Accade una
notte, in un anno senza tempo, in una città così
anonima da dubitare che figuri
su una cartina geografica. Accade di notte perché
è nella sua tenebra, dove
ogni cosa è circonfusa di buio, che si tesse la tela del
destino e si preparano
la felicità e la tragedia degli uomini. Avviene per caso, o
forse no.
Un giovane
uomo in pantaloni e giubbotto neri come i suoi capelli percorre un
vicolo poco
illuminato, solitamente frequentato da gentaglia ma a
quell’ora deserto. In
fondo alla strada, appoggiato ad un lampione la cui lampadina
è sul punto di
esalare l’ultimo respiro, sta un tizio incappucciato. Quando
i passi del
ragazzo si arrestano poco distante, costui solleva il capo. Dal
cappuccio rosso
della sua felpa fa capolino un ciuffo biondo che copre in parte un viso
pallidissimo, dai lineamenti ieratici. Nei suoi occhi azzurri e torbidi
brilla
una scintilla di interesse.
“Harael”
le
sue labbra si allungano in un sorriso storto, mentre pronuncia quel
nome quasi
fosse una formula magica.
La
carnagione bronzea di Harael assume una sfumatura cinerea. La bocca
dapprima si
schiude, sorpresa, per poi serrarsi l’attimo successivo.
“Helel” balbetta,
preso in contropiede. Lo sguardo, già fosco di natura, si fa
vigile e ostile.
“Perché qui?”
“Ti
stavo
aspettando, mio diletto” risponde l’altro, quasi
civettuolo. “E’ curioso come
il mio antico nome, detto da te, suoni meno estraneo di quanto io lo
senta in
realtà. Helel è storia passata. Adesso mi
chiamano-”
“So
come ti
chiamano” lo interrompe, asciutto.
“Ma
certo”
annuisce Helel, accondiscendente. “Immagino che Lui abbia
proibito a tutti i
suoi seguaci di parlarne; è un argomento tabù,
suppongo?” Non riceve risposta.
“Capisco. Non voglio metterti nei guai, fratello del mio
cuore. Se proprio vuoi
rivolgerti a me con un nome, chiamami Sehun. Pare che in questa
città sia molto
comune”.
“Gradirei
se
tu ricambiassi la cortesia. Nessuno deve sapere che sono in missione
per conto
del mio signore” spiega, cauto.
“Ah,
ordini
dai piani alti! Una missione in incognito, mi piace” batte le
mani con
l’entusiasmo lezioso di un bambino. “E sia. Il tuo
nome in codice sarà Jongin.
Trovo che sia adatto a te. Obiezioni al riguardo?”
Le iridi
nere di Harael mandano lampi di brace. Ha assunto la postura
circospetta di un
animale braccato. “Cosa ci fai qui?” elude la
domanda. “Mi spii?”
“Tengo
d’occhio i tuoi movimenti, sì” ammette.
“Non avendo il tuo numero di telefono,
era l’unico modo per mettermi in contatto con te. Sei
sfuggente, mio caro. Il
vecchio pazzo deve averti affidato un incarico particolarmente
complicato…”
“Non
sono
affari che ti riguardino”.
“Hai
ragione. Del resto, il motivo per cui ti cerco è un
altro” fruga nelle tasche
della felpa, da cui estrae un pacchetto di Camel e un accendino.
“Ne vuoi una?”
offre.
Harael
scuote la testa. “Se è ciò che penso,
conosci già la mia risposta. Non cambierò
idea”.
Helel
sospira afflitto e tira una lunga boccata di fumo. “Sei
sempre il solito
testardo. Avremmo potuto soggiogare chiunque, noi due. Saremmo stati i
padroni
del mondo”.
“Non
attribuire
a me ambizioni che erano esclusivamente tue, Sehun” ribatte
freddamente, sulla
difensiva. “Tu volevi il potere, perciò hai osato
ribellarti a Lui. Avrebbe
potuto ucciderti; ti ha concesso di vivere. Il mio signore è
misericordioso”.
“Yahweh
non
sa cosa sia la misericordia, Jongin. Lui conosce solo devastazione,
vendetta,
morte. Non ricordi il suo comportamento, al tempo in cui strinse
l’alleanza con
la famiglia di Avraham [1]? Hai forse
dimenticato di come ordinasse ai suoi
seguaci di sacrificargli tutti i primogeniti affinché
potesse godere del
profumo arrostito delle loro carni innocenti? Hai dimenticato le guerre
mosse alle
tribù ammonite e moabite, cugine del popolo
d’Israele, per mera avidità e brama
di conquista? Della quota di bottino che esigeva per sé,
delle vergini che
prendeva e di cui non si aveva più notizia?” una
patina vermiglia gli colora il
volto pallido, tramutandone i connotati.
“Ammirevole
indignazione, la tua” osserva l’altro, con il
veleno nella voce. “Peccato però
che all’epoca non te ne importasse granché. Mai
una volta ho visto tirarti
indietro e rinfoderare la spada. Hai bagnato le tue belle vesti con il
sangue
di molti uomini e molte donne, senza chiederti quali fossero le loro
colpe”.
“Puoi
biasimarmi? Non conoscevo altro all’infuori di quel che lui
ci offriva. Ho
trascorso l’infanzia sotto addestramento, ero nato per
diventare un soldato. Eri
bambino anche tu, sai di cosa parlo” si infervora.
“Scelti per servirlo, essere
il suo braccio armato”.
“E
tutto ciò
ti è andato bene, finché ti è bastato.
Poi hai scoperto di volere di più:
donne, ragazzini, oro, una dimora sontuosa, il timore che Yahweh
incuteva nelle
sue genti. Volevi prenderne il posto” lo accusa Harael, i
pugni stretti.
“E’
questo
che credi? Te lo ha raccontato lui?” getta a terra la
sigaretta e la calpesta
con forza. Prima che Harael possa impedirglielo, lo afferra per le
braccia e lo
strattona. “Sei mio fratello, Jongin! Credi davvero che lo
abbia fatto per il
potere o per qualche scopata in più?” grida con
autentico dolore.
“Sehun,
mollami”.
“Non
finché mi
avrai risposto! Dopo tutto quello che c’è stato
tra noi, tu-” scruta incredulo l’espressione
rabbiosa, distante, del fratello. “E’ vero che ho
tentato di spodestare quel despota,
ma è stato a causa tua! Diceva che il nostro amore era un
abominio, che invece
avremmo dovuto provvedere ad ingrossare le fila dei suoi soldati
violentando
delle povere sventurate! Minacciò di ucciderti, se non mi
fossi separato da te!
Pensai che, sconfiggendolo e assumendo il comando, nessun altro ci
avrebbe
ostacolato” china il capo, gli occhi umidi. “Il suo
regno sarebbe stato il mio
dono di nozze”.
“Volevi
sposarmi?” è la replica, flebile come un sussurro.
Harael gli solleva il mento
in un gesto febbrile, sconvolto. “Era questa la tua
intenzione?”
“Ti
avrei
reso felice, Jongin” le lacrime scorrono libere sulle sue
guance. “Tu ed io,
insieme per sempre. Saresti stato il mio re. Avrei deposto il mondo ai
tuoi
piedi”.
La
diffidenza di Harael cede come le mura di Gerico. Obbedendo ad un
impulso
atavico, stringe a sé quel corpo tanto amato, provato dagli
anni e dagli orrori
trascorsi. Le due metà di un’unica persona si
ricongiungono. Il sangue ribolle
nelle vene, i loro cuori battono all’unisono, le mani si
cercano.
Harael
accosta una guancia a quella del fratello, ne culla lo strazio.
“Sehun, stolto
amore della mia vita. Non mi serviva il mondo per essere felice; non il
potere,
non la ricchezza né le stelle del firmamento. Mi bastavi
tu” dice, la voce
rotta dal pianto. Helel emette un gemito da animale ferito.
“Perdonami se ho
dubitato dei tuoi sentimenti, non avrei dovuto. Ma se solo me ne avessi
parlato, se ti fossi fidato di me… Saremmo potuti scappare.
Avremmo cercato
rifugio presso un popolo che ci accettasse per quello che eravamo.
Forse Yahweh
non ci avrebbe trovati-”
“Siamo
ancora in tempo, Jongin” gli sussurra
nell’orecchio. “Fuggi con me, andremo
ovunque tu voglia”.
“Non
è
possibile, lo sai” si scioglie dall’abbraccio.
“Abbiamo entrambi delle
responsabilità. Il mio signore conta su di me, e tu hai un
reame a cui badare”.
“Nulla
che
conti davvero! Disprezzo i miei sudditi, sono dei demoni opportunisti.
Non
impiegherebbero che un battito di ciglia per sostituirmi o, peggio
ancora,
uccidermi” protesta.
“La
vita
raminga ti logorerebbe, mia gemma. Hai lottato duramente per
conquistare la
posizione che ora ricopri, non sarebbe facile come sostieni
rinunciarvi. Sei nato
per comandare. Non approvo lo stile di vita che conduci, ma so che
senza il tuo
regno saresti perduto. Sei sempre stato un uomo ambizioso” un
sorriso amaro gli
illumina il volto.
“L’ambizione
è una compagna vacua e nociva, senza l’unica
persona che abbia mai amato
accanto a me” gli prende una mano e ne sfiora le dita con le
labbra.
“Temo
che
dovrai accontentarti”.
“Mi
stai
lasciando?” aggrotta le sopracciglia in segno di apprensione.
“Devo.
Il
mio signore non è molto clemente con chi non porta a termine
il proprio compito”
sospira.
“Come desideri” il
giovane uomo non può che arrendersi di fronte
all’ineluttabile. In fondo al cuore,
sa che il fratello parla con saggezza. “Però non
voglio che questo sia un
addio”.
“Torna
a
cercarmi, allora. Mi farò trovare” il suo sorriso
si vena di ottimismo.
“Promettilo”
esita a lasciargli andare la mano. Forse spera che, trattenendola,
Harael cambierà
idea.
Ma non
accade (non quella notte). L’altro si solleva sulle punte dei
piedi per
baciarlo in fronte. “A presto, Lucifer”.
L’infrazione
del tabù supremo è il regalo con cui si congeda.
[1] Abramo.
Egggià,
colpo di scena: Lucifero o Lucifer nella versione latina, non
è il suo nome
originale. Nella letteratura giudaica extra biblica, infatti, il
famigerato angelo
caduto si chiama Helel. Ignoro se avesse fratelli o meno. Per amore di
fiction,
gliene ho assegnato io uno. Harael è, secondo la Cabala,
l’angelo custode dei
nati dall’11 al 15 gennaio (e siccome Jongin è
nato il 14…).
Prima che mi
si accusi di blasfemia, preciso che i riferimenti alle non proprio
encomiabili
gesta di Yahweh sono tutti riconducibili all’Antico
Testamento, che ho letto da
cima a fondo l’estate scorsa. Potrei anche citare i singoli
libri e passi, ma
ne verrebbe fuori un papiro infinito. In caso aveste qualche dubbio
sulla mia
onestà intellettuale, vi invito a leggere personalmente la
Bibbia. In essa
troverete anche l’usanza di sposarsi tra fratello e sorella, figli di
madri diverse, e
gli accenni ai cosiddetti angeli, in ebraico (intraducibile) malachim, che esattamente santi non
sono.
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