Moana
era felice.
Senza
un attimo di respiro, impegnata, ricercata e richiesta, ma felice.
Si
alzava molto presto al mattino e girava per l'isola con Pua accanto,
a controllare che tutto procedesse per il meglio, che tutti avessero
i loro compiti e li svolgessero senza intoppi.
Per
prima cosa andava sempre verso la spiaggia, un po' per augurare buon
giorno all'oceano, ma soprattutto per controllare la costruzione di
canoe e barche, una nuova attività del suo popolo.
All'inizio
era stato difficile, ma studiando le grandi barche dei loro antenati
erano riusciti a capire molto e provando e riprovando, ormai potevano
dirsi mediamente esperti nell'arte di costruire imbarcazioni: piccole
per navigazioni in solitaria, medie che potevano contenere una
famiglia o grandi, per ospitarne più assieme durante grandi
traversate.
Avevano
navigato molto e ancora lo facevano.
Lei
e la sua tribù avevano viaggiato ed esplorato in lungo e in
largo
per l'oceano e scoperto una miriade di isole, altre tribù
dalle
quali si erano separati un millennio prima: c'era stato all'inizio un
lieve problema nella comunicazione, a causa della lunga separazione
ogni isola aveva sviluppato un proprio vocabolario, ma in breve tempo
avevano riconosciuto le radici comuni che affondavano nel loro
passato condiviso e imparare e capire come comunicare era stato
sempre più semplice.
Avevano
insegnato ai loro lontani consanguinei a viaggiare e a costruire
barche, avevano appreso a loro volta nuovi costumi, nuove tecniche,
nuovi prodotti della terra e nuove pietanze e nel frattempo anche
raccontato l'avventura di Moana e riscattato così anche il
nome di
Maui.
Erano
stati per mare per anni, decisi a recuperare tutto il tempo perso
confinati nell'isola, ma alla fine era proprio lì che erano
ritornati: Motunui.
Le
altre isole riscoperte erano già abitate o inabitabili,
troppo
piccole o inospitali, e alla fine la soluzione più giusta
era stata
ritornare al punto di partenza, lì da dove erano partiti.
Motunui
era sembrata la stessa e incredibilmente nuova allo stesso tempo. La
vegetazione incolta aveva recuperato il suo posto, cancellando i
sentieri e abbarbicandosi sulle case, così che quando erano
sbarcati, quasi avevano faticato a riconoscerla.
E
tuttavia era stato emozionante riscoprirla. Creare nuovi sentieri,
costruire nuove case, spostare addirittura parte del villaggio,
ridisegnarlo secondo nuove idee.
Avevano
piantato i frutti e i fiori presi dai loro viaggi e tutta l'isola era
un tripudio di colori, vecchi e nuovi mescolati, che appagavano la
vista e i cuori di tutti.
Motunui
non era mai stata così bella.
E
ormai il tabù del reef non c'era più,
perciò potevano andare e
tornare, viaggiare per visitare i loro vicini di isole, organizzare
battute di pesca in pieno oceano, avevano perfino indetto una gara
annuale di navigazione per decretare il migliore Wayfinder.
Moana
non poteva partecipare, in qualità di capo doveva essere il
giudice
della competizione, altrimenti avrebbe vinto lei, ne era abbastanza
certa.
Aveva
accettato la carica appena un anno prima e suo padre, Tui, si era
fatto da parte volentieri, rimanendo al suo fianco come consigliere
quando lei ne aveva necessità, anche se non accadeva
praticamente
mai fortunatamente: Moana era un capo egregio, a detta di tutti.
Aveva imparato molto e metteva
in pratica tutti i buoni consigli acquisiti. Anche per mare, e a
contatto con le nuove tribù, aveva saputo affrontare le
sfide con
coraggio e determinazione e non c'erano mai stati incidenti.
E, fortunatamente, la sua vita
da capo non le impediva ogni tanto di prendere la sua barca
regalatale da Te Fiti e spingersi oltre il reef, e navigare per
qualche ora, e a volte qualche giorno, a contatto con l'oceano, suo
amico, e i suoi pensieri.
Percorreva
ogni giorno a piedi
tutta Motunui, osservando la sua gente svegliarsi e il villaggio
prendere vita: i pescatori uscivano alle prime luci dell'alba, i
raccoglitori di cocco si arrampicavano con agilità, le donne
anziane
tessevano assieme, chiacchierando degli ultimi pettegolezzi; poi
c'erano da controllare gli allevamenti di pollame e maiali, le
lezioni di danza e antiche leggende, gli scultori che incidevano
monili e statue nel legno e i cuochi addetti ai fuochi e alla
preparazione di cibo per tutta la tribù.
A volte percorreva tutta l'isola
anche venti volte, correndo da una parte all'altra in fretta, da
dimenticarsi anche di mangiare. Eppure non le pesava minimamente.
Quindi
sì, Moana era felice.
Se
non fosse stato per il problema matrimonio.
I
suoi genitori non le avevano fatto alcuna pressione, ma presala da
parte, un mese prima, le avevano fatto un discorso serio e sentito
sul suo futuro, sulla sua vita, su cosa desiderasse per l'isola e per
sé stessa; le avevano fatto intendere che sposandosi avrebbe
avuto
un alleato fedele al suo fianco e anche quanto desiderassero avere
dei nipoti.
Moana
sospettava che fosse interamente per avere dei nipoti.
Ormai
era in età da marito da un po', tutte le sue coetanee erano
sposate
e con almeno un bambino già nato o in arrivo, ma lei come
capo aveva
avuto la facoltà di delegare.
Ma
come le ricordava spesso, anche troppo, suo padre, non stava certo
ringiovanendo, anzi: Moana aveva solo ventidue anni, ma quando lo
sentiva pronunciare quella frase se ne sentiva addosso il doppio.
Quindi,
sempre senza esagerare nell'intromettersi, i suoi genitori le avevano
fatto sapere che c'erano un paio di giovanotti scelti sull'isola, e
anche un paio di altre isole vicine, che sarebbero stati onorati di
ricevere il permesso di corteggiarla in vista di una possibile
unione. E Moana, seppure titubante, si era impegnata davvero e li
aveva incontrati tutti almeno una volta.
E
non le erano piaciuti.
Non
avevano niente che non andasse, a esser sinceri: tutti prestanti e
atletici, bravi nelle arti manuali o nella pesca, interessati ai
problemi delle persone e di buon cuore... ma non le dicevano nulla.
Mancava sempre qualcosa.
Tuttavia, continuò ad accettare
gli inviti degli spasimanti, nella speranza che un giorno la
scintilla dell'amore l'avrebbe colpita, portandola così al
matrimonio per la gioia di tutti e in special modo dei suoi genitori.
Per
quella giornata aveva già risolto un paio di problemi,
niente di
davvero interessante, solo una disputa tra due vicini per la
divisione del racconto di cocchi e una denuncia da parte dell'anziana
Opuni contro sua nipote, che non le aveva mai regalato due maiali e
tre galline come le aveva promesso.
A
volte Moana credeva che gli abitanti del suo villaggio si creassero
problemi anche quando non ne avevano, solo per passare il tempo o per
testare la sua pazienza.
Era
già al terzo giro dell'isola, aveva controllato e
ricontrollato
tutto per bene e il sole era ormai alto nel cielo: scintillava con
bagliori accecanti sulla superficie dell'oceano, solleticandole il
cuore con la voglia di navigare.
Poteva
permettersi di sparire per qualche ora.
Sgattaiolò
via, solo suo padre se ne accorse, e si recò alla spiaggia:
chiuse
un attimo gli occhi e assaporò il sole caldo sulla pelle, si
riempì
i polmoni di meravigliosa aria salmastra e si beò del suono
della
risacca delle onde.
Sarebbe
stato perfetto, se un gallo non stesse vagando picchiettando il becco
sulla sabbia, andando palesemente verso l'acqua.
“Heihei”
sospirò sconsolata Moana, senza tuttavia muoversi di un
passo. Ormai
era abituata da tempo alle stranezze del suo animaletto.
Quando
il ruspante arrivò alla fine della sabbia, un'onda si
alzò
gentilmente dall'oceano, scosse la cima in quello che pareva un segno
di diniego e poi spostò il gallo dalla traiettoria,
dirigendolo
dall'altra parte.
“Grazie,
Oceano” disse con rinnovato entusiasmo. “Stavo
pensando ad un
giro attorno all'isola.”
L'onda
annuì vigorosamente, mentre lei si avvicinava alla sua barca
e
iniziava a controllarla per partire.
“Con
chi stai parlando?” domandò una voce maschile.
L'onda
sparì immediatamente e Moana si voltò, un po'
seccata.
“Da
sola” rispose al giovane uomo che distava solo pochi metri,
con
un'espressione curiosa.
Tutti
al villaggio sapevano che aveva un rapporto speciale con l'oceano,
che era stata scelta, ma non le piaceva che loro vedessero quando
interagiva con lei e nemmeno all'oceano sembrava piacere mostrarsi, o
forse trovava Tane'i particolarmente antipatico.
Tane'ì
era uno dei giovani a cui era stato concesso, per rango e
abilità,
di corteggiarla. Era alto, quanto suo padre forse, con occhi e
capelli scuri, che teneva legati in una coda bassa, pelle ambrata e
un tatuaggio tribale nella parte sinistra del petto che risaliva fino
alla spalla e correva lungo il braccio sino al gomito. Era piacente,
era forte, era ambito.
Ed
era insistente.
“Dovevamo
vederci, oggi” le ricordò infatti, avvicinandosi
di qualche passo.
“Uh...
sì, certo, non l'ho dimenticato”
farfugliò in fretta Moana,
spostandosi appena dalla barca con aria svagata.
“Ho...
pensato che possiamo andare a fare un giro in barca” aggiunse
subito, per giustificare la sua presenza lì.
Il
giovane occhieggiò il suo sorriso forzato, la cima della
canoa già
mollata e poi verso il gallo che becchettava una conchiglia a un
metro di distanza.
Strinse
le labbra e aggrottò le sopracciglia, palesemente in
riflessione.
Moana iniziò a pregare tra i denti che declinasse l'invito e
la
lasciasse andare da sola, fino che lui non rispose:
“Sì,
va bene, perché no?”
Moana
si sgonfiò, lasciando andare la delusione. Si mise ad
armeggiare con
la barca e rollò gli occhi al cielo in direzione
dell'oceano, ma
quello rimase liscio e piatto, deciso a non farsi vedere dall'uomo.
Tane'ì
non le era antipatico, era più vero che le stava
indifferente; non
le piaceva in tal senso e qualcosa le diceva che anche sposandolo per
obbligo, per fare la cosa giusta per il suo villaggio, non sarebbe
mai stata felice. Non come lo erano i suoi genitori, per esempio.
“Il
gallo viene con noi?” lo sentì chiedere ad un
certo punto.
Heihei
era vicino all'albero della vela, salito chissà quando, e
beccava
pigramente intorno.
Moana
sorrise con affetto, poi si voltò per rispondergli.
“Sì,
Heihei è un ottimo navigatore. È arrivato fino a
Te Fiti e ha anche
dato una mano.”
Ovviamente
la storia era un tantino gonfiata, e non aveva rivelato che il gallo
aveva cercato di annegarsi almeno una ventina di volte, ma andava
bene così; con Heihei in barca avrebbe evitato situazioni
scomode
con lui.
Stava
per voltarsi e spingere la canoa in mare, ma l'espressione di Tane'i
si incupì e lo vide strizzare gli occhi, come per mettere a
fuoco.
“Quello
è...”
Moana
si voltò verso l'oceano e si schermò il viso con
una mano, cercando
di mettere a fuoco in lontananza, tra la linea che separava l'oceano
e il cielo.
C'era
qualcosa, un puntino scuro che andava avvicinandosi, e dopo qualche
istante riuscì finalmente a focalizzare un'imbarcazione.
“È
una barca rotta” disse grave Tane'i, alle sue spalle.
E
finalmente la vide bene anche lei, si accorse della vela strappata,
dell'albero piegato e della macchia gialla distesa sul ponte. C'era
qualcuno, sopra.
Spinse
forte la sua barca in mare e saltò su, ignorando le urla di
Tane'i,
lasciato indietro: con pochi colpi di pagaia era già in mare
aperto,
con un colpo deciso di corda aprì la vela e prese
velocità,
oltrepassando in un attimo la barriera del reef; la canoa si
innalzò
e ricadde con un tonfo sollevando spruzzi.
Il
puntino sempre più vicino e visibile e poté
vedere bene l'altra
imbarcazione, la vela strappata come da artigli, l'albero inarcato e
le numerose assi strappate via dal ponte: su di esso c'era un corpo
adagiato, poteva essere un bambino a giudicare dalla dimensione;
riusciva a vedere solo il giallo del suo abito, da quella distanza.
Era
supino e immobile, e sembrava non respirare.
Tirò
la corda e ammainò la piccola vela, iniziò a
decelerare e quando
non era che a pochi passi si lanciò letteralmente sull'altra
barca e
si inchinò vicino al piccolo corpo.
Era
un bambino, non poteva avere più di sette o otto anni. Il
suo corpo
era ricoperto di tagli e la pelle bruna era scottata dal sole: le
labbra erano secche e screpolate.
Lo
prese piano tra le braccia e si accorse che respirava ancora, anche
se a fatica. Lo portò in fretta sulla sua barca, ma
delicatamente
per non fargli altro male, e lo adagiò; prese il remo e
riaprì la
vela e filò dritta verso la spiaggia, più veloce
che poteva.
Riusciva
a vedere Tane'i che l'attendeva e doveva aver chiamato soccorsi,
perché c'erano altre persone insieme a lui.
Era
concentrata come non era mai stata prima, perciò quando
sentì un
mugolio provenire dal ragazzino, trasalì, presa alla
sprovvista.
Heihei aveva iniziato a becchettargli un piede e quello si
contorceva, lamentandosi nell'incoscienza.
“Heihei,
sciò!” lo sgridò Moana, allungando il
remo per spostarlo appena.
Il
ragazzino esalò un altro lamento, muovendosi appena, poi...
“Ma-
Maui” sussurrò, prima di ripiombare nel doloroso
silenzio.
Per
qualche motivo, la pena con cui lo aveva pronunciato ferì le
orecchie di Moana.
Erano
arrivati alla spiaggia. Trainò in fretta la barca in secca e
contemporaneamente il piccolo gruppetto si avvicinò, i loro
volti
estremamente seri. C'era suo padre tra di loro, assieme ai guaritori.
Un
uomo afferrò piano il bambino e corse via, mentre l'ex
capovillaggio
le si fece incontro, controllando che lei stesse bene.
“Viene
dall'isola di Âio,
ho riconosciuto le decorazioni sul suo lavalava”
spiegò Moana
prontamente.
“C'era
qualcosa sulla sua barca? Ti ha detto cosa gli è
successo?”
domandò Tui, iniziando ad incamminarsi con lei verso il
villaggio.
Tane'i era pochi passi dietro di loro, in silenzio.
“Non
c'era nulla e lui... non ha parlato” mormorò in
risposta, senza
sapere perché non avesse detto che il bambino aveva invocato
il nome
di Maui.
Rimasero
ad aspettare per un po' fuori dal fala dei guaritori e intanto la
notizia si era già sparsa in tutto il villaggio e molti
curiosi
erano arrivati a domandare e controllare o ad offrire un po' di
compagnia.
Dato
che ci sarebbe stato da attendere, un guaritore era uscito per
avvisarli che il bambino non era in pericolo di vita, ma che
necessitava di molte cure e di riposo, Moana fece un altro giro
dell'isola, con Pua accanto.
Controllò
il fala dei cuochi e le pietanze preparate per la giornata, la
produzione di cestini, la pesca giornaliera e parlò con la
gente
preoccupata per il bambino trovato, rassicurandoli.
In
realtà, però, la sua mente era da tutt'altra
parte. Per tutto il
tempo, una parte di sé continuava a chiedersi
perché il naufrago
avesse nominato Maui nel suo delirio.
Era
forse salpato in cerca dell'aiuto del semidio?
Allora
cercarlo lì non era stata una giusta mossa.
Maui
era lontano da molto tempo, ormai.
All'inizio,
subito dopo la loro avventura, passava a trovarla spesso e si
tratteneva a lungo: amava quando celebravano feste in suo onore e
giocare con i bambini, anche se faceva finta del contrario.
La
sua tribù lo trattava ormai come uno di loro e le altre che
avevano
incontrato lo riverivano e si meravigliavano della grande amicizia
che li univa.
Poi,
col passare degli anni, le visite si erano fatte sempre più
rade e
le permanenze più corte: sgusciava via con scuse, faceva
intendere
che la sua vita da semidio fosse troppo impegnativa, troppe avventure
da vivere, e le diceva che non poteva proprio stare sempre
lì con
loro.
A
volte si era chiesta se non si fosse solo stancato di loro e non
sapesse come dirglielo.
Ma
tra il navigare e il fare il capo e crescere e maturare, non c'era
stato il tempo per fermarsi e domandarglielo e così
semplicemente
avevano iniziato a distanziarsi.
Non
lo vedeva da sei mesi, ormai. E le mancava da morire.
Le
mancava la sua chiassosa e spassosa presenza, quel suo essere
vanitoso che nascondeva solo la sua insicurezza, tutta l'euforia che
suscitava nel villaggio ogni volta che arrivava e soprattutto l'odore
di avventura che lo permeava, la promessa di viaggi strabilianti e di
mirabolanti imprese che gli scintillava negli occhi, che lei, Moana,
bramava di poter vivere.
Perché
sì, era felice, ma a volte le mancava quel morso allo
stomaco di
gioia e libertà che aveva provato solo quando era partita,
poco più
che una ragazza, senza esperienza, senza un vero piano, per
restaurare il cuore di Te Fiti.
Quell'avventura,
il suo ricordo, i suoi scontri con Maui per convincerlo ad aiutarla,
Heihei l'infiltrato, i giorni circondati dall'oceano, solo
dall'oceano, tutte le battaglie e gli imprevisti, le serravano il
cuore di nostalgia e desiderio, a volte tenendola sveglia la notte.
Si
fermò sulla cima della montagna, nel luogo sacro dei suoi
antenati,
senza sapere come ci fosse arrivata: osservò la sua
conchiglia posta
sul pilastro di pietre dei passati capi-villaggio e inspirò
a fondo.
Ormai
non era più combattuta tra il suo dovere da capo-villaggio e
il
desiderio di navigare: era più matura, più
equilibrata, e sapeva
conciliare perfettamente le due cose; eppure sentiva sempre che le
mancava qualcosa.
E
forse c'entrava Maui.
Si
sporse oltre il ciglio, il vento gentile fece ondeggiare la sua gonna
rossa e i suoi capelli corvini. Poi, vide la luce di una fiaccola
dondolare a destra e a sinistra, piccola, lontana, alle pendici della
montagna: qualcuno le stava facendo dei segnali.
Sembrava
molto urgente.
Si
lanciò in una corsa sfrenata, prendendo la scorciatoia sul
baratro,
che oltrepassò in volo usando una foglia di cocco per
scivolare
lungo il tronco caduto di un albero; in poco tempo era a valle, e
riprese a correre con tutte le sue forze, ignorando i commenti o i
saluti delle persone che la intravidero.
Superò
il suo fala, lo spiazzo davanti ad esso e il fala delle riunioni, e
iniziò a rallentare solo quando vide da lontano quello dei
guaritori, dove un ragazzo, Afu, continuava ad agitare una fiaccola.
“Capo
Moana! Capo Moana!” urlò quando la vide, andandole
incontro. Era
un ragazzetto di undici anni, ma così maturo per la sua
età.
“Capo
Tui mi ha mandato a chiamarti: il naufrago ha avuto una crisi. Sono
nel fala!”
Moana
lo ringraziò velocemente e scostando il tapa all'ingresso
entrò
nella capanna in penombra, rischiarata dalle fiaccole: c'erano due
guaritori, che cercavano di tenere fermo il bambino in preda ad un
attacco di ira o panico; urlava a pieni polmoni, gli occhi spalancati
pieni di orrore, divincolandosi con tutte le forze del suo piccolo
corpo, incurante del dolore.
Moana
si precipitò al suo capezzale, cercando di aiutare come
poteva,
senza nemmeno far caso a suo padre ritto vicino all'entrata, anche
lui incapace di fare qualcosa; lei si inchinò a fianco al
bambino e
gli prese una mano, mormorando parole rassicuranti nel suo dialetto,
pescato in fretta nella memoria. Il piccolo si fermò
all'istante e
puntò su di lei gli occhi allucinati, stringendo la mano con
disperazione.
“Ha
ucciso tutti, ha distrutto tutto. Maui è un demone... Maui
ha ucciso
tutti!”
E
con un ultimo grido soffocato, come un pianto trattenuto, la presa si
allentò e il bambino ricadde a terra, svenuto.
I
guaritori la spostarono senza molte cerimonie, occupandosi
immediatamente del piccolo, mentre lei, Moana, ancora a terra,
assimilava quello che aveva sentito, che loro non avevano capito
nella lingua del bambino.
Tui
si inchinò e la aiutò ad alzarsi, portandola
fuori quasi di peso,
mentre la sua testa turbinava e il cuore si stringeva di orrore:
Maui, era stato Maui.
No,
non Maui, no... com'era possibile?
Fala:
abitazioni, capanne solitamente in legno
Tapa:
grandi teli, o anche tappetti, decorati a mano e di grande pregio, in
genere affissi nelle capanne come tende o arazzi.
Lavalava:
gonnellino di tessuto o foglie.
Note:
Salve.
Da
un po' di tempo avevo in mente questa storia, il primo capitolo era
pronto da un po', ma rimandavo sempre. Adesso mi sono detta basta ed
eccomi, anche se vi avviso che le pubblicazioni non saranno molto
veloci, ma piano piano la porterò a termine.
La
storia è Angst! Angst! L'ho già detto Angst?
Ma
chissà che non ci sia anche un po' di romanticismo... non
posso
anticipare nulla per ora.
Grazie
per avere letto, un abbraccio
alla
prossima
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