Nel piazzale del sole
Personaggi: Fem!Impero Romano, Magna Germania
Raiting: Giallo, per motivi di temi trattati, quali la vendita di schiavi
!Luogo e tempo sono appositamente
lasciati alla vaghezza: l'imprecisione è voluta, si fa solo
accenno al periodo trattato: siamo in epoca Augustea, nell'Urbe.
Il piazzale del Sole
Nel piazzale del sole, ove il
dì punge, la parola è rovente, ed uno spirito perso tace;
spaccato, poiché scappato dalle catene, in ginocchio e
piangente, con le mani a coprire gli occhi, fugge e muore- non
osserverà la terra natia morire, ed i palmi verdi rinsecchire, e
tantomeno vi sarà alcun Dio a srangolare i propri e gonfiarli di
saette,
se si muore coprendosi gli occhi.
La Roma da bene si piace pensare
giusta, e se non questo vincente: si appella alla memoria, s'aggrappa
agli allori si forte tanto da trafiggersi le mani, e ride e s'ingozza
di vino, ove tutto le è concesso: nell'Urbe s'apriva il sorriso
cosmopolita del Genio e di Modesto, che faceva il proprio lavoro da
Roma da bene: s'agitava dalla mattina, e questa più è
giovane e più gli piace. Tanto onesto, tanto prono, si
affacciava per giorni al petto dei loro condottieri sul confine
dell'accampamento della legione-dal pugno saldo, dal mento asciutto,
sguardo colto- e i miles che fanno le loro parti, "così attenti, potenti, che gli déi rideranno con loro ove necessario".
Pregava, anche Modesto.
Poiché il viaggio dalle Germanie era lungo, i predoni ed i
banditi nei suoi sogni grattavano i denti sulle sue ossa, e per questo
ed altre scorrerie, Modesto pregava: poiché aveva forza che
nasceva dalla giusta passione del patriota, lo sguardo duro d'un lavoro
che compie solo chi ne conosce l'importanza. Caricava le bestie sul
carro, le contava, ricontava, le osservava, ché le più
belle le avrebbe viste Roma. Ve ne erano per gusti di ogni tipo,
checché vi si osservavano le chiome bionde, rosse, lunghe, le
membra ben fatte. Si scorgeva il loro naso dritto, le zampe snelle,
l'impronta forte, di quel pallore che bisbigliava derisione- andavano
in giro, taluni, oltre che pelosi, svianti la nudità solo per i
disegni che dicevano d'indossare, i grugniti infra le labbra e le froge
d'una cavalcatura.
Le conosceva bene, Modesto, ed
invocava Mercurio, sulle ginocchia e sussurrando sul rosmarino chiamava
Cerere, che lei di Roma sapeva tutti i nomi che aveva, e nella loro
grandezza gran parte ne pronunciava.
- Per Giove!, che ti fulmini,
Modesto, senz'avviso,- Ottavia era si bella, e aveva l'occhio d'un'
aquila, poiché a parlar di Lupe nell'Urbe si faceva ben mera
figura: teneva i veli con una mano sola, e per lei questa diceva tutto
quel che v'era da sapere; là l'ambra, rigida e buona, che Venere
aveva preso tra i seni e gettato poi nel Baltico, anelli e opali, due
dita attorno alla stoffa come a conoscerne il pregio meglio di chi
l'aveva filata, "Per Giove, Modesto!"
Augusto avrebbe avuto un gemito
doloroso, ma il suo occhio severo nuotava lontano: domina impudente a
far le file al mercato degli schiavi, Reginetta d'una piazzuola da
buona merce, dall'occhio sibillino ed il volto che null'altro poteva
essere che il sole. Araharius,
guardava, e l'interesse pizzicava e facea quel che voleva - di lui
ch'era coperto solo del suo prezzo e del nome del suo rango, e dai
capelli, dal grano, che pur sporchi da qualche buona fiera silvana
dovevano pur essere stati baciati. S'osservavano come nessuno dei due
poteva, ed un servo tossiva, Modesto vegheggiava con le mani per aria a
parlare del muschio umido di Magontiacum,
delle bacche rosse in riva al Reno, alle Gallie, al malore d'una domina
che cade in errore: d'uno schiavo s'aggiusta il pezzo rotto,
poiché funzioni al padrone. Si testa il fisico, poiché
ari i propri campi e faccia crescere la sua terra. Si fa parlare,
poiché intenda- e questi si guardavano, dove bella lei e cattivo
lui, Ottavia bagnata dal sole ed Ariovisto -"Ariovisto!, il tuo nome latino, Ariovisto"-
che reclamava la sua corona, guaiva e latrava pur in silenzio, e grande
e grosso e sano ricordava d'essere un Re: negli occhi l'iraconta stirpe
degli Asi, le puntute guglie brune della foresta, il canto opaco delle
norne a tracciare i fili disordinati del Valhalla.
L'aveva spogliato d'un tratto,
Modesto, e a nessuno chiamò la sua nudità:
spaventò invece quel che vi era dipinto, nel taglio nero del
petto, delle gambe e delle spalle- così che il fisico fosse la
pergamena d'un sacerdote, e che vi si potesse leggere. Così si
untava nella battaglia, affinché l'avversario lo vedesse e ne
conoscesse le gesta!
-Domina!- eppur lei sorrideva,
dalle labbra nascevano fiori di festa. Lo sfiorava ove la pelle si
faceva sudata, sulla cenere lercia e sozza usata per dipingersi, ed il Reiks taceva
e si disgustava, fremeva pur avendo il sole a bruciargli il capo e a
fiaccare il volto picchiato dal viaggio: era lei, il sole caparbio, la
polvere turbinante e tossica dell'Urbe! Lei!
Che tese lui la mano, volendolo in
ginocchio, perché di quegli occhi tanto limpidi voleva piena la
sua domus- mai altrove, avrebbe trovato pietre di quel colore, e pur in
Persia o nell'oriente avrebbe fatto morire i suoi capricci. Che
divenisse schiavo, guardia, gladiatore, stalliere, a tirar il giogo dei
muli per sporcarsi di farina!, che facesse quello ed altro, e che fosse
però suo, negli spazi che lei chiedeva e credeva.
Sotto al palmo delle sue mani avrebbe avuto la nuca nuda d'un braccio del limes, e questa era bella, brillante e piena, color porpora.
Si disse- non al caso, non fuori
altra faccenda, nel brivido del pettegolezzo- nello sfibrante gioco del
vociare cittadino, che assieme ai fichi leccava miele e passava sulle
labbra sorrisi ilari, si diceva, appunto, che Ottava tornò
rossa, d'una brillante furia, e che ordinò la frusta al nuovo
schiavo, "che non si piega, non si doma, è un rozzo!", inveiva, e si toglieva le vesti come qualunque paesana, "M'ha leccato la mano, la mia mano!"
Note:
Ariovisto
è il nome che nel lontano 2011 scelsi per Magna Germania:
è ovviamente la sua denominazione latina, e deriva da Araharius,
antichissimo nome che siede il proprio significato in "esercito". Si
tratta anche di un personaggio storico, un principe suebo (suebi:
popolazione dell'estremo nord migrata nella germania superiore) che
ebbe a che fare con Cesare. Vi sono alcune versioni su di lui!
Inoltre:
vendere gli schiavi era un vero e proprio rito sociale. Ho tagliato in
diversi punti, ma ci si aspetta un'asta e una vendita al migliore
offerente. Lo schiavo da vendere solitamente ha un cartello al collo
con scritto nome, valore, capacità degne di nota per un
acquirente. Nel caso di Ariovisto, ha rilevanza l'aspetto
-poiché la bella presenza era senza nessun dubbio una dote da
poter sfruttare- e la sua prestanza fisica. Non è dato sapere
che sappia una o più lingue, nel caso.
Per altre
domande, precisazioni, fatemi sapere! Si tratta di un momentino
strappato ad un momento di vita romana: Fem!Imper Romano mi ha sempre
affascinato moltissimo- forse, proprio per le regole a cui una matrona
era soggetta. Nel periodo Augusteo spesso si cercava di portare la
donna romana ad un certo livello di etica, ma...inutilmente.
Spero possa
essere piaciuta, lasciate un commentino! Dovrei forse regalare
più spazio alla situazione? Renderla una raccolta?
Baci, Blacket.
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