Titolo:
La bella e la bestia
Personaggi: Marinette
Dupain-Cheng, Adrien Agreste, Altri
Genere: romantico, fantasy
Rating: G
Avvertimenti: longfic, AU
Wordcount: 1.665 (Fidipù)
Note: Salve a tutti! Eccoci qua
con un nuovo aggiornamento de La bella e la bestia che si è andata ad
aggiungere alle 'Storie del mercoledì' (come son solita chiamare Inori e
La sirena), al posto di Scene (non temete, la raccolta dei missing
moments del Quantum Universe non si blocca, semplicemente verrà
aggiornata ogni due sabati, in modo così da mandare avanti tutte le
storie). Bene, bene. Sinceramente non so cosa dire di questo capitolo,
dato che siamo ancora all'inizio ma penso che inizierete un po' a capire
come va la storia e quanto si discosta dalla fiaba originale e dalla
versione Disney (sia quella animata che live action).
Vi ringrazio tantissimo per i commenti al precedente capitolo e, come
sempre, ci tengo a ringraziarvi tutti quanti per il fatto che leggete le
mie storie, le commentate, le inserite in una delle vostre liste e
mettete me fra i vostri autori preferiti.
Grazie tantissimo e di tutto cuore!
Tom Dupain gemette, aprendo gli occhi
avvertendo immediatamente una fitta di dolore che gli attraversò la testa,
costringendo a serrare nuovamente le palpebre: cosa era successo? Dove si
trovava?
Ignorando il dolore più persistente, con fatica si issò a sedere e osservò
l’ambiente in cui si trovava: le mura scure erano composte da mattoni
grezzi e una lieve patina di umido le ricopriva, in vero l’intero posto
sembrava aver ceduto al tempo e alla vegetazione, visto che alcuni
rampicanti entravano dalla finestra e si allungavano all’interno della
stanza: «Dove mi trovo?» si domandò l’uomo, alzandosi e barcollando
leggermente.
Ricordava la tempesta, che aveva fatto imbizzarrire i cavalli e lo aveva
condotto su una strada diversa, lontano dal suo percorso abituale per
tornare a casa.
Ricordava di aver intravisto un’abitazione e di aver cercato un qualche
accesso e poi…
Poi il nulla.
La sua mente era totalmente oscura.
Come era finito lì? Perché era lì? Chi ce lo aveva portato?
Erano tutte domande senza risposta e che lo agitavano: il cuore batteva
veloce e il respiro era affannato, mentre continuava a guardarsi attorno,
alla ricerca di un qualche indizio che spiegasse la sua presenza in quella
stanza.
Cella, si corresse immediatamente, osservando la porta di legno e che
aveva una piccola apertura in alto, attraversata da sbarre di metallo: chi
lo aveva catturato? Perché? Non era ricco, era un semplice mercante che
faceva la spola tra Parigi e Tours, non aveva nulla da offrire a dei
rapitori.
Anche i suoi abiti, che avevano visto giorni migliori, erano un indice di
quanto non fosse benestante…
Quindi perché catturarlo?
Un rumore lieve, al di là della porta, lo fece sobbalzare: «Il padrone non
sarà contento di saperci qua…» mugugnò una voce metallica, che provocò in
Tom un nuovo brivido: una volta, sua figlia, gli aveva mostrato un libro
dove c’era la figura di un uomo che, per metà del corpo, era fatto di
metallo.
Possibile che, dall’altra parte, ce ne fosse uno simile?
«Sai quanta paura mi fa quel ragazzino» commentò una seconda voce, con
tono sbrigativo: «Cosa potrebbe farmi? Ruggirmi contro? Sgranocchiarmi un
po’?»
Ruggire? Sgranocchiare?
Dove era finito?
E se fossero stati dei cannibali? E se…
«Ma perché vuoi vederlo?»
«Perché sento che quell’uomo è…è…non so dirtelo, ma vedo in lui la
soluzione al nostro piccolo problemino.»
Lo avrebbero ucciso.
Ora ne aveva la conferma.
«Vi…vi…prego, n-non u-uccidetemi.» mormorò, allontanandosi dalla porta e
osservandola, come se da un momento all’altro si fosse spalancata e i suoi
carcerieri sarebbero entrati per portarlo verso morte certa.
«Oh. E’ sveglio!»
«Perché ci ha chiesto di non ucciderlo? Plagg, cosa hai combinato?»
«Assolutamente niente.»
«E allora…»
«Forse ci ha sentiti…» mormorò l’uomo che rispondeva al nome di Plagg:
«Buon uomo, stia tranquillo! Con noi può dormire sogni tranquilli…beh, per
quanto si possa dormire lì dentro, l’avevo detto al nostro signore che una
stanza più confortevole sarebbe stata adeguata, Tikki aveva anche
preparato quella blu nell’ala est…» si fermò, lasciando andare un enorme
sospiro: «Ma quel moccioso è testardo come un mulo.»
«Vi, prego. Lasciatemi andare. Io non sono nessuno, sono solo un umile
mercante…» mormorò Tom, sperando di far leva sull’umanità dei due: «Vi
prego, mia moglie e mia figlia mi aspettano a casa.»
«Lei ha una figlia?»
«S-sì.»
«Sentito, Wayzz! L’avevo detto che era la soluzione al nostro problema.»
«Non vedo come il fatto che abbia una figlia possa aiutarci.»
«Co-cosa volete fare a mia figlia?»
«Assolutamente niente, buon uomo!» sentenziò Plagg, cercando di
tranquillizzarlo: «Giusto una domandina innocente: che rapporto ha sua
figlia con il pelo?»
«Voilà!» Marinette sorrise orgogliosa, togliendo il lenzuolo dalla sua
creazione e mostrandola al padrone delle bottega: «La macchina taglia e
arriccia, Theo.» dichiarò, facendosi da parte e osservando il barbiere
avvicinarsi per studiarla: «Ti semplificherà il lavoro: basta che la
imposti, tramite questa semplice manopola qua e voilà! Taglia,
arriccia e imbelletta. E per farla funzionare, devi semplicemente
rifornirla di vapore…»
«E’…è…»
«Incredibile, vero?» esclamò la ragazza, battendo le mani e sorridendo:
«Purtroppo ho potuto impostare solo quattro tagli base, i più comuni. L’ho
testata su alcuni manichini, i bracci si muovono ed è stata perfetta. Beh,
nella maggior parte dei casi.»
«Marinette, ti ringrazio veramente…»
«Ma…»
«Cosa?»
«Dalla tua frase sembrava che ci fosse un ma?»
«Ecco, è quella ‘maggior parte dei casi’ che mi costringe a rifiutare la
tua invenzione.» dichiarò Theo, posandole le mani sulle spalle e
sorridendole comprensivo: «La gente viene qui per farsi tagliare la barba,
non per rischiare di venire sgozzato.»
«Ma funziona!»
«Ne sono certo, Marinette, però mi spiace. Non posso accettarla.»
«Te la faccio vedere in funzione, d’accordo?» esclamò la ragazza,
sgusciando dalla presa dell’uomo, andando a recuperare il manichino che
aveva lasciato fuori dalla porta del negozio: «Ti presento monsieur
Mannequin!»
«Perché ha un taglio sulla faccia?»
«Incidente di percorso.» bofonchiò sbrigativa la mora, sistemando con un
po’ di fatica il manichino sulla poltrona, sorridendo poi al barbiere:
«Monsieur Mannequin vuole un taglio Chevron per i suoi baffi.» spiegò,
armeggiando con la borsa che teneva in vita e recuperando un paio di baffi
posticci, appiccicandoli in faccia al fantoccio: «Quindi, giro questa
manopola qua, apro il vapore e…» la ragazza si allontanò, osservando
soddisfatta i bracci della macchina avvicinarsi al volto del manichino e
iniziando a tagliare: «…voilà! Mentre ti occupi di un altro cliente, la
macchina…»
Un fischio lungo e acuto zittì Marinette che, riportando l’attenzione,
sulla macchina notò come questa stava tremando e aveva iniziato a muovere
i bracci in maniera sconclusionata, sfregiando il volto di monsieur
Mannequin e portandolo alla prematura morte per decapitazione: «Ah…»
«L’ha…l’ha…»
«Succede quando è fredda, deve solo riscaldarsi. Sistemo la testa a…»
«Marinette, domani viene a prendila e riportala a casa tua.»
«Sì, d’accordo.» mormorò mesta la ragazza, osservando l’uomo, togliere il
tubo del vapore e spingere la sedia in un angolo del suo negozio: «Theo,
io…»
«Domani, Marinette.»
La giovane annuì, uscendo dal negozio e sospirando, calcandosi poi il
berretto sulla testa: «Anche stavolta è stato uno schifo» borbottò,
osservando alcune ragazze camminare dalla parte opposta della strada: i
vestiti lindi e femminili erano l’esatto opposto della maglia logora e
della corta gonne a balze che indossava lei. Era stata contenta quando,
dall’odiata Inghilterra, era giunta la moda delle gonne corte: le
permettevano un’ampia mobilità e non facevano gridare sua madre, come
succedeva ogni volta che provava a indossare dei pantaloni.
Si portò una mano all’altezza del petto, giocherellando con il ciondolo a
forma di coccinella, l’ultimo regalo che suo padre le aveva portato da
Tours e incamminandosi verso casa.
La data del ritorno del genitore era passata da una settimana, eppure
dell’uomo non c’era ancora segno, non che questo la preoccupasse, poiché
capitava molto spesso che tornasse con parecchi giorni di ritardo: ecco
perché voleva a tutti costi costruire un dirigibile o comunque una
macchina volante che facilitasse gli spostamenti del padre, peccato che
servivano parecchi soldi e le sue invenzioni…
«Oh. Ma guarda un po’ chi c’è» una sgradevole voce femminile le giunse
alle orecchie, facendola sbuffare: «Marinette Dupain-Cheng. Chi hai
cercato di uccidere oggi?»
«Chloé Bourgeois» mormorò la ragazza, voltandosi e osservare la figlia del
sindaco uscire dalla pasticceria, vicina al negozio di Theo: «Ti mescoli a
noi comuni mortali oggi?» domandò, cercando di ignorare l’abito giallo e
carico di nastri e fiocchi.
Qualcuno doveva dire a quella ragazza che l’esagerazione non significava
più eleganza.
Dietro di lei, come al solito, arrancava Sabrina Raincomprix con le
braccia cariche di pacchetti e l’espressione sofferente di chi sta
portando un peso eccessivo rispetto alla propria forza; Marinette sorrise
alla giovane, venendo ricambiata da un timido piegamento delle labbra.
«Come al solito puzzi, eh Marinette?»
«Come al solito sembri una merceria ambulante, eh Chloé?»
«Almeno io non mi vesto da stracciona. Oh, ma cosa dico: tu se una
stracciona.» dichiarò la figlia del sindaco, gettandosi indietro un
boccolo biondo e sorridendo divertita; Marinette ringhiò, stringendo i
pugni e osservando l’altra superarla: «Ricordalo, Marinette. Tu non sarai
mai nient’altro che la tipa stramba che vive in fondo a questa via. Niente
di più, niente di meno.»
«Beh, sempre essere la tipa stramba che quella che è odiata tutta Parigi!»
sentenziò la ragazza, osservando la bocca di Chloé spalancarsi in una O
perfetta; sorrise, voltandosi e andandosene velocemente, prima che l’altra
si riprendesse dall’affronto e le potesse dire altro.
Corse velocemente per la strada, raggiungendo il palazzo ove viveva con i
genitori e sorridendo alla vista del carro del padre: era tornato!
Finalmente era di nuovo a casa!
Entrò velocemente nella stalla, osservando la madre accudire i due cavalli
dal manto pezzato: «Dov’è, papà?» domandò, attirando l’attenzione della
donna, mentre lei si guardava intorno: suo padre non avrebbe mai lasciato
le due bestie senza occuparsene, erano la sua priorità appena arrivava a
casa.
«Tuo padre non c’è.»
«Cosa?»
Sabine si avvicinò alla figlia, mostrandole una lettera con un sigillo in
lacca: «Il carro è arrivato con solo la merce. E in cassetta c’erano
questa lettera e uno strano candelabro.» dichiarò, indicando con un cenno
del mento il calesse, fuori dalla stalla: «La lettera è per te,
Marinette.»
La ragazza annuì, uscendo e carezzando il legno del carro, sorridendo alla
vista del candelabro: aveva una figura umana e sembrava fatto di ottone;
lo prese in mano, facendo scivolare un polpastrello sulle forme del viso e
poi riponendolo nuovamente in cassetta, dedicando tutta la sua attenzione
alla lettera, osservando la grafia ordinata con cui era stato scritto il
suo nome e notando subito che non era quella di suo padre.
Che cosa era successo?
Ruppe il sigillo di lacca e tirò fuori il biglietto all’interno della
busta, leggendo le poche righe che vi erano state scritte:
Madamoiselle
Marinette Dupain-Cheng,
con la presente la informo che ho soccorso vostro padre lungo la strada
che da Tours va a Parigi.
Purtroppo non può muoversi e così ho mandato il carro a casa,
sperando che voi potreste venire a recuperare il vostro genitore e
riportarlo a casa.
Sempre vostro,
Adrien Agreste
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