Маска
– Breve storia sull’edera velenosa
Perché,
appena insieme, l'uno di fronte all'altro, diventiamo tutti tanti
pagliacci?
Scusi, no, anch'io, anch'io; mi ci metto anch'io;
tutti!
Mascherati! Questo un'aria così; quello un'aria
cosà...
E dentro siamo diversi! Abbiamo il cuore, dentro,
come... come un bambino rincantucciato, offeso, che piange e si
vergogna!
[Pirandello,
I quaderni di Serafino Gubbio, 1916/25]
L’inverno
a Barcellona era stranamente pungente. Viktor non se lo sarebbe mai
aspettato, così come non si sarebbe mai aspettato di ritrovarsi
sulla terrazza dell’hotel, seduto ad un tavolino di legno, in
silenzio, mentre all’interno si faceva baldoria e si festeggiava
tutti assieme dopo la fine delle gare.
Chris,
quinto posto al GPF, era seduto allo stesso tavolino, la sedia girata
verso il panorama spagnolo, e fumava. Il fumo era un vizio che aveva
preso da poco, un qualcosa che si concedeva una tantum, per così
dire. Inspirava ed espirava quella nube grigia con lentezza, lo
sguardo fisso davanti a sé a rimirare il meraviglioso panorama di
Barcellona notturna. Altre volute chiare intanto si innalzavano dalla
sigaretta e decoravano l'aria con complicati arabeschi. Viktor si
fermò ad osservarle, incantato. Non capiva perché Chris lo avesse
invitato là fuori, nonostante la confusione e la musica dei
festeggiamenti post gara stesse imperversando all'interno. Sapeva che
lo svizzero aveva sempre preferito i luoghi tranquilli, ma erano
cinque minuti buoni che erano in silenzio, l'uno accanto all'altro, e
questo non faceva altro che instillare uno spiacevole senso d'ansia
in Viktor.
«Allora,
perché mi hai chiamato qua?» Non riuscì a trattenere il proprio
senso di irrequietezza. E Christophe, il buon Christophe, gli
sorrise, di un sorriso bonario e paterno, uno di quelli che si
rivolgono ai bambini capricciosi e impazienti. Viktor un po' lo era,
capriccioso ed impaziente. Chris aspirò ancora altre due boccate di
fumo, lentamente, come se stesse intrinsecamente godendo dell'ansia
di Viktor.
«Ah,
non saprei» Continuò con quel sorriso, un sorriso che rendeva
l’altro ancora più confuso. Il russo batté un paio di volte le
palpebre e andò in apnea per tre, lunghissimi secondi.
«Christophe…»
«E’
da tanto che non mi chiami così, Nikiforov» Chris lo interruppe
bruscamente, tanto da fargli mozzare il fiato. Deglutì a fatica: gli
occhi verdi da pantera dello svizzero ora lo fissavano. Intensi,
indeducibili, si limitavano a scrutarlo nel suo intimo. Gli fece
paura. «Scusami»
«Non
scusarti, bimbo» Il tono si addolcì di nuovo e ciò prese in
contropiede Viktor. Buffo come era stato proprio lui, Viktor
Nikiforov, a rimanere sorpreso e turbato. Gli venne da piangere: quel
discorso lo stava mandando in tilt, stava facendo lentamente crollare
le sue difese e ciò lo rendeva insicuro e in ansia. Sapeva sarebbe
finita male. Christophe lo conosceva troppo bene e ogni volta se ne
stupiva, ma… ma questa volta avrebbe preferito non si fosse mai
aperto. Chris sospirò: «Allora... Katsuki, hm?»
«...Già»
Fu la laconica risposta del russo. Dove voleva andare a parare con
quel discorso? Ora aveva tirato
fuori Yuuri e… e questa cosa non andava bene. Non andava bene per
niente. Viktor aveva paura, una paura fottuta, tanto da andare di
nuovo in apnea – le pupille viaggiavano frenetiche da una parte
all’altra, in cerca di una
via di fuga da quella sensazione orribile. Si sentiva in trappola,
l’intero suo corpo gli sembrava essere una gabbia da cui fuggire,
andare via, lontano, per sempre. Fu allora che Chris allungò
un braccio e gli fermò il polso con una presa dolce ma decisa –
Viktor lo guardò perplesso per un attimo, per poi rendersi conto
che, toh, aveva iniziato a graffiarsi le mani per la tensione.
Strinse i pugni, vergognandosi di quelle strisce rossastre che aveva
tracciato sulla propria pelle. Chris, al solito, fu dolcissimo. Era
sempre stato dolce in quelle occasioni e anche ora che gli stava per
fare un certo discorso, anche ora che sembrava quasi
arrabbiato con lui, gli aveva preso entrambe le mani e gliele aveva
carezzate piano.
«Non
farlo, per favore. Non ti mangio, bimbo mio…»
Viktor
sospirò, chiudendo gli occhi. Si convinse che sì, doveva calmarsi,
che Chris avrebbe voluto sempre e solo il suo bene, che lo avrebbe
sempre supportato. La presa dolce sulle sue mani lo aiutò in questo
processo: adorava la sensazione di avere la mani calde di Chris
strette attorno alle sue dita infreddolite. Se ne portò una alla
guancia e sospirò, strofinando piano il viso contro quel palmo un
po’ calloso ma familiare. E fu allora, solo allora, che Chris si
permise di parlare.
«
Sai…» Mormorò – e, dio, sentire la voce calda di Chris vibrare
in quel modo era sempre un brivido; «Io quel povero diavolo non lo
invidio per niente, sinceramente…» sospirò piano, e Viktor
spalancò gli occhi, di nuovo in apnea. Cosa intendeva con questo?
Chris
distolse lo sguardo da lui: «Perché... sai, non vorrei che tu lo
manipolassi così come hai fatto con me. Non se lo merita. E' ancora
troppo ingenuo per questo, Viktor... non è pronto»
«M-manipol-manipolare?»
Il fiato gli si spezzò di nuovo. Gli venne la nausea. Cosa.. cosa
stava dicendo, Chris? Che cazzo… che cazzo aveva in mente, lui, il
suo migliore amico… o presunto tale… come… come faceva a… a
dire una cosa del genere! Come si permetteva?!
«Uh?
– Chris tornò a guardarlo e gli sorrise di un sorriso tenero, un
sorriso che fece ribollire il sangue dell’altro – Ah, sì. Credi
non me ne sia accorto, bimbo mio? Di come, ogni volta, mi
guardavi con quei tuoi languidi? Di come approfittavi delle mie
debolezze per racimolare un po' di sesso? Un po’ di amore? Per…
per sentirti amato? » la voce di Chris tremava, ma Viktor non lo
notò. Viktor era ferito, in quel momento. Ferito e infastidito da
quella situazione. Voleva allontanarsi, dimenticarsi di Chris.
Dimenticarsi di tutto ciò che lo svizzero aveva fatto per lui. Ma
lui continuò, imperterrito, e a Viktor non rimase altro che
ascoltare: «Mi son sempre chiesto perché ti comportasse così...
tutti quegli epiteti dolci, tutte quelle falsità che mi
raccontavi per ingraziarti il mio bene... che stupido che sei,
Viktor…»
Crack.
Ci fu un crack dentro la testa di Viktor.
Non
erano falsità.
NON
ERANO FALSITÀ.
Urlava
dentro la sua testa e voleva urlare anche in faccia a Chris. Voleva
picchiarlo con le parole, voleva ferirlo così come era stato ferito
lui. Voleva fargli capire che no, alla fine aveva smesso di
mentirgli, che le sue non erano più falsità, ma emozioni sincere.
Che forse lo aveva amato, a modo suo.
«Hm»
Fu l'unico suono che riuscì ad articolare, alla fine. Perché si
sentiva così nudo e impotente, dinanzi a Chris? Perché, ogni volta,
si stupiva di quanto bene riuscisse a leggergli dentro? Quand’è
che aveva gettato la maschera, con lui? Quand’è che si era fidato
tanto da mostrargli il suo vero Io? Non lo sapeva.
Ed
ora si pentiva di ciò che era stato con Chris. Si pentiva di essere
stato tremendamente egoista perché, sì, Chris aveva ragione, Viktor
lo aveva manipolato. Ma non lo avrebbe mai ammesso, mai, neanche a sé
stesso. Mai.
«...Perché,
vedi, bimbo mio, – Viktor alzò lo sguardo dalle loro mani ancora
intrecciate, incatenandolo a quello dell’uomo; – non ce n'era
bisogno, e tu lo sai. Ti ho amato – Crack. Di nuovo; – Ti
amo ancora – Crack. Più forte; – e fidati, per
una volta, fidati di me quando ti dico che ti avrei dato di mia
sponte tutto l’amore di cui avevi bisogno. Senza quei tuoi giochi.
Non mi sono mai aspettato nulla in cambio, Viktor. Mi bastava la tua
felicità…»
«Hai...
hai finito?» E la voce di Viktor era fredda, tagliente, cattiva.
Christophe lo guardò tristemente, ma ormai il russo era cieco di
rabbia. Cieco di dolore. Si sentiva ferito nella sua anima,
era stato toccato là dove faceva più male.
Lo
sapeva, cazzo se lo sapeva che Chris lo avrebbe amato lo stesso e lo
avrebbe fatto comunque sentire sempre amato. Lo sapeva che giocare e
premere sui sentimenti altrui era sbagliato. Eppure... eppure lui
aveva bisogno disperato di attenzioni e, ferito dalle esperienze
passate, aveva imparato a prendersele con la forza. Viktor era come
un'edera velenosa, di quelle che infestano i grandi boschi. Quelle
che, silenziose, si inerpicano lungo il tronco di una grande quercia
solo per nutrirsi della sua linfa vitale fino a farla morire. Così
Viktor si nutriva dell'amore. Sentimento che era incapace di provare,
ma di cui aveva necessità come l'aria.
Chris
sbuffò, quasi annoiato da quel cambio repentino nella figura di
Viktor, come se lo aspettasse. Ed era così, infatti.
«Amore
mio, per favore, non fare così. Ti amo, e questo lo sai e lo hai
sempre saputo molto bene. E non ti giudico. Solo... ti metto in
guardia. Yuuri non è me. Ricordatelo… lui… lui ci spera davvero»
Disgustato.
Viktor era disgustato. Chris gli faceva disgusto. Lui stesso si
faceva disgusto, e ora come ora voleva solo scomparire in un angolo
remoto della terra – morire, sì, voleva morire e
dimenticarsi di tutto, dimenticarsi della rabbia improvvisa che gli
infiammava le vene in quel momento.
«Non
è vero!» Sibilò dal nulla, dopo qualche attimo di silenzio. «Tu
non mi ami. Non puoi amarmi e... e farmi, dirmi!, questo. Non puoi!»
«Mon
petit lapin…» Ed
eccolo. Ecco quel soprannome affettuoso, quello per cui Viktor era
sempre arrossito e aveva sorriso in modo adorabile. Sospirò
pesantemente, gli occhi annebbiati e fissi sul pavimento – si stava
rifiutando categoricamente di guardare Chris. Lo odiava. Non
voleva... non doveva...! dargli soddisfazione in alcun modo. Ma poi
Chris si era alzato, aveva scostato il tavolino, si era inginocchiato
ai suoi piedi e, dolcemente, aveva posato il capo sul suo grembo,
stringendosi a lui con gli occhi chiusi.
«Mon
petit lapin,» disse, di nuovo, «ti amo come il primo giorno in cui
ti ho visto. E mi dispiace... davvero, mi dispiace farti questo... ma
devi capire che... che aprirsi fa bene. Allora fallo, amore mio.
Getta questa maschera che hai portato con me per tanto, troppo tempo…
gettala subito con Yuuri…»
«Ti
odio» Tirò su col naso, Viktor. Non sapeva neanche quando
aveva iniziato a piangere, sapeva solo che, in un attimo, erano
entrambi sul pavimento e lui – il viso arrossato dal pianto – si
stringeva forte al petto da mamma di Chris, aggrappandosi a lui come
si aggrappa l'edera alla quercia. Come se fosse la sua ultima
salvezza.
Ma
la quercia era già morta da tempo. Eppure... eppure non smetteva mai
di nutrirlo. Di farlo star bene.
Di
farlo sentire... amato.
«Ehi,
Viktor, ti stavo cercando, Yuri mi ha detto che eri uscito qua con
Christope ed io–
E
il virgulto ingenuo, quello nuovo, pieno di succoso nutrimento, fece
capolino dalla portafinestra. Yuuri Katsuki era bellissimo vestito di
nero, coi capelli indietro e la camicia bianca col colletto
sbottonato, senza più quella stupida cravatta, ed il suo visino
tondo e soffice si aggrottò per la confusione.
«Che
sta accadendo...?» la voce piena di dubbio, piena di ingenue
speranze. Piena di amore sincero e incondizionato.
«
Ceci est quel j’voulais dire, mon trésor…» Sussurrò Chris, in
francese, all'orecchio di Viktor. E fu allora che lui capì. Viktor,
viso infossato sul petto di Chris, occhi spalancati, capì. E
ringraziò Chris di avergli fatto male.
Quando
sciolsero l'abbraccio, il russo sorrideva – un sorriso stanco,
rigato dalle lacrime, ma sorrideva.
«Yuuri!»
Esclamò, con quella sua tipica gaiezza che lo contraddistingueva.
Chris
sorrise, mentre Viktor si scioglieva dalla sua presa, come
rifocillato, e trottava dal suo fidanzato.
«Scusami
Yuuri, è che mamma Chris mi ha fatto le ultime raccomandazioni e…»
Il discorso si perse nell'aria buia della notte. La portafinestra si
chiuse alle loro spalle e solo Yuuri si voltò a fargli un timido
cenno con la mano. Chris, si trovava di nuovo solo. Scosse il capo,
sorridendo tristemente. Perché, in cuor suo, sapeva che Viktor non
sarebbe mai cambiato.
Ma
forse... forse Yuuri sarebbe riuscito ad instillare il seme
dell'amore nel cuore incolto di Viktor. Forse c'era davvero la
speranza di un suo cambiamento.
E
in lontananza, intanto, già rimbombava l'eco di una maschera
infranta al suolo.
Angolo
di me medesima stessa:
Ok,
inizio col ringraziare chi è arrivato alla fine di sto scempio.
Davvero, grazie mille, siete dei bimbi preziosi e vi do tanti
biscottini.
Per
il resto… non so cosa dire. Questa cosa, qua, mi è venuta in mente
ascoltando “bella senz’anima” di Cocciante e l’idea di un
Viktor manipolatore che, incapace di amare, cerca di raggirare gli
altri e fa di tutto per essere amato… beh, mi ha attirato.
Ovviamente Vik non è che lo fa con coscienza, ormai è un qualcosa
che gli viene naturale… ha così paura a provare l’amore e a
fidarsi delle persone, ma al contempo è terrorizzato dal rimanere
solo. E ama sentirsi amato.
E
vbb, Viten’ka è un egoista, ehggià, ma ognuno ha i suoi difetti e
Viktor, che tanto gentile e tanto onesto pare, per me è uno che
pensa molto a se stesso, che è un po’ narcisista. Manca totalmente
di empatia – e di questo ne abbiamo prova nell’episodio
nonricordoquale, quello dove non sa come reagire davanti alla crisi
di panico della patata giappone-- ehm, Yuuri.
Ma
sto sproloquiando, quindi vi abbandono.
Ah
sì, ovviamente nel mulino che vorrei Chris e Viktor sono gay e
siccome sti due sono la mia OTP non potevo non inserirli. Perché,
andiamo, Chris conosce Viktor come le sue tasche – vedo Chris come
una persona particolarmente empatica e sensibile (l’opposto di Vik
LOL) e io ce lo vedo a preoccuparsi e a interpretare il ruolo di
figura genitoriale per Viktor. Non lo so, è che Chris è un patato
d’amore e Viktor è tanto solo e boh, penso che Chrissu sia una
delle poche (due) persone di cui Viktor si fidi abbastanza. Dico
abbastanza perché per me Vik è tipo “Fiducia? cos’è, si
mangia?”
E
STO SPROLOQUIANDO ANCORA, PERDONO---
Dicevo:
se volete lasciare un commentino fate pure, io sinceramente non mi
aspetto recensioni perché mi fa cagare sta robetta, ma ok-
Bacini
a tutti, siete preziosi!
La
Tigre Blanche |