Salve
a tutti! ^_^ Sono Giulia e questa è la prima storia che
pubblico qui
su Efp (siate clementi con me XD)! Sono presente su questo sito da
alcuni anni solo come lettrice, ma ho voluto esordire come autrice
con questa storia. Non è la prima fanfiction che scrivo,
però sono
ancora una principiante, quindi spero che possa piacervi malgrado la
scarsa esperienza!
Prima
di lasciarvi alla lettura, devo ringraziare di cuore alcune persone,
che hanno reso possibile questa mia prima pubblicazione: Releuse, mia
maestra di scrittura e cara amica, che ha migliorato la mia tecnica
con le sue beta e mi ha fatto conoscere il mondo di Gundam
Iron-Blooded Orphans, e a Seele, la quale, oltre al grande affetto
che mi regala ogni giorno e alle infinite chiacchierate di cui ormai
sono dipendente, mi ha ispirato con le sue bellissime storie,
risvegliando la vena creativa che si era assopita da qualche tempo.
Grazie a entrambe! ♥
L’ultimo
ringraziamento non verrà udito, tuttavia ci tengo a farlo:
grazie a
Suga, cantante del gruppo musicale BTS, perché senza la sua
canzone
“First Love” non avrei realizzato questo racconto,
non avrei
scavato in me stessa, trovato le parole giuste e sentito i medesimi
sentimenti dei personaggi.
Buona
lettura! ^^
初恋
Hatsukoi
Primo
amore
Era
già tardo pomeriggio e le nuvole si erano tinte di rosa
chiaro, come
quello della divisa che stava indossando. La brezza leggera gli stava
accarezzando con dolcezza i capelli ormai lunghi, che teneva in una
coda di cavallo. Il volto del tutto scoperto per lavorare
più
comodamente, per non nascondersi, per osservare meglio il mondo.
“Anche
il cielo che accompagna il sole nel suo tramonto mi ricorda
te”.
Quando tornava a casa dal lavoro, Yamagi faceva sempre quella strada.
In realtà ne esisteva una più veloce, ma alla
fine della giornata
desiderava farsi un piccolo regalo e percorrere quindi quel tratto
circondato dal verde, così raro in passato, fiancheggiato da
uno
stretto fiumiciattolo artificiale che fungeva anche da canale per i
campi circostanti. Su Marte la vita era cambiata anche in questo:
adesso poteva udire il cinguettio di alcune specie di uccelli, veder
saltare dall’acqua piccoli pesci, che nemmeno sulla Terra, il
giorno in cui aveva scoperto l’immensa superficie marina,
aveva
potuto ammirare. Poteva assaporare gusti nuovi, odorare il profumo
dei fiori piantati in giro per le città, a decorare
ciò che un
tempo era stato macchiato di sangue. Ma i suoi occhi puntavano sempre
in alto, verso le nuvole, verso le stelle, verso lo spazio
cosmico.
E si perdeva. Si smarriva senza più trovare via
d’uscita, in
labirinti di ricordi, pensieri, rancori.
Girò
la chiave manuale nella serratura e varcò la soglia di casa.
Solo di
recente si era abituato a quel modo antiquato di aprire le porte,
privo di tessera magnetica. Ma quella a cui ancora non si era
abituato era la sua stessa abitazione. Piccola e arredata con
l’essenziale, per quanto la riempisse di oggetti colorati,
gli
appariva sempre e comunque vuota. Per quanto aprisse le tende
bianche, spalancasse le finestre al mattino, spendesse una piccola
parte dello stipendio alla Kassapa Factory per tenere le luci accese
di sera, era sempre e comunque buia. Nonostante questo, non ne voleva
una nuova. Gli piaceva il posto in cui stava: era vicino
all’attività
di Kassapa e al verde che poteva percorrere tutti i giorni.
Lì
regnava la tranquillità. Una calma di cui aveva sentito il
bisogno
fin da quando ci si era trasferito.
Yamagi
entrò nella doccia e si rilassò sotto lo scroscio
d’acqua calda,
toccasana per i muscoli intorpiditi di fine giornata. Dopo aver
terminato, passò davanti allo specchio e mantenne il suo
stesso
sguardo qualche istante. “Fai un bel sorriso, Yamagi! Stasera
devi
uscire in compagnia!”, si disse, mentre con indice e pollice
di
entrambi le mani verificò che gli orecchini a rombo non si
fossero
allentati.
Yamagi
aveva appena passato una serata piacevole e tranquilla con i suoi
amici. Quel giorno si era unito a lui, Chad e Dante anche Eugene,
ormai sempre più occupato a fianco della Signorina Kudelia.
– Almeno
tu puoi farti un bicchierino ogni fine settimana, non lamentarti!
–
aveva sbuffato Eugene rivolgendosi a Chadan, quando questi si era
azzardato a dire che si sentiva “un po’
spossato”.
-
Tu, però, hai molte meno scartoffie di me da riempire!
– gli aveva
risposto l’altro di rimando, facendo ridere tutti i presenti.
In
realtà a Yamagi non piaceva molto l’alcool,
infatti non beveva mai
più di due bicchieri, buttati peraltro giù a
forza. Ciononostante,
sentiva di doverlo fare e con il tempo si era abituato al gusto amaro
e aggressivo dei liquori che gli amici gli mettevano davanti. Anzi,
il sapore dell’alcool era diventato un mezzo catartico,
qualcosa di
esorcizzante. “Non sei un gran bevitore, eh?”, lo
prendeva in
giro Eugene, che più volte gli aveva chiesto
perché continuasse a
bere per forza, dato che se voleva uscire con loro avrebbe benissimo
potuto farne a meno. Ma Yamagi sentiva di volerlo
fare.
Ormai,
andare in quel piccolo locale il fine settimana era diventata una
consuetudine, anzi, un rito. Divertirsi anche per chi non
c’era più
rimaneva uno dei compiti degli ex membri di Tekkadan. Non separarsi e
non chiudere i rapporti tra di loro era importante in quanto membri
di un’unica famiglia. Una famiglia stravolta, certo, segnata
da
troppe tragedie. Una famiglia che aveva perso la sua guida e tanti
fratelli. Ma bisognava andare
avanti lo
stesso, anche se non tutti i sopravvissuti avevano avuto la forza di
ricominciare una nuova vita, senza odio e rancore nei confronti di
chi li aveva fatti soffrire.
-
Ancora nessuna notizia di Ride? – chiese Yamagi non appena
rimase
solo con Eugene, dopo aver salutato gli altri. Erano fuori dal
locale.
-
Niente di nuovo - rispose Sevenstark sospirando. Poi riprese, con un
tono più concitato: – Quello stupido…
ma cosa diavolo combina?!
Non capisce che così ci fa morire dall’ansia?
–
Strinse
i pugni fino a far diventare le nocche bianche.
-
Sai, Eugene, io però un po’ lo capisco.
– Yamagi alzò gli occhi
al cielo, con il peso dello sguardo sorpreso dell’amico.
-
Troppe persone sono rimaste impunite.
Eugene
ebbe una stretta al cuore. Nella sua mente si disegnarono i ricordi
delle persone a cui aveva voluto più bene: Orga, Mika,
Akihiro,
Shino… morti in battaglia, in nome di Tekkadan, per
proteggere i
loro
compagni,
e senza ricevere un degno addio. Era stato difficile mandare
giù
tutte le ingiustizie subite. E poi… era ancora
più gravoso
sentirsi dire quelle parole da Yamagi, che aveva amato con tutto se
stesso proprio uno di loro. Anche lui capiva i sentimenti di Ride, ma
la sua vita restava più importante della vendetta che
agognava tanto
compiere.
-
Questo non significa che deve rischiare di farsi prendere o ancora
peggio… - non riuscì a finire la frase, tuttavia
il suo amico capì
il senso dell’interruzione.
-
È vero – asserì questi –
Nessuno vuole ancora perdite.
Arrivati
all’incrocio si separarono e Yamagi percorse il vialetto di
casa
illuminato dai lampioni. Stesosi a letto, Morfeo lo avvolse tra le
sue braccia quasi subito, smanioso di farlo addormentare e sognare.
Il
giorno dopo la casa non venne inondata dai raggi mattutini che lo
avevano svegliato nelle ultime settimane.
-
Piove – sussurrò Yamagi, scostando un poco la
tenda della sua
camera – In effetti, la terra iniziava a essere troppo arida.
Quella
notte aveva fatto un sogno. Un sogno bellissimo… e triste.
Triste
perché non era mai accaduto nella realtà,
perché i suoi compagni
se n’erano andati prima che potesse avverarsi.
Schiocchi
di boccali di birra che si scontravano per brindare, trombe e violini
vivaci che riempivano la stanza di una musica esuberante, e poi le
voci di entusiasmo dei ragazzi, che chiacchieravano, ridevano,
scherzavano, come non avevano mai fatto in vita loro. Anche Mika si
era lasciato andare a qualche goccio di vino e ora barcollava la
testa a fianco di Orga, che al contrario non faceva che ridere a voce
alta con Eugene, sotto lo sguardo perplesso ma sorridente di Akihiro.
Non mancavano alcuni membri delle Turbines: Lafter, Azee ed Eco si
erano unite ai festeggiamenti, anche loro bevendo e ridendo accanto
agli amici di Tekkadan. Naze e Amida, invece, osservavano allegri la
scena come dei genitori fieri dei propri figli. “Avete fatto
un
buon lavoro, ragazzi”, dicevano i loro occhi. Poi una mano
grande e
calda aveva trascinato Yamagi al centro della sala, tra i fischi di
approvazione dei compagni. “Forza, Yamagi!”, aveva
gridato Shino
accompagnandolo in una pseudo-danza con le mani intrecciate alle sue.
E a quel punto lui, ancora ragazzino, ancora con i capelli sugli
occhi, ancora estremamente timido, si era lasciato trasportare
dall’atmosfera di festa e dall’impeto raggiante di
Shino. “Oggi
è l’inizio che abbiamo tanto atteso e per cui
abbiamo lottato
tanto!”, aveva strascicato poi Orga inciampando sulle sue
stesse
parole, alticcio, “Brindate, divertitevi, ballate, oggi
è il
giorno della vittoria!”. Un grido di approvazione da parte di
tutti
i presenti, e la serata era continuata fino all’alba.
Ma
l’alba della nuova era per Tekkadan non era mai giunta. Quel
mattino, Yamagi si sentì ancora più solo.
“Che crudeltà sono i
sogni. Ti mostrano ciò che avresti voluto vivere e poi ti
catapultano di nuovo nel mondo reale senza alcun preavviso, nessun
addio.
Che fregatura.” Eppure, lui sentiva che qualcosa non andava,
come
se i fatti accaduti nella realtà nascondessero una
verità
sconvolgente. Ma Yamagi non sapeva spiegarlo, poiché era una
sensazione, un presentimento ricorrente, e proprio per questo non ne
aveva fatto parola con nessuno.
Inghiottito
dall’abisso d’inerzia spirituale, capì
che l’unico posto in
cui voleva essere in quel momento era la rupe della tomba di
Tekkadan. Allora preparò una borsa in cui mettere
dell’acqua e
qualche provvista di crackers secchi, dato che il luogo distava
un’ora a piedi da casa sua. Durante il tragitto raccolse
alcune
specie diverse di fiori e, prima di arrivare nei dintorni della rupe
scoscesa e spoglia, ne fece un grazioso bouquet. Il colore di quei
fiori si scontrava con quel posto, che emanava aridità anche
se il
suolo era umido di pioggia, caduta poco prima. Ma non appena scorse
la tomba, il verde della pianura che si stagliava di fronte alla
collina catturò completamente il suo sguardo.
“È un bel posto in
cui riposare”, aveva pensato più volte Yamagi,
“solo che qui
sotto non giace nemmeno un corpo. Chissà se almeno la vostra
anima
ha raggiunto questa rupe?”. Poggiò il mazzetto
sulla pietra scura
e umida e ci si mise a sedere davanti a gambe incrociate, ignorando
la possibilità di sporcarsi gli indumenti. “Siate
più resistenti
del ferro*”, pregò, rivolto ai delicati boccioli.
I suoi occhi si
soffermavano ogni volta sulle incisioni grezze fatte sulla superficie
del marmo. Nei giorni piovosi come quello, goccioline di acqua la
percorrevano come se fossero lacrime.
-
Nessuno di noi avrebbe mai immaginato che la pietra sarebbe stata
riempita di così tanti nomi. E del tuo
nome.
- Yamagi voltò lo sguardo: a est, dietro di lui, il sole era
sorto
del tutto e i raggi filtravano tra le nuvole cariche di pioggia.
-
Niente fiori di ghiaccio, alla fine! – esclamò con
la voce
tremante. Poi un breve silenzio.
-
Costavano troppo. –
Prese
la bottiglia riposta nella borsa e sorseggiò un poco
d’acqua.
“Forse dovevo portare un po’ di sake
anche
oggi…”, pensò.
-
Scusa se il tuo nome non è scritto bene… a dire
il vero sembra più
lo scarabocchio di un bambino! – riprese - Ma Ride, quando li
ha
incisi, ha fatto del suo meglio con il coltellino che gli aveva
regalato Orga. –
-
In fondo non potevamo certo costruire due tombe in posti diversi.
Un’unica tomba per tutti voi: era giusto così. -
Yamagi posò poi
gli occhi su un piccolo cumulo di terra alla sua destra. Sotterrarla
lì era la prima cosa che aveva fatto tornato su Marte. Non
poteva
tenere quella benda, l’ultimo possesso di Shino che aveva
stretto
tra le mani, in casa: non c’era nessun altro posto in cui
poteva
rimanere. Almeno un suo oggetto concreto era vicino al luogo in cui
la sua scomparsa veniva commemorata.
-
Sai, Shino, stanotte ho fatto un sogno stupendo ma anche spietato
–
riprese, stringendo l’elastico della coda di cavallo -
così sono
partito per venire qui molto presto. –
-
Adesso hai proprio il sole in faccia! – sbuffò e
uno Shino con gli
occhi socchiusi e le sopracciglia aggrottate per il fastidio apparve
davanti a sé. Era un’immagine buffa, ma Yamagi
sentì le lacrime
salire agli occhi. Tirò su col naso e si passò
una mano sul viso
per non permettere a queste di scendere e prendere il sopravvento.
-
Non so bene cosa sia, ma a volte sento qualcosa di strano. Mi sembra
che la tua morte non sia mai diventata… definitiva. Eppure
tu non
ci sei, avverto benissimo la tua mancanza, fin troppo.
Quindi… non
sarò io che sono così patetico da non accettarla?
– chiese infine
rivolto alla tomba, come se stesse conversando con una persona in
carne e ossa.
-
Tu sei l’unico con cui ne sto parlando. – Poi
riprese,
sarcastico: - È da sciocchi, vero? Dovrei farlo con qualcuno
che può
rispondermi, almeno! Però, non saprei come reagirebbero gli
altri.
Forse mi direbbero che è un processo naturale causato dal
dolore? O
che mi succede perché non ti ho visto… - Yamagi
si bloccò.
Cercava sempre con tutto se stesso di pronunciare quella parola, ma
ancora non ce la faceva: era come ampliare la sofferenza.
-
…perché non ti ho visto andartene sotto i miei
occhi?
Poi
sospirò. Era inutile porsi tutte quelle domande. Non avrebbe
cambiato le cose. Yamagi avrebbe continuato a vivere a modo suo.
Mangiando, parlando, sorridendo, lavorando, bevendo alcool.
Però
c’era una cosa che ancora non aveva fatto: - Scusa, Shino,
per ora
non ci sono riuscito ad andare a letto con una donna. Trovare il
coraggio e la forza è più difficile di quanto
pensassi. Ma non
preoccuparti, ce la farò! Farò anche questo per
te.
Già,
ancora una volta doveva combattere contro l’ansia e la paura.
Forse
anche più che in passato. Salire su un mobile suit e
scendere sul
campo di battaglia lo aveva sempre intimorito, anche se
l’unica
volta che lo aveva fatto era stato a fianco di Shino in sella al loro
Ryusei-Go IV e in quell’occasione si era sentito protetto,
più di
quando lavorava nei cockpit delle macchine da riparare. Nonostante
questo, la paura più grande l’aveva sempre provata
sulla nave,
aspettando il ritorno dei suoi compagni. E di Shino. Poi quel terrore
era diventato realtà e dopo lo scioglimento di Tekkadan, si
era
tramutato in insicurezza e timore per tutto ciò che avrebbe
riservato il futuro. Solo gradualmente, Yamagi era riuscito a
scorgere raggi di speranza: la notava nelle risate dei bambini
dell’orfanotrofio, nei sorrisi degli amici rimasti su Marte
per
iniziare una nuova vita, nell’affetto e nella premura che
Merribit
e Kassapa mostravano per i loro figli, nei cittadini marziani che
scoprivano la luce e l’armonia, adoperandosi per cancellare
le
tracce di spari e sangue dai muri dei villaggi.
E
la sua
speranza? Dov’era quel sentimento che lo aveva portato a
unirsi a
Orga e agli altri per ribellarsi contro i capi della CGS?
Cos’era
rimasto a lui della sensazione che aveva provato stringendo la mano
tesa di Shino che lo incoraggiava ad aver fiducia nel loro leader?
Yamagi, fin dal riassestamento a seguito dell’ultima
battaglia,
aveva trovato l’energia di agire solo dedicandosi al suo
lavoro
alla Kassapa Factory. Ora non costruiva più armi e munizioni
per
uccidere, non faceva più la manutenzione ai mobile suit dei
suoi
amici: adesso creava macchine utili alle persone e meccanismi per
incentivare lo sviluppo e il benessere del pianeta sul quale viveva.
Amava il suo lavoro. Non poteva ringraziare adeguatamente Kassapa,
che dopo lo disgregazione di Tekkadan gli aveva offerto un posto in
cui lavorare e aiutato a cercarsi una casa tutta sua. L’unica
maniera per farlo era impegnarsi con tutto se stesso in ciò
che gli
ricordava la sua vecchia occupazione, la medesima che gli aveva
permesso di far parte fissa e attiva di Tekkadan e di stare a fianco
della persona che amava.
E
questo era anche il suo modo di ringraziare Shino stesso per aver
lottato in nome di tutti. Adesso doveva vedere e assaporare il mondo
anche per lui, vivere
anche
per lui.
-
Senza di te, però, è un po’
difficile… - mormorò. Una folata
di vento umido percorse tutta la rupe brulla. Si stava avvicinando un
forte temporale, così si alzò per tornare
indietro.
-
È colpa tua se adesso non mi posso più innamorare
di nessuno –
disse, toccando la pietra fredda per un ultimo saluto.
Dopodiché,
sentì dei passi dietro di lui, che lo fecero sussultare
dallo
spavento. Non avrebbe mai immaginato che qualcun altro sarebbe potuto
andare lì quella stessa mattina e così presto. I
passi potevano
appartenere a una sola persona. Si voltò di scatto e dalla
discesa
apparve la figura maschile di un ragazzo. Teneva parte del volto
coperto da una sciarpa, che arrivava ad avvolgere anche la testa.
Però riconobbe subito i ciuffi rossi e fiammeggianti che,
ribelli,
uscivano dalla stoffa porpora che tentava di nasconderli. Il verde
smeraldo degli occhi, poi, fu un’ulteriore conferma.
-
Ride! – esclamò stupito Yamagi. Ormai erano mesi
che non lo vedeva
o aveva sue notizie. Faceva uno strano effetto ritrovarlo proprio
lì,
alla tomba. Anche il verde degli occhi di Ride fu attraversato dallo
stupore nel vedere un secondo ospite. Abbassò
così il lembo della
sciarpa che copriva la bocca e pronunciò: - Yamagi?!
-
Dove accidenti sei stato per tutto questo tempo?! –
gridò l’altro
avvicinandosi a grandi passi verso l’amico fino ad afferrarlo
per
il colletto.
-
Ho ucciso quel rifiuto umano di Nobliss Gordon – rispose dopo
qualche istante di silenzio, scostando la mano dell’amico.
Gilmerton lasciò cadere il braccio che aveva alzato, tanto
era
sconcertato: - Cosa? – sussurrò. Ride non disse
altro e,
ignorandolo, andò a posizionare un mazzo di dalie rosse
sulla pietra
tombale.
-
Grazie* – sussurrò, unendo le mani come per dire
una preghiera.
Quando rialzò lo sguardo, Yamagi lo stava scrutando
preoccupato.
-
Tieni quella sciarpa perché ti hanno identificato, vero?
– chiese.
-
No, io e gli altri ragazzi siamo stati cauti. Abbiamo agito in fretta
e non ci siamo fatti vedere mentre scappavamo. Me la sono messa solo
per precauzione – disse, sciogliendola e abbassandola sulle
spalle.
Proprio come faceva il loro leader. Yamagi si sentì molto
meglio
dopo quella notizia. Tuttavia, mai avrebbe creduto che Ride avesse
progettato di farlo davvero. “Le sue non erano parole al
vento”,
pensò.
-
Scusa, ma non starò qui a sentire la predica. L’ho
fatto perché
era giusto così e non ho intenzione di cambiare idea
– sentenziò
il ragazzo. Yamagi provava sempre un enorme dispiacere quando sentiva
parlare così colui che era stato il piccolo e giocoso Ride.
Era da
troppo tempo che non lo vedeva sorridere. Tutta la sua
spensieratezza, la sua loquacità, le sue risate
schiamazzanti, erano
sparite quel giorno di sangue, tra le braccia di Orga e di fronte ai
suoi occhi smeraldo di bambino sbarrati dal terrore.
-
Non voglio farti nessuna paternale – affermò poi
con tono grave –
Sarei un ipocrita se lo facessi.
Ride
si stupì di quelle ultime parole: a quanto pare anche Yamagi
aveva
sempre voluto che almeno Gordon, colui che aveva ordinato la morte di
Orga, dovesse pagare con la propria vita. Riflettendo, però,
si rese
conto che anche lui aveva un motivo per chiedere giustizia: sapeva
bene quanto avesse voluto bene a Shino Norba, un legame che superava
di gran lunga l’affetto fraterno e di amicizia.
-
Comunque… adesso cosa farai? – tornò a
chiedere Yamagi. Un’altra
ventata carica di umidità arrivò sulla collina e
Ride si passò una
mano tra i capelli prima di rispondere: - Farò delle
ricerche. Anzi,
a dire il vero ho già cominciato. –
L’amico gli rivolse un altro
sguardo allarmato.
-
Voglio accertarmi di tutte le morti dei nostri compagni caduti in
battaglia – continuò, grave – So che
sembra una cosa
impossibile, ma io e i ragazzi siamo già riusciti a
infiltrarci in
alcuni archivi governativi.
Yamagi
non poteva credere alle proprie orecchie: - Hackerare i server del
Governo Principale?! Sei impazzito?! Sai cosa potrebbe succedere se
vi scoprissero e identificassero? –
Ride
lo guardò dritto negli occhi: - Siamo pronti a vivere come
ricercati.
-
Tu non ti rendi conto di quello che dici! – sbottò
infine Yamagi,
perdendo il controllo del tono della voce – Accidenti, Ride,
torna
in te! Non è per questo che Orga si è
sacrificato! –
Il
ragazzo, al nome del loro leader, sentì il naso pizzicare e
le
labbra si curvarono con forza per impedirgli di scoppiare a piangere.
Le lacrime, però, inondavano già le sue iridi
verdi come i campi
che si stagliavano di fronte alla pietra nera di Tekkadan.
-
Non trascinare gli altri ragazzi in queste pazzie, non sprecare la
tua e la loro vita! – Fu Yamagi che, vedendo la smorfia di
dolore
disegnata sul volto del compagno, si lasciò andare a un
pianto
sommesso. Odiava farsi vedere con le lacrime agli occhi, odiava
più
di ogni altra cosa mostrarsi così debole, ma in quel momento
non
poté fare a meno di venir trascinato, insieme a Ride,
nell’angoscia
della perdita, che premeva spietata ogni giorno nel suo petto. Era
difficile ignorarla e a volte era inevitabile perdere la battaglia
contro quel sentimento opprimente. Si avvicinò al ragazzo e
lo
avvolse in un abbraccio sincero, che venne accolto pienamente.
-
Torna a sorridere, piccolo Ride. Dimentica la vendetta, dimentica il
rancore e vivi la vita che il nostro leader ha protetto.
Ride
strinse Yamagi ancora più saldamente, poggiando la fronte
sulla sua
maglietta. Forse era questo ciò che aveva sempre desiderato:
una
spalla su cui piangere, un caro amico con cui sfogare il proprio
dolore.
Dopo
qualche minuto, Ride si scostò da Gilmerton e questi gli
porse un
fazzoletto.
Allora
Ride nascose il volto nel pezzo di carta che gli era stato dato e
accennò un debole sorriso.
Yamagi
ricambiò, ma sentiva il cuore colmo di commozione vedendo il
suo
vecchio amico acquisire pian piano un atteggiamento più
sereno.
Sarebbe servito molto tempo perché Ride ritrovasse il
proprio
carattere dopo le esperienze vissute, questo lo sapeva, però
era
sicuro che il peggio fosse passato. Ognuno elabora un trauma a modo
suo e Ride aveva perso la retta via perché era stato
costretto ad
assistere alla morte violenta di un suo compagno; quindi, Yamagi non
lo aveva mai biasimato per il suo cambiamento.
Ciononostante… era
stato doloroso vederlo vivere in quello stato.
-
Insomma, mi prometti che non farai altre cavolate? – chiese
poi,
tornando serio – Abbandonerai questo progetto suicida, vero?
Ride
ripose il fazzoletto nella tasca e portò gli occhi gonfi su
quelli
dell’amico: - Sì… proverò a
parlarne anche con i ragazzi.
Poi
si voltò un’altra volta verso la tomba.
-
Non avrei mai creduto di trovare pace proprio in questo posto.
Yamagi
si avvicinò e gli posò una mano sulla spalla: -
Nemmeno io, sai?
Ogni volta che giungo qui mi dispero e basta. “Forse non
è ciò
che loro vogliono”, mi dico, ma è troppo difficile
pensare a
quello che ci è successo senza darsi tormento.
Ride
tirò ancora su col naso, ricacciando indietro nuove lacrime.
-
Questo non vuol dire che possiamo mettere in pericolo la nostra
stessa vita – aggiunse poi Yamagi – Capito?!
– e dette un
colpetto in testa a Ride. Questi si ritirò, come un bambino
che
scappa dalla ramanzina della madre. Seguì il silenzio,
durante il
quale i due si persero nell’ammirare la distesa verde che
sottostava la rupe. Quella tranquillità era terapeutica. Un
tuono,
però, li ridestò dal paesaggio e decisero di
lasciare la collina:
non sarebbe stato prudente viaggiare con la pioggia. Anche Ride
l’aveva raggiunta a piedi, così fecero i primi
passi insieme per
proseguire in direzioni diverse.
Quello
era un giorno di festa, ma Yamagi si preparò la solita
colazione:
due fette di pane tostato farcite con della marmellata e accompagnate
da una tazza di latte caldo. Dato che non doveva andare al lavoro, si
era concesso di svegliarsi più tardi del solito. Mentre
buttava giù
l’ultimo sorso, pensò a come passare la giornata.
Magari avrebbe
fatto visita all’orfanotrofio in cui lavoravano Dante e
Derma.
D’altronde, per gli ex membri di Tekkadan il
“Giorno della
Rinascita”* non era motivo di celebrazione, perché
segnava la fine
definitiva della loro brigata.
Il
suono del campanello catturò la sua attenzione mentre stava
pulendo
in cucina, così andò ad aprire chiedendosi chi
potesse essere.
-
Ride! – esclamò, sorpreso.
Incuriosito
e un po’ preoccupato dal perché fosse venuto a
trovarlo, gli disse
di accomodarsi, non prima di aver controllato se fuori ci fosse
qualche presenza sospetta: in fondo aveva davanti l’assassino
di un
politico importante!
-
Ti faccio un caffè, ti va? – propose, cercando di
non far
trasparire troppo l’ansia. Anche Ride aveva
un’espressione
davvero seria e dopo un attimo d’incertezza rispose
distrattamente:
- Mh… sì, grazie –
Che
avesse già cambiato idea sulla promessa fatta pochi giorni
prima? O
forse non aveva trovato l’appoggio dei compagni, che al
contrario
desideravano portare avanti le ricerche?
-
Ride, cosa c’è? – Yamagi andò
dritto al punto. Il ragazzo
rispose prima con uno sguardo indecifrabile, poi fece un lungo
respiro e disse: - Senti, Yamagi… c’è
una cosa di cui devo
parlarti e… - si grattò la testa - …e
credo che interessi anche
a te. Quindi… almeno questo lasciamelo fare.
Gilmerton
aspettò che continuasse, posando tutti gli arnesi da cucina.
Il
caffè poteva aspettare.
-
Mi è giunta notizia che oggi, proprio nel Giorno della
Rinascita,
verranno rilasciati alcuni prigionieri politici di Gjallarhorn.
Yamagi
avvertì un tuffo al cuore. Un boccone amaro che scese nello
stomaco
senza aver scelto di inghiottirlo.
-
Hanno optato per il 2 maggio in modo da approfittare della folla che
si creerà nelle città, così, per non
destare troppa attenzione.
Rilasceranno in gran segreto i detenuti considerati “non
più a
rischio”, quelli che secondo i capi del nuovo governo non
sono più
pericolosi. –
Mentre
Ride continuava a parlare, per Yamagi era sempre più
difficile
seguire la logica del suo discorso. Pensieri e domande si
accavallarono nella mente, prepotenti e spietati come lame di vetro
che scuoiavano la pelle. Anche Ride si accorse dello stato
confusionale dell’amico; allora si alzò e diresse
gli occhi
smeraldo, ormai privi di ogni incertezza, sui suoi:
-
So che andrai anche tu – Yamagi lo guardò
sconvolto.
-
Non voglio illuderti, però… come potevo non
dirtelo? – concluse
abbozzando un sorriso velato di tristezza. Yamagi tremò. Ma
era
giusto essere così speranzoso? Non si sarebbe fatto male con
le
proprie mani? Eppure… una minima possibilità
esisteva, no? Un mero
raggio di speranza in quella vita incompleta:
era così sbagliato crederci? Ride pensò che a
rimanere sarebbe
stato solo d’impiccio, quindi appoggiò la mano
sulla maniglia e si
rivolse un’ultima volta a Yamagi: - Tra mezz’ora,
proprio di
fronte al carcere principale.
Chiuse
la porta e fece i primi passi per tornare nel centro città,
con nel
cuore la stessa speranza che aveva il suo amico. Sapeva che una
notizia del genere lo avrebbe destabilizzato, lo avrebbe fatto
soffrire. Ma anche solo con l’1% di probabilità,
doveva farglielo
sapere. Se davvero Shino era ancora vivo, Yamagi doveva essere il
primo a scoprirlo.
♪
Cos’era
quella sensazione? Era la stessa che aveva provato altre volte negli
ultimi tre anni? Forse ne era figlia, una versione più
forte, più
vivida, più presente, più soffocante.
Yamagi portò indice e medio al colletto della maglia per
allentarlo:
la stanza si stava riempiendo di sole, tornato a riscaldare quella
zona di Marte dopo alcuni giorni di pioggia. Provò ad aprire
le
finestre, ma il cuore gli batteva ancora troppo forte e
l’ossigeno
entrava irregolarmente nei polmoni bisognosi. Si accasciò a
terra
prendendosi la testa fra le mani.
-
Cazzo! – esclamò, mantenendo un tono di voce
basso. Poi, in un
angolo della memoria, si formulò un pensiero, che lo
pietrificò
come di fronte a un’epifania. “Quel
presentimento… che fosse…?”
Aveva sempre sentito qualcosa di storto,
qualcosa di incompiuto.
Una sensazione che nasceva sempre quando pensava a Shino. E una
corrente di ricordi germogliò, come i fiori nati su Marte
che aveva
sempre voluto far mostrare alla persona amata e che amava tuttora:
una mano grande che lo tirava a sé per farlo uscire dal
cockpit, il
rossore sulle guance dopo un piccolo contatto, la gelosia della sua
voglia di compagnia femminile, l’ammirazione per quel
carattere
positivo, il desiderio spudorato di stringersi a lui. Tutte scene che
la sua mente gli aveva mostrato accompagnandole ad angoscia,
tristezza, solitudine.
“E
se davvero…”
Invece,
adesso, quelle immagini erano più luminose, gli facevano
sì tremare
le mani, battere il cuore e boccheggiare, ma di impazienza, di
aspettativa…
Yamagi
spalancò la porta, la richiuse sbattendola rumorosamente e
iniziò a
correre per il sentiero sterrato. Le gambe si muovevano più
forte
che potevano, aiutate dalle braccia piegate per darsi la spinta
giusta. Poco dopo, Ride se lo vide passare accanto e senza trattenere
qualche lacrima, gridò: - Forza, Yamagi!
I
primi giorni dopo la ribellione alla CGS, Yamagi non aveva ancora
idea di quanto Shino fosse già importante per lui.
“A quel tempo
ero felice solo guardandoti. Mi bastava lavorare ai tuoi mobile
suit…
lavorare a quelle macchine significava proteggere la tua vita con le
mie mani”. Curvò, mantenendo la stessa
velocità: altri pochi
metri e si sarebbe trovato nella piazza principale.
“Però…
non mi è bastato. Ricordi, Shino? Quella volta mi hai
invitato a
bere.” Ormai lacrime calde rigavano il suo volto, arrossato
per lo
sforzo. “Non credevo che sarebbe stata l’ultima
volta.
O forse… non volevo ammettere che già lo
sapevo”. Svoltò
l’ultimo angolo e si ritrovò finalmente nella
piazza, ghermita di
gente uscita in strada per celebrare la liberazione dai ribelli del
colpo di stato. “Avrei voluto dirtelo, sai: non
andartene così,
non
lasciarmi.
Ma tu, facendo parlare il tuo viso sorridente, era come se mi
dicessi: non
preoccuparti, anche se vado via te la caverai da solo.
Volevi dirmi che mi avresti incontrato di nuovo? E come, Shino?
Come?!”
E
intanto corro, e corro e ti penso. Mi immagino abbracciarti di nuovo,
mentre assaporo ancora il tuo sorriso sghembo e luminoso, mentre
osservo la forma dei tuoi occhi all’ingiù. Eugene
mi ha detto che
avevi capito, Shino… avevi capito più di quanto
io stesso avrei
voluto. Ma non mi hai dato la tua risposta. Se dovessimo
rincontrarci, mi rifiuteresti? Mi parleresti come fanno i vecchi
amici? Non importa, Shino. Sai, in realtà non vorrei che tu
mi
abbracciassi, che mi dicessi “ti amo” o che sono la
persona a cui
vuoi più bene: a me basterebbe vederti sorridere, anche solo
da
lontano… Io, intanto corro, corro a più non
posso, con il cuore in
gola, i polmoni distrutti e le gambe che fanno un male cane, come se
un pericolo mi stesse inseguendo. E forse è davvero
così: se non
corro rischio di venire inghiottito un’altra volta
dall’abisso
nero. Quindi non mi fermerò fino a quando non ti
avrò scorto tra
tutta questa folla. Mi divincolo tra la gente, la urto, faccio cadere
qualcosa a una signora, urlo “scusa”, ma non posso
trattenermi ad
aiutarla, anche se volessi: le gambe sono talmente stravolte che non
ce la farei a stare in piedi fermo. Però sento di doverti
dire
almeno una cosa, Shino. Chiaro e tondo. Avrei dovuto farlo prima di
salutarti l’ultima volta. Senza di te non
c’è nulla. Quindi,
anche se non mi volessi al tuo fianco, ti prego, Shino, non andartene
più, mai e poi mai. Non
lasciarmi mai più.
Me lo avevi promesso, no? Mi avevi detto che saresti tornato! E
allora io avrò fiducia in te, crederò alle tue
parole. Anzi, l’ho
sempre fatto. Quella sensazione… sapevo che non te
n’eri andato
sul serio. Stai tornando da me, vero? Sai, credevo di aver fatto male
a darti ascolto. Credevo che quel giorno non avrei mai dovuto lasciar
andare la tua mano. Ma, forse, oggi scoprirò di non averlo
fatto
inutilmente. E per colpa tua piango, piango mentre respiro a
malapena. Però ti ringrazio, Shino, per essere stato al mio
fianco
anche quando sono rimasto da solo. Ti ho sentito tante volte gridare:
maledetto,
ce la puoi fare! Non arrenderti così!
E intanto mi odiavo, perché senza il tuo ricordo non
riuscivo ad
andare avanti. Quando ero stanco, smarrito e cadevo in
quell’abisso
di disperazione, io pensavo a te e alle tue ultime parole. Veglia
su di me.
Almeno da lassù, dallo spazio aperto in cui ho dovuto
lasciarti,
stammi vicino,
ti
chiedevo. Ma adesso è diverso. Corro per vederti ancora una
volta,
corro per sentire la tua risata, corro per dirti finalmente ti amo,
che sei la prima cosa che ho amato in questo universo.
Yamagi
aveva quasi raggiunto l’altra estremità della
piazza. Gli ultimi
passi, le ultime persone da scansare. Poi si bloccò di
colpo, con le
gambe inchiodate al suolo, incapaci di muovere un singolo muscolo. I
suoi occhi spalancati si inondarono di altre lacrime, che gli
annebbiarono la vista. Li asciugò, pensando di aver appena
sognato.
Di aver visto un miraggio.
No.
Shino era davvero davanti a lui, a pochi metri di distanza, e lo
guardava con la sua stessa espressione sbalordita. Una sacca di
cotone in spalla, una divisa anonima, una cicatrice sul volto. Yamagi
non poté sentirlo, ma vide la sua bocca scandire tre
sillabe:
Ya-ma-gi.
Questi sorrise, un groppo in gola di sfinimento e commozione. Voleva
raggiungerlo, ma le sue gambe non si muovevano ancora. Allora le
colpì con i pugni, scossoni che gli avrebbero permesso di
fare gli
ultimi passi. Non appena il suo piede avanzò, anche Shino
iniziò a
correre, gettando lo zaino a terra, con le labbra già
inarcate nel
sorriso che Yamagi aveva sognato tante, troppe notti.
Si
scontrarono con violenza, buttando le braccia al collo l’uno
dell’altro, tra gli sguardi perplessi dei passanti e sotto il
cielo
terso. Yamagi pronunciò infinite volte il nome della persona
che
amava. Shino carezzò la nuca di lui, travolto
anch’egli dalle
lacrime che aveva ricacciato indietro infinite volte, dietro le
sbarre, nei momenti in cui il desiderio di libertà era stato
tremendamente forte. Yamagi cedette, gli arti non riuscivano
più a
reggerlo, tuttavia Shino lo prese in braccio, come una principessa.
Tra altri sguardi dubbiosi e quello incredulo di Yamagi,
cominciò a
correre.
-
Shino, cosa-? – iniziò.
-
Devo risponderti, Yamagi! Ma non posso farlo davanti a tutta quella
gente – disse Shino tra un affanno e l’altro. In
poco tempo,
arrivarono sul ponte del fiume che percorreva la città
ricostruita.
Non c’era nessuno, poiché tutti gli abitanti
avevano riempito il
centro urbano. Shino fece sedere Yamagi sul bordo del ponte,
sorreggendolo con le braccia che, seppur in quei tre anni non avevano
svolto molto esercizio, erano ancora molto robuste. Entrambi avevano
il fiato corto, i muscoli doloranti, gli occhi gonfi e umidi. Shino
portò una mano al volto di Yamagi, che sussultò,
mentre con l’altro
braccio gli avvolse la vita. Yamagi si sentiva stordito. Quante cose
incredibili dovevano succedere ancora quel 2 maggio? E poi: era
davvero reale ciò che stava vivendo? O era un altro dei
sogni
spietati che si ostinavano a farlo soffrire?
Sogno
o realtà, Shino si stava avvicinando al suo volto,
abbassando le
palpebre, e le loro labbra si unirono in un bacio disperato, come a
voler recuperare il tempo trascorso lontani l’uno
dall’altro. Tre
anni. Erano cambiati molto nel frattempo: entrambi erano cresciuti in
altezza, i capelli si erano fatti più lunghi, gli animi
più forti.
Si abbracciarono ancora, per poi guardarsi dritti negli occhi.
-
Allora è questa la tua risposta? – chiese Yamagi,
con voce
tremante. Shino sorrise: - Sì! Ti amo, Yamagi.
Questi
sentì l’ennesimo tuffo al cuore e gridò
con tutta la voce che
aveva in corpo: - Anch’io ti amo, Shino! Più di
ogni altra cosa al
mondo.
Poi
aggiunse: - Rimarremo insieme, adesso?
Shino
allargò un sorriso sghembo e gli dette un bacio scherzoso,
prima di
rispondere: - Certo! E stavolta sarà per
sempre!
Suga
(BTS) - “First Love”
Ricordo
quel momento.
Ti
guardavo con ammirazione, ti desideravo.
Non
avevo idea di quanto per me valessi a quel tempo.
Allora
ero felice solo guardandoti.
Non
importava dove mi trovassi, hai sempre difeso quel posto.
Ma
non sapevo che sarebbe stata l’ultima volta.
Mi
dici: “Non andartene così”.
“Non
preoccuparti anche se vado via.”
“Te
la caverai da solo.”
Mi
ricordo di quando ti ho incontrato per la prima volta.
“Prima
che me ne rendessi conto, sei cresciuto.”
“Non
dispiacerti mai per me.”
“Ti
incontrerò di nuovo, non importa sotto quale forma
sarà.”
“Quel
giorno, salutami con gioia.”
Anche
se ero stato via per tanto tempo, tu mi accettasti senza repulsione.
Senza
di te non c’è nulla.
Dopo
l’alba, noi due abbiamo accolto il mattino insieme.
Non
lasciare la mia mano, e che sia per sempre.
Neanche
io ti lascerò di nuovo andare.
Abbiamo
riso, abbiamo pianto.
Quei
giorni con te, quei momenti sono ora nei miei ricordi.
Afferrando
le mie spalle distrutte, dissi:
“Non
ce la faccio più, davvero”.
Ogni
volta che volevo arrendermi, tu al mio fianco mi dicevi:
“Maledetto,
puoi farcela! Davvero!”
Sì,
sì, mi ricordo di quella volta, quando ero stanco e smarrito.
Quando
caddi in un abisso di disperazione.
Anche
quando ti allontanai, quando rimpiansi di averti conosciuto.
Tu
eri saldamente al mio fianco,
non avevi bisogno di dire niente.
Però
non lasciare mai la mia mano, neanche io ti lascerò una
seconda
volta.
Tu
sarai lì a vegliare su di me.
Testo
riadattato dalla traduzione del sito: BangtanItalianChannel2
*Tekkadan,
il nome del gruppo ribelle capitanato da Orga Itsuka, significa
letteralmente “brigata del fiore/petalo di ferro”.
Quindi Yamagi
fa riferimento proprio al nome della Brigata di cui faceva parte.
*Ho
scelto le dalie rosse proprio perché stanno a simboleggiare
gratitudine e riconoscenza.
*Giorno
della Rinascita: una festività che, nella mia immaginazione,
è
stata ideata da Rustal Elion dopo la vittoria contro McGillis e
Tekkadan. Si celebra il 2 maggio.
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