ReggaeFamily
Soundcheck
II
Finii
di montare l'ultimo piatto della batteria e osservai il mio operato
con occhio critico, controllando che ogni singolo pezzo fosse al suo
posto e alla giusta distanza rispetto agli altri.
Mi
guardai intorno e incrociai la figura affaticata di Jared: stava
ancora trasportando il suo amplificatore sul portico del chiosco e
sembrava che questo pesasse una tonnellata. Josh, dietro di lui,
teneva tra le mani la chitarra di entrambi, lamentandosi per la
pigrizia del nostro amico.
«Ehi
spilungone, perché non ci dai una mano anziché
contemplare la tua batteria neanche fosse in oro zecchino?» mi
apostrofò Jared, posando a terra l'amplificatore e
asciugandosi il sudore dalla fronte con un gesto sbrigativo della
mano.
«Stavo
lavorando fino a ora, che vuoi?» borbottai, senza muovermi di
un millimetro.
«Datevi
una mossa e smettetela di litigare come dei bambini» tagliò
corto Lilith, camminando a passo spedito; si fermò solo quando
si ritrovò nel punto in cui riteneva di potersi sistemare con
il suo basso e l'asta del microfono.
Il
gestore del locale si affacciò dall'interno del chiosco in
legno chiaro e ci lanciò un'occhiata interrogativa. «Qualche
problema?» domandò.
«Tutto
a posto, amico. Può portarci un paio di birre? Qua fuori fa un
caldo pazzesco» replicò Jared, indirizzandogli un
sorriso.
L'uomo
annuì appena e rientrò, lasciandoci a sistemare i
nostri strumenti.
Con
un sospiro, frugai nel mio zaino e ne estrassi una bottiglietta
d'acqua ormai bollente. Ne buttai giù qualche sorso e il mio
viso si distorse in una smorfia. «Sembra brodo di pollo»
commentai, lanciando nuovamente l'oggetto al suo posto.
«Ragazzi,
ce la facciamo entro oggi?» si spazientì Josh, che nel
frattempo era andato a recuperare il suo amplificatore. Si adoperò
subito per montarlo, ma presto fu costretto a dare una mano anche a
Jared, il quale compiva gesti lenti e tremendamente esasperanti.
Mi
sedetti sullo sgabello dietro alla batteria e mi chinai per cercare
un paio di bacchette nello zaino. Cominciai a suonare un ritmo
semplice, in quattro quarti, giusto per scaldarmi un po' e testare i
suoni di piatti e tamburi.
Ben
presto cominciai ad annoiarmi, così presi a eseguire dei
passaggi e improvvisare, facendo così un gran baccano.
Lilith
si voltò a guardarmi e sorrise, per poi accompagnarmi con una
complicatissima linea di basso. «Dove lo troviamo un batterista
più forte di lui?» esclamò, poi smise di suonare
e si concentrò sul microfono. Regolò l'altezza
dell'asta e frugò nel suo borsone alla ricerca del cavo per
poterlo collegare all'amplificatore.
«Lo
abbiamo trovato nelle patatine, cosa vuoi che sia?» mi schernì
Jared, decidendosi finalmente a sistemarsi la chitarra a tracolla.
«Tu
invece vieni dritto dritto dalla discarica. Pensa te che acquisto
interessante per la nostra band» commentai in tono piatto.
«Basta,
siete due idioti! Roland, parti con il primo brano, Fingers»
mi incitò Lilith, mentre Josh se la rideva.
Sospirai e partii con il
ritmo in levare che dava il via al brano in questione, uno dei pochi
che eravamo riusciti a comporre da quando suonavamo insieme. Lilith
entrò dopo quattro battute con il basso e Josh le andò
subito dietro, mentre Jared si inserì poco dopo con la
chitarra, solo dopo aver ricomposto il suo codino e aver lanciato
un'occhiata verso l'ingresso del locale. Probabilmente aspettava
ancora la sua birra, ma il gestore sembrava essersi scordato di noi.
Sollevai per un attimo gli
occhi dal mio strumento e mi accorsi che qualcuno mi osservava: una
ragazza era ferma sul bordo del portico in cui ci trovavamo e teneva
i suoi occhi chiari su di me; non riuscivo a scorgerne il colore
esatto, anche perché lei li distolse in fretta e si concentrò
sul resto dei miei compagni di band.
Continuammo a provare senza
sapere neanche cosa stessimo facendo, era come se ci fossimo
distratti e ci fossimo improvvisamente ritrovati a suonare a caso, ma
sempre senza scomporci troppo o andare fuori tempo.
Lilith si accostò al
microfono e disse: «Ragazzi, muoviamo il culo. Stanotte ci
aspetta un'esibizione incredibile, dobbiamo spaccare tutto».
Aveva utilizzato il suo solito tono caldo e sensuale, quello che ai
maschietti che ci seguivano piaceva tanto.
Jared, all'improvviso, si
accorse che avevamo un'osservatrice e colse al volo l'occasione per
rivolgerle uno dei suoi soliti sorrisetti da iena intenta nella
caccia. Nel frattempo aveva smesso di suonare e si era concentrato
completamente sulla nuova arrivata.
Lei parve imbarazzata e si
scostò qualche ciocca di capelli ramati dagli occhi. «Scusate,
me ne vado subito!» esordì, indietreggiando di un passo.
Jared ghignò.
«Macché. Ci serve qualcuno che ci dica come si sente
l'audio, oggi il nostro tecnico ci ha piantato in asso per
spassarsela con la sua nuova ragazza» le disse, facendole segno
di avvicinarsi. Sicuramente aveva già in mente di provarci con
quella ragazza, nonostante l'avesse appena conosciuta. Era tipico del
chitarrista, non sarebbe mai cambiato.
Dal canto mio, mi soffermai
a mia volta sulla nostra spettatrice: era di media statura, indossava
degli abiti semplici che riportavano varie tonalità di blu,
aveva il viso leggermente paffuto e gli occhi verdi risaltavano sulla
pelle diafana. I capelli ramati erano mossi e sciolti sulle sue
spalle. Tutto sommato era carina, non metteva particolarmente in
mostra le sue forme, nonostante fosse evidente che queste fossero
generose.
A
primo impatto sembrava timida, ma poco dopo la vidi dirigersi con
sicurezza verso Jared. Gli si piazzò di fronte e gli tese la
mano senza alcuna esitazione. «Sono Leah, piacere. Pensi sia
saggio chiedere a una perfetta sconosciuta di ascoltare e giudicare
il soundcheck?»
gli chiese. Pareva sorpresa dalla proposta del mio amico, e in fondo
potevo comprenderla, poiché Jared era in grado di mettere a
disagio le persone in più di un'occasione, spiazzandole fin
quasi all'esasperazione.
C'era qualcosa che mi
incuriosiva in Leah, ma non riuscivo a cogliere esattamente ciò
che si stava pian piano agitando al mio interno. Mi persi per un
attimo nei miei pensieri, facendo di tutto per non tenere lo sguardo
fisso su di lei; così mi persi le presentazioni e piombai
nuovamente alla realtà quando Jared pronunciò il mio
nome.
Sollevai lo sguardo e notai
che Leah si stava dirigendo nella mia direzione, così mi alzai
per stringerle la mano, anche se mi sentivo piuttosto a disagio e
avvertire il contatto con lei mi fece leggermente sussultare
interiormente.
«Roland» dissi
in tono piatto, senza esternare il subbuglio di emozioni che mi stava
attanagliando. Che mi stava succedendo? Mi sentivo un vero idiota.
«Leah, piacere di
conoscerti» rispose lei con un lieve sorriso.
Mi
accorsi che era struccata e che le sue labbra carnose erano
leggermente screpolate. Dopo le presentazioni, impiegai qualche
istante per sistemarmi nuovamente sul seggiolino. Riuscii
miracolosamente a trattenere un sospiro e mi concentrai sulle
bacchette. Stringere quegli oggetti che per me rappresentavano come
un prolungamento delle mie
stesse mani era qualcosa che mi aiutava a distrarmi e a entrare
meglio nel mio elemento.
Quando riportai lo sguardo
sui miei colleghi, notai che Lilith aveva legato i capelli in una
coda e mi ritrovai a sorridere tra me; la nostra cantante e bassista
aveva la capacità di sistemarsi i capelli alla perfezione e in
tempo record, fatto che molte ragazze le invidiavano.
«Stasera dovete
suonare?» si informò Leah, lanciando una veloce occhiata
tutt'intorno a sé.
«Sì, dolcezza,
proprio qui, in questo chiosco. Sei invitata ovviamente»
rispose prontamente Jared, il quale non aveva alcun timore di
guardarla sfacciatamente e di tenere gli occhi fissi su di lei.
Lilith sbuffò.
«Quando la smetterai di fare il cascamorto?» lo
rimproverò, scuotendo appena il capo.
«Amo solo te, creatura
infernale, non temere!» strepitò il chitarrista,
portandosi una mano sul petto come per enfatizzare le sue stupide
parole.
«Andiamo avanti?»
sbottò infine Josh in preda all'esasperazione, mentre
cominciava a sfiorare le corde con le dita e il plettro.
Ero d'accordo con lui, così
annuii, stanco di sentire le stronzate di Jared e di vederlo
importunare quella povera ragazza.
«Riprendiamo
con Fingers, forza»
concluse Lilith, riaccostandosi al microfono.
Riprendemmo
a suonare, mentre Leah si sistemava di fronte a noi, ritrovandosi
quasi sulla soglia del locale
per cercare di mantenere la giusta distanza per sentire meglio i
suoni.
Ero sorpreso, sembrava
sapere il fatto suo e mi chiesi se per caso facesse quel mestiere o
se ne fosse appassionata.
«Jared, la tua
chitarra è troppo alta. Abbassa un po', no, non smettere di
suonare! Altrimenti non capisco» si infervorò Leah, con
le mani sui fianchi e le orecchie tese. «Bene, adesso va
meglio. Lilith, un po' più di basso! Secondo me per voi è
importante che il basso abbia un suono corposo, vibrante, ben
distinto!» proseguì.
Ero sconcertato ma
piacevolmente sorpreso, mi faceva piacere poter avere a che fare con
qualcuno che sembrava davvero competente e sicuro di ciò che
affermava. Ero certo che quella sera le cose sarebbero andate per il
verso giusto, meglio di quanto non fosse successo nei live
precedenti.
Dopo qualche pezzo, Leah
parve soddisfatta; smise di darci consigli sull'audio e si godette la
musica fino all'ultima nota, per poi esplodere in un applauso colmo
di sincero entusiasmo. «Grandiosi, farete faville!» ci
disse con un sorriso.
Jared mollò la
chitarra e le si avvicinò. «Grazie mille!» esclamò
tutto contento.
«Grazie a voi»
rispose la ragazza.
Il chitarrista allora le
rivolse un'occhiata accattivante e io faticai per non agitarmi sul
seggiolino. «Allora stasera ci sarai?» le chiese in tono
quasi implorante.
Leah esitò per un
istante e io trattenni involontariamente il fiato. In cuor mio
speravo che accettasse, anche se non riuscivo a spiegarmi perché
nutrissi un simile desiderio.
«Vedremo» disse
infine. Il suo tono era leggermente cambiato, come se avesse perso
l'entusiasmo e la serenità di poco prima, e ora si trovasse a
combattere contro qualcosa che si agitava dentro di sé.
«Be', non mancare»
le suggerì ancora il chitarrista, facendole l'occhiolino.
Lei sorrise appena, poi
annunciò: «Devo andare. È stato un piacere
conoscervi».
Il mio cuore perse un
battito, così sollevai lo sguardo e lo posai su di lei mentre
si avviava fuori dal portico del chiosco. Lo distolsi solo quando lei
si voltò e immerse per un attimo i suoi occhi nei miei; mi
sentivo andare a fuoco e non avrei voluto che si accorgesse delle mie
occhiate. Ero molto diverso da Jared, non mi sarei mai comportato
come lui per cercare di abbordare una ragazza.
«Mi ascolti?»
La voce di Josh mi riportò
alla realtà e lo fissai con aria interrogativa. Un bizzarro
gioco di luci e ombre disegnava strani ghirigori sulla sua nuca
completamente rasata. Mi venne da ridere e non mi trattenni.
«Che cazzo ridi? Ti ho
chiesto se vieni a cena con noi da Beth.»
Beth
era la sua ragazza, gestiva un piccolo ristorante indiano situato in
un vicolo del centro storico
e sicuramente ci avrebbe offerto qualche leccornia per pochi dollari.
«E me lo chiedi?»
borbottai.
«Ragazzi, sentite un
attimo questa: Lilith ha detto che vorrebbe assumere quella ragazza
come fonico!» strillò Jared all'improvviso.
Josh si voltò verso
la cantante, la quale stava per strozzare il chitarrista a mani nude.
Si esibì in un fischio d'approvazione. «E da quando la
tua adorata creatura infernale accetta di avere della concorrenza in
formazione?» lo punzecchiò.
«Non è la mia
creatura infernale, non starei con lei neanche se fosse l'ultima
donna rimasta sulla faccia della terra!» replicò Jared
contrariato, divincolandosi dalla stretta di Lilith.
Notai che quest'ultima fu
per un istante turbata da quelle parole; avrei voluto spaccare la
faccia a Jared, perché sapevo cosa lei provava nei suoi
confronti e non volevo che la facesse soffrire. Era talmente stupido
che non si accorgeva dei segnali che lei gli lanciava, per quando
questi non fossero chiari ed espliciti.
«Stai tranquillo, per
me vale lo stesso. Preferirei scopare con un cactus piuttosto di
avere a che fare con un maiale come te!» lo rimbeccò lei
in tono irritato.
Jared non comprese che
Lilith non stava affatto scherzando, solo io e Josh ne fummo
consapevoli e ci scambiammo un'occhiata preoccupata. Quella
situazione andava avanti da mesi e non sapevamo proprio come
comportarci.
«Il fatto è che
non sappiamo se quella ragazza stasera tornerà ad ascoltarci»
osservò Josh per cercare di stemperare l'atmosfera.
«Già»
concordai, sentendomi un po' malinconico.
Avrei voluto rivederla e
avrei anche desiderato trovare il coraggio di prendere una qualche
iniziativa.
Eravamo nel bel mezzo
dell'esibizione quando la vidi: Leah era in un angolo buio del
portico, forse sperava che noi non ci accorgessimo di lei, ma un
effetto dei faretti che illuminavano il portico aveva catturato per
un attimo la sua figura.
Il cuore mi rimbalzò
nel petto e decisi che dovevo dare il meglio di me per cercare di
impressionarla più di quanto non fosse successo quel
pomeriggio.
Avvertivo un leggero mal di
stomaco, dovevo aver mangiato qualcosa che non andava durante la cena
da Beth, ma riuscii comunque a mettere tutto da parte e mi concentrai
sulla musica e sullo spettacolo che io e i miei colleghi stavamo
portando avanti da una buona mezzora.
Nel corso dell'esibizione il
dolore aumentò e arrivai alla conclusione che non vedevo l'ora
di finire per potermi rilassare un attimo e capire se era il caso di
tornare subito a casa o se potevo gestire ancora un po' la
situazione.
Dopo
la nostra solita ora di spettacolo, durante la quale avevamo eseguito
qualche inedito e alcune cover, lasciai frettolosamente il posto
dietro la batteria e
barcollai verso l'ingresso del locale; forse mi conveniva cercare il
bagno, non sapevo se avrei vomitato, ma un senso di nausea mi
attanagliò la bocca dello stomaco.
Dovevo essere piuttosto
pallido, ma sperai che i miei amici non si accorgessero di nulla, non
volevo allarmarli.
Quando stavo per
oltrepassare la soglia, qualcuno mi posò una mano sul braccio.
Ero scosso da profondi brividi causati dal dolore intenso e mi
reggevo a malapena in piedi.
Sollevai lo sguardo e
riconobbi Leah attraverso gli occhi leggermente appannati. «Sei
venuta» mormorai.
«Stai male.» La
sua non fu una domanda, bensì un'affermazione. Si era accorta
delle mie pessime condizioni.
«Un po'...»
farfugliai, sentendo un'improvvisa fitta pugnalarmi lo stomaco.
«Andiamo» decise
lei.
Annuii appena e lasciai che
mi aiutasse a raggiungere il bagno.
Le cose tra noi erano
decisamente cominciate con il piede sbagliato, ne ero perfettamente
consapevole.
Ma ero davvero felice che
lei fosse passata a sentirci.
Lo ero nonostante il dolore,
i brividi, il sudore freddo e la certezza che lei stesse per
assistere a uno dei momenti peggiori della mia vita.
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Ciao
a tutti!
Devo
immediatamente ringraziare milla4 per aver indetto il suo contest: è
solo grazie a lei e alla sua bellissima idea che sono riuscita a
riprendere in mano questa storia!
Be',
che dire... la prima versione di Soundcheck era nata come un
esperimento, una prova per capire se avrei potuto buttar giù
una qualche long con questi personaggi.
Ora
che ho scritto Soundcheck II ho sempre più voglia di
dedicarmi a Leah, Roland e gli altri ragazzi della band ^^
Ma
qui entrate in gioco voi: come dovrei procedere? Vi chiedo di darmi
un consiglio e lo chiedo anche alla cara milla, che è sempre
tanto sincera e gentile con me :3
Grazie
a chiunque sia passato di qui e a chi recensirà, alla prossima
♥
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