Colpa del Sole

di Angelika_Morgenstern
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È colpa del sole?
Sono stati i suoi raggi a destarmi?
Perché l’hanno fatto?
La luce inonda la stanza in cui mi trovo: rettangolare, bianca, con due inutili sedie e un altrettanto inutile tavolino di fronte a me.
Muovo appena gli occhi verso l’angolo e noto un televisore vecchio stampo, di quelli ancora dotati di tubo catodico, spento.
Non pensavo esistessero ancora.
Sono ancora qui.
Sospiro.
Che ansia.
Chiudo gli occhi, sperando di tornare nel limbo onirico, quel luogo che tiene sospeso l’essere umano tra la vita e la morte, il sottile filo dove camminiamo in bilico, il confine dell’anima.
Perché la gente non si fa mai i cazzi suoi?
Apro le palpebre e getto uno sguardo ai miei polsi, sollevandoli per osservare meglio: li ritrovo fasciati quasi fino al gomito, il che non mi stupisce.
Avevo scelto il coltello della carne, quello dentellato che uso per tagliare le bistecche proprio al fine di scavare squarci profondi nelle vene, ferite che mi dissanguassero il prima possibile.
Ero felice quando ho sentito le forze abbandonarmi.
Finalmente è finita, ho pensato, sentendo il sollievo farsi strada in me, il cuore che si alleggeriva e il torace che si rilassava.
Ho chiuso gli occhi nella certezza di dormire eternamente e non dover sopportare un minuto di più questa vita, questa gente, queste regole, tutto quanto.
E invece no, ovviamente non è stato così.
Come al solito qualcuno si è impicciato e ha rovinato tutto.
Mi costringono a rimanere qui, ma perché non lo capiscono?
È la seconda volta che ci provo, cosa credono, che lo faccia per hobby?
Cazzo, sono davvero dei dannati buonisti!
Sento la porta aprirsi e mi volto, notando una donnina minuta, biondina, carina, i capelli arrotolati sulla nuca attorno a uno di quei schifosi posticci, che mi regala l’impressione di essere una di quelle gne gne gne che mal tollero. 
E che è entrata senza neanche degnarsi di bussare. 
Stronza.
— Buongiorno! – saluta lei, mostrando una fila di denti perfettamente curati.
Che cazzo hai da ridere? 
— Come ti senti?
Come un uccello in gabbia, grazie a voi guastafeste.
Mi rifiuto di rispondere a questa maledetta cospiratrice e la guardo intensamente, sperando che legga nei miei occhi tutto il rancore che nutro per lei e qui maledetti impiccioni della sua risma.
Ma non sembra colpita e continua pure a mostrarmi quella fottuta mezzaluna bianca che si ritrova sul viso.
Ti spaccherei volentieri i denti a randellate.
La vedo accingersi a cambiare la flebo e mi giro a guardare fuori, non sopportando oltre il suo stupido canticchiare che mi sa tanto di presa per il culo ai miei danni.
Le macchine passano, i bambini giocano, le mamme li sbaciucchiano e io sono ancora qui, a osservare le loro inutili vite, annoiandomi e rompendomi i coglioni in maniera stratosferica.
Che palle.
Ma questi qui non lo capiscono che non voglio più vivere?




Ciao a tutti,
pubblico dopo un anno e più, vergognandomi come fosse la prima volta.
In fondo questa è una storia – non storia, un’introspettiva (tanto per cambiare) ma molto, molto negativa. Iniziai a scriverla per sfogare i brutti pensieri che avevo in testa verso dicembre/gennaio, quando avevo perso del tutto la fiducia nella vita. Inutile dire che fu una conseguenza.
L’arte è creatività, nonché l’espressione di ciò che abbiamo dentro. 
C’è sempre qualcosa di noi in ciò che creiamo, qualche aspetto della nostra personalità, persone conosciute, avvenimenti dai quali attingiamo, sensazioni, pensieri e così via. 
In uno dei momenti più bui mi ha aiutata di nuovo, e questo basta e avanza.
Grazie per aver letto il primo “capitolo” di questa breve storia. Non ho voluto dilungarmi troppo perché i pensieri di Lu sono pesanti e negativi, una pioggia infinita di pessimismo.
Ho cercato di analizzare uno stadio depressivo soggettivo, in questo caso la perdita della libertà del singolo: vivere nelle regole, doversi adeguare e così via.
Ho cercato di essere più sintetica possibile.
Spero di ricevere opinioni a riguardo e di regalare qualche spunto di riflessione.
Alla prossima

- A.




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