Capitolo 3
Capitolo 3
Clara
sapeva che suo marito voleva solo ed esclusivamente il meglio per lei. I
migliori vestiti, i migliori ristoranti e, nello specifico, i migliori dottori
per lei ed il loro primo figlio. E se poteva combattere i primi due punti con
un ‘Non ho bisogno di nulla, mi basti
tu.’, non poteva di certo fronteggiarlo sull’ultimo. Avevano bisogno di un
dottore. Non perché Clara non reputasse John bravo nel suo lavoro, anzi sapeva
che era il migliore. Il migliore però nel suo campo.
Far
nascere un bambino non era di certo paragonabile all’asportazione di
un’appendice, una milza o di un tumore allo stomaco, né alle ricuciture da
trauma dei tessuti molli.
Clara
quindi aveva ceduto a quella richiesta di John: far seguire la sua gravidanza
al suo nuovo collega di Edimburgo, nonché uno dei più rinomati della Scozia.
Quindi
eccola lì, nello studio dl Dottor Reynolds, ad aspettare pazientemente il suo
turno tra altre quattro future neo mamme. Tutte accompagnate dal marito o dalla
madre-suocera.
“Quindi…
suo marito lavora al Royal Infirmary?” Chiese una delle giovani in sala
d’attesa con lei.
“Si.”
Rispose Clara con un sorriso quasi forzato.
“E
sei venuta qui da sola?”
“Si.”
Rispose ancora Clara cordialmente, considerando che il tono della giovane era
semplicemente curioso e per nulla di giudizio: “Purtroppo la mia famiglia è a
Blackpool. I genitori di John invece sono di Glasgow, ma purtroppo non sono in
così buona salute da poter affrontare continui viaggi di due ore solo per una
visita di routine.”
“Si,
ma non puoi neanche tu viaggiare da sola. E con un pancione così grande!” Aggiunse
una donna grassoccia sulla cinquantina, seduta proprio accanto alla giovane.
Ma
si era vista lei il suo, di pancione? E non era nemmeno incinta!!
Alle
parole di quella donna, comunque, il cipiglio di Clara divenne più visibile,
accompagnato da un sospiro di frustrazione con il quale la moretta cercava di
calmare il nervosismo. L’aiutò un po’ la gomitata che la ragazza con cui stava
parlando diede alla donna grassoccia, lasciandole intuire che probabilmente
erano lì insieme. La conferma la raggiunse dopo pochi secondi:
“Perdona
mia suocera… Clara, giusto? Purtroppo sembra aver dimenticato quanto possa
essere estenuante una gravidanza e con essa ha dimenticato anche l’educazione.”
“Tranquilla.
Sono orgogliosa del mio ‘enorme’ pancione.” Rispose subito Clara con un sorriso
un po’ più rilassato rivolto alla giovane che aveva scoperto chiamarsi Sarah: “Immagino
che lei, alla trentunesima settimana, non mostrasse così tanto… eppure secondo
il Dottor Reynolds avrei dovuto metter su un paio di chili in più che purtroppo
non mostro.”
“Trentunesima
settimana? Già così avanti?” Chiese la donna grassoccella con lo sguardo
sorpreso: “A maggior ragione, non saresti dovuta venire qui da sola! Povera
cara!”
“Katerine,
per favore!” Sibilò Sarah, imponendole quasi un silenzio forzato per guadagnarsi
solo uno sguardo di disprezzo:
“Andiamo
Sarah! Non sto dicendo nulla di sbagliato.”
“Sono
incinta, non sono malata!” Rispose
esasperata ed irritata Clara, ma mantenendo la sua compostezza: “Mio marito
voleva accompagnarmi, ho insistito io perché non chiamasse un giorno al lavoro
per una visita medica che posso fare da sola. Mi piace la mia indipendenza e
detesto essere trattata come se fossi fatta di cristallo, come se fossi una
malata terminale! Sto dando la vita, così come hanno fatto milioni e milioni di
donne prima di me quando ancora non c’erano tutte le attenzioni mediche di
oggi, ma non sto morendo!”
Clara
incrociò le braccia al petto, ponendo fine alla discussione. Ma le altre future
neo-mamme non sembravano voler essere d’accordo con lei, riempiendo l’aria di
chiacchiericci ed affermazioni di accordo con lei. Almeno, come unica nota
positiva della conversazione, sembravano simpatizzare con lei.
“Dio,
quanto hai ragione!” Disse infatti Sarah, rilasciando un sospiro di sollievo:
“Magari mio marito lo capisse! E’ sempre dietro di me a guardare cosa faccio e
come lo faccio, ripetendo in continuazione: Cara, lascia che porti io la spesa.
Cara, lascia che prenda io questa scatola. Cara attenta a questo, cara attenta
a quello! Dio!”
“Mio
figlio è semplicemente protettivo. Dovresti ritenerti fortunata ad averlo al
tuo fianco.”
Sarah
guardò il volto improvvisamente increspato di sua suocera per poi risponderle
con uno sbuffo:
“Non
è che mi dispiaccia questo suo atteggiamento, anzi sono contenta. Ma quando è
troppo è troppo!”
“Oh,
quanto è vero.” Si intromise un’altra donna incinta, guardando il marito con un
sorriso malizioso prima di continuare: “L’altro giorno non sono riuscita a
contenere uno starnuto. Mio marito è corso subito al mio fianco tutto
imbronciato dicendo: Tesoro, così farai uscire il bambino!”
Tutte
scoppiarono a ridere, tranne il povero marito lì presente che era diventato
rosso per l’imbarazzo.
“Goditela
finchè puoi, Sarah!” Concluse infine un’altra donna che sembrava essere sulla
trentina e più matura delle giovani lì presenti: “Quando il bambino nascerà
cambierà tutto.”
“Cosa
vuoi dire?” Chiese Clara con curiosità.
“Che
il primo pianto notturno, tuo marito si sveglierà ed andrà a controllare il
bambino.” Rispose la donna: “Ma la notte successiva, al primo vagito si girerà
dall’altra parte e comincerà a russare più forte.”
Un
coro di consensi ed affermazioni di un veritiero si ammassavano e confondevano
tra loro. A quanto sembrava solo Sarah e Clara erano alla loro prima esperienza
e quelle parole non erano di certo confortanti….
No. Non il mio
John.
*****
Qualche
mese dopo, Clara era nel suo letto; la testa poggiata sul petto di John e le
braccia di lui avvolte attorno al corpo la tenevano in una stretta morbida ma
salda. Il respiro regolare del sonno di entrambi era l’unico suono della casa,
confermando la pace e la serenità di un sonno privo di incubi.
“Weeeeee!
Weeeeee!”
E
poi il pianto di un bambino interruppe il silenzio.
Clara
e John emisero all’unisono un respiro profondo, mescolandosi sotto le lenzuola
mentre i loro corpi si destavano dal sonno profondo in cui erano sprofondati.
Con
la memoria muscolare e l’istinto già ricettivo e più sveglio del cervello, il
corpo di Clara si era alzato e si era ritrovata seduta al bordo del letto
mentre i piedi cercavano le pantofole alla cieca.
John,
passandosi una mano sul volto, ma ancora steso sul letto, con voce roca ed un
sospiro disse:
“Vado
io… stai giù.”
“No.”
Rispose Clara, guardando l’orologio per controllare l’ora: segnava le cinque
del mattino.
“ Sei tornato poco più di un’ora fa
dall’ospedale e devi tornarci tra poche ore… dormi.”
Il
turno di John avrebbe dovuto coprire il
mattino, ma un’emergenza lo aveva richiamato in sala operatoria alle otto di
sera ed era tornato a casa alle tre e mezza della notte, stanco e devastato.
Fino
a quel momento si era sempre comportato come il migliore dei mariti e padre
modello, occupandosi di George con premura e responsabilità, alleggerendo il
peso sulle spalle della moglie ed assumendosi lui stesso il peso di molte notti
in bianco a causa di pianti disperati da colichette. Clara non poteva
lamentarsi di suo marito su questo punto. Anzi.
Finalmente
in piedi, la novella madre si fece largo verso la stanza del figlio, piegandosi
sulla culla del bambino con sussurri rassicuranti accompagnati da dolci melodie
calmanti, pezzi di una qualche ninna nanna da lungo tempo dimenticata, ma che
probabilmente risaliva dalle memorie infantili in cui era sua madre a cantare
per lei.
“Ecco.
La mamma e qui…” Disse Clara, portandosi il neonato al petto e cullandolo per
calmarlo.
Le
era bastato poco per capire il motivo di quelle urla: una tutina sporca ed un
pannolino che purtroppo non aveva contenuto a sufficienza.
Clara
aveva poggiato George sul fasciatoio, apprestandosi a ripulirlo e cambiarlo
quando avvertì dei passi fin troppo familiari dietro di lei ed una mano che le
si posava sulla spalla.
“Ti
avevo detto che ci avrei pensato io. Torna a letto.” Disse la giovane madre con
un tono dolce ed il sorriso sulle labbra, avvertendo le labbra del marito sulla
guancia ed un braccio attorno alla vita.
“Non
posso dormire senza di te.” Rispose John, poggiando il biberon colmo di latte
appena scaldato sul mobiletto e sprofondando il volto contro il collo di lei:
“E non posso dormire senza sapere se il piccolo facehugger sta bene.”
“Facehugger?
Come i mostri di Alien?” Protestò la giovane con una smorfia, chiudendo i
bottoncini della tutina pulita con cui aveva vestito il bambino.
“No.”
Rispose John ridacchiando, staccandosi da lei quanto bastava per farle prendere
nuovamente George tra le braccia e voltare entrambi verso di sé: “Cioè si… è il
nome dei mostri di Alien. Ma con lui hanno un significato diverso… vero, il mio
piccolo Facehugger?”
John
prese George dalle braccia della madre, affondando il volto contro il pancino
del bimbo ed esprimendosi in stupide espressioni di finto soccorso e versi
indefinibili. Le manine di George si strinsero automaticamente attorno ai
riccioli grigi del Dottore, lasciandosi sfuggire qualche piccolo gemito ben
lontano però dal pianto.
“Sei
uno stupido. Ma uno stupido divertente, devo ammetterlo…” Sospirò Clara,
scuotendo la testa nel vedere padre e figlio già così complici sin dall’inizio.
John
spostò appena la testa verso l’alto, incontrando col suo viso il visino piccolo
di suo figlio per piantargli un bacio sulla fronte prima di riportarlo al
sicuro tra le sue braccia, con la testolina poggiata contro la spalla ed una
mano a sostenergli il collo.
“Non
sono stupido, Clara.” John fece il finto offeso, alzando un sopracciglio in
direzione della moglie: “Sono solo un padre innamorato di suo figlio.”
“Un
padre innamorato di suo figlio che domani mattina dovrà andare al lavoro ed
occuparsi di interventi difficili…”
“Ho
metà del mio turno coperto, posso dormire dopo aver dato da mangiare a mio
figlio.”
“Posso
allattarlo io.” Sorrise sua moglie, stuzzicandolo ed aspettandosi esattamente
la reazione che John le avrebbe mostrato da lì a poco con un secco:
“No!”
John
raccolse il biberon dal mobiletto, guardando sua moglie con gli occhi di un
padre fin troppo possessivo:
“Non
togliermi questo, Clara! Quando sono a casa voglio solo godere del mio tempo
con mio figlio. Voglio esserci per lui. Tu puoi allattarlo e coccolarlo quando
io non ci sono!”
“Ti
rendi conto che si tratta di un bambino e non di un giocattolo?” Lo prese in
giro lei, sorridendo ma lasciandolo fare.
“Si!”
John
le cacciò la linguaccia e si allontanò verso la camera da letto, ponendo fine
alla discussione.
“Va
bene… almeno posso lavare questa mentre ti occupi tu di lui.” Sospirò Clara,
raccogliendo la tutina sporca dal fasciatoio.
“Puoi
farlo domani mattina… dai, vieni a letto.” John aveva spinto la testa oltre la
porta, col corpo nascosto per metà dallo stipite.
“No…
meglio farlo adesso. Vai, prima che ti tolga George dalle braccia!”
John
le mostrò la lingua, scomparendo definitivamente nel corridoio.
Clara
scosse la testa, stanca ma felice. Raccolse la tutina sporca di George e pensò
bene di dargli una lavata prima del mattino. Ogni giorno era un giorno nuovo e
con un bambino appena nato ogni impegno preso era destinato a saltare. Lo aveva
imparato in fretta non appena aveva cercato di organizzare gli impegni per la
giornata nei primi giorni a casa da sola. Colazione? Quale colazione? Lavare i
piatti o pulire la polvere dalla televisione? Ma perché…. avevano ancora una
televisione in casa? Quindi, aveva imparato che se aveva una cosa da fare era
meglio farla sul momento e non rimandarla. Perché se avesse rimandato quella
tutina sarebbe rimasta a marcire e puzzare per chissà quanto… purtroppo!!
Al
ritorno in camera da letto la luce tenue dell’alba penetrava dalle tende
leggermente scostate. Clara era troppo stanca, ma rassegnata ad aver dormito
decisamente troppo poco per una notte più o meno calma. Si ritrovò però davanti
una scena che, come un balsamo, sembrò curarle ogni traccia di stress dandole
una sensazione piacevolissima di gioia e tenerezza.
John
era a letto, un doppio cuscino sotto la testa a tenerlo in una posizione mezza
supina e George a pancia in giù addormentato sul petto di suo padre. Le braccia
di John facevano da coperta al piccolo corpo del bambino, tenendolo protetto in
una presa che Clara conosceva fin troppo bene. Una presa che tante notti l’aveva tenuta al
sicuro, una presa piena di amore che lei non avrebbe ceduto o venduto per nulla
al mondo, per nulla nell’intero Universo.
Raggiunse
il marito ed il figlio a letto, facendo attenzione a non svegliare nessuno dei
due.
John
aprì gli occhi, sorridendole ed accogliendola al suo fianco.
“Dorme
con noi, quindi?” Chiese a suo marito.
“Si.”
Sussurrò John, piegando appena la testa per baciare sua moglie sulla testa: “Ti
stavamo aspettando.”
Clara
sorrise, guardò l’orologio che segnava ormai le sei passate e corse infine con
la mano a carezzare la guancia e poi la fronte di suo marito. Sprofondò le dita
tra i suoi capelli lanuginosi e soffici, guadagnandosi dei gemiti gutturali
provenienti dalla gola profonda di John. Gemiti di gradimento che si spensero
non appena il piccolo George si mosse e lamentò la vibrazione del petto di suo
padre che lo aveva leggermente distolto dal sonno.
“Dovrei
preparare la colazione… è mattino.”
“No…”
Rispose John con voce assonnata: “Non è mattino. Non lo è per noi. Vieni qui e
dormi con noi. Alla colazione ci pensiamo quando davvero sarà mattina.”
Clara
sospirò, chinandosi a lasciare un bacio veloce sulle labbra del marito per poi
baciare la tempia del figlio, prima di stendersi al fianco di John. Poggiò la
testa sul cuscino accanto a quella del marito, con la fronte che toccava la
guancia di lui ed un braccio che avvolgeva marito e figlio assieme. Entrambi
sospirarono contenti, un sorriso sulle labbra e gli occhi chiusi dalla
stanchezza:
“Allora
buonanotte. Ai due uomini della mia vita.”
“Buonanotte,
Clara. Grazie per quello che mi hai dato… ti amo.” Rispose John, a metà strada
sulla via del sonno e la voce già distante .
“Ti
amo anch’io.”
Clara
si strinse appena un po’ di più a suo marito, mentre il ricordo di una
conversazione avuta mesi prima in una sala d’attesa veniva riesumato da chissà
quale scomparto recondito della sua mente.
Clara
sorrise ancor di più, un ennesimo sorriso felice prima di abbandonarsi al sonno
meritato.
Forse
era il fatto di esser diventato padre ad un’età in cui gli altri uomini hanno
figli già grandi pronti a spiccare il volo, lasciare il nido per costruirsi il
proprio. O forse gli uomini della sua generazione erano troppo fraccomodi ed
immaturi per capire quali e quanto fossero davvero importanti le gioie della
paternità…. Chi poteva dirlo?
Ma
girarsi dall’altra parte?
No.
Il suo John non era così.
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NOTA:
Capitolo
piccolo e non proprio bellissimo. In realtà fa schifo xD ma l’ho scritto di
getto e voluto pubblicare subito come scusa per fare un piccolo avviso. Ho
cancellato la storia principale perché in viaggio verso le case editrici.
Diritti già posti sulla storia che, ovviamente, è stata modificata, revisionata
e riadattata a dovere, con aggiunta di capitoli ed eliminazione di altri.
Quindi per i furbi occhio al copia ed incolla u.u come John sono gelosa delle
mie cose ed ho buoni avvocati. :D
Grazie
invece a tutti quelli che hanno sostenuto la storia ecc… vi chiedo scusa se non
la troverete più nella lista dei vostri preferiti, ma tra qualche mese magari
potrete trovarla negli scaffali di una libreria <3
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