返事のない (Henji No Nai)

di carachiel
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返事のない  (Henji No Nai)
 


“Buon compleanno a me” sospiro fievolmente, rompendo il vasto silenzio del desolato appartamento, e soffiando senza convinzione su una solitaria candela che troneggia, alquanto vacillante su un’altrettanto vacillante dolce alla crema.
Sia la candela che il dolce hanno l’aria di aver visto tempi più favorevoli, ma la scorsa sera non avevo voglia di impegnarmi, neanche per me.
La fiamma tremola per qualche secondo, pare vicina a spegnersi, ma poi con un guizzo torna a brillare.
Ostinata, come me.
 
Soffio una seconda volta e questa volta riesco a soffocarla.
 
Poco dopo la porta della stanza si apre, gli invitati entrano in silenzio, uno alla volta si riversano.
Una processione di regressi.
 
Si siedono in cerchio, attorno a me, in silenzio, come degli spettri che attendono.
E degli spettri hanno le sembianze.
Solo il mio respiro rompe la tensione di questa infernale pantomima.

Inizia Depressione, lei col volto scavato nell’incertezza del Tempo e le palpebre cadenti, lei che silenziosa soffoca in un gelido morso.
“Mi ti sei fatta presso, più d’una volta. M’hai guardato, amato, salvo poi risalire.”
 Ingordigia s’alza non senza fatica, la sua massa straripante dalla maglia, tra le mani un pezzo di torta maciullato dalle sue dita avide.
“Hai percorso con me qualche sentiero. Volevi troppo. Vuoi troppo.” mormora mentre qualche briciola straripa dalle sue labbra.
 
Tutti assieme annuiscono meccanicamente, mentre Noia si leva in piedi con espressione stolida. “Una volta mi volevi. Mi cercavi. Mi chiamavi, talvolta. Carezzavo la tua fantasia con dita di seta.
Ora mi sono raggrinzita. Mi guardi, mi ti fai accanto, ma senza nulla più. Forse quel che promettevo non era forse un traguardo raguardevole?”
 Non la guardo neppure, i suoi occhi vacui da annegata sanno già.
 
Prosegue poi Melancolia.
La sua soffocante presenza era già percettibile.
Pesava.
“Guardami. Guardaci. Siamo qui con te, per te.”
 Alzo impercettibilmente lo sguardo, lo fisso nei suoi occhi offuscati dal fumo della vita, una volta smeraldini come le foreste d’oltralpe.

Non mi serve sentir dire perché sono giunte.
Anche quando danzano, veloci, come spettri derelitti.
Una danza che ha il sentore di una fine, di passi macabri che si avvicendano.
Poi, si arrestano, aprono le braccia come ad accogliere l’oscurità.
E cantono.
“Avvinta al ferro sono legata…”
 
Passi precisi, girano per la piccola stanza, ipnotiche.
 “Destinata a trattenere molti legati
per prima sono avvinta…”
 

E senza rendermi conto mi sono resa conto di dipendere oramai da loro.

 “…Ma avvinta avvinco a mia volta;
Molti avvolsi e tuttavia mai fui sciolta*”

 
Sono i miei regressi, la catena che mi ha tirato giù.
Quella stessa grazie a cui ho aperto gli occhi, riversandomi nella mia memoria.


*Simposio, Aenigmata.




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