci
sono novità sull’omicidio?»
«No, magari. Pagherei sangue purché la polizia
chiudesse quel dannato caso» la voce di Hank è
palesemente amareggiata.
«No, quel che mi preoccupa sono i due figli di Jonathan.
Quelli che mi hai detto di rintracciare e di sorvegliare»
prosegue Hank, giocherellando con una penna sul tavolo.
«L’ultima volta che mi hanno portato loro notizie i
due si stavano dirigendo a casa del dottor Robert Lance che, ironia
della sorte, è stato assassinato stanotte.»
«Ho sentito parlare di Lance. Una mente geniale, a quanto
dicono» commenta il professore, mortificato.
«Sì, beh, la sua mente geniale non gli ha permesso
di salvarsi da un colpo di arma da fuoco sparato a bruciapelo, proprio
in mezzo agli occhi. Puoi immaginare la stampa quanto farà
circolare questa notizia.»
«E i ragazzi?» chiede il professor Xavier,
trepidante. «Stanno bene?»
«Non lo so. Non sono mai arrivati a casa sua. Posso
immaginare il perché... e puoi anche tu.»
«La Circle?» chiede Xavier, anche se già
conosce la risposta.
Hank annuisce, poi, ricordando di essere al telefono, aggiunge:
«Sì.»
«Allora devo trovarli» conclude tranquillamente il
professore. «Grazie dell’aiuto, Hank. Da qui in
avanti me ne occupo io.»
«D’accordo, Charles. Tienimi al corrente di
eventuali aggiornamenti» si congeda Hank, prima di
aggiungere: «Però… Charles, stai
attento. La tua ricerca sta diventando pericolosa.»
«Lo è sempre stata» risponde Xavier.
«Ma nessun altro aiuterà quei due ragazzi. E loro
due ancora non lo sanno.»
«D’accordo. Buona giornata, Charles.»
«A te, signor Senatore»
Hank sorride, suo malgrado: «Tu corri troppo, Charles! In
senso figurato ovviamente.»
«Passa qui a scuola quando più ti aggrada, amico
mio.»
«Lo farò senz’altro.»
E la conversazione si chiude.
Hank chiama la segretaria tramite il citofono: «Venga subito
qui. Ho del lavoro per lei.»
Una donna molto carina, dallo sguardo accattivante e dai lunghi capelli
neri entra nella stanza: «Mi dica, signor McCoy.»
«Disdica i miei appuntamenti per questo pomeriggio, signorina
Braddock. Si armi di telefono e di tanta pazienza e si prepari a
tartassare la polizia. Voglio sapere cosa sta succedendo con le
indagini dei Summers. Voglio sapere tutto quello che
c’è da sapere.»
«D’accordo, signore» risponde la donna,
vagamente incuriosita. «Devo ricorrere a…
ehm… qualcosa di particolare?»
«Sì, se necessario» ammette Hank.
«Ma stia attenta. Non potrò proteggerla se si
lascia beccare.»
«Lasci fare a me» detto questo, Elisabeth Braddock
esce dalla stanza, ma non prima di aver fatto l’occhiolino al
suo capo.
Nel mentre, Charles Xavier fa visita a Jean Grey.
La porta della camera della ragazza è accostata.
“Jean, disturbo?” l’uomo sfiora soltanto
la mente della ragazza.
“Professore! Cosa ci fa qui?” la ragazza
è sorpresa.
Poco dopo la porta viene aperta e la giovane aiuta il professore ad
entrare nel dormitorio.
«Come prosegue lo studio, Jean?» chiede Charles,
sorridendo alla ragazza che, imbarazzata, tenta di ripulire un
po’ il caos all’interno della camera.
«Bene! Cioè, oggi non ho studiato molto, per la
verità» ammette Jean, impacciata.
«Non ne hai bisogno» le sussurra il professore,
divertito. «Sei fin troppo intelligente.»
Jean sorride, arrossendo violentemente.
«Melanie e Paige non ci sono?» chiede il
professore, notando i letti vuoti delle compagne di Jean.
«No, sono in biblioteca. Almeno credo» risponde
quest’ultima, grattandosi la fronte.
«Tu non avevi voglia di andare con loro?»
La ragazza fa spallucce: «Non molta, per la
verità. Non ho comunque nulla da fare.»
«È proprio quello che speravo tu
dicessi» ammette l’uomo. «Così
magari puoi aiutarmi in una piccola faccenda.»
La curiosità di Jean è stata scatenata
all’istante: «Di cosa si tratta?»
Xavier sorride, strizzando gli occhi: «Che ne dici di
aiutarmi a salvare due giovanotti?»
La scena cambia repentinamente: Jean e Xavier stanno attraversando
un’enorme sala su pianta sferica. Una lunga passeggiata
conduce i due ad un piedistallo sul quale riposa un casco metallico,
agganciato al pavimento da tre cavi.
«Questo è Cerebro, Jean» spiega il
professore, mentre la ragazza, allibita, lo sospinge verso il
piedistallo.
Jean sapeva dell’esistenza della stanza, ma non vi era mai
entrata prima d’ora.
«Qui posso distaccarmi da tutto ciò che di impuro
c’è nel mondo esterno e concentrarmi per ampliare
i miei poteri mentali» continua il professore, indossando il
casco metallico. «E puoi farlo anche tu.»
Jean si volta verso il professore, che le tende una mano.
«Insieme, la nostra telepatia è molto potente.
Ampliata ulteriormente da Cerebro, mi aiuterà a trovare due
ragazzi come te che, soli e spaventati, rischiano di andare incontro a
morte certa. Aiutami a trovarli, Jean.»
La ragazza non ci pensa due volte: «Okay,
professore» e restituisce la presa.
Entrambi rimangono in silenzio, fin quando la realtà non
crolla come un castello di carte. E tutto si fa distorto e
fantasmagoricamente surreale.
In un iniziale caos di voci, pensieri, sogni, aspirazioni e vite che
pullulano come insetti attorno a lei, Jean viene guidata dal professor
Xavier verso due voci in particolare.
E Jean riesce finalmente a vederli: gli stessi ragazzi di cui ha
avvertito la presenza quella stessa mattina.
«Ce n’è uno dietro la colonna,
Alex!» grida uno dei due.
L’altro lancia un concentrato di energia calda verso un uomo
in ombra, che cade a terra, privo di sensi.
Un secondo uomo afferra il ragazzo più giovane da dietro, ma
quello che sicuramente dev’essere suo fratello si precipita
verso di lui in un lampo di luce e afferra l’uomo per la
gola, prendendo letteralmente fuoco.
La creatura brillante salva il fratello e colpisce con un raggio anche
altri due agenti armati che entrano prepotentemente in quello che
sembra essere uno scantinato.
«Adesso mi avete stancato, piccoli sudici mutanti!»
grida un uomo, entrando nella stanza e scavalcando i corpi inerti dei
due colleghi.
«Corri, Scott!» grida la figura incandescente, che
in uno scoppio di luce si avventa sul nuovo arrivato, tentando di
colpirlo il più forte possibile.
Ma premendo il tasto di un minuscolo attrezzo elettronico,
l’uomo riesce a creare un campo energetico attorno a
sé che respinge con violenza l’urto con il mutante.
Alex batte violentemente la testa contro il muro dello scantinato e
rovina a terra, facendo affievolire le proprie fiamme.
«Alex!» grida l’altro ragazzo.
«Adesso tocca a te, marmocchio!»
Ma senza pensarci due volte, il ragazzo si toglie gli occhiali da sole
dal volto e un enorme luce accecante riempie la stanza.
Uno scoppio, un boato gemente che confonde ogni cosa. Jean e Xavier
sono costretti ad allontanarsi.
Improvvisamente, il silenzio assoluto di Cerebro torna ad accoglierli,
come se nulla di quello che avessero visto fosse successo.
«Chi erano, professore?» chiede subito Jean.
«Due amici che hanno bisogno di aiuto» risponde
Xavier, togliendosi il casco e riponendolo sul piedistallo.
«Ho capito dove sono. Jean, devi farmi un favore: corri dalla
signorina Kinross. Dille di telefonare al signor McCoy. Hank McCoy.
Corri come il vento, Jean.»
Città del Messico, officina meccanica di una baraccopoli
Un uomo grasso, sudicio e dall’aspetto sgradevole sta
aspettando che il meccanico finisca di riparare la guarnizione di testa
della sua vecchia auto.
«Non preoccuparti di fare un bel lavoro, Jorgen»
annuncia l’uomo, impaziente. «Tanto è
rubata. Domani Di Mauro la venderà a qualche americano del
cazzo.»
«Stia tranquillo» risponde il meccanico, tendendo
una mano a qualcuno accanto a lui: «Ororo, passami una chiave
più grande.»
Una ragazzina dal carnato scuro, lurida e dagli insoliti capelli
bianchi, lunghi e lisci come fili di una ragnatela, si appresta a
passare l’attrezzatura al suo capo.
«Però, Jorgen! Ti tratti bene, eh?»
ridacchia il cliente. «Che fai, metti le puttanelle a
aiutarti in officina? Non è un po’ piccola per
scoparci?»
Jorgen chiude subito il cofano della macchina e si spazzola le mani:
«Può andarsene, signore. Non permetto a nessuno di
offendere i miei assistenti. Se ne vada.»
«Cosa? Ma che cazzo stai dicendo, Jorgen?!»
l’uomo sembra sinceramente sorpreso. «Ma per la
puttanella? Stai scherzando!»
«La ragazza è un ottimo meccanico e non ti
permetto di trattarla così. Vattene.»
«Ma chi ti credi di essere, pezzo di stronzo?»
ringhia l’uomo tirando fuori una pistola
dall’interno della giacca.
Sorpreso, Jorgen alza le mani, ma la ragazzina è
più veloce, si para di fronte all’uomo e lo
avvolge in una scarica elettrica che fonde la pistola e brucia
gravemente la mano dell’uomo, che urla, straziato.
«Questa… me la paghi! Stronzo! Tu e la tua
puttana! Quella puttana malata! Siete tutti malati! Siete dei mostri!
Me la pagate!» ringhia l’uomo, fuggendo a piedi.
«Ororo, non dovevi» la ammonisce il meccanico.
«Figurati, l’ho fatto volentieri»
ridacchia la ragazza, raccogliendo la pistola fusa da terra e
guardandola, compiaciuta. Neanche il tempo di sorridere che
l’uomo le tira un ceffone che la fa rimanere a bocca
spalancata.
«Non dovevi farlo, Ororo» ripete l’uomo,
stavolta in tono più freddo. «Non devi usare i
tuoi poteri, lo sai. Quell’uomo può dirlo a
chiunque, adesso. Se ti rivedo usare i poteri in pubblico, ti tolgo la
razione di pasto per una settimana. Intesi?»
La ragazzina sembra sul punto di scoppiare a piangere, ma si riprende
quasi subito, assume un cipiglio caparbio e se ne va, pronta ad
occuparsi di una nuova macchina.
Da lontano, seduto sul tetto di una baracca, Logan Howlett assiste
all’intera scena con un binocolo.
«Che lavoro del cazzo…» borbotta,
stringendo in mano il documento d’identità di
Ororo Munroe, la sua prossima vittima.
Westchester, Istituto Xavier
Un elicottero privato atterra nel grande parco verde
all’esterno dell’accademia.
Ad attenderlo, sulla soglia dei cancelli, vi sono Charles Xavier, Moira
Kinross e la giovane Jean Grey.
Dall’elicottero escono Hank McCoy e la sua assistente,
Elisabeth Braddock: assieme a loro, vi sono i fratelli Summers, logori,
affamati, stremati.
Giungono davanti al cancello dell’istituto al limite delle
loro forze. Xavier li invita ad entrare.
Da qualche parte, in una camera di isolamento, avvolto nel bianco
immacolato più puro, un ormai anziano Erik sta leggendo un
libro:
“Dal diario personale del dottor Oswald Gibbs,
curioso come questa realtà riesca a sfuggire così
facilmente da ogni logica. Viviamo in un mondo in cui apparire
è vivere. Un incessante bisogno ossessivo di
essere qui e ora, immerso in un quadro armonioso ed effimero,
così facile da rompere. Apparire è vivere, ma
vivere senza apparire è soltanto sussistere. Uomini, donne,
adulti, bambini, ricchi, poveri: questa patogenica ossessione
psicosociale agisce a tutti i livelli della società e sembra
caratterizzare in particolar modo l’uomo del ventunesimo
secolo. A beneficio delle propagande xenofobe che stanno dilagando in
tutto il paese, credevo che tale realtà, questa ricerca
costante di un nostro posto nel mondo che ci circonda, fosse capibile
solo da noi “Normo”, ma a una ben più
approfondita analisi, mi chiedo se invece non siano loro a comprendere
meglio questa ricerca. Loro, gli
“Altri”…"
CONTINUA...
Cast principale:
Logan Howlett
Jean Grey
Scott Summers
Alex Summers
Ororo Munroe/Tempesta
Charles Xavier
Moira Kinross
Erik LenSherr/Magneto
Hank McCoy
Elisabeth Braddock
Personaggi secondari:
Alfred Bentch
Jorgen Muraz
Benjamin Rickles
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