Successe tutto d'improvviso, mio padre, forse accecato dal livore e
dalla notte che si era introdotta nella stanza privandola perfino del
più minuscolo barlume di luce, sembrò aver
trovato requie, quando e per quale reale motivo accadde non potei
stabilirlo, ma fu in quell'istante che io ed André attuammo
la nostra fuga.
Non vi furono parole o sguardi, solo una maggiore pressione delle
nostre dita e la tacita consapevolezza di dover sfruttare quella
distrazione, e quando il generale si destò dal torpore
puntandoci addosso il ghiaccio dei suoi occhi, la mano di
André si legò se possibile ancor di
più alla mia. I nostri passi si fecero impazienti ed io che
fino a quel momento avevo mantenuto il mio consueto rigore, quella
impassibilità che portava in me il controllo nelle
situazioni più ostiche, ebbe la malaugurata idea di venir
meno.
Esitai, solo un secondo, ma in quel palpito di cuore la mia figura
venne rimpiazzata da un fantoccio imbottito di paglia e mi bloccai,
impotente di fronte a quella disubbidienza della mia stessa carne.
“Oscar...”
un richiamo preciso quello di André che, nel sottinteso
delle parole non pronunziate, m'impose di continuare a camminare ed io
lo feci senza più alcun timore.
Quando fummo certi d'essere ad una distanza sufficientemente sicura
voltammo le spalle a colui che sarebbe potuto diventare il nostro
assassino ed una volta oltrepassata la soglia ci accorgemmo di una
figura tremante e minuscola. La mia governante era scivolata al suolo,
nello spiraglio che si era venuto a formare tra un battente e l'altro
della grande porta di legno intarsiato della stanza, le passammo
accanto e so per certo che André la vide eppure
proseguì oltre come se nulla fosse ed io che ero legata a
lui dovetti seguitare a copiarne i passi, ma prima di non aver
più modo di farlo, mi voltai per lasciare un'ultima volta lo
sguardo sulla vecchia Nanny, e lei fece lo stesso, con gli occhi colmi
di lacrime e le mani premute sulla bocca, in una sorta di preghiera.
Avrei voluto rivolgerle una parola di conforto e domandarle perdono per
l'affronto che io e suo nipote stavamo perpetuando nei suoi riguardi,
ma in verità stavo mentendo, implicando anche lui in un
peccato che soltanto io sentivo di star compiendo.
Mi augurai che lei potesse assolverci, lui, per aver offerto corpo e
spirito in nome di un amore che pareva essere sbagliato al mondo
intero, e me, poiché non era mai stata mia intenzione
entrare così a fondo nell'anima dell'uomo che mi aveva
salvato la vita, tanto da lacerarne la fibra.
Eppure era accaduto e non vi era più modo di tornare
indietro.
Era tempo di andare avanti.
Ci precipitammo, quasi, lungo la scalinata al centro dell'entrata
principale di palazzo Jarjayes, calpestando i gradini di marmo rosa che
avevano sostenuto i nostri passi fin dall'infanzia e mi sorpresi a
compiere uno sciocco gioco che ero solita fare da bambina, e mi
ritrovai a contare i gradini come fosse stata la prima volta.
Cinquantotto, quello era il numero esatto, cinquantotto più
uno a dire il vero, dimenticavo sempre l'ultimo scalino che stava sul
fondo, quello che era venuto al mondo con un difetto d'altezza che
rendeva inesistente la sua presenza, ragion per cui nessuno di noi era
solito posarvi il piede al di sopra, ma quel giorno me ne rammentai e,
cancellando anni di noncuranza, vi adagia il mio ultimo passo.
Corremmo poi verso la zona della servitù e proseguimmo per
raggiungere le cucine, dove bloccammo il nostro incidere nel tentativo
di schiudere la porta che, mai come quella sera, ci diede filo da
torcere.
“Maledizione! Avevo detto a Jean-Paul di occuparsene mesi fa,
ma pare proprio che abbia deciso di impiegare il tempo in
chissà quale altro modo... se solo lo avessi tra le mani,
io...”
le prime parole che gli sentii pronunciare da quando aveva annunciato
la nostra partenza furono un fiume di rabbia che vide il proprio apice
quando, abbandonata la mia mano, prese a colpire con calci e pugni il
battente di legno finché non ebbe la meglio sul vecchio
uscio, conquistandone finalmente l'apertura.
Lo sentii emettere un accento di soddisfazione e mi aspettai
d'incontrare il suo sorriso, ma nessuna mia aspettativa venne
soddisfatta, non mostrò il suo volto e neppure finse per un
attimo di girare la propria figura la dove vi era la mia, semplicemente
mi prese la mano e ci condusse fuori, sulla ghiaia del cortile esterno.
Uno schiaffo di vento gelido e di pioggia m'investì senza
preavviso, strappandomi il fiato dai polmoni nonostante fossimo nel
pieno dell'estate, le gocce di pioggia erano talmente impetuose che
ebbi la sensazione mi stessero penetrando nella carne, come spilli
arroventati.
Faticavo a tenere le palpebre aperte tanto era la furia del piovasco
che oramai era maturato in vero e proprio acquazzone, tuttavia
paradossalmente ne godetti, avevo sempre amato i repentini mutamenti
del cielo estivo ed anche in quella circostanza permisi ai sensi di
nutrirsene.
Serrai gli occhi e mi affidai ad André come un cieco al
proprio curatore e concentrai l'attenzione sulla goccia che, dalla cima
del capo scivolò sulla mia fronte, scavalcò le
ciglia e terminò poi il proprio pellegrinaggio in una umida
carezza lungo la gota. E come essa ne sopraggiunsero altre che
assaporai dalle labbra, trovandole d'un gusto delizioso, ed altre
ancora che solleticarono quel delicato lembo di pelle tra l'incavo
della gola e la sinuosità che da tempo avevo smesso di
mortificare, finché non vi fu più d'asciutto
nemmeno un brandello di me stessa.
Il nitrito dei cavalli mi strappò alla distrazione che m'ero
concessa, gettandomisi addosso con arroganza, quando arrivammo in
prossimità delle scuderie. Il cavallo di André
sostava all'esterno, legato alla palizzata che solitamente veniva usata
dagli ospiti in visita al palazzo, il che mi fece comprendere che la
sua presenza fosse nata per essere soltanto momentanea. Che avesse
avuto il sentore di una sventura?
“Prendi César, e fallo il più
velocemente possibile.”
ancora quel tono, urgente e profondo, mi sorprese per la sfumatura che
non contemplava obiezioni, ed io non ne ebbi alcuna, procedetti verso
la baracca con passo deciso e vi entrai.
Una volta all'interno presi la sella, il morso e tutto l'occorrente che
mi sarebbe servito per sellare il cavallo, ma quando giunse il momento
di compiere quei gesti che avevo fatto da che ero stata in grado di
reggermi sulle gambe, tutto mi apparve impossibile. Le mani tremavano
come foglie e seguitarono a tentennare anche quando provai a
distenderle, e così anche il cuore mi si rivoltò
contro accelerando i battiti al limite della follia, estirpandomi dai
polmoni ogni traccia d'ossigeno. Mi sentii soffocare in un mare
d'angustia, temetti che il cuore mi sarebbe scoppiato nel petto da un
momento all'altro, poiché ne potevo sentire i colpi
frenetici fin dentro le orecchie.
“Oscar, andiamo... cosa stai facendo? Non c'è
tempo!”
la voce di André varcò la soglia delle scuderie
ed ebbe lo stesso effetto d'un manrovescio in pieno volto. Sussultai e
le mani fecero ciò che dovevano fare. In me difettava la
calma e nello stomaco vi era ancora il tumulto dell'inquietudine, ma le
dita presero a muoversi incuranti della propria fragilità,
portando a termine il compito stabilito.
Uscii dalla stalla tenendo César ben stretto per le briglie
e scoprii André già in groppa al suo cavallo, a
malapena mi guardò, troppo occupato a sincerarsi di non aver
nessuno alle calcagna ed io, per la prima volta da che avevamo eluso la
prigionia del generale, mi chiesi come era possibile che lui non ci
stesse tallonando come un animale furioso.
“Dobbiamo andarcene, ora. Ho sentito un rumore di zoccoli in
lontananza, probabilmente all'entrata principale del palazzo,
potrebbero essere notizie provenienti dalla Reggia, e sai cosa
significherebbe se fossero cattive...”
la voce di André mi parve tornata quella di un tempo,
confidenziale e pacata, ma con un implicito che sapeva di terrore.
Ero ben cosciente di ciò che mi sarebbe toccato se le Loro
Maestà, o soltanto la Regina, avessero deciso di seguire il
codice d'onore che ogni militare è chiamato a rispettare,
come lo stesso è per ogni famiglia nobile di Francia.
Per me vi sarebbe stato l'arresto, il carcere, il processo militare e
con un'elevata possibilità la morte.
Raccolsi la poca lucidità che mi era rimasta nella
confusione della mente e poggiai un piede sulla staffa mentre con
l'altro feci leva per issarmi in groppa a César, o per
meglio dire tentai un'azione che non mi riuscì di assolvere
appieno. Un bagliore inatteso rischiarò ogni cosa attorno a
noi, come fosse stato pieno giorno e ancor prima di poter batter ciglia
un tuono fragoroso, come non ne avevo mai udito, si portò
via un alito di respiro.
Per la prima volta da che ne avevo ricordo ebbi la fortuna, se tale si
può definire, di assistere alla venuta di un fulmine, che
con chiarezza vidi originarsi da una nuvola e precipitare al suolo,
penetrando con violenza un vecchio moncone di tronco che indefiniti
anni addietro era stato un maestoso albero. E dalla furia di quella
natività vi furono scintille e fuoco, grida lontane e
attigue, io stessa ne rimasi così sgomenta da trascurare un
dettaglio fondamentale: mai allentare la presa attorno alle briglie
dell'animale quando attorno vi è un qualsivoglia elemento di
disturbo.
Lo stivale abbandonò la staffa quando César si
levò sulle zampe posteriori e persi l'appiglio attorno alle
redini, le sentii scappar via in una fuga dolorosa tra la carne delle
mie dita prive della protezione dei guanti, e nulla potei fare contro
il terrore del mio cavallo che scappò
nell'oscurità del boschetto ai confini del nostro podere.
“Maledizione! César, torna qui... torna qui
bello...!”
urlai, fischiai, e quando non vi fu alcun riscontro decisi che sarei
andata a riprenderlo, ma la concretezza, nella sua infinita
crudeltà, mi mozzò le gambe.
“Ormai è andato, non c'è modo di
ricondurlo indietro. Tornerà alle scuderie quando si
sentirà al sicuro.”
tentò di quietarmi André, con scadenti risultati.
“Non lascerò César da solo in mezzo al
bosco e poi ho bisogno di un cavallo, io...”
decisa a ribattere a ciò che avevo appena udito, elevai la
voce di un tono superiore.
“Oscar, no. Non c'è tempo, loro non ce lo daranno.
Dobbiamo andare via di qui, ora. Abbiamo un cavallo ed è
più che sufficiente.”
così dicendo lui si girò appena in direzione del
palazzo, indicando delle figure ignote che stavano guadagnando terreno
verso di noi.
Portai la mano alla fronte, infilando le dita tra i capelli e li
scostai all'indietro, in un gesto che aveva in sé tutta
l'indecisione del mondo.
“Non fare la stupida Oscar, sali immediatamente su questo
cavallo!”
e così dicendo André mi porse la mano,
invitandomi senza troppi convenevoli a montare in sella. La
ragionevolezza mi diceva di ascoltare il mio vecchio attendente, ma la
fierezza mi tratteneva a terra come una mula testarda.
Ero ben conscia della gravità che pesava sulla mia schiena,
anzi su quelle di entrambi, ma il soldato che ero non poteva accettare
anche solo l'ipotesi di farsi condurre da un altro fantino, lo avrebbe
concesso solo a fronte d'una grave menomazione fisica, un malore, e per
nessun altro motivo.
Tuttalpiù avrei potuto contemplare d'esser io a scortare
qualcuno su di un cavallo, come già avevo fatto nel passato
con i figli delle mie sorelle e addirittura con la Regina Maria
Antonietta, ma non l'opposto. Io non avevo mai cavalcato con qualcuno,
mai, neppure quando fui iniziata all'arte dell'equitazione, seppur
avessi da poco abbandonato la postura da quadrupede.
La pioggia non dava segni di voler cessare il proprio lacrimare e il
vociare in lontananza si stava facendo sempre più prossimo,
quale altra scelta avevo? Addentrarmi nel bosco e rischiare di farmi
trovare da coloro che si stavano avvicinando o magari gettare alle
spalle la dignità e tornare dal generale con la coda fra le
gambe?
Davvero stavo mettendo in pericolo me ed André per una
insensata questione d'orgoglio? Ma si trattava realmente di quello o vi
era altro celato al di sotto del tremore che m'agitava il cuore?
Trassi un profondo respiro e, afferrata la sua mano, con la medesima
decisione posai il piede nella staffa e mi tirai su raggiungendo infine
la sella.
D'istinto portai le mani alle briglie, o quantomeno tentai di farlo,
poco prima del giungere di quelle di André che si strinsero
attorno al cuoio con decisione, ed io sperimentai un ignoto senso di
smarrimento. Cosa avrei dovuto fare? Come avrei dovuto accomodarmi e,
dove, mettere le mani? Non ebbi modo di crucciarmi molto
poiché i miei interrogativi vennero ampiamente chiariti da
ciò che lui fece.
Inizialmente vi fu il suono ovattato del predellino che sferzava un
colpo contro il costato del cavallo e l'incitamento della voce, il cui
vibrare mi si insinuò tra i capelli come uno spiffero
d'aria. Poi arrivarono le sue braccia ad assediare le mie fin quasi a
serrarle, per avere un maggior appiglio sulle redini, ed infine il suo
corpo si lasciò andare contro il mio, spingendosi fin oltre
il limite del possibile. Esalai un sospiro di stupore e m'aggrappai al
pomolo del sellino, incapace di dire o fare alcunché.
André aizzò l'animale al trotto e lo condusse poi
al galoppo quando oltrepassammo la cancellata di palazzo Jarjayes e per
me fu tutto più chiaro, compresi la ragione di quel mio
temporeggiare che nulla centrava con l'amor proprio o qualsiasi altro
elevato principio morale, tutt'altro.
L'inquietudine che mi aveva tenuta immobilizzata a terra e ch'io stessa
avevo scambiato per semplice testardaggine possedeva invece un volto
differente, un aspetto concepito nella profondità d'una
essenza primordiale, una percezione nel pieno centro delle viscere che
portava su di sé un nome che fino ad allora avevo rifiutato
di comprendere, ma che durante il tragitto che percorremmo dalla casa
che oramai non avevamo più alcun diritto di dir nostra, alle
porte di Parigi, non potei far a meno d'ascoltare.
La vicinanza di André mi turbava, ad un punto tale che mi
vidi costretta ad abbassare il capo dinnanzi a quei sensi che presero a
narrare la vittoria d'un desiderio che m'era strisciato al di sotto
delle carne, infuocando ogni lembo di pelle.
La verità aveva vinto la guerra.
Desideravo, e quella nuova coscienza mi spaventava a morte, ma
ciononostante fu la prima battaglia che amai perdere.
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