Absolute Beginners

di Clockwise
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2.
 
 
I hear the violoncello, (’tis the young man’s heart’s complaint) 
 
 
La primavera esplodeva in pieno fiore quando Adriano si rannicchiò intorno al suo cuore e tremò. Faceva male – terribilmente – aver perso l’orientamento, la strada per andare avanti.
È difficile dire quando fosse iniziata, puntare l’ago nell’esatto momento sulla tela del loro tempo insieme in cui Adriano aveva sentito l’aria fuggire dai polmoni per la prima volta – un pugno nello stomaco. Forse era stato in un lunedì di sole, dopo una lunga domenica solitaria – forse un venerdì sera, mentre si preparava a vedere Bianca e tutti i loro amici. Un’occasione, particolarmente violenta, è incisa nella sua mente. Bianca era seduta in cucina, lì di fronte a lui, ciuffi di capelli bagnati incollati alle tempie – non se ne curava, chiacchierando della rimpatriata del liceo da cui era appena tornata. Scuoteva la testa, gesticolava con le mani, raccontava le sue vicende con il corpo intero. Era ammaliante da guardare, eppure così doloroso – soffocante – Adriano sentì l’aria sfuggire dai suoi polmoni, la stanza schiacciarglisi intorno, il sangue urlare nelle sue orecchie. In quel momento, Adriano realizza quanto di lei ancora non sa – qual era il suo piatto preferito da bambina? la sua più grande paura di allora – e di adesso? ci sono mai state parole che hanno cambiato il corso della sua vita? cosa sognava senza raccontare a nessuno? sognava mai di lui? – e qui realizza che anche se chiedesse ed ottenesse delle risposte sincere, non riuscirà mai a capire veramente cosa lei provi – per quanto vicino possa arrivare a lei, non riuscirà mai, mai a capirla fino in fondo, nella sua interezza – mai nessuno. Poteva vedere le sue guance arrossate e gli occhi lucidi quando la baciava, poteva percepire la sua pelle rabbrividire sotto i suoi polpastrelli, i suoi muscoli fremere e tremare – reazioni chimiche, elettriche – ma lei, sotto la pelle, i muscoli, le ossa, cosa provava? Non l’avrebbe saputo mai. E allora lo colpì – mentre lei continuava a parlare e sorridere ed agitare le mani e scuotere la testa, gli occhi lontani, la mente vagante.
Le giornate, fuori, diventavano più lunghe e più calde, l’aria nel suo petto mancava sempre più spesso, i suoi disegni diventavano più scuri e più cupi. Selvagge, crude sferzate in vari toni di nero riempivano le bianche pagine, mostrando un profilo, una mano, un paio di spalle ed un collo longilineo. Aveva cura di nascondere per bene quegli schizzi, fra i libri di testo – ma Bianca non ebbe bisogno di vederli per insospettirsi comunque.
«Va tutto bene?»
«Ci sei?»
«Adriano? Adri?»
«Mi rispondi, per favore?»
Quel che è peggio, il suo cercarlo gli causava noia – e una sorta di repulsione. I suoi messaggi lo facevano sbuffare, spingendo via il telefono – non voleva pensare a lei e temere di soffocare, impotente, solo. Poi si sentiva in colpa, amaro, rancoroso – per nessuna, nessuna ragione! E questo lo rendeva soltanto più irrequieto, nervoso, la testa un vortice di pensieri sbatacchianti, un pipistrello in un armadio – nessuna via d’uscita, nessuna liberazione!
Quando le disse che sarebbe stato meglio smettere di vedersi, provò sollievo – orribile sollievo che gli riempì i polmoni come aria fresca. Si voltò e si allontanò con la mente vuota, il petto leggero. Sanguinava, ma non si guardò indietro.



 




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