Il mio nome è...

di CaJin
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PROLOGO.
1.


Il respiro affannoso di chi ha appena compiuto un'ardua impresa. Le gambe doloranti reggevano a malapena il peso del corpo e dell'armatura che si era fatta improvvisamente più ingombrante del solito. I muscoli del braccio destro bruciavano dolorosamente, scossi dai molteplici fendenti scagliati senza sosta contro l'avversario. Le ossa di quello sinistro pulsavano quasi fossero rotte, accusando i colpi parati dallo scudo tenuto ancora ben saldo sull'avambraccio. Un crampo lo costrinse ad aprire la mano e a far cadere la spada al suolo, provocando, all'impatto, uno sbuffo di cenere che si levò per qualche centimetro. Fece due passi ma le gambe gli cedettero facendolo cadere in ginocchio. Un'ennesima scossa di dolore gli percorse tutta la schiena. Cercò a tentoni la spada, senza dedicargli uno sguardo. I suoi occhi erano fissi sul fuoco del piccolo cimelio che aveva difronte.
Era infatuato da quella fiamma come una falena che cerca la luce. Non era il primo di quei particolari falò che vedeva, ma mai uno gli era sembrato così affascinante, così brillante, così seducente per la propria anima.
Goffamente riuscì a rimettersi in piedi, il respiro si stava facendo sempre più regolare e i pensieri sempre meno offuscati.
Nel vedere quel fuoco danzare attorno a quella spada a spirale sopra ceneri di ossa di suoi simili, la sua mente lo riportò all'arrivo in quella terra sconosciuta e privata della grazia divina. I pensieri lo fecero rinvenire. Sbatté le palpebre, scosse la testa, diede un'altra occhiata al falò e poi si girò verso l'entrata di quell'enorme struttura, un breve sguardo per poi perdersi nuovamente nei pochi ricordi che stavano riaffiorando della sua vita prima di accusare quell'orrenda malattia, se così si poteva definire. Una cicatrice posta sul petto, dalla parte del cuore, che avrebbe segnato la vita di chiunque, nessuna distinzione, ne di sesso, ne di razza. Una maledizione nata dall'ossessione di un uomo che, andando contro il volere dei veri dei, ponendosi come divinità e re di un popolo che lo temeva e allo stesso tempo lo ammirava per le proprie gesta. Lo stesso uomo che ora giaceva al suolo, poco distante da lui.
Il "Segno Oscuro", così veniva chiamato dal popolo, portava alla perdita dei propri valori distruggendo la vita del portatore come un parassita capace di assorbire l'anima delle persone, costringendoli, in un destino peggiore della morte. Il trattamento consisteva nel devastare la determinazione del portatore, distruggere i suoi sogni e vanificando la sua esistenza costringendolo a diventare uno dei "Vuoti", esseri senza coscienza, per la maggiore molto aggressivi, guidati dall'ossessione che li teneva in vita prima della vuotezza, una ricerca vana per il ritrovo della loro umanità. 




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