Carestia, portami gioia

di RLandH
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Carestia, portami gioia
 


Atto I



 – Non canto né fui cantore –


 p 
 
Capitolo terzo: Ed ora, ebbro, torno senza di te.
 
 
Shiori, quello era il nome con cui si presentava, si era accomodata allo stesso tavolino che occupava ogni qualvolta passava per quel bar della ventesima. Per una certa questione logistica, ovvero vivere in un’altra circoscrizione, era costretta ad andarci molto meno di quanto in verità volesse.
Però era contenta quando riusciva a passare di lì. In fin dei conti aveva il miglior caffè della città.
Non si era neanche preoccupata di allungare una mano verso il menù per scegliere quale miscela di caffè voleva che il cameriere le aveva servito, a tradimento, un bicchierino. Era colmo di quello che a primo acchito sarebbe potuta passare per acqua se non per l’odore, era forte ma anche incredibilmente allettante.
Sapeva esattamente cosa era.
Bile fermentata.
Aveva alzato il capo, non nascondendo sul viso una certa confusione, incontrando il sorriso amichevole di un giovane uomo, dai selvaggi capelli castani ed un naso a patata. "Un uccellino mi ha detto che qualche giorno fa è stato il tuo compleanno", aveva spiegato il cameriere, dandole una portentosa pacca sulla spalla.
Lei aveva annuito, arrossendo appena sulle gote. “Grazie,  signor Koma”, aveva cinguettato.
"Guarda che non ha ancora l'età per bere", era venuta a tuonare imperiosa l’altra donna, aveva appena lasciato ad una coppietta delle fette di torta.
"Diciassette giusto?", aveva chiesto poi in maniera più gentile. Lei aveva annuito con un certo orgoglio, non c'era davvero un vanto, ma si sentiva comunque importante. Alla fine per un ghoul anche diciassette anni potevano essere un vero traguardo. “Come sei diventata grande”, aveva commentato la cameriera sporgendosi per darle un abbraccio caloroso. “Grazie, signorina Irimi”, aveva risposto lei.
Shiori li aveva conosciuti entrambi prima che i due cominciassero a svolgere quel diligente lavoro e finissero sotto le ali protettive del direttore del caffè.
Assieme ai suoi amici aveva sempre avuto un’indole errabonda ed erano tante le volte che erano sconfinati nella ventesima.
In verità non dovevano aver suscitato alcun timore se alla fine se n’erano andati con le loro gambe ed una certa strigliata di capo da parte di sua madre.
Irimi le aveva lisciato il crine della parrucca fiammeggiante in maniera amichevole. "Per questa volta chiudiamo un occhio", aveva aggiunto, facendole l'occhiolino. "Ti porto anche del caffè, va bene?", aveva  aggiunto oltre, ottenendo un secco cenno d'assenso da lei. “Sono venuta qui per questo”, aveva esposto lei.
Koma era rimasto a farle compagnia non molto interessato evidentemente a svolgere il suo lavoro; Shiori aveva allungato una mano prendendo il bicchierino, ci aveva appena poggiato le labbra per sentire il sapore forte e dolciastro.
Ne aveva saggiato un po', quando aveva scorto anche il direttore del locale avvicinarsi. Le piaceva il signor Yoshimura, era una persona così karmica e così a modo. "Spero che Kuchi non lo scopra", aveva enunciato, in un tono amichevole, passando una mano sulla spalla di Koma. "La signora può essere spaventosa" aveva squittito quello.
Parlavano della madre di Shiori, lei ed il signor Yoshimura si conoscevano da molto tempo. O almeno così le era stato raccontato da sua madre.
Shiori però non credeva di poter dire se i due lo fossero o almeno lo fossero stati; vedeva che vi era un rispetto profondo ed un’intessuta fiducia tra loro. Una volta sua madre le aveva raccontato di conoscere i segreti di Kuzen come lui conosceva i suoi. Shiori aveva preso atto di quella consapevolezza con un certo disinteresse, conseguenza della sua immaturità, fermandosi poi solo in seguito a riflettere quali segreti avesse sua madre.
"Diciassette anni ...", aveva assaporato Kuzen Yoshimura quel numero come se fosse qualcosa di più di un semplice dato anagrafico o una parola. Gli occhi buoni erano tinti di una certa opaca foschia e sebbene fossero rivolti verso di lei, non la stavano guardando affatto.
Uno dei segreti che sua madre gli aveva rivelato era che il Signor Yoshimura aveva avuto un figlio, unico nel suo genere – che negli ultimi tempi aveva dato da parlare di sé – la cui  età era pericolosamente vicina a quella di Shiori.
Non serviva possedere una spiccata intelligenza o una certa empatia per comprendere che il ghoul in quel momento doveva star pensando al suo bambino.  
"Lo sai che la mamma ha accettato di farmi andare in vacanza?", aveva soffiato tutta pimpante Shiori, sembrava follia il solo pensarci, non poteva andare su nessuna isola, ma Kaido si era già attrezzato per andarsene alla terme. "Un atto di grande coraggio, conoscendo Kuchi" aveva commentato con voce amichevole l'uomo. “Certo non posso stare via più di tre giorni e non posso lasciare la prefettura. Praticamente è una scampagnata”, aveva raccontato Shiori. Lo sapeva che le preoccupazione di sua madre erano legittime. Per un ghoul la vita non era facile, per quelle come loro lo era anche di meno. Onestamente Shiori non aveva mai compreso a pieno cosa avesse fatto sua madre per essersi ritrovata per l’eternità qualcosa di ben più pericolo delle colombe ad inseguirla.
Il signor Yoshimura aveva intrapreso una filippica, nonostante i toni gentili tale era, sull’attenzione che avrebbe dovuto avere.
Lei aveva annuito in maniera non molto partecipe, mentre infilava una mano nella sua borsa per cercare il libro che aveva messo lì. Ne aveva ricevuti due per il compleanno.
Quello che aveva in quel momento era stato un regalo di Urameshi, arrivato solamente in seguito all'altro che aveva ricevuto.
Voleva bene ad Urameshi, non riusciva più a provare quel sentimento di calore nel petto che aveva provato quando era più bambina. Quando si erano baciati la prima volta dietro il vicolo della stazione del treni della dodicesima circoscrizione, però  provava affetto, ne provava tanto. Lui era una delle persone più importanti della sua vita.
Avrebbe tanto voluto che lui provasse le sue stesse emozioni,  Urameshi sembrava rimasto indietro e la cosa sembrava rendere ogni loro contatto difficile.
Così come il libro che le aveva regalato. Non che lo avesse fatto per farle arrivare un qualche criptico messaggio, Urameshi non era così.
Urameshi era una persona spontanea, con una lingua affilata e velenosa che non aveva remore nel dirti ciò che pensava e provava nel bene e nel male.
Era l’altro le sue labbra erano sigillate ed i cui i gesti erano enigmi.
Forse aveva smesso di tenere in quel modo ad Urameshi perché si era innamorata di qualcun altro.
Anche lui le aveva regalato un libro,
"Lei e mia madre siete persone sagge”, aveva ripreso a parlare Shiori, mentre passava le dita sul libro. Non aveva ascoltato metà delle parole dell’uomo.
Yoshimura aveva allungato l'occhio osservando il libro. "Il Divoratore?" aveva domandato con una certa curiosità, leggendo il titolo del libro.
Shiori amava in maniera piuttosto energica la lettura ed adorava raccontare storie, così non aveva potuto imbrigliare la lingua quando s'era ritrovata a raccontare le vicende del libro. “È di un’autrice che ha fatto successo negli ultimi anni”.
Le piaceva soprattutto il particolare che in quel romanzo che la voce narrante non coincidesse con il protagonista, anzi non avrebbero potuto essere più diversi, nelle azioni che compiva e nel modo che avevano di viverle. In un certo senso erano speculari.  "L'eroe, se vogliamo chiamarlo così,  è triste e malinconico. Per vivere è costretto a rubare la vita degli altri”. Aveva  raccontato sognante: "Non vuole più vivere, ma è incapace di morire", aveva aggiunto. "Però la sua nemesi, credo sia questo, non lo so, non sono ancora giunta a metà è questa creatura mostruosa che si nutre del dolore e della disperazione.  Però lo fa con un certo gusto, sebbene anche lei sembra permeata di questa tristezza. Soprattutto però vi è una rabbia senza fine che la sta divorando. La narratrice, lo ammetto, certe volte mi spaventa, ma adoro come racconti ed interpreti lui. A volte sembra lo ami ed altre lo odi. E non si sono ancora incontrati!”, aveva vuotato il sacco.
Il signor Yoshimura sembrava incuriosito da quelle vicende. “Anche lui la cerca. Non smania come lei, ma lo percepisce che è il destino a condurli nello stesso luogo. Onestamente lui mi piace di più. Lo trovo umano”, aveva spiegato lei.
"Nell'ultimo capitolo che ho letto erano sul punto di incontrarsi. Non vedo l'ora. Però mi fa ridere che nonostante sia lei la più accanita nelle ricerche, probabilmente lui la troverà prima”, aveva ghignato felice. Si rendeva conto di non aver spiegato per nulla bene la trama, ma non era neanche sicura lei di averla compresa. Fino a quel momento sembrava la vita di una creatura sola, raccontata da un altro mostro che sembrava l’unico a comprenderlo.
"Hai un'anima romantica", le aveva detto Irimi, arrivata a portarle il caffè. “Oh è arrossita”, l’aveva un po’ presa in giro Koma.
"No, cioè si penso sarebbero una gran coppia. Sono praticamente speculari, ma insomma credo che il loro incontro finirà per creare qualcosa di sorprendentemente raccapricciante”, aveva detto con un leggero impaccio Shiori, prima di ridacchiare di quelle battute.
"Raccapricciante?”, aveva chiesto Yoshimura.
"C'è tanta rabbia, rancore e tristezza in tutti e due. In realtà è qualcosa che permane in tutta la narrazione" aveva aggiunto.
"Ho fatto un po' di ricerche, questo è il terzo libro di quest’autrice; nei blog che ho letto in giro per quanto venga lodata per la sua genialità e lo spettro emozionale dei suoi caratteri, pare un tratto distintivo la rabbia e l'angoscia che vivono dentro le sue pagine”, aveva detto Shiori. "Che vita triste devi aver Sen Takatsuki" aveva terminato.
Anni dopo il ghoul di cui era innamorato Shiori a diciassette anni, avrebbe detto a Mei che era stato Urameshi a regalare il libro migliore.
 

Il viso di Touka non era una maschera ben riuscita, era palese quanto cercasse di mantenere un atteggiamento caldo e posato, ma dietro le iridi azzurre ribollisse un certo fervore.
Mei, dal canto suo, non si sentiva di volerla biasimare, (no virgola)   neanche un po’. Se non era ancora esplosa urlando ingiurie contro di loro, era unicamente dovuto al fatto che l’espressione disperata che permeava sul viso di Moryumaru aveva la capacità di avvilire ogni animo, anche il più focoso, e chetare qualsiasi imperativo di rimprovero.
"Quando ci hai chiesto una mano non credevo mica che fossi una fottuta piromane, Lisca di merda", il commento di Nishiki era stato immensamente gradito, nonostante i suoi vocaboli maleducati, poiché aveva rotto quel silenzio pesante che si era annidato nel :Re. Lei aveva annuito. "Grazie",  aveva risposto Mei, guardando ossessivamente la punta dei suoi anfibi. "Dare fuoco ad un edificio nella prima circoscrizione", aveva ringhiato Touka alla fine, ma dopo quella aveva preso un bel respiro ed aveva disteso il viso, non era minimamente rilassata, ma stava fingendo meglio di prima.
"Ho avuto paura che potessero risalire in qualche modo a Moryumaru", aveva spiegato solamente Mei, facendo una carezza sulla schiena del ragazzo che era al suo fianco. Quello non li aveva degnati di un minimo d’attenzione.
Era immobile, con gli occhi eterocromi virei, come se non fosse lì e che nulla di ciò che gli era intorno lo toccasse. Al petto stringeva il borsone.  
Touka lo aveva guardato, erano circa della stessa altezza. Aveva allungato una mano ed aveva accarezzato i capelli biondi di Moryumaru, "Tesoro, perchè non vieni a prenderti un caffè?",  il suo tono era calmo e materno. Aveva fatto scendere la mano Touka, sfiorando le spalli sottili del ragazzo, prima di guidarlo verso il bancone e Moryumaru l'aveva seguita senza fare un solo suono.
Mei aveva guardato Nishiki ed il signor Yomo.  "Grazie, grazie davvero", aveva detto lei, passandosi le mani tra i capelli.  aveva tolto la parrucca ed aveva potuto sentire la consistenza spaghettosa della sua chioma. "Ci prenderemo cura di lui", l'aveva rassicurata il signor Yomo. Era un bell'uomo, irradiava tranquillità, non le aveva neanche sorriso ma sembrava così gentile, da farle venire voglia di piangere. Lei ed il signor Yomo non dovevano essere molto distanti d'età, eppure l'uomo sembrava staccarla incredibilmente in quanto  maturità.
Nishiki aveva sogghignato un po'."Alla fine il :Re esiste per questo", aveva aggiunto;  "Nonostante l'arredamento faccia schifo",  aveva piegato le labbra in maniera sorniona.
"Avresti potuto aiutarci, invece di fare The Punisher , Nishiki di merda", aveva sentenziato Touka mentre serviva il caffè a Moryumaru.   "Adesso porta tutto in mansarda invece di sparare cazzate",  aveva impartito ferma.
Erano una strana combo quei due, aveva pensato Mei, da che li aveva conosciuti due anni scarsi prima aveva sempre pensato potessero essere una bella coppia.
Sapeva che il :Re era risorto dalle ceneri dell'Anteiku. Un posto che Mei ricordava con estrema nostalgia, quando era un’adolescente e usava andarci. Negli ultimi anni, prima della sua distruzione, vo aveva infilato il naso solo qualche volta. Però le mancava il signor Yoshimura, per tanto tempo era stato l’unico legame che le era rimasto con sua madre.
Il :Re invece era un luogo che frequentava con una certa cadenza, come Shukumei, come Lisca o come qualche altra identità. Molto più di quanto avesse mai fatto con l’Anteiku.
Le piaceva , era un posto dove sentirsi a casa, sicuri e Touka non faceva mai domande scomode né pretendeva nulla.

Nishiki aveva recuperato le cose che avevano portato lì lei e Moryumaru e si era applicato per sistemarle ai piani superiori, dove Touka aveva alcune stanze. Era noto all'intero sotto bosco ghoul che lì vi era un rifugio per ogni Ghoul che ne avesse avuto bisogno, senza guardare l’appartenenza o le azioni. 
Moryumaru aveva continuato imperituro a non emettere fiato, così come aveva proseguito a fissare il vuoto, senza curarsi di nulla intorno a lui, neanche del caffè caldo di Touka.
Era rimasto solo al mondo a quindici anni. Poi aveva trovato Kaido. E ora era di nuovo solo.
Quando Nishiki era tornato per prendere il borsone che Moryumaru aveva posato ai piedi della sedia, finalmente il ragazzino ghoul aveva mostrato un po’ di reticenza. Una molle battaglia che era proseguita il tempo perché Nishiki si accorgesse che ve n’era una. Aveva lasciato il borsone, Moryumaru lo aveva fatto cadere a terra e poi aveva cominciato a singhiozzare. "Sarai al sicuro", lo aveva rassicurato Touka, prendendogli le mani e carezzandole. Mei aveva attraversato svelta il locale e lo aveva soffocato in un abbraccio, promettendoli ancora che si sarebbe presa cura di lui, che sarebbe andato tutto bene.
Gli aveva baciato la nuca, tra i capelli ed aveva resistito dall'impulso di piangere.
"Lui è morto ed io non ho potuto fare niente", aveva singhiozzato Moryumaru, mentre le dita tremolavano, facendo sbordare il caffè. Touka non aveva detto nulla, poi aveva allungato le mani per metterle sopra quelle di Moryumaru ; "Andrà meglio," aveva detto, nessuna rassicurazione o altro.
"Sembra difficile, sembra impossibile", aveva ripreso Touka con sicurezza, continuando a tenere le mani del ragazzo. "Ma andrà meglio", lo aveva rassicurato.
Moryumaru aveva guardato il nero del caffè, prima di sollevare lo sguardo verso la ragazza ed aveva abbozzato un sorriso, tra le lacrime.
Poi si era voltato verso di Mei, "Per quanto tempo resterò qui?", aveva chiesto. "Finchè non ti sistemi", aveva risposto lei, poi si era presa una pausa non voleva che Moryumaru pensasse lo volesse abbandonare; "Potresti aiutare Touka", aveva enunciato lei poi.
La risata di Moryumaru era stata un po' sinistra, con una certa disperazione anche. “Io? Non riesco neanche a controllare il kagune”, aveva commentato il ragazzino aspro, passandosi la mano sugli occhi, erano umidi e disperati. "Faceva tutto Kaido", aveva ammesso.
Touka gli aveva sorriso ed era stata incoraggiante. "Abbiamo insegnato ad usare il kagune ad una persona che non era nata ghoul, possiamo anche con te," lo aveva rassicurato poi, scambiandosi uno sguardo con il signor Yomo, c'era tristezza in lei.
Mei aveva di nuovo accarezzato i capelli a Moryumaru, ricordava che era un gesto che Kaido aveva fatto un milione di volte. "Quando è morta Iguza ho realizzato di essere debole, ancora una volta; ma ho anche capito che la forza non è solo quella fisica", aveva quindi esposto Mei con una certa sicurezza.    "Tu hai un talento che credo davvero che a Touka possa essere utile", aveva stabilito, voltando lo sguardo verso la ragazza del :Re.
Sia la proprietaria del bar sia Moryumaru sembravano condividere la medesima confusione.
"A lei ed ogni Ghoul che aiuterà."
Yomo le aveva fatto un caffè da portar via.
Poi l'aveva accompagnata lui a casa, per non farle prendere la metro o chiamare un taxi, non di certo per la sua sicurezza, Mei aveva molto più forza di qualsiasi malintenzionato, lo aveva fatto per una qualche gentilezza - o forse perchè l'aveva vista davvero provata.
"Perchè eravate lì?”.  Yomo la domanda non l'aveva fatta a tradimento, aleggiava nell'aria fin dal principio, ma Mei era rimasta comunque scossa quando l'aveva sentita. Aizawa aveva fremuto per chiedergli quello, ma si era trattenuto - il che era un vero miracolo, considerando come era fatto - ed anche Moryumaru aveva voluto farlo, ma poi aveva taciuto. Nonostante ciò quella domanda pesava su Mei da ore. Aveva preso a muovere freneticamente la mano destra per giocare con l'anello sull'anulare sinistro.
"Colpa mia", aveva ammesso lei.  "Come sempre, come per i miei genitori e tutti gli altri", aveva risposto continuando a fissare vacua la strisciolina d'argento che spiccava sul suo dito. "Doveva riportarmi delle informazioni, dovevamo fare delle cose. Se non avessi insistito per farle così nell'immediato", aveva rireso Mei,  "Allora forse non avremmo mai incontrato Take Hirako e la sua squadra", aveva terminato.
E Kaido sarebbe vivo.
Non era stata una coincidenza, continuava ad urlare la sua coscienza, quella sera non era stata una coincidenza. Sarei dovuta morire io.
"So cosa provi", le aveva detto il Signor Yomo, mentre stringeva le mani sul volante. I suoi occhi erano fissi sulla strada e c'era fuoco vivo che ne divampava dentro. Era noto a tutti che ai tempi in cui egli era il Corvo aveva avuto una certa animosità contro lo shinigami Bianco. Però Yomo aveva raccontato per bene una volta, per caso  preso dall’ebrezza del vino. Erano all’Helter Skelter – quando ancora Mei poteva entrare – presa dalla sbornia aveva raccontato pateticamente di come Kishou Arima aveva la persona che amava. Ed il signor Yomo aveva raccontato di sua sorella.
Di suo cognato.
Dei suoi nipoti.
Avevano parlato di tristezza, di rancore, di vendetta.
Ma la vendetta ... la vendetta non era mai stata il suo Dharma.
"No, signor Yomo. La rabbia che provo non è per nessun altro se non me stessa",aveva confidato.
"So cosa provi", aveva ripetutp  Yomo.
E Mei aveva deciso  che lei non era nessuno per giudicare i sentimenti altrui.


Aveva preso l'ascensore e quando le porte si erano aperte sul suo piano aveva potuto sentire l'odore ferroso del sangue. Non era molto forte, come se qualcuno si fosse ferito nel corridoio qualche ora prima. Poteva non significare nulla, le metteva solamente fame.
Ringraziava di aver potuto mangiare al :Re o a quel punto sarebbe stata incontrollabile.
Aveva imboccato la strada verso la sua porta ed aveva sentito l'odore farsi più intenso, ma ne aveva annusato anche un altro. Era troppo sottile e troppo soffocato  rispetto quello più  succulento del sangue.
Il suo uscio però era chiuso.
Si sarebbe dovuto essere preoccupare. Quelli vestiti in nero   erano bravi, i migliori, Clown, Aogiri, Gang, non erano niente, mera polvere, rispetto loro, rispetto il loro.
Sua madre lo diceva sempre. Si muovevano nella notte come ombre.
Però quel poco di percepibile dall’odore estraneo che sentiva era famigliare. Era casa.
Aveva aperto l'imposta ed era entrata, trovando la sua casa più illuminata di quanto Ivak l'avesse assicurata di averla lasciata; era stato l'ultimo ad andarsene quel giorno. Un paio di scarpe eleganti da uomo stavano accanto alle sue. L'odore di sangue era fortissimo, impregnava tutto l’appartamento.
Lei si era tolta le scarpe, abbandonandole in disordine all’ingresso e senza preoccuparsi di mettere le pantofole aveva imboccato per l’ingresso.
Spettrale lo aspettava lì.
"Ciao Tatara", aveva detto Mei.
Uno dei capi dell'Aogiri era seduto sul suo divano, con le gambe accavallate, che leggeva un libro. Sul tavolino basso che Mei aveva posizionato in prossimità della tv, vi era il sacchetto che odorava così deliziosamente.
"Nergui", si era sentita rispondere.
L'attimo dopo lei aveva percorso gli ultimi metri che la separavano dal ghoul, non dandogli il tempo di alzarsi e lo aveva stretto in un abbraccio al limite del asfissiante. E poi aveva pianto, in maniera infantile e copiosa, soffocando il viso e le lacrime  nella veste bianca di quest’ultimo.
Ci aveva provato a non crollare, si era trattenuto tutto il giorno dal farlo , non sapeva neanche perchè avesse ceduto proprio in quel momento, davanti quelle iridi rosse così ruggenti.
Tatara, come ogni volta, l'aveva accettata con una passività disarmante, prima di sollevare una mano per posarla sul fondo della schiena, se avesse voluto dire qualcosa poi aveva deciso di tacere. Come sempre. Mei si era stacca da lui.   "Scusa è stato stupido", aveva sussurrato, rendendosi conto di essergli praticamente seduta su di lui. "Sei tutta stupida" aveva risposto Tatara, la sua voce era sottile come una stilettata.
"Quella parola ti piace proprio", aveva detto lei, passandosi il polso sugli occhi.  C'era un po' di allegrezza nel fondo della sua voce, sotto la tristezza profonda che la stava animando.
Ricordava che quella era stata una delle prime parole in giapponese che Tatara aveva imparato - e che aveva deciso di usare spessissimo per lei - era un ricordo sbiadito, sembrava passato così tanto tempo. Era molto di meno, si rendeva conto con freddezza, ma sembravano millemila anni. "No, è che tu sei stupida" ,aveva ripetuto lui, c'era una cattiveria apparente nel suo tono, ma in realtà tradiva molto più calore di quanto allo stesso Ghoul facesse piacere far trasparire.
Era sempre stato così Tatara, uno che doveva dimostrare di non importarsene di nulla e nessuno, ferreo ed inflessibile, deciso a perseguire il suo obiettivo senza potersi concedersi il lusso di rimpiangere nulla. Però, Dei, se anche Tatara non provava sentimenti.
"Perchè sei qui?", aveva chiesto poi, quando finalmente aveva sentito gli occhi asciutti.    "Ho sentito del tuo scontro con le colombe e la morte di Dolarhyde", aveva risposto con un tono spiccio Tatara, come se di ciò non gli interessasse un minimo.
"Cosa?" aveva chiesto confusa, mentre si rendeva conto che aveva cominciato a sentire che la voglia di piangere era cominciata a scemare. "Thomas Harris? Red Dragon? Hannibal Lecter**?", aveva spiegato Tatara.    "Eppure dovresti aver studiato letteratura alla Todai", c'era parecchio sprezzo nella sua ultima affermazione.
Mei era scivolata a sedere sulla poltrona, dove giusto quella mattina Ivak l'aveva ritrovata, era ancora macchiata di sangue. "Sai ho un amico che mi ha dato una mano, il professor Huang, presente?", aveva chiesto con un certo sarcasmo. "Stupida", era stata la lapidaria risposta di Tatara, per l’ennesima volta.
E Mei aveva riso e quanto ne aveva sentito bisogno, mentre rideva alla fine era terminata per mettersi a piangere come una scema di nuovo. Tatara aveva continuato a guardarla, dalla poltrona con un’espressione piuttosto vuota. "Puoi venire ad abbracciarmi?", aveva chiesto tra i singhiozzi.
Tatara aveva sospirato, ma l'aveva accontentata, come faceva sempre. "Kaidou è morto", aveva sussurrato Mei, chiudendo il viso nell'incavo del collo dell'uomo, che si era limitato a tenerla stretto. "Lo so", aveva risposto Tatara. "Lo hanno fatto a pezzi, come Urameshi", aveva singhiozzato la donna, se aveva qualche cattiveria da condividere Tatara scelse di farlo in cinese. Pensando che lei non lo capisse e Mei continuò a farle credere quello.
Aveva imparato quella lingua per lui e non glielo aveva mai detto.
Era così triste da non riuscire neanche ad arrabbiarsi con lui. Per Urameshi.
"L'ho mangiato", quella confessione era venuta fuori senza che Mei riuscisse a trattenerla, assieme alle lacrime e la frustrazione. Non lo sapeva, ma lo aveva fatto. "Ho riconosciuto il suo odore in casa", aveva fatto notare Tatara.  "Vuoi dirmi come è successo?", aveva chiesto lui, ma Mei aveva scosso con forza il capo in diniego.
"Perchè continuo a far uccidere le persone che amo?", aveva chiesto lei all’altro ghoul.
Non aveva ricevuto nessuna risposta e questo in realtà non l'aveva stupita, era una persona che poteva sentire e comprendere quei sentimenti, Mei lo capiva bene, ma non era mai stato capace con le parole. Era cresciuto in un mondo spietato, non lo aveva neanche mai sentito piangere per suo fratello, mai, neanche una volta e per quanto Mei lo avesse tampinato Tatara non si era mai sbottonato nel parlare dei suoi sentimenti.
Non aveva fatto neanche una piega quando Mei lo aveva cacciato fuori di casa ... dalla sua vita.
Uno degli errori più stupidi mai compiuti.
"Ti ho portato qualcosa da mangiare", aveva detto evasivo Tatara, ammiccando alla busta che stava sul tavolo. "Onestamente pensavo di trovarti ferita ed agonizzante, ma quando sono arrivato c'era ancora il tuo umano". Quell'ultima frase il ghoul l'aveva detto con un certo disgusto. Mei avrebbe tanto voluto che lui non lo sapesse mai, ma aveva imparato bene quanto fosse incapace di controllare gli eventi della sua vita. A volte pensava fosse un miracolo la sua sopravvivenza fino a quel momento. "Promettimi che non lo ucciderai mai", non sapeva perchè lo aveva detto, le parole erano venute fuori come un fiume in piena.
Una volta aveva sentito sua madre dire che per le persone che si amano si è disposti a sacrificare anche i propri principi.
“Promettimelo”, aveva ripetuto.
“Nergui”, si era sentita rispondere.
Voleva dire Nessun Nome , in mongolo se non sbagliava, Tatara glielo aveva affibbiato in onore ad un membro delle Lingue di Fuoco che era morto, perché come Mei anche lui non aveva un’identità.
“Promettimelo”, aveva insistito decisa ancora.



*** Francis Dolarhyde è l'antagonista di Red Dragon della Saga di Hannibal Lecter, conosciuto anche con lo pseudonimo - a lui non molto gradito - di Fatina dei Denti, che in italiano era stato tradotto erroneamente come Dente di Fata.

 



di cuore Chemical Lady per la betatura.
(Tatara merita tanto amore ❤)




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