"Sono
contento!".
Clowance,
dopo quel commento, alzò incuriosita lo sguardo sul
fratello.
"Contento di cosa?" - chiese, mentre camminavano insieme
sulla spiaggia, di ritorno da scuola. Il tempo era ormai bello e
avevano ottenuto dalla madre il permesso di tornare da soli a fine
lezione, visto che ormai Jeremy aveva quasi dieci anni ed era
sufficientemente grande per non essere accompagnato e per curare sua
sorella.
"Che
mamma e papà vanno d'accordo e non sono più
tristi".
"Oh...".
Clowance abbassò lo sguardo, dando un calcio a un sassolino.
Beh, si
era accorta che il clima in casa era migliorato ed era contenta di
vedere la mamma serena e rilassata, ma per quanto la riguardava,
nulla era cambiato... Il suo papà l'aveva tradita,
abbandonata e
allontanata e ora non le importava che provasse a fare pace con lei,
non era più il papà a cui aveva voluto bene e che
le voleva bene.
La faccia, la voce e il corpo erano i suoi ma tutto il resto era
diverso e non le piaceva. Una volta le aveva detto che era la sua
preferita e che non se ne sarebbe dimenticato e invece alla fine era
diventata la figlia che non voleva più. Non lo avrebbe mai
perdonato, poteva benissimo stare senza papà per sempre,
senza
rivolgergli mai più la parola. Non le importava, non le
importava
per niente! Diede un altro calcio, stavolta rabbioso, al sassolino
che aveva fra i piedi. "Sono contenta anche io per mamma".
"E
per papà?" - chiese Jeremy.
Clowance
alzò le spalle. "Non mi interessa niente di papà".
"Non
è vero!".
"Si
che è vero! A te che importa poi, di cosa penso?".
Jeremy
le si parò davanti. "Mi importa invece, perché
sei proprio
antipatica quando fai così".
Clowance
fece la faccia arrabbiata, mettendosi le mani sui fianchi. "Anche
papà ha fatto l'antipatico con me. Ed è stato
cattivo. Portava
sempre te a fare un giro a cavallo e non voleva mai stare con me sul
pony, ad esempio".
"Tu
non volevi venire a cavallo con noi" – obiettò
Jeremy.
Clowance
abbassò lo sguardo, osservando il mare. Non era vero che non
ci
voleva andare con loro, ma cosa doveva fare? Conosceva il suo
papà e
sapeva di non essere desiderata. "A volte dico delle bugie, che
non voglio fare qualcosa ma in realtà quella cosa la vorrei.
Come
per il cavallo o il pony".
"Ma
perché?" - insistette Jeremy.
"Perchè
sì, non ho voglia di spiegarlo".
Clowance
accelerò il passo e il fratello le corse dietro, accodandosi
a lei.
"Sai, io credo che se tu stessi con lui, guarirebbe prima. Mica
eri la sua preferita?".
La
bimba abbassò lo sguardo, sorridendo con freddezza. "Erano
solo
bugie, non sono la preferita di nessuno". Si tolse gli
stivaletti, entrando in acqua fino alle ginocchia. "E comunque,
adesso non ho proprio voglia di parlare di papà con te.
Siete tu e
Bella i suoi preferiti, aiutatelo voi a guarire e lasciatemi in pace.
Io sono arrabbiata e non voglio stare con lui. Vorrei invece giocare
col mio amico Valentin ma mamma non vuole che lo riveda e non so il
perché. Tu sai perché?".
Jeremy
scosse la testa. "No, nemmeno so chi è questo Valentin".
"Abita
a Trenwith, nella grande casa dopo la nostra".
Il
fratellino alzò le spalle. "Non l'ho mai visto in giro. Ma
se
mamma non vuole che lo vedi, dovresti fare come dice lei e basta".
Clowance
sospirò, scalciando col piede l'acqua. "Lo so, non ho
scelta,
mamma mi rimette in castigo a pulire la stalla, se le disubbidisco.
Però mi dispiace, lui mi ha regalato Artù ed
è mio amico".
Jeremy
sospirò, deciso a cambiare argomento. "Senti, andiamo a
giocare
nella nostra grotta prima di tornare a casa?".
Clowance
si voltò, sorridendogli. "Siii". Era un'ottima idea
quella! La loro grotta era bellissima e piena di segreti, un posto
magico dove lei, spesso, aveva giocato col suo papà.
Corsero
come matti, saltando sul bagnasciuga e ridendo spensierati. Clowance
guardò Jeremy di sfuggita e le venne il pensiero che era
davvero un
bel fratello, dopo tutto. E ora che non aveva più il suo
papà, era
fortunata che ci fosse Jeremy a preoccuparsi per lei. Certo, il
papà
era il papà, ma ormai era perso e non sarebbe tornato quello
di
prima...
Raggiunsero
la grotta e rallentarono il passo, guardandosi attorno incuriositi.
Era da tanti mesi che non ci mettevano piede, dallo scorso autunno
quando con i genitori e Bella ci erano venuti per una scampagnata di
fine stagione. Clowance pensò alle risate fra i suoi
genitori, al
modo in cui suo padre aveva preso la mamma in braccio e l'aveva
lanciata in acqua, a come avevano combattuto fra le onde e al bacio
che si erano dati. Si era sentita una bambina fortunata, in quel
momento, pensò mentre sfiorava il muro di roccia e con
Jeremy si
addentrava nell'oscurità. Fortunata perché
nessuno dei bambini che
conosceva aveva una mamma e un papà che si volevano
così bene e che
ridevano tanto, insieme. Aveva sempre amato tanto il modo di stare
insieme dei suoi genitori e in cuor suo, fin da quando era
piccolissima, aveva pregato di essere felice come la sua mamma,
quando fosse diventata grande e si fosse sposata.
Suo
fratello d'un tratto si fermò. "Guarda! Cosa sono quelli?"
- le chiese, indicandole dei grossi sacchi e delle casse di legno che
riposavano contro la parete, semi coperti da una logora coperta nera.
Clowance
si accigliò, grattandosi la testa. "Non so". Era confusa,
chi poteva averceli portati lì? Era la loro grotta quella,
la loro
spiaggia.
Jeremy
si avvicinò, curiosando fra i sacchi. "Dici che ce li hanno
messi mamma e papà?".
La
bimba scosse la testa. Che idee stupide che aveva ogni tanto, Jeremy!
"No, perché dovrebbero portare qualcosa qui?".
"Non
so Clowance. Lo diciamo a mamma quando torniamo?".
"Si,
certo. Lei saprà cosa sono queste cose e cosa fare".
Si
scambiarono un tacito accordo a non dire a nessuno quanto visto,
eccetto che alla loro madre. E poi corsero a casa, avvertendo in loro
l'esigenza di allontanarsi da quel posto.
...
Demelza
finì di piantare i semi nell’orto, osservando di
sottecchi Ross
che riparava il tetto. Era strano svolgere assieme a lui quei lavori
un tempo tanto abituali per loro e ora divenuti una nuova, piacevole
consuetudine.
Certo,
desiderava con tutta se stessa che Ross guarisse e ricordasse ogni
cosa di loro, tutto ciò che li aveva uniti, tutto
ciò che li aveva
divisi, ogni lacrima e ogni risata insieme, ma già averlo
lì
accanto a lei, sentirlo vicino e avvertire la dolcezza dei suoi baci
e delle sue carezze erano di per se un buon motivo per ringraziare
Dio. C’era e anche se di fatto mancava quel piccolo
passettino a
ritrovare tutto ciò che era andato perso, lui era
lì con lei,
accanto a lei… Non erano più due estranei ma
erano tornati ad
essere un marito e una moglie che si amavano pur in mezzo a
difficoltà e divergenze.
Lo
osservò scendere dalla scala a grosse falcate, avvertendo un
brivido
freddo davanti alla sua spericolatezza a muoversi in bilico nel
vuoto. “Attento o cadrai di nuovo!”.
Ross
rise, prendendo in braccio Bella che giocava con dei sassolini.
“Ah,
nessun problema! Al massimo, se cado, ripicchio la testa e guarisco
dall’amnesia” – esclamò,
avvicinandosi e baciandola a sorpresa
sulle labbra.
Bella
rise, Demelza rise un po’ meno. Gli diede un pizzicotto sulla
guancia e lo guardò con aria di sfida. “Prova a
cadere e a farti
ancora male e ti massacrerò di botte io stessa. Abbi cura di
tua
moglie e della sua serenità”.
“Ma
io ho cura di mia moglie!” – rispose lui,
divertito, prima di
baciarla di nuovo. "E
ho a cuore anche la sua serenità" – concluse,
strizzandole
l'occhio. Poi
mise a terra Bella che si aggrappò ai suoi pantaloni.
“Andiamo a
prendere altra legna nella stalla?” – disse alla
bimba.
“Ti”.
Ross
le sorrise. Prese a camminare con la piccola aggrappata ai suoi
pantaloni come un koala e in breve sparì alla vista della
moglie.
Demelza
sospirò, divertita, richinandosi per continuare il suo
lavoro. Era
stanca e faceva caldo, ma si sentiva rilassata e serena. Andava tutto
bene e presto, ne era certa, anche le cose fra Clowance e Ross si
sarebbero sistemate.
“Mamma!”.
Alzò
la testa, vedendo i figli più grandi aprire la staccionata e
correrle incontro. “Siete stati al mare di ritorno da scuola,
è?”
– chiese loro, notando i vestiti bagnati.
Clowance
la abbracciò. “Sì, abbiamo giocato
sulla spiaggia e poi siamo
andati alla nostra grotta prima di tornare”.
Demelza
accarezzò le loro testoline, notando quanto stessero
crescendo in
fretta e diventando indipendenti. “Avete fatto bene, fa
caldo”.
Jeremy
annuì. “C’è una cosa strana
nella grotta però”.
“Cosa?”.
Clowance
le prese la mano, stringendola. “Dentro alla grotta, qualcuno
ha
messo delle casse di legno piene di roba e dei sacchi. Uffa
però,
non devono farlo, quella è la nostra grotta mamma”.
Demelza
si oscurò a quelle parole. La prima cosa che le venne in
mente erano
i tre contrabbandieri che aveva incontrato con Hugh qualche mese
prima, che nascondevano merce proprio su quella spiaggia. Erano tre
brutti ceffi che di certo non sarebbero mai stati di parola, questo
lo sapeva e doveva aspettarselo. Tuttavia quella notizia
riuscì a
lasciarla pensierosa e incredula. “Contrabbandieri, di
nuovo…”
– borbottò, vaga.
“Cosa?”.
Jeremy la guardò negli occhi, preoccupato.
Demelza
si chinò davanti ai suoi due bambini, parlando sotto voce
perché
Ross non sentisse. Se suo marito avesse saputo una cosa del genere,
per difendere lei e i bambini, si sarebbe cacciato nei guai. Anche
malato era irruento e istintivo, avrebbe agito d’impulso e si
sarebbe cacciato nei guai. Era il suo Ross, certo, ma non era ancora
in grado di muoversi da solo in certe situazioni e Demelza sentiva di
doverlo proteggere. “Bambini, non dite nulla a
papà o si
preoccuperà. Stasera, con la scusa di portare
Artù a fare un giro,
andrò a dare un’occhiata”.
Jeremy
spalancò gli occhi. “Ma mamma, da sola e al
buio?”.
Demelza
gli sorrise, accarezzandogli le guance. Era così protettivo
con lei,
suo figlio… “Non mi succederà niente,
non sarò sola, c’è
Artù. Voi mi dovrete aiutare però con
papà, tenendolo occupato e
mantenendo il segreto. D’accordo soci?” –
chiese loro, usando
quel tono di condivisione e quel termine che aveva fatto di loro tre
una squadra quando vivevano a Londra senza Ross.
Jeremy
annuì, non troppo convinto. Clowance scosse la testa.
“No, io non
ci sto a casa con papà, voglio venire con te”.
“Oh,
Clowance…”.
“Se
non mi porti, faccio la spia con papà” –
ribadì la bimba con
decisione.
Demelza
alzò gli occhi al cielo. Eccola la sua piccola, fiera
rappresentante
del caratteraccio dei Poldark. “D’accordo, hai
vinto! Ma mi
studierò un castigo se continuerai a ricattarmi”
– concluse,
strizzandole l’occhio.
Jeremy
sospirò. “E io e Bella terremo occupato
papà”.
La
conversazione finì così perché in quel
momento Ross ricomparve
alla loro vista, carico di assi di legno, e Demelza fece loro cenno
di fare silenzio.
La
donna finse tranquillità durante tutto il pomeriggio e la
serata,
comportandosi con naturalezza e pacatezza, nonostante la
preoccupazione che la attanagliava. Possibile che non ci fosse mai da
stare tranquilli? Il bracconaggio era un reato punito molto
severamente e non voleva problemi di alcun tipo, soprattutto in
virtù
del fatto che stavolta nessun membro della sua famiglia ne era
coinvolto.
Più
difficile fu aggirare le resistenze di Ross del dopo cena. Suo marito
non aveva piacere che uscisse da sola con Artù e Clowance al
buio,
di sera, ma Demelza, grazie a Bella che dormicchiava e a Prudie che
lamentava mal di schiena, lo convinse a rimanere a casa e a lasciarla
andare da sola per una passeggiata atta a far sgranchire le zampe al
cane.
“Torneremo
presto,
giocheremo un po' con Artù e poi quando saremo stanche
verremo a
casa!”.
E
con quella frase pronunciata in maniera civettuola, era uscita con
cane e figlia, lasciando suo marito pensieroso e perplesso sull'uscio
della porta.
“Mi
piace passeggiare con te” – esclamò
Clowance, prendendola per
mano.
Demelza
strinse la presa su di lei, in preda a una strana ansia. “Non
è
una passeggiata tesoro. Mi raccomando, deve rimanere un
segreto”.
“Giuro
mamma, son brava a mantenere i segreti. Mi
piace avere un segreto con te”.
Demelza,
che avrebbe voluto condividere con lei il suo entusiasmo ma non le
riusciva in alcun modo, alzò gli occhi al cielo, non troppo
convinta
né della parola della figlia né della sua
decisione di portarla con
se.
Camminarono
a passo spedito nella sabbia, mentre Artù trotterellava
felice
davanti a loro, e in una decina di minuti raggiunsero la grotta.
Clowance
corse a mostrarle dove era nascosta la merce e Demelza si morse il
labbro. Era merce di contrabbando, non c’erano dubbi! Quei
sacchi
contenevano sale e le casse di legno vini e liquori. E quei tre
brutti ceffi che aveva incontrato in quello stesso posto assieme a
Hugh, non erano persone di parola.
Prese
un sacco, se lo mise in spalla, decisa sul da farsi.
“Buttiamo
tutto in mare” – disse, risoluta.
“Ma
mamma, non sono cose nostre” – obiettò
Clowance.
“Esatto.
E quindi non devono stare qui. Aiutami, faremo più in
fretta”.
Con
la figlia trascinò le casse fuori dalla grotta, ogni sacco,
ogni
cosa nascosta in quel luogo che apparteneva alla sua famiglia e che
era fonte di bellissimi ricordi per ognuno di loro. Non avrebbe
permesso a dei contrabbandieri di sporcarlo, mai!
Gettarono
tutto fra le onde, dispersero il contenuto dei sacchi nel mare e alla
fine, stanche e sudate, osservarono la loro grotta tornata intatta e
pulita, senza la macchia del contrabbando ad inquinarla.
“Siamo
state brave mamma?”.
Demelza
le sorrise, mentre il cuore le balzava nel petto. “Si,
brave!”.
Ma lo sapeva, era una vittoria temporanea. Quei brutti ceffi
sarebbero tornati di sicuro, ne era certa.
I
guai, si sentiva, erano appena cominciati. E non avrebbe permesso per
nulla al mondo che riguardassero il suo Ross.
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