Capitolo
trentacinque
Piano
Gudir
era esattamente come la ricordava dall'ultima e unica volta che aveva
avuto l'occasione di visitarla. In tutti quegli anni sembrava non
essere cambiato nulla, eccetto le persone che incontravano per le
strade, talmente tante che sarebbe stato impossibile rammentarle
tutte e ricordarle dopo anni. Ciò che era certo era che lei
non
sarebbe mai riuscita a dimenticare l'ultima e unica visita fatta
alla città, sebbene con gli anni i ricordi si fossero come
annebbiati. Allora, poi, aveva avuto ben altri pensieri nella testa e
faccende più serie di cui occuparsi che guardare la
comunità in sé
e studiare le persone che la abitavano.
Nonostante
tutto il tempo trascorso, però, la città non era
minimamente
cambiata e poteva ancora riconoscere le vie percorse e le case
osservate anni addietro.
Le
strade erano talmente affollate di persone e bancarelle dei mercati
che i tre facevano fatica a passare e farsi largo tra esse. In quella
città i tetti delle case erano leggermente meno a punta dei
villaggi
del nord di Midgardr: l'inverno rimaneva lungo e rigido in ogni
angolo del regno, ma a Gudir e negli altri villaggi del sud esso era
temperato per la presenza del mare.
«Casa
dolce casa» Silye udì Ashild, che stava camminando
accanto a lei,
mormorare con un tono di voce da cui traboccava puro disprezzo.
Non
poteva trattenersi dal desiderare di sapere cosa fosse accaduto alla
giovane guerriera: cosa l'aveva portata a scappare e come aveva fatto
a diventare tanto abile con la spada? Le aristocratiche, soprattutto
se queste erano delle principesse, non solevano dedicarsi
all'apprendimento delle arti della guerra, ma a tutt'altri tipi di
insegnamenti.
Si
soffermò ad osservare la ragazza di profilo. Il volto era
leggermente accigliato e ogni sua parte del corpo, dal modo in cui
camminava a quello in cui si guardava intorno, con una mano infilata
sotto il mantello a toccare il pomello della spada, trasudava
sicurezza e fermezza. Si ritrovò ad invidiarla: avrebbe
tanto voluto
avere la sua stessa risolutezza anche nei momenti di maggiore
difficoltà e pericolo, ma, per quanto si sforzasse, non
riusciva mai
a reprimere le sue emozioni, che fossero di odio, paura o amore.
Ashild mostrava una disinvoltura e al tempo stesso un distacco da
ciò
che le accadeva intorno che lei non sarebbe mai riuscita a
raggiungere, sebbene la stessa guerriera talvolta si lasciasse
sfuggire momenti di fragilità, come era accaduto la sera
prima.
«Entriamo
in questa locanda» disse loro piano, facendoli fermare e
facendo un
cenno con la testa in direzione di una piccola via che si diramava
dalla strada principale, dove si poteva vedere l'insegna dell'osteria
posta lateralmente.
«Non
sarà pericoloso? Dopo quello che abbiamo passato a Trúar
non mi sembra una buona idea rimettere piede in una locanda...»
avanzò Silye, ma Ashild era ferma nelle proprie idee e certa
di ciò
che faceva.
«Di
questo non dovete preoccuparvi. Conosco questo posto come le mie
tasche. L'oste è un uomo di fiducia... Qui potremo parlare
con piena
libertà.»
Li
superò e fece loro strada fino alla taverna, il cui nome
sull'insegna era tanto sbiadito da non essere più leggibile.
«Salve,
Edwin» disse, subito dopo essere entrata, rivolta all'oste.
Quello
sollevò subito il capo non appena si accorse dei nuovi
avventori.
Era
un uomo sulla quarantina, con il capo rasato, una lunga e riccioluta
barba ramata e occhi piccoli, ma svegli. Il suo volto si
colorò di
stupore e la sua bocca accennò un sorriso quando si accorse
che la
nuova arrivata era Ashild. Però, non disse nulla,
limitandosi a
rivolgerle un cenno con la testa calva.
«Rimaniamo
per poco.» Edwin indicò loro uno dei tavoli
liberi, dove si
andarono a sedere. «Portaci qualcosa da bere. Tre
birre» aggiunse
Ashild.
L'uomo
si affrettò ad accontentare il suo ordine, mentre la
guerriera
tirava fuori da una piccola scarsella, l'unico oggetto che si era
portata dietro e che, però, poteva contenere ben pochi
averi, una
mappa sgualcita, ma sempre in condizioni migliori di quella che Vidar
possedeva di Midgardr.
«Questa
è la pianta del castello. Conosco i turni delle guardie
poste
all'entrata nord e di quelle che si trovano nella sala reale, dove il
Konungr passa gran parte della giornata con i suoi funzionari ad
occuparsi di affari statali e altre idiozie simili.»
«Non
credo sia corretto chiamare idiozie argomenti e mansioni importanti
quanto quelle che sono nelle mani di un re»
puntualizzò Vidar,
facendo una smorfia di disappunto.
Edwin
raggiunse il loro tavolo con tre boccali pieni. Ashild attese che
l'oste se ne fosse andato per ribattere a Vidar: «Senti, dio,
da voi
sarà anche diverso da come è qua, ma lascia che
ti spieghi una
cosa: qui non c'è giustizia. Il re fa passare per tale gli
ordini
che impartisce ogni giorno e le leggi a cui lui si aggrappa
così
disperatamente, ma questa non
è giustizia.
Siamo dilaniati dall'odio, dalla corruzione e dal sangue che ogni
giorno scorre su queste terre, ad ogni singola condanna a morte ed
esecuzione.»
Silye
abbassò il viso sulle mani giunte in grembo, ignorando
completamente
il bicchiere di birra davanti a lei. Non credeva che la situazione a
Midgardr fosse tanto critica, vivendo tanto lontano dal sud, dove
solitamente si svolgevano il maggior numero di pene capitali ed
uccisioni, descritto come un covo di intrighi, criminali ed omicidi.
Lei aveva sempre operato nella tranquillità dei villaggi che
attorniavano la foresta, del tutto tirata fuori da ciò che
nel
frattempo tutti i giorni si svolgeva a poca distanza da lei.
«Certe
volte voi umani mi fate proprio ridere» affermò il
dio, accennando
un sorriso di scherno. «Siete tanto attaccati alla vita e
alla
vostra sopravvivenza da arrivare ad uccidervi l'un l'altro pur di
guadagnare qualche anno in più di vita, come se alla fine la
morte
non dovesse arrivare per tutti voi.»
Silye
deglutì quando Vidar fece accenno all'uccidersi
l'un l'altro,
poiché le tornò in mente il momento preciso in
cui aveva
assassinato il cacciatore di taglie. Avrebbe dovuto smettere di
ripensarci e farsene una colpa, ma non riusciva a fare altrettanto;
il rimorso continuava ad attanagliarla.
«Questo
perché semplicemente non sai cosa vuol dire combattere per
la
propria sopravvivenza. Tu sei immortale, perché mai dovresti
preoccuparti della morte?» ironizzò Ashild, per
poi sembrare
riflettere seriamente sulla sua affermazione. «Quindi,
intendevi
dire che non hai mai ucciso un tuo simile? Un altro dio?»
Vidar
parve sbiancare all'improvviso, colto sul vivo, mentre si affrettava
a ribattere: «Non intendevo questo. Io... sì, ho
ucciso un mio
simile, ma non per la mia sopravvivenza. A dire il vero, è
stato
l'esatto opposto: quello è stato l'unico momento della mia
vita in
cui io abbia desiderato di morire.»
Silye
aggrottò la fronte quando lo sentì pronunciare
quelle parole. Non
sarebbe mai neanche riuscita ad immaginarsi un Vidar desideroso di
togliersi la vita. Cosa
sarà accaduto di tanto grave con questo dio da fargli
preferire la
morte?
«A
quanto pare, anche gli dei a loro modo sono... beh, umani»
commentò
Ashild, prima di liquidare la faccenda conuna scrollata di spalle.
«Ad ogni modo, non mi interessano affatto i tuoi affari e la
tua
vita privata. Sono una donna d'onore e non verrò meno alla
mia parte
dell'accordo. Vi aiuterò ad entrare nel castello e, una
volta lì,
le nostre strade si separeranno per sempre.»
«Questo
era sottinteso nell'accordo» affermò Silye,
intervenendo per la
prima volta nella discussione. «Ora pensiamo al modo
più efficace
per entrare nel palazzo senza farci scoprire.»
Ashild
la guardò e annuì, per poi rivolgere di nuovo lo
sguardo sulla
mappa. Iniziò a dire qualcosa e la sua mano passò
sopra il foglio,
ma tutto ad un tratto quella cominciò ad apparire sfocata
alla
ladra.
Silye
si portò una mano alla tempia, conscia di ciò che
stava per
avvenire. L'immagine della locanda e del tavolo lasciò il
posto ad
una ancora più confusa. I colori si mescolavano tra loro
senza un
ordine, fin quando non andarono a formare una scena precisa. Vedeva
una ragazza, ma solo da lontano; ella si trovava su un'impalcatura,
su cui si trovava un palo, che ne sorreggeva uno orizzontale, da cui
pendeva una corda. Era un patibolo e degli uomini erano impegnati a
stringere la fune intorno al collo della giovane.
Quello
che più la sconvolse non fu l'orrore provocato nel vedere
quello
strumento della morte accingersi a privare quella ragazza della sua
vita, ma il fatto che quella che stava per essere impiccata era
proprio lei. Quei capelli rosso fuoco e l'espressione imperscrutabile
e determinata che la giovane aveva in viso erano inconfondibili.
La
ragazza che stava per essere impiccata era senza ombra di dubbio
Silye.
Proprio
mentre l'uomo aveva appena finito di stringerle al collo la corda e
faceva per andare a tirare la leva che avrebbe aperto la botola sotto
i piedi della giovane, decretandone la morte, Silye si accorse che
quella era ferita al braccio e gocce di sangue colavano dal suo arto,
finendo a terra. Quindi, il suo campo visivo venne interamente
occupato dalla discesa delle stille al legno del patibolo, come
fossero state ingrandite e rallentate, per poi vedere il pavimento
duro variare in neve, su cui queste si posarono macchiando quel
bianco candido.
Sangue
sarà versato le
disse quello che le parve essere un coro indecifrabile di voci.
L'immagine
sembrò quindi sfumare, facendola tornare con i piedi per
terra,
nella locanda insieme a Vidar e Ashild, che avevano entrambi le teste
abbassate sulla cartina, troppo occupati a parlare sottovoce per
accorgersi di ciò che aveva appena visto.
Silye
si portò entrambe le mani alla fronte, per tentare di
affievolire il
terribile mal di testa che quella visione le aveva lasciato.
«Tutto
bene?» domandò Vidar, facendole alzare lo sguardo.
Il dio doveva
essersi accorto di quel suo repentino movimento; sembrava leggermente
allarmato.
«Naturalmente»
mentì Silye. Chi
potrebbe sentirsi bene dopo aver visto la propria morte? si
domandò, realizzando solo in quel momento che le sue mani
sudavano e
tremavano. Cercò di nasconderlo agli occhi indagatori di
Vidar
portandole sotto il tavolo.
Quella
risposta, però, almeno apparentemente, sembrò
dissipare i suoi
dubbi, sebbene, dall'occhiata eloquente che le rivolse, la ladra
capì
che il sospetto persisteva in lui.
«Scusate,
mi sono distratta. Di cosa avete parlato?» chiese, per
sottrarsi
allo sguardo guardingo del dio.
«Non
ho idea del perché tu ti sia distratta, ma ti
farò comunque un
piccolo riassunto di ciò che ho detto. Stavolta,
però, vedi di
stare attenta, perché non ho intenzione di ripeterlo
ancora» iniziò
Ashild. «Il castello è circondato da delle mura,
che avrete
sicuramente notato una volta arrivati a Gudir, perché si
trova più
in alto rispetto al resto della città, su una collina,
perché sia
meglio difendibile durante un eventuale attacco. In tutto vi sono
quattro torrette, da cui le sentinelle osservano e identificano
chiunque provi ad avvicinarsi alle mura, e vi è un'unica
entrata,
controllata costantemente dalle guardie, notte e giorno. Potremmo
tentare di travestirci e fingerci dei normali servi che lavorano al
castello, ma non riusciremmo ad entrare perché i Liði
ci riconoscerebbero in meno di qualche secondo. Sono addestrati per
questo, soprattutto i soldati posti a guardia della porta d'entrata.»
«E
allora come faremo a fare irruzione?» domandò
Vidar. Probabilmente
fino ad allora avevano preso in considerazione solo quella opzione.
«Beh,
noi abbiamo dalla nostra qualcosa su cui loro non potranno mai
contare...»
«Ovvero?»
intervenne Silye.
«Un
dio» affermò la guerriera, rivolgendo a Vidar
un'occhiata
soddisfatta.
La
ladra dovette trattenere una risata. «Ah, sì? Beh,
finora la sua
presenza non mi è stata molto di aiuto per la mia
sopravvivenza.»
«Ti
ho salvata più volte di quanto tu riesca ad ammettere. È
solo che finora ci siamo imbattuti in avversari non facili da
battere; i cacciatori di taglie dell'altro giorno sono un'eccezione»
ribatté l'altro, senza riuscire a mascherare un sorriso
quando Silye
levò gli occhi al cielo dopo la sua affermazione. Poi si
rivolse ad
Ashild: «Cosa intendi dire?»
«Insomma,
non è cosa da tutti i giorni avere come alleato un dio, per
di più
il figlio di Odino... Entreremo alla vecchia maniera, stanotte
stessa.»
«Alla
vecchia maniera?»
domandò Silye.
«Ci
infiltreremo nel castello, stordendo le guardie, e da lì vi
guiderò
fino alla camera di mio padre. Una volta superate le mura che
circondano il castello, allora entrare sarà un gioco da
ragazzi: lo
faremo passando per una porta che usavo sempre da bambina. So
dov'è
nascosta la chiave.»
«Hai
pensato al fatto che è un piano davvero rischioso? Se
qualcosa
dovesse andare storto, anche il minimo particolare, i Liði
potrebbero chiamare rinforzi e allora non vi è certezza che
riusciremo a uscirne vivi.»
«Mi
stupisco di te, Silye. Una ladra che teme di entrare nelle case degli
altri. Dovresti essere un'esperta in questo campo» disse
Vidar.
«Io
non mi sono mai introdotta nelle abitazioni altrui per derubarle.
Quello lo faceva... mio padre» disse, deglutendo prima di
pronunciare quelle due ultime parole.
«Un
po' di attenzione, per piacere» li richiamò
Ashild. «Vorrei
ricordarvi che sono riuscita a fuggire da quel posto; se vi dico che
possiamo farcela ad introdurci all'interno in questo modo, dovete
credermi.»
«Già,
ma, se crederti equivale a farci uccidere, allora preferisco
evitare»
ribatté il dio.
«Non
abbiamo altra scelta» affermò Silye. «Tu
potrai anche essere un
esperto del tuo mondo magico, ma qui, soprattutto in questa
città,
quella che ne sa di più è Ashild.»
L'altra
annuì. «E poi a te cosa importa, dio? Siamo noi
che dovremmo
preoccuparci. Tu sei immortale.»
«Sì,
ma non sono invincibile, né invulnerabile. Vi è
meno probabilità
che le armi umane possano ferirmi o uccidermi, ma, se anche non mi
portano alla morte, mi indeboliscono.»
«Insomma,
alla fin fine sei più simile a noi comuni mortali di quanto
ti
piacerebbe ammettere.»
Il
dio sbuffò e Ashild si lasciò sfuggire un
risolino.
«Direi
che abbiamo detto tutto. Preparatevi perché tra pochi minuti
si
comincia» disse quella, ghignando e alzandosi.
Raccolse
le sue cose, lasciò dei soldi sul tavolo e si
avviò alla porta
insieme a loro. Prima di uscire, Silye si girò un'ultima
volta per
aspettare Ashild, che era rimasta indietro rispetto a loro. La vide
accanto ad Edwin a dirgli qualcosa, probabilmente per salutarlo.
Ciò
che captò dalla loro breve conversazione, però,
la lasciò
interdetta.
«Giungerà
l'ora in cui Crimilde reclamerà la sua vendetta.»
Angolo autrice:
Ed eccomi tornata, dopo una
settimana e passa di pausa.^^
I nostri sono pronti per
entrare nel castello del Konungr: secondo voi avranno fortuna o la
sfiga non li abbandonerà anche stavolta?XD
Che ne pensate dell'ultima
frase pronunciata da Ashild? Cosa potrebbe stare ad indicare?
Spero anche questo capitolo vi
sia piaciuto e non vedo l'ora di leggere le vostre impressioni e
opinioni. A presto!
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