Persi
il mio quaderno dal banco e uscii dall’edificio, lo zaino in spalla.
Quel
giorno, ero ancora più invisibile del solito. Bene, meglio così, almeno non si
sarebbero accorti di me. E del mio problema.
Tutti
erano agitati e in fibrillazione per l’arrivo dei nuovi ragazzi. Non che io
potessi definirmi una veterana della scuola, ero arrivata solo da due mesi a
Forks.
Sospirai,
entrando nel mio pick-up e accendendo la radio a tutto volume.
Quella
era una giornata no. Da quando mi ero separata da mia madre, ed ero andata a
vivere con mio padre Charlie, avevo assunto una nuova prospettiva di vita. E
così, il mio problema, era diventato un’abitudine.
Mi
capitava spesso di vivere giornate in cui ero particolarmente malinconica, ma
poi, lo facevo.
E
con l’aiuto di quello che mi mancava, come una droga, riuscivo a stare di nuovo
meglio. Allora diventavo una ragazza estremamente solare.
Però
poi mi pentivo inevitabilmente del mio sbaglio e tutto ricominciava di
nuovo.
Ma
ormai, la maggior parte dei ragazzi si era stancata dei miei sbalzi d’umore. Ormai
c’erano solo tre persone che potevo considerare “amiche”.
Mike
e Jessica, mi parlavano di solito, quando ero felice, la loro compagnia era
piacevole e quando invece, come oggi, mi sentivo depressa, non facevano caso al
fatto che io rimanessi semplicemente in silenzio e così sfogavano i loro
pensieri con me, come un fiume in piena che non si preoccupa su quali scogli va
a sbattere. La compagnia di Angela, invece, mi era molto gradita. Lei rimaneva
in silenzio, ad ascoltare le mie parole mute, e quando ero felice, anche lei si
adattava naturalmente al mio modo d’essere.
Tutto
sommato stavo bene. Avevo solo bisogno di quello. Ormai, ne dipendevo.
Una
volta soddisfatto il mio bisogno, sarei stata meglio, ne ero certa. O forse,
no.
Camminavo
a passo spedito, verso il mio bisogno, accecata solo da quello.
Inaspettatamente,
mi scontrai contro qualcosa di duro e freddo, cadendo a terra. Pensavo di essere
sbattuta contro una colonna del muro, ma quando sollevai lo sguardo, lo
spettacolo che mi si presentò dinanzi fu ben altro.
Un
ragazzo alto, dai capelli rossicci e lo sguardo luminoso, mi fissava dall’alto.
I suoi occhi erano chiarissimi. Dorati, quasi gialli. Era bellissimo. Non avevo
davvero mai visto qualcosa del genere, mi sembrava quasi inumano.
Lo
vidi fare un’espressione strana: crucciò le sopracciglia, come pensieroso, poi
immediatamente, il suo sguardo mutò, come se si fosse dimenticato di fare
qualcosa.
-Ti
sei fatta male?- chiese, porgendomi una mano per aiutarmi ad alzarmi.
Appena
lo toccai, la mia mano fu attraversata da una scossa. Era freddo.
-N…no…-
balbettai, non appena mi tirai su, fissandolo poi furente, afferrando la mia
borsa e correndo ancora verso la mia meta, sotto il suo sguardo
sorpreso.
*
-Bella?-
mi chiamò Jessica, mentre me ne stavo tornando in classe.
-Si?-
la chiamai, contenta, quasi estasiata. Bene, faceva ancora effetto. Questa
volta, ne avevo preso di più. La vista di quel ragazzo mi aveva scombussolata
troppo, era questa la motivazione che mi ero data. Non mi dovevo sentire in
colpa. Quando trovavo una motivazione, dopo, ero anche più felice del solito
quando lo facevo.
-Ho
visto che hai parlato con il nuovo arrivato, Edward Cullen…- disse lei con tono
civettuolo.
Scoppiai
a ridere. -Cosa Jess? Hai le allucinazioni?-
Le
mi guardo un’ po’ offesa. -No che non ho le allucinazioni.- Poi sospirò, non
badando quasi, come ormai era abituata a fare, al mio repentino cambiamento
d’umore rispetto a quella mattina.
-E
allora quando ci avrei parlato?-
Sul
suo volto si aprì un sorriso -Beh, ci sei praticamente andata a sbattere
contro…-
Oh.
Allora era lui, il nuovo arrivato.
Come
avevo fatto a non pensarci prima?
Beh,
prima ero troppo presa dal mio problema.
-Oh…
allora è lui…-
-Si,
proprio lui. Ma lo sai che hai avuto una fortuna sfacciata? Né lui, né nessuno
della sua famiglia, ha rivolto la parola a nessuno! Allora che ti ha detto?- mi
chiese trepidante.
Ritornai
a concentrarmi sulla mia amica. -Nulla- dissi scrollandomi le spalle -mi ha
solo chiesto se mi fossi fatta male…-
-E
tu?- fece lei, curiosa.
Mi
sembrava ovvio -E io gli ho detto di no e me ne seno andata!-
Lei
parve delusa da quella mia risposta. -Oh… beh dai raccontami i particolari, che
parole ti ha detto, precisamente?-
-Oh,
Jessica, non ricordo, ora devo andare, sono in ritardo!- mi liberai dalla sua
presa, facendole la linguaccia e correndo in classe.
Non
era per nulla vero. Ricordavo ogni singola sillaba, ogni oscillazione dei suoi
capelli, ogni espressione del suo viso. Mi erano rimaste impresse. Chissà
perché. Eppure, quando l’avevo incontrato, ero distratta.
Entrai
nell’aula di biologia. Era il corso che mi piaceva di più. E poi,
fortunatamente, non avevo compagni di banco… Come non detto. A fare bella
mostra di sé, Edward Cullen.
Di
solito mi sarei sentita enormemente infastidita, ma… così non fu. Ero quasi più
contenta. Era la prima volta dopo tanto tempo, che una cosa che non fosse quello,
mi desse felicità.
Mi
sedetti tranquilla accanto a lui, che mi squadrò, con lo stesso strano sguardo
che gli avevo visto fare anche quella mattina. Respirò piano, come se stesse
cercando di controllarsi o controllare qualcosa.
In
silenzio, lo osservai, tentando di non farmi vedere, e cominciai a seguire la
lezione.
Rimase
per tutto il tempo teso. Crucciato. Era strano… Mi… mi ricordava qualcosa di
familiare.
Mi
ricordava me. Nei momenti no.
-Noi
due ci siamo già incontrati, vero?!- mi chiese inaspettatamente, verso la fine
della lezione.
-S…si…-
balbettai.
Si
mise a ridere. -A parte i monosillabi sai dire qualcos’altro?-
-Si!-
dissi, ridendo anch’io e facendogli la linguaccia. Anche lui rise ancora.
-Mi…
mi dispiace per questa mattina…- dissi riferendomi al mio sguardo sgarbato
-andavo di fretta- mi mordicchiai il labbro, in imbarazzo.
-Non
ti preoccupare, facciamo così. Come se non ci fossimo ancora conosciuti.- mi
porse la mano -Piacere, Edward Cullen…-
La
strinsi nella mia, titubante, trovandola di nuovo fredda. -Isabella Swan. Ma tu
puoi chiamarmi Bella.-
-Bene
Bella, io ora devo proprio andare…- mi sembrava di nuovo teso. Era… come se non
respirasse. In un attimo fu fuori dalla classe. Mi accorsi che non c’era più
nessuno.
Un
po’ sorpresa, afferrai le mie cose e mi diressi in palestra. Nessuno era venuto
ad importunarmi, erano tutti in fibrillazione per l’arrivo dei Cullen,
fortunatamente. Neppure Mike, che da quando mi ero trasferita non ne poteva
fare a meno di accompagnarmi da tutte le parti come un cagnolino da compagnia
scodinzolante, era lì con me. Risi a quel mio pensiero. Ero ancora felice,
ancora sotto l’effetto di quello.
Entrai
nello spogliatoio femminile. Non c’era nessuno, dovevo essere in ritardo. In
fretta, mi cambiai e entrai in palestra.
Lezione
di pallavolo quel giorno. La mia avversione verso quella materia, superava
persino quella che avevo contro la trigonometria.
Poi,
un nuovo dettaglio, mi fece cambiare idea. Sentivo che quell’ora sarebbe stata
più piacevole del solito, con lui. Era stupendo anche in tuta da ginnastica. Subito
dopo aver formulato questo pensiero me ne pentii. L’avevo fatto di nuovo, ero
felice per qualcosa che non fosse quello, e non potevo permetterlo.
Notai
che oltre a lui, c’era un’altra nuova ragazza. Una ragazzina minuta, con i
capelli corti, neri, sistemati in una graziosa acconciatura. Era bella anche
lei, oltre che molto aggraziata. Doveva essere una delle sorella di Edward. In
un certo strano modo, gli somigliava, anche se avevano molto di diverso.
Nessuno
dei miei compagni stava loro vicino, nessuno gli parlava, anche se tutti gli
gironzolavano intorno, come mosche al miele. Era strano.
Titubante,
presi il mio posto accanto a Mike, che mi sorrise con un ghigno. Io sollevai la
mano per salutarlo, non rendendomi conto che la palla mia stava arrivando in
faccia a tutta velocità. Non feci in tempo a fare nulla, sentii solo una voce
melodiosa che diceva -Mia!- e poi una mano stretta a pugno deviò la traiettoria
della palla, facendola ricadere con precisione nel campo avversario e segnando
un punto.
Mi
voltai di lato, verso il possessore di quella meravigliosa voce. Edward Cullen
mi fissava con un sorrisetto, un po’ tirato.
-Ci
rincontriamo, vedo.- Dal tono con cui lo disse, sembrava quasi se ne stesse
facendo una colpa.
-Già…-
balbettai solo. -Gr…grazie…-
Non
fece in tempo a rispondermi, che fu il turno di cambiare le posizioni, così, mi
ritrovai troppo lontana per parlargli ancora. Non che volessi farlo. O forse
si. Sentivo nascere dentro di me sentimenti contrastanti.
Per
tutta la durata della partita, lo osservai giocare. Non pareva molto concentrato
sulla palla, la maggior parte delle volte lo sorprendevo a guardare nel vuoto,
o a crucciare le sopracciglia come se si stesse sforzando di fare qualcosa.
Oppure… come se si stesse sforzando di non farlo.
Era
incredibile, ancora una volta lessi nel suo meraviglioso viso, il mio stesso
tormento, il mio stesso bisogno.
Non
poteva essere… E se anche lui fosse… No, decisamente.
Quando
uscii dallo spogliatoio femminile, mi trovai bene e a mio agio nei jeans. La
felicità perdurava ancora in me.
D’un
tratto, mi accorsi che Edward mi stava venendo incontro.
-Ciao-
dissi, piuttosto sicura, contenta.
-Ciao…-
mi salutò lui evasivo, fermandosi però, a circa due metri da me. Abbassai lo
sguardo, ma sapevo che mi stava ancora fissando, avvertivo i suoi occhi
concentrati su di me.
Mi
decisi a parlare, non volevo sempre starmene lì a balbettare e inoltre, volevo
rompere quel silenzio imbarazzante -Ti sei trovato bene oggi? Intendo… nella
nuova scuola… M…magari hai qualche problema con il programma…- mi mordicchiai
il labbro inferiore.
Sul
suo volto comparve un sorriso, come se avessi appena detto una battuta
sarcastica. -Oh, no, tutto bene. Grazie del tuo interessamento, comunque…- mi
rispose educatamente.
-Beh,
allora ci vediamo domani ok?!- disse poi salutandomi e avviandosi verso il
corridoio.
-C…ciao!-
dissi, sbracciandomi per salutarlo. Mi accorsi che stavo sorridendo, ero
praticamente euforica, felicissima. Rimasi per un attimo immobile, appoggiata
ad una colonna.
Ero
scioccata. Quel ragazzo appena conosciuto stava minando la mia fragile
stabilità. Ora, mi aveva fatto sentire felice, troppo, stavo sbagliando, e non
potevo permettermelo. La felicità che provavo adesso, avrebbe solo significato
più tristezza per dopo. Non potevo permetterlo, no, niente avrebbe rotto il mio
precario equilibrio.
Mi
asciugai la lacrima che mi era scesa dagli occhi e mi promisi che non l’avrei
più visto. Né tanto meno, ci avrei parlato. Me lo dovevo imporre.
Infatti,
come avevo previsto, era successo. Ora, ero nuovamente nello sconforto più
totale, come quella mattina.
Fui
costretta a farlo di nuovo.
Afferrai
le chiavi del mio pick up e corsi via sotto la pioggia, stringendomi nel
giaccone. Avevo un solo obbiettivo, e sapevo cosa fare per non far insospettire
nessuno.
Premetti
a fondo col piede, dando gas e sfrecciando per le strade di Forks. Avevo
freddo, ma non mi curai di accendere il riscaldamento, avevo un bisogno da
soddisfare necessariamente.
Inchiodai
di fronte al grande edificio e scesi dal mio mezzo per fare i miei acquisti.
Non
più di cinque pezzi, non più di cinque pezzi. Controllati Bella, controllati. Era fondamentale per il mio piano. La discrezione.
Non potevo permettere che scoprissero tutto.
Feci
i miei acquisti e pagai velocemente in contanti, non potevo usare la carta di
credito, sarei stata fin troppo rintracciabile.
Uscii
velocemente, guardandomi intorno con discrezione e nascosi la busta sotto i
sedili del pick up. La tentazione era forte, ma dovevo resistere ancora un po’.
Misi nuovamente in moto e mi diressi verso la mia seconda meta. Di nuovo
ripetei la stessa operazione, comprando questa volta però, sei pezzi. Non ero
riuscita a trattenermi. Mi sentii ancora peggio, perché questa volta nessuna
scusa sembrava poter reggere e la tentazione delle due buste nascoste sotto i
sedili cresceva sempre più. Un’altra meta ancora, di nuovo gli stessi gesti,
con la stessa discrezione. Lo feci ancora due volte, poi, mi dissi che poteva
anche bastare.
Non
ce la facevo più ad aspettare, il desiderio morboso di prendere ciò che avevo
nascosto sotto i sedili, mi stava distruggendo.
Ancora
un po’. Pensavo. Ancora un po’.
Parcheggiai frettolosamente nel cortile di casa, prendendo le varie buste con
me e entrando alla svelta in casa, senza farmi vedere.
Potevo
stare tranquilla, quel giorno oggi mio padre era di servizio.
Venti
minuti dopo, me ne stavo stesa sul pavimento del bagno, distrutta.
Mai
più avrei rivolto la parola a Edward Cullen, mai più.
Con
le lacrime agli occhi, mi sollevai, fino a mettermi seduta. In un gesto
abituale, mi tirai su i capelli, infilandomi un dito in bocca e vomitando tutto
il cibo che avevo ingurgitato, tra le lacrime.
Spero che
vi piaccia…
Spero che
possa trasmettere le stesse emozioni, ma soprattutto, gli stessi messaggi che
mi pongo da trasmettere io.
Questa
ff, infatti, non è nata per dirci “oh, guardate, poverina Bella, ora Edward
l’aiuta”. No. Certo, c’è anche quello, come darvi torto.
Non
voglio neppure fare la moralista, e dirvi, no ragazze, non si fa. Perché io non
sono nessuno rispetto a voi, per dirlo.
Voglio
solo trasmettere poche informazioni. Semplici e banali e sperare che questa
storia non comunichi effetti contrari a quelli auspicabili, causa l’emulazione.
Penso che
la maggior parte di noi, almeno una volta abbia, anche solo lontanamente
pensato, di fare ciò che Bella fa in questa fan fiction. Non è così facile come
può sembrare. Non lo si fa, solo per sentirsi belle o affascinanti. Il cibo può
diventare una droga e minare lentamente la personalità di una persona.
Ma, quanto ti accorgi che hai sbagliato, che è troppo tardi per tornare
indietro, compi la sciocchezza. Ma non te ne liberi. No. Così facendo, cadi
solo nella trappola che sin dall’inizio ti attendeva.
Non
fatelo mai ragazze. La bulimia, porta alla morte.
Non
è un gioco. Una volta cominciato, è difficile smettere.
Questa
fan fiction non è stata scritta da un medico, pur contenendo documentazioni
valide di medicina, quindi non basatevi totalmente su quanto scritti in queste
pagine.
Ringrazio
la crucci, per la collaborazione e per avermi aiutato a ordinare tutte le idee.
Grazie cru.