La sirena

di Echocide
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Titolo: La sirena
Personaggi: Tikki, Plagg, Altri
Genere: mistero, sovrannaturale, romantico
Rating: G
Avvertimenti: Alternative Universe, longfic, Original Characters
Wordcount: 2.037 (Fidipù)
Note: Nuovo capitolo di La sirena (vi ricordo che il prossimo capitolo di questa storia sarà pubblicato il 23 agosto) e, come al solito, non è che ci sia poi molto da dire: la storia prosegue come un fiume che si getta nel mare e, capitolo dopo capitolo, si avvicina sempre più alla conclusione. Quindi la smetto di farvi perdere tempo e passo subito alle informazioni di servizio!
Come sempre vi ricordo la pagina facebook per rimanere sempre aggiornati e ricevere piccole anteprime dei capitoli o dei miei scleri.
Vi ricordo che domani sarà aggiornata Laki Maika'i, mentre venerdì sarà il turno di Miraculous Heroes 3 con il secondo aggiornamento settimanale e, a conclusione di questi sette giorni, ci sarà un nuovo capitolo di Lemonish, con una RafaelSarah (finalmente tornano anche loro).
Come sempre ci tengo a ringraziarvi tutti quanti per il supporto che mi date: grazie a tutti voi che mi leggete, commentate e inserite questa storia (e le altre) nelle vostre liste.
Grazie tantissimo!

 

 

 

Aprì la porta del bungalow e la vista che ebbe dell’interno le fece abbandonare le braccia lungo il corpo, quasi avessero sentito arrivare tutta la stanchezza del genere umano assieme.
Il problema era che non lo era affatto.
In vero, si era svegliata da poco ed era nel pieno dell’energie.
Non aveva ancora mosso un dito, ma il disordine che aveva visto nella casa di Plagg l’aveva demoralizzata.
Aveva sistemato tutto il giorno precedente: aveva pulito, ordinato e messo a nuovo l’abitazione, eppure…
Un sospiro silenzioso le uscì dalle labbra, mentre faceva un passo all’interno dell’abitazione, facendo vagare lo sguardo sul disordine e il caos che regnava ovunque: non un angolo era stato salvato dalla devastazione e dalla confusione, non un mobile era libero e il pavimento sembrava ospitare una vasta gamma di indumenti maschili.
Sembrava che una tromba marina fosse passata da lì e, invece di alghe e pesci morti, avesse lasciato dietro di sé pantaloni, maglie e mutande.
Poteva un essere umano creare tutto quel caos in un solo giorno?
Si morse il labbro inferiore, avvertendo il sapore salato del suo stesso sangue sulla punta della lingua e si leccò la bocca, scuotendo la testa e ascoltando i rumori che la circondavano, socchiudendo gli occhi: il cinguettio degli uccellini appena fuori dalla finestra, il frusciare delle foglie che si muovevano nella gentile brezza che spirava dal Padre e…
La voce stonata di qualcuno che cantava e lo scrosciare dell’acqua nel bagno attiguo.
Scosse nuovamente la testa, poggiando il sacchetto di carta con le brioches al camembert e ascoltando la melodia che Plagg cantava con parole abbozzate in una lingua a lei sconosciuta.
E, in quanto sirena, era a conoscenza di ogni lingua parlata dal genere umano.
Strinse le palpebre quando un acuto, non proprio intonato, le perforò le orecchie, facendole accarezzare l’idea di proporre Plagg al Padre come primo tritone della storia: per quanto le leggende parlassero di quella figura mitologica, lei sapeva benissimo che non n’era mai esistito uno.
Sirene dall’aspetto poco femminile? Sì, tantissime.
Tritoni? No.
Un nuovo vocalizzo le fece mordere di nuovo il labbro inferiore, impedendo a se stessa di non urlare contro il novello cantante: una voce particolarmente stonata non meritava di certo una condanna a morte.
Si guardò attorno, decidendo il punto in cui avrebbe iniziato la sua missione di pulizia e notando che, alla fine, era semplicemente il disordine che regnava e non lo sporco come i giorni precedenti: aveva messo un bel po’ a ripulire tutto, domandandosi come Plagg facesse a vivere in un simile porcile ogni volta, quasi tentata di dar voce alla sua domanda su carta, ogni volta che lui rientrava a casa.
Si avvicinò al tavolo, iniziando a recuperare gli indumenti e constatare se avessero bisogno di una bella lavata o meno, iniziando a fare due mucchi per terra: ma possibile che avesse tirato fuori e indossato tutta quella roba nella manciata di ore, da quando lei se n’era andata il giorno precedente?
Quanto tempo era passato?
Una decina d’ore?
Come era umanamente possibile creare tutto ciò in una notte?
Scosse il capo, riprendendo il lavoro e sollevando una maglia color sabbia, studiandola con attenzione e cercando qualche segno che le facesse comprendere se era da lavare o meno, non prestando più attenzione ai suoni che la circondavano: la casa era diventata silenziosa e nessuna voce stonava note, inventando parole…
Tikki si voltò, sobbalzando alla vista del moro, nudo come la natura l’aveva creato, che la fissava a sua volta con lo sguardo verde sgranato: lo vide portarsi una mano, in modo da coprirsi la parte anatomica atta alla riproduzione della sua specie, e poi un sorriso gli comparve sulle labbra: «Che fai qui?» le domandò, poggiando il peso sulla gamba destra e continuando a rimanere completamente privo di vestiti come se nulla fosse.
La ragazza inclinò la testa, cercando di tenere lo sguardo sul volto di Plagg e di non scendere oltre le spalle: aveva già visto molti uomini nudi nella sua lunga vita ma, doveva ammettere, che Plagg era un degno rappresentante della razza con il fisico asciutto e leggermente muscoloso, la pelle scurita dal sole fino alla vita, ove iniziava una zona più chiara si estendeva fino a metà polpaccio, e la faccia da schiaffi di sempre: «Rossa, posso capire che mi stai letteralmente sbranando con gli occhi» iniziò con quel sorrisetto che lei tanto odiava e che sembrava canzonarla ogni volta: «Ma ti sto chiedendo cosa stai facendo qui.»
Tikki inspirò profondamente, affondando i denti nel labbro inferiore e, dopo essersi guardata attorno, afferrò un paio di pantaloni abbandonati vicino a lei, lanciandoglieli con tutta la forza che aveva in corpo e gongolando quando questi gli finirono sulla testa: una gamba che penzolava davanti al volto di Plagg e l’altra che cadeva con noncuranza sulla spalla scura.
Plagg scosse il capo, prendendo l’indumento e infilandoselo, dandole la possibilità di dare una breve occhiata ai gioielli di famiglia – così alcuni uomini li chiamavano, da quanto aveva sentito – domandandosi se tutti gli uomini avessero un batacchio simile fra le gambe.
Non ricordava molto della sua vita da umana, ma era certa di una cosa: non aveva mai avuto un contatto diretto con un pendaglio simile.
Lo avrebbe ricordato di sicuro.
«Hai finito di guardarmi? Mi metti in soggezione» le parole scanzonate di Plagg la riportarono alla realtà, facendole scivolare lo sguardo sull’addome ancora nudo e poi sulle iridi verde che la fissavano piene di divertimento: «E’ stato di tuo gradimento, Rossa? E giusto per ripetermi: cosa ci fai qui?»
Tikki si guardò attorno, prendendo poi il bloc notes abbandonato sul tavolo e vergando le parole senza curarsi di scrivere con una calligrafia comprensibile: «Sei venuta a mettere a posto? Cavolo, Rossa, scrivi meglio» borbottò Plagg, avvicinandosi e stringendo gli occhi: «Ma perché? La settimana è finita. Ero convinto saresti scappata immediatamente.»
La settimana era finita?
Come era possibile?
Quando il tempo era trascorso?
Lei non ricordava che fossero passati così tanti giorni.
Si portò l’indice destro alle labbra, massaggiandosi quello inferiore e rendendosi conto che erano effettivamente passati sette giorni da quando aveva cantato la sentenza di morte del padre di Marie, sette giorni da quando aveva conosciuto Plagg e pochi meno da quando i Dupain-Cheng erano entrati nella sua vita.
Sarebbe dovuta andare via, quindi?
Non poteva rimanere lì e…
«Beh. Si vede che ti sei trovata bene qua» commentò Plagg, alzando le spalle e guardandosi attorno, storcendo le labbra: «Hai già messo a posto una maglia grigia?» le domandò, osservandola indicare distrattamente uno dei mucchietti ai suoi piedi: «Capito. Vado a prenderne una pulita in camera» dichiarò, allontanandosi da lei e sparendo dalla sua vista velocemente, lasciandola completamente in balia dei suoi pensieri.
Sarebbe dovuta partire. Immediatamente.
Diventare un’ombra fugace nelle vite di tutti.
Non lo voleva, però. Non voleva che Plagg, Marinette e gli altri che aveva conosciuto la dimenticassero – Marie e Chloé Bourgeois sì, però – come se fosse stata schiuma di mare.
Non voleva questo.
Inspirò profondamente, scostando una sedia dal tavolo e lasciandosi cadere sopra, poggiando poi le braccia sul tavolo e nascondendo il volto fra di queste mentre sentiva le prime lacrime scivolare lungo le guance e solidificarsi: non avrebbe dovuto piangere, non con Plagg nell’altra stanza e prossimo a tornare da lei, ma non era riuscita a trattenerle.
Troppa la tristezza al pensiero di abbandonare tutti.
Troppo il dolore che aveva sentito nel cuore.
Sentì i passi di Plagg avvicinarsi e si issò su, osservando la manciata di perle dai riflessi grigiastri che aveva creato e che risaltava contro il legno del tavolo: velocemente le prese, infilandole nella tasca della felpa, asciugandosi poi gli occhi con le dita, quando Plagg ricomparve nella stanza, vestito di tutto punto: «Stavi piangendo?» le domandò dopo averla scrutata per un secondo in volto, avvicinandosi e allungando una mano, carezzandole la guancia e fissandola in volto: «Rossa, puoi stare qui quanto ti pare: Tom e Sabine ormai ti hanno adottato e Marinette sarebbe capace di rinchiuderti in casa, piuttosto che farti andare via» le dichiarò, sorridendole appena e chinandosi verso di lei: «Quindi niente lacrime, ok?»
Tikki lo fissò per un po’, annuendo poi lentamente con la testa e piegando gli angoli della labbra in su, concentrandosi poi sui polpastrelli di Plagg che continuavano a carezzarla, bollenti contro la sua pelle: «E se ti cacciano, puoi sempre venire a vivere qui» le bisbigliò, posandole la mano a conca sulla guancia, avvicinandosi ancora di più: poteva sentire il suo respiro sulla pelle e indugiò un poco, prima di posare una mano sul petto, sentendo la solidità del corpo di Plagg sotto le sue dita: «Dove dovresti andare?»
Nel mare, avrebbe voluto pronunciare, mentre fissava le labbra di lui e sentiva una strana sensazione avvolgerla, concentrandosi in un punto fra le gambe e costringendola a serrare i fianchi, senza capire cosa le stava succedendo: uno languore sconosciuto, un bisogno che non sapeva identificare…
Socchiuse le palpebre, sentendo l’altra mano di Plagg poggiarsi sul suo fianco e tirandola appena contro di lui, costringendola a posare entrambe le mani sul suo petto: «In effetti non sarebbe male se vieni a vivere qui» continuò, chinandosi appena e quasi sfiorando le sue labbra con le proprie.
Tikki voleva quel contatto, qualunque cosa significasse.
Si alzò leggermente sulle punte dei piedi, avvicinandosi di un poco alla bocca di Plagg e sentendolo sospirare, mentre quasi poteva già pregustare le sue labbra: come sarebbero state al tocco? Ruvide come il suo sarcasmo o morbide come la sua gentilezza?
«Plagg? Ci sei?»
La voce giovane e conosciuta a Tikki la riscosse, facendole sgranare gli occhi e allontanarsi dall’altro, stringendosi poi le braccia attorno al corpo e fissando il volto di Plagg, soffermandosi sulla linea stretta delle labbra e lo sguardo affamato che aveva; rimase immobile, mentre lui sospirava e si voltava verso la porta, aprendola e palesando la presenza di Adrien dall’altra parte: «Toh. Il moccioso» borbottò, facendosi da parte e lasciandolo entrare: «Che vuoi?»
«Buongiorno anche a te, Plagg» decretò Adrien, sorridendo tranquillo e poi voltarsi verso la ragazza: «Signorina Tikki! Marinette mi aveva detto che sarebbe dovuta partire presto ed era veramente triste.»
«Detto o balbettato?» domandò Plagg, scuotendo la testa: «Perché quando si parla di Marinette…»
Adrien strinse le spalle, mentre un sorriso dolce gli compariva in volto: «E’ timida» mormorò, quasi a scusarsi della compagna e continuando a piegare le labbra in quel particolare sorriso: «Sai che ha problemi a parlare. Con me, specialmente.»
«Io non posso credere che tu sia così cieco, Adrien.»
«Cieco?»
«Idiota senza speranza mi sembrava brutto da dire.»
Tikki sorrise, scuotendo la testa e ignorando i due, voltandosi e iniziando a sistemare gli abiti ancora a giro, mentre un sorriso divertito le compariva, ascoltando il battibecco fra i due: si fermò, portandosi una mano alle labbra e massaggiandosele, sentendo il suo cuore aumentare velocemente l’andamento dei battiti e quasi si meravigliò che nessuno lo sentisse oltre a lei, venendo nuovamente accolta da quel languore mentre la sua mente riandava a quel quasi incontro di labbra.
Che cosa era quello che stava provando?
E perché le stava capitando con Plagg?
Si chinò per prendere una maglia da terra, voltandosi poi e incontrando lo sguardo verde: Plagg sembrava ascoltare Adrien, ma in verità stava tenendo la sua attenzione su di lei, con un sorrisetto divertito in volto che lei ricambiò senza alcuno sforzo e senza comprendere cos’era quella strana connessione che adesso avvertiva.
«Fammi vedere cos’ha in mente tuo padre» sentenziò Plagg, quando Adrien smise di parlare e si avviarono entrambi verso la porta: «Ah, Rossa. Mi raccomando: tutto lindo e profumato al mio ritorno» le urlò l’uomo, chiudendosi dietro la porta e ignorando lo sguardo e il broncio che lei gli rivolse.
Tikki strinse la mascella, scuotendo il capo e piegando con gesti veloci e imprecisi la maglietta, lanciandola poi sul tavolo e ignorando il fatto che questa si era nuovamente spiegata: connessione? L’unico legame che sentiva con quel tipo era di morte certa. E per mano sua.
Quello che aveva provato poco prima era semplicemente stato un trascinamento nella acque, esattamente come quando in mare si lasciava portare dalle correnti marine.
Ecco. Era stato esattamente uguale.
Nulla di più.
Nulla di meno.

 

 

 





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