nivis crudelitas
Angolo
autrice
Ehiiii! *si mette una
mano dietro alla
testa e ridacchia, in pieno stile Crilin*
È
già diverso tempo che non pubblico nulla,
sono caduta in una sorta di
blocco dello scrittore che mi porta a ritenere insoddisfacente ogni
cosa che
scrivo e, di conseguenza, a cestinarla nei recessi del computer senza
nemmeno
portarla a compimento.
Questa breve one-shot
rappresenta un
tentativo di uscire da questa matassa cupa, nella speranza di
proseguire
con altre one-shot dello stesso tipo, qualora dovesse riscontrare anche
il
vostro interesse! :)
Come descritto
nell’introduzione, questa
raccolta si concentrerà sulla figura di Freezer, nella
speranza di offrirne una
visione personale e di non andare OOC.
Mi sono presa una
piccola licenza
poetica: l’aspetto fisico di Freezer è immaginato
come quello della
trasformazione finale (quella contro Goku SSJ, per intenderci),
perché la trovo
bellissima.
L’avvertimento
“Nuovo Personaggio” è stato inserito
per includere le
comparse che mi serviranno (come in questo primo capitolo) come
espedienti
narrativi per raccontare ciò che desidero, non saranno in
questo senso
personaggi veri e propri.
Il rating e gli
avvertimenti potranno
cambiare nel corso del tempo, qualora verranno aggiunti nuovi capitoli
con
caratteristiche diverse.
La soundtrack con cui
è stata scritta
questa one-shot è la traccia “Vampires of
Ice”, presente al minuto 34:08 in questa compilation
caricata su YouTube : premi qui
Spero che questo
piccolo esperimento vi
piaccia e vi invito a farmi sapere cosa ne pensate nei commenti.
Un abbraccio grande,
Nuvole
NIVIS
CRUDELITAS
~ La crudeltà
della neve
~
Candido, giaccio
disteso in una vasca di
onice, dello stesso nero tremante dello spazio svuotato, attraversato
dai soli frammenti
degli astri deflagrati.
Lo vedo ancora, vivido
dietro le mie
palpebre, come uno schiaffo che mi fa vibrare di piacere.
Muori!
Morite tutti!
Ho ascoltato quella
voce ancora una
volta.
La voce della mia
coscienza.
« Sei stato
impulsivo, Freezer, ancora
una volta. I giacimenti minerari di Kenaz potevano essere molto
redditizi. »
La voce di Re Cold,
venata di disappunto,
rimbomba ancora stridula nelle mie orecchie.
Ho
forse richiesto il suo parere, padre?
L’ira sibila
ancora, dormiente, accovacciandosi
nei recessi del mio animo contorto.
È stato
sufficiente un attimo, un attimo
di troppo, una sola goccia del veleno che scorre indomito nelle mie
vene per
perdere il controllo.
Respiro piano, le
braccia allargate sul
bordo, le gambe e il ventre ricoperti da ghiaccio triturato mescolato
agli oli
preziosi del pianeta Thurisaz. Lambito dai neon che ricoprono il
soffitto, le mie
membra chiare brillano, luminescenti, quasi robotiche, le biogemme
scintillano,
di un viola vicino alla fosforescenza. Le labbra scure, rosse come
ciliegie
mature, vibrano attraversate da un soffio lieve, appena accennato,
sospinto dai
battiti lenti, ancestrali, di un compressore avvizzito
nell’ombra della terra
avida.
Muovo i piedi,
stringendo con le dita i
pezzi di ghiaccio, sentendo i muscoli delle gambe contrarsi e
rilasciarsi con
rapidità. Lo sporco e il calore ustionante di quel pianeta
lurido abbandonano
il mio corpo per disciogliersi nel gelo purificatore, scivolando nella
valvola
di scarico.
Una nuova cascata di
ghiaccio triturato
si riversa sul mio ventre, andando a sostituire quello che si stava
lentamente
sciogliendo.
Giro lentamente la
testa, ricordandomi
della presenza di una schiava alle mie spalle, le cui mani tremanti
stringono
un secchio di metallo finemente lavorato. Strofino la schiena contro la
pietra
vibrando per il piacere delle vene dure, rinvigorite dal freddo.
Sono trascorsi
quarantacinque minuti
dall’inizio del mio bagno, quarantacinque minuti che i suoi
occhi sporchi mi trapassano,
insistenti nel vagare sulle mie spalle, fra i miei trapezi e la nuca.
La guardo in volto,
godendo della smorfia
di terrore dipinta su quei lineamenti femminei, rispondendo spietato
con un
sorriso inquietante, a cui le mie iridi non partecipano, tagliate da
una
forbice di malizia.
Il silenzio della
stanza viene infranto dal
fragore delle mie membra che si alzano in piedi nella vasca, forgiando
un’onda
di ghiaccio che si riversa sul pavimento di marmo.
La donna si avvicina
piano, cercando di
non far trasparire la soggezione che vibra nelle sue cosce incerte. Ma
si
tradisce all’istante, lasciando precipitare a terra la spugna
trattenuta a
fatica fra le dita tremanti.
«
Perché ti faccio così paura? Non sono
abbastanza gentile, forse? »
Non mi guarda,
piegandosi completamente
all’interno della vasca, il volto chinato a osservare i miei
piedi, strofinati
con cura da una nuova spugna, non insozzata dal contatto con il
pavimento.
Silenzio.
Sento i brividi
attraversarle il corpo
esile, la pelle delle mani che si arrossa, pulsante, lacerandosi per il
contatto con il gelo.
Ancora silenzio.
Mi curvo leggermente
in avanti,
afferrandole bruscamente il mento fra le dita e rivolgendolo verso di
me. I
suoi occhi screziati d’ocra affondano nei miei, rubini
talmente intensi da
ricordare i carboni ardenti, restituendomi l’immagine di me,
onnipotente,
candido come la neve, le labbra increspate in un tenero sorriso.
Io
so come farti parlare.
Un infinitesimale
impulso elettrico dei
nervi, una pressione impercettibile delle dita, le unghie che affondano
nella
sua mandibola fragile. Un osso si frantuma, seguito dalle sue grida di
dolore.
Tuttavia il suo
sguardo non abbandona
l’inferno glaciale delle mie iridi, annebbiandosi di lacrime.
Un bolo di sangue
scarlatto fuoriesce
dalle sue labbra, sporcando rovente le mie dita gelide.
Una vampata di piacere
si espande dentro
di me, accompagnata dall’estasi per quell’odore
ferroso, limpido, dal suono
armonioso dei suoi gemiti di dolore, dell’annichilimento
impresso nei suoi
occhi chiari. La schiava tace di nuovo, immobile, il resto del corpo
compresso
da una morsa invisibile.
«Sembra che
le mie mani si siano sporcate
di nuovo. Saresti così gentile da pulirmele? »
La mia voce dolce
è come il vetro, un
vento di coltelli che sferza la stanza abbattendosi sul suo volto
allucinato.
La lascio andare,
facendola sussultare
sulle gambe malferme. La schiava arretra e trema di dolore, la bocca
devastata
dal sangue che continua a deglutire, gocce vermiglie che le colano
lungo il
mento.
Cerca di trattenere le
lacrime,
respirando affannosamente e contraendo il volto in una smorfia.
Piangi,
stupida!
Si costringe ad
avvicinarsi di nuovo a
me, afferrando la mano con cui l’ho colpita fra le sue e
iniziando a passare la
spugna fra le mie dita affusolate, le unghie scure, le linee profonde
dei
palmi.
La vetrata alle sue
spalle cattura il mio
sguardo, una voragine sullo spazio aperto in cui non esiste orizzonte.
Sono trascorsi otto
mesi dall’ultima
volta in cui ho calpestato il suolo di Freezer 1, il pianeta in cui mio
padre
mi ha dato alla luce, in cui si erge il mio palazzo nobiliare.
Non ho bisogno di
osservarlo per vederlo,
quel ghiaccio duro come diamante è innervato nella mia
carne, coriacea e
indifferente, quel vento tagliente soffia imperituro in occhi talmente
feroci
ed espressivi da bruciare come laser.
Io incarno
l’inverno, un inverno ostile e
crudele come un vampiro, che racchiude in sé il calore del
fuoco mentre vaga
nella foresta dilaniata da un bianco fatale.
Guardo di nuovo la
schiava, ipnotizzato
dal suono incantevole del suo pianto, le lacrime rade come gli ultimi
rintocchi
di un carillon, disperati e agonizzanti.
Lascia cadere la
spugna nella vasca ed
esamina le mie nocche screpolate dall’arsura di Kenaz,
prendendo una noce di
balsamo profumato da una ciotola lignea alla sua destra. Stringe la mia
mano
piccola e algida fra le sue, tremanti, e inizia a massaggiarla con
energia,
insistendo sui muscoli irrigiditi, duri per la tensione.
« Lei ha
l’abitudine di tenere sempre i
pugni contratti, padrone. »
La sua voce tenue come
una foglia
accartocciata dall’autunno, stritolata dal dolore e dai
singhiozzi, è
sorprendentemente ferma.
« Non ti
interessa che queste siano le
stesse mani che hanno sterminato la tua gente? » le domando,
provocatorio, gli
occhi scarlatti scatenati come fiamme sibilline.
« No.
» biascica lei, premendo forte le
dita sul mio palmo e strappandomi un brivido di piacere, in una danza
di nocche
che scricchiolano « A me interessa vivere. »
Vivere?
«
Tu
sei già morta. Il giorno in cui hai iniziato a lavorare per
me. »
Sorrido spietato,
porgendole l’altra
mano, ancora immobile, i piedi lambiti dal ghiaccio liquefatto.
Mi nutro del suo
terrore, avido come una
bestia, ingoiando famelico l’immagine di me stesso riflessa
nelle sue iridi, in
cui le lacrime si sono fermate, perle congelate fra le ciglia.
Io sono un lento passo
di danza sulla neve.
Il passo falso da cui
scaturisce una
valanga mortale.
***
|