cap 7
-"È uno stolcker!"
-"È un figo!"
-"È uno stolcker!!"
-"È un figo!!"
-"È. Uno. Stolcker."
-"Ma è un figone!! Magari uno così mi stolckerizzasse..."
Questa era la conversazione che stava avvenendo al mio tavolo, e che
stava andando avanti già da cinque minuti, fra Mia e Barb.
Contemporaneamente
Samantha e Vincenzo esprimevano il loro odio spontaneo e naturale nei
confronti del suddetto stolcker/figo (la disputa era ancora irrisolta)
e di tanto in tanto gli lanciavano occhiate cariche di sospetto, come
una mamma volpe che osserva un serpente, che dal fondo della radura si
avvicina ai suoi piccoli che giocano e si rotolano sereni. Il serpente
non sarebbe mai riuscito ad arrivare vivo fino a loro.
Ok devo dire a mio fratello di darci un taglio con Discovery Channel.
Mentre
Illa, di fronte a me a destra, mi guardava con le braccia incrociate
come a dire "Ei! Ciao! Quando vuoi parlare, io sono qui, fai con
comodo."
Da
quando Alan si era allontanato dal nostro tavolo si era scatenato il
caos, mi erano state sputate contro così tante domande che
decisi di non rispondere a nessuna e di limitarmi a fissare i miei
piatti pieni sul vassoio, tecnica che stavo adottando tutt'ora.
Illa
si era allora autoincaricata di rispondere alle domande più
banali, su cui poteva dare qualche informazione in più.
-"Chi è questo meraviglioso esemplare di essere umano?" (Barb)
-"Si chiama Alan Del Giudice." (Illa)
-"Da dove viene?" (Mia)
-"Non
ha un posto che protraemmo definire "casa". So che a causa del lavoro
di suo padre la famiglia viaggia spesso. Però sua madre è
originaria di Leone, infatti molte estati sono venuti a stare alla loro
residenza estiva."
-"Residenza estiva?!", fece Vince disgustato -"Perché ora dove risiedono, lor signorie???"
-"Hanno
comprato una villa in città.", rispose Illa guardandolo come a
dire "Se se lo possono permettere, di che ti impicci?!"
-"E quanto rimarranno?", chiese Samantha astiosa.
-"Oh
Sammy che vuoi che ne sappia! Saranno fatti loro. Sono "amici di
famiglia", ma non così amici. Di sicuro, avendo comprato, e non
affittato, una casa...progettano di rimanere qui un bel po'."
-"Mi
sembra un po' strano.." osservò Vince sospettoso -"Gente come
loro.. abituata a vivere in città come : New York, Dubai, Tokyo,
che viene a vivere in questa merdosa città del sud Italia."
-"Non
sai dove hanno vissuto. E poi qui è sempre casa loro!"
ribattè ,scoccandogli un'occhiataccia, Mia e poi aggiunse-"
Forse ora la sua famiglia cerca tranquillità ed ha giustamente
pensato di tornare alle origini.."
-"Ma quindi fatemi capire oltre che a essere bello è anche ricco? E quanti anni ha?" chiese eccitatissima Barb.
-"Se
non mi sbaglio ha la nostra età. Ma era più amico di
Mattia che mio, ma forse perché era l'unico maschio della
famiglia, oltre ad Andrea, che era troppo piccolo all'epoca per
interessarsi ai loro giochi."
-"Che epoca?" chiese Mia curiosa.
-"Beh
io mi ricordo di lui fino agli..undici-dodici anni. Poi la sua
famiglia smise di tornare qui per l'estate." rispose Illa come
dispiaciuta di aver perso di vista Alan per così tanto tempo.
Per un attimo quel ragazzo mi fece pena. In fondo era appena arrivato e non aveva di certo già trovato molti amici.
Io, dal canto mio, non ero stata per niente gentile con lui, ed anzi,
gli avevo rivoltato contro, anche se involontariamente, già due
persone. Se solo avesse parlato con un po' meno schiettezza, o fosse
stato come gli altri ragazzi, non lo avrei di certo trattato
così male, pensai.
Chissà quanti ragazzi stavano parlando di lui ora. " Il nuovo arrivato"..."Carne fresca".
Quella scuola era piccola, ma non era di certo semplice viverci.
Comunque, da lì si diramarono i due discorsi tuttora in atto, (
la disputa e la dichiarazione di guerra), ma naturalmente ero io la
diretta interessata, tutti aspettavano che ritornassi dal mondo dei
sogni e dessi segni di vita per potermi a farmi il terzo grado. S
tranamente Vince, che prima aveva così tanta fretta, era ora,
invece, comodamente spalmato sulla sedia. Si era girato una sigaretta
che aveva sistemato dietro l'orecchio, e stava con un braccio buttato
penzoloni dietro lo schienale della sedia, e l'altro poggiato
placidamente sul tavolo, con le gambe talmente divaricate da toccare
con una Illa e con l'altra Mia.
-"Non andavi di fretta?", gli chiesi brusca.
-" No dolcezza. Ho tutta la giornata." disse sarcastico con
serenità, poggiandosi con entrambi i gomiti e gli
avambracci sul tavolo e mettendo le mani una nell'altra.
La posizione della schiena, piegata in avanti e tesa verso di me,
indicava il suo chiaro interesse alla mia improvvisa resurrezione
nonché alle mie future e chiarificatorie risposte.
-" Non vuoi fumarti una sigaretta?" lo incalzai ancora, sapendo che la
sua dipendenza dal fumo è tale, che se sente parlare di
sigarette sente anche la necessità di fumarle.
-" Vedi tesoro, vorrei. Ma non voglio rovinarmi la giornata.", ammiccò verso le scale antincendio.
-"Cioè?", gli chiesi scettica.
-" Cioè io ora andrò a fumare per rilassarmi, ma se
troverò mio fratello lì che fuma, e al 90% sarà
così, dovrò dirgli che deve smetterla prima che gli
spezzi le ossa, e lui mi dirà di farmi i cazzi miei, al che io
sarò costretto a mollargli un destro, per ricordargli chi
è il fratello maggiore, gli farò male e gli
verrà un occhio nero. Occhio nero, che stasera mia madre
noterà e per cui si incazzerà con me dandomi del cattivo
fratello maggiore, quando tutta l'intenzione iniziale era agire per il
bene di quell'ingrato, o peggio ancora lo dirà a mio padre che
farà a me un occhio nero. Ecco come mi rovinerei la giornata."
Appena finì il suo discorso la porta delle scale antincendio si
aprì con un cigolio e sull'uscio comparvero Michele e altri due
ragazzi della sua età, con cui lui si spintonava per gioco.
Vince esalò un respiro esasperato, lasciò cadere in
avanti la testa, abbattuto, e la incassò fra le scapole
scrocchiandosi la schiena e le spalle larghe.
Mia, alla sua sinistra, spalancò gli occhi e si allontanò leggermente spaventata.
Io mi ritrovai a chiedermi se Vince avesse mai picchiato una donna. O
meglio se mi avesse mai potuto fare del male una volta che avesse
scoperto del mio segreto con Michele, o sarebbe più giusto dire,
del segreto che io mantenevo per conto di Michele.
Mannaggia a me che non mi faccio mai i fatti miei.
Sperai che la nostra amicizia fosse tanto forte da frenare la sua ira impulsiva.
Vince aveva provato afferrare il budino alla vaniglia di Mia, ma lei,
presa da un coraggio che nasceva dal bisogno di affermazione il propio
territorio, o del propio cibo, gli girò brusca il polso e se lo
riprese.
-" Santo Iddio bambina, tagliati quelle unghie.", disse Vince scioccato.
Di certo aveva sottovaluto la sua forza, lasciandosi ingannare dal suo corpo mingherlino.
-"Allora.." presi la parola rassegnata, facendo un respiro profondo.
-"L'ho incontrato ieri sera alla festa di compleanno dei gemelli, si
è avvicinato e abbiamo scambiato due parole. Oggi l'ho
rincontrato mentre ero da Fede. Cioè propio mentre ero in seduta
da lei. È entrato senza neanche aspettare il permesso. E.."
-"Tipico atteggiamento dei ricchi" mi interruppe Vince, -"Pensano che tutto gli sia dovuto." sentenziò con disprezzo.
Lo guardai scettica, perché i loro atteggiamenti non erano poi tanto differenti..
-"Non è per questo che non lo sopporto." dissi chiaramente.
-"Il punto è che in entrambe le circostanze ha parlato con
me...senza peli sulla lingua. Dice tutto quello che gli passa per la
testa, senza preoccuparsi di ciò che pensa la gente. Mi ha fatto
sentire..."cominciai a dire, ma poi presa dalla codardia finì
per dire
-"Voglio dire..è così saccente e presuntuoso. A questo
suo atteggiamento di sentirsi sempre a propio agio con tutti e in ogni
luogo in cui si trova. È una cosa irritante. E poi non mi
mollava. Più io lo ignoravo, più mi veniva dietro!!"
Al tavolo era calato il silenzio da quando avevo iniziato a parlare, ma adesso non volava propio una mosca.
Metà di loro credeva che fossi diventata completamente scema, lo
si leggeva dalle loro facce, e l'altra metà aveva capito che
stavo nascondendo qualcosa, più specificatamente non avevo
riportato quello che ci eravamo detti, neanche una parola, era quello
che li insospettiva.
Su cosa si basava allora tutta quella antipatia? Da parte mia
poi...sempre pronta a ergermi in difesa e a spezzare una lancia in
favore dei bisognosi: nerd, protagonisti dell'ultimo pettegolezzo,
ragazzi nuovi. (Anche se il "ragazzo nuovo" in questione non era
affatto un bisognoso. Le risate che mi giungevano dal suo tavolo ogni
due per tre erano la conferma di come se la cavasse egregiamente
risultando simpatico, intelligente e sicuro di sè, come sempre.)
Quei discorsi taciuti aleggiavano nell'aria intorno a noi.
Il punto era che non potevo parlarne, quindi mi sarei accontentata di sembrare scema.
-"A-a" disse Illa, abbandonata sulla sedia, le braccia ancora
incrociate sul petto e una faccia che diceva " tu non la stai
raccontando giusta, io lo so".
-"Se ti dà fastidio dimmelo." disse semplicemente Vince
alzandosi, le mani che già cercavano l'accendino in tasca.
-" Tu non stai bene.", sentenziò Barbara .
-"Ma dico l'hai visto bene?" si allungò con il collo per
guardarlo meglio. Per la prima volta anche io mi voltai per guardarlo.
Era un ragazzo normale, parlava amabilmente con il suo gruppo, rispondeva alle domande, ne faceva a sua volta.
Non mi guardava, nessuno al suo tavolo mi guardava.
Forse si comportava in quel modo solo con me, o forse solo a me dava fastidio che mi si facessero domande così dirette.
Forse ero davvero paranoica.
Presi le posate in mano ed iniziai a mangiare.
-" Secondo me nasconde molto di più di quello che vuole far
apparire." concluse Samantha, che se l'era studiato per bene tutto quel
tempo. -"Magari è uno strambo."
-" Potrebbe entrare nel nostro club." disse Mia scherzando, ma guardandoci seria una per una.
Non volevo neanche pensarci.
*
-"Ragazze dai! Ci siete?" chiese Samanta entusiasta.
Eravamo tutte nello spogliatoio delle ragazze perché di
lì a breve avremmo cominciato la prima ora di educazione fisica
dell'anno.
Io avevo già finito di cambiarmi e mi sembrava che le altre
stessero impiegando il doppio del tempo solo per irritare Samantha. Lei
era l'unica ad essere realmente felice di quell'ora sportiva e quasi
saltava dalla gioia.
Effettivamente Illa, Barb e Mia non impazzivano per lo sport, la prima
era troppo pigra e la seconda odiava sudare e Mia era semplicemente
negata per tutto ciò che non fosse la danza classica, la
coordinazione occhio-mano non era il suo forte.
Beata lei.
Avevamo dalle due alle due ore e mezza di educazione fisica al giorno e
le facevamo tutti insieme, tutti i ragazzi di tutti gli anni. Il punto era che la
nostra scuola, che era un "normalissimo" liceo classico, sembrava molto
impostata sul modello di istruzione spartano, era come se il nostro
motto fosse "mens sana in corpore sano" (una mente sana in un corpo
sano).
Quindi tutti eravamo obbligati a fare uno/ due sport a testa...alcuni
arrivavano persino a tre.. Ed io non sapevo assolutamente come ci
riuscissero dato che comunque entrare in un corso sportivo richiedeva
impegno e partecipazione costanti. I più fortunati erano
"relativamente" esentati a causa di problemi di salute (dico
"relativamente" perché dovevano comunque frequentare la palestra
interna) o di inappetenza e "incapacità" personale.
A Mia veniva permesso di fare una sola attività sportiva (danza,
nel suo caso classica), e veniva lasciata in pace per tutto il resto.
Io non ero così fortunata.
Il primo anno ci hanno fatto fare tre ore di test sulle nostre
capacità fisiche. Un inferno, sembrò di essere in una
scuola militare o in un campo di prigionia.
Cominciarono a farci scalare pareti, arrampicare su delle corde, ci
scaraventarono palloni da pallavolo e da basket contro (per testare la
nostra velocità oltre che in nostri riflessi) e tutti, il giorno
dopo, furono mandati nel corso più adatto a loro, i più
fortunati o i più bravi riuscirono persino a vedere accettate le
loro richieste.
Io il primo anno fui messa nel corso di pallavolo ( non andò
bene). Purtroppo per me il mio corpo, piccolo e agile aveva scansato
con troppa facilità i palloni, e scalato con eccessiva sicurezza
le pareti, tanto da farli pensare di aver trovato "l'oro".
Quanto si sbagliavano.
Mi guardavo intorno confusa e a disagio, come ogni anno, sperando che
quel momento passasse in fretta. Il chiacchiericcio crescente e il
rumore di deodoranti spray, di borsoni che venivano lasciati
cadere a terra e armadietti che sbattevano, andavano a formare un
costante rumore di sottofondo.
Mentre tutte le ragazze intorno a me ridevano e parlottavano fra loro,
nonostante alcune non fossero propio entusiaste dell'ora di ginnastica,
io chiusi gli occhi, mi appoggiai con la schiena al sostegno di legno
della panca e cominciai a respirare lentemente tentando di calmare il
tic nervoso della gamba che si muoveva da sola su e giù.
Non amavo i luoghi troppo affollati perché mi mettevano a
disagio, ma la mia agitazione era dovuta più che altro a un
brutto presentimento.
A un tratto dalla porta sulla mia destra giunse una voce conosciuta
-"Permesso?? Ragazze posso entrare?? Sono già passati quindici
minuti. Sù! Stiamo perdendo tempo! Tutte fuori, vi devo parlare".
Il professore Calosoma, un bellissimo uomo suoi trent'anni, a cui
stavano per venire i primi capelli bianchi, aveva urlato tutto questo
facendo capolino nello spogliatoio femminile con una mano poggiata
sugli occhi (accortezza inutile perché eravamo tutte vestite).
Samantha mi prese per un braccio e mi trascinò fuori. In genere
trovava in me una valida alleata. Anche io amavo l'ora di ginnastica
potendo correre o nuotare, ma quella volta sentivo che era diverso.
Sentivo che qualcosa sarebbe andato storto e che sarebbe stato meglio
se mi fossi messa sin da subito in guardia.
Il coach cominciò a fare un discorso di benvenuto che era
un misto fra un compiacersi delle vittorie e dei traguardi passati e un
incoraggiamento per quelli che avremmo raggiunto in futuro. Accanto a
lui c'era la professoressa Rebecca Grimaldi, una giovane donna sui
venticinque anni, gentile e solare.
Lui gestiva: pallavolo, calcio, scherma, corsa e nuoto e lei:
ginnastica, danza, tiro con l'arco, palestra e arrampicata. Si
spostavano in continuazione tra le varie postazioni per seguire tutti
gli studenti, ma ogni postazione aveva un proprio assistente, che in
genere era un ragazzo poco più grande di noi, e che spesso era
appena uscito dalla nostra scuola e non essendo andato
all'università preferiva percepire un piccolo guardano da
assistente, in genere per un breve periodo.
Mattia era l'assistente dì basket da due anni. Cosa che non
aveva sopreso nessuno dato che era stato pochi anni prima il campione
indiscusso, e aveva riportato a casa vittorie che ancora venivano
ricordate e celebrate da tutti i ragazzi.
Gli assistenti, ragazzi e ragazze, erano tutti in fila dietro il
coach, alla parete. Tutti con la stessa divisa: maglietta grigia e
pantaloncini viola, al posto della nostra tuta: maglietta grigia e
pantaloni blu. Tuttti con le mani dietro la schiena e un fischietto al
collo.
Alcuni di loro, i meno severi, salutavano affettuosi e amichevoli i
loro beniamini e i loro amici e allievi cercando di non farsi vedere,
ma la maggior parte manteneva un aspetto serio e rimaneva assolutamente
fermo.
Mattia, rimaneva serio quando il professore si voltava dalla sua parte
e salutava praticamente tutti quando si rigirava verso di noi. La
nostra non era una scuola militare, ma il suo atteggiamento mi dava ai
nervi per la sua incoerenza e mi sembrava propio un presa in giro.
Fu per questo che feci un'azione irrazionale, impulsiva e azzardata.
Proprio mentre il coach stava passando lo sguardo lungo la mia fila,
mentre continuava a parlare, io feci un sorriso a trentadue denti e mi
sbracciai in direzione di Mattia, come se avesse appena cercato la mia
attenzione e mi stesse salutando clandestinamente.
Il professore si interruppe bruscamente e si voltò a vedere a
chi era rivolto il mio saluto tanto entusiasta. Quando vide la faccia
dubbiosa (con tanto di sopracciglia aggrottate) di Mattia, capì
subito.
-" Marconi!!" escamò furioso. -"Finiscila di importunarmi le studentesse."
-"Sì professore, mi scusi" rispose Mattia con stoicismo e spirito di sacrificio notevoli.
Il mio sorriso sbilenco soddisfatto e trionfante era inequivocabile.
Così come la sua espressione intensa da" prima o poi me la
paghi".
Mia cominciò a ridere sotto i baffi e Barb mi guardò male
come per rimproverarmi, invece Illa avvicinò, piano e senza
farsi vedere, la mano chiusa a pugno.
Ci scambiammo un'occhiata d'intesa mentre le nocche delle nostre mani
chiuse a pugno si toccarono in un trionfo di intesa silenziosa, ma non
per questo meno vittoriosa e compiaciuta.
Il professore e la professoressa cominciarono a fare il nome degli
studenti e li indirizzarono verso quelli che sarebbero stati i loro
sport per tutto l'anno.
La maggior parte non aveva avuto grandi sorprese perché dopo tre
anni sia loro che i professori avevano capito dove indirizzare le loro
capacità per sfruttarle al meglio. Poi arrivò il mio
turno.
-"Artesi!?..Basket".
Sentì le mie amiche trattenere il fiato e molti intorno a me
cominciare a ridere o tentare di camuffare le risa sotto colpi di
tosse.
Volete scherzare!? Io? Basket?
Ero alta la metà di tutti quelli della squadra di pallavolo. E la metà della metà di quelli di basket.
Poi guardai Mattia, il suo sorrisetto compiaciuto mi fece capire che la sapeva lunga.
-"Artesi, ci diamo una mossa?" disse il professore spazientito.
Mi incamminai verso Mattia e i ragazzi che avevano cominciato a radunarsi intorno a lui.
-"Cosa centri con questa storia?" gli chiesi cercando di restare calma.
-"Non c'entro nulla." rispose con un sorriso innocente.
-"Dimmi la verità!" gli dissi fissandolo negli occhi.
-"Non tocca a me dirtela." mi rispose indicando con il mento verso il
coach propio mentre la professoressa fece il nome di Alan Del Giudice e
lo assegnò a basket, nuoto e calcio (un carico del genere non
era mai stato assegnato ad uno nuovo, quindi doveva aver richiesto lui
di far parte di tutti quei corsi e che avrebbero in seguito valutato se
era capace di gestire un caric così pesante).
Mi allontanai subito da Mattia e aspettai che finissero di chiamere tutti i nomi.
Mia fu indirizzata come sempre a danza, Samanta a calcio (avrebbe fatto
anche tiro con l'arco e scherma) e Illa a scalata e ginnastica
artistica e Vince basket, nuoto (e stranamente anche calcio).
Quest'anno si ammazzerà. E poi farà gli stessi sport di Alan, si scanneranno entro la prima settimana.
Le ragazze e Vince avevano confermato le attività degli anni prima. E io? Cos'era questa discriminazione gratuita?
Appena tutti se ne furono andati ad iniziare le loro attività, e
io fui salutata dalle ragazze con aria contrita e con cenni d'
incoraggiamento.
-"Professore posso parlarle?", lo chiamai andandogli in contro, mi senti sentì subito strattonare indietro da un braccio
-"Che fai?" sibilò Mattia.
Con uno strattone tolsi la sua presa sul mio braccio e mi avvicinai al professore.
-"Nel mio ufficio Artesi." acconsentì lui con rassegnazione.
Entrammo nella stanza poco illuminata e piena dì scartoffie,
alle pareti raffigurazioni del corpo umano, medaglie, premiazioni varie
e foto.
Centinaia di foto della Grimaldi e di lui con tantissimi studenti.
Era questo che mi piaceva di Calosoma...aveva un lato umano e non lo
nascondeva.
-"Io non posso fare basket. Mi ha vista bene? Non sono nemmeno alta
1.58, o vuole che mi uccidano e sembri un incidente...."cominciai tutto
d'un fiato.
-"Calma, calma. Ora ti spiego. È una cosa semplice." mi bloccò lui con la solita voce calma da stratega.
-"È troppo semplice per te correre o nuotare. Sono sport in cui
sei brava. Voglio spingerti oltre, voglio lanciarti una sfida.
Perché sono convinto che tu la saprai cogliere e la saprai
superare."
BULLSHIT. Stronzate! Un sacco di stronzate...ed io me le dovrei bere!?
Abbassai gli occhi e d'improvviso provai un sentimento nuovo,
fui investita da un ondata di ribellione e per la prima volta non
accettai la decisione di un adulto, di un professore.
-"Perché propio il basket?", gli chiesi nascondendo appena la
rabbia e guardandolo negli occhi. -"Poteva iscrivermi a quel suasi
altro corso."
-"Perché Marconi si è offerto di aiutarti e di aver un occhio di riguardo nei tuoi confronti."
A ecco...
-"No!"
-"Come scusa?!" mi chiese incredulo.
-"Ho detto no." risposi senza scompormi. -"Io voglio correre."
-"Vedi Cassandra, siediti" mi indicò la sedia.
-"Sarò chiaro con te. Siamo una piccola scuola, abbiamo molta
competizione. E dobbiamo offrire molte opportunità, come ottimi
corsi di approfondimento o una vasta gamma di sport fatti bene e poi
dobbiamo metterci in mostra, dobbiamo gareggiare, dobbiamo riportare
vittorie. Non è una cosa semplice, ma va fatta, e ognuno deve
dare il suo contributo, volente o nolente. E tu.." pre un pausa, mi
lanciò un occhiata contrita e continuò
-"Tu Artesi, non lo stai dando. Ho provato a spronarti in tutti questi
anni e non ho ottenuto niente, quindi ora stavo addirittura pensando di
farti provare tutti gli sport, una settimana ciascuno, a rotazione in
modo da trovare quello più adatto a te."
-"La corsa è lo sport più adatto a me!"dissi senza più riuscire a trattenersi.
-"Ah sì? Curioso che tu lo dica con così tanta
convinzione, perché alla fine non hai riportato tutti questi
grandi risultati."
Aveva raggione. Non avevo mai voluto gareggiare quindi anche mentre correvo non mi spingevo mai fino al mio massimo.
-" Ma Mia Bennini, per esempio, può fare un solo sport. Quello per cui ha fatto domanda. Perché io no?"
-"Mia ha già vinto due secondi posti gli anni passati, e anche
il suo lavoro con gli altri ragazzi è ottimo. Tu non ti sei mai
cimentata seriamente in nessuna gara, e non hai mai fatto lavoro di
squadra.."
Ci guardammo. Potevo benissimo scoppiare a piangere in quel momento, ma
la mia rabbia nei suoi confronti era troppa per dargli una tale
soddisfazione.
Non volevo passare un intero anno con Mattia e con Alan, con una
squadra di persone che mi avrebbe schiacciata e sballottata senza
ritegno e a fare uno sport che per mancanze fisiche non poteva essere
il mio.
-"Non mi odiare, ok?" si mise a ridere di gusto -"Sai qual'è l'unico sport in cui da anni facciamo davvero schifo?"
Cominciai a capire dove voleva andare a parare..
-" Brava hai indovinato, propio la corsa, dimostriamo una carenza
spaventosa. Ti propongo un compromesso: io ti lascio correre, ma tu ti
allenerai seriamente e poi parteciperai alle gare a cui ti
iscriverò e nel frattempo farai basket. E se ti atterai al
patto, come spero che intelligentemente farai.. Farai tre ore di corsa
e solo una di basket a settimana, invece che due e due.Ci stai?"
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