Park
Jimin non si è mai domandato quale sia la reale estensione di
un singolo momento; ha sempre dato per scontato che un momento, per
definizione, duri un singolo istante – non più lungo di
un battito di ciglia, e altrettanto insignificante.
All’età
di 21 anni scopre che la durata di un momento può prolungarsi
per minuti, ore, intere giornate. E’ un limbo di sensazioni
confuse e sorde, una condanna al silenzio che ha inizio nel momento
in cui scende le scale dell’appartamento e sente la voce del
manager Sejin piegata da un dolore le cui cause non comprende; è
un nodo allo stomaco che non vuole saperne di sciogliersi, mentre
posa il piede sull’ultimo gradino e vede Seokjin ritirarsi
dall’arco della porta della cucina, l’intero corpo scosso
da singhiozzi così forti da sembrare quasi dolorosi.
C’è
una voce che mormora parole che non vuole ascoltare, troppo debole
perché possa sentirla attraverso la sensazione pulsante del
sangue che blocca anche i suoni esterni e li fa giungere alla sua
mente ovattati, come acqua che scivola sulla sua pelle e che non
avverte: è una voce preoccupata, che non contiene il proprio
terrore. Comprende finalmente cosa stia dicendo nel momento in cui le
sue parole e quelle di Sejin si accavallano, diventando una cosa
sola. Del discorso percepisce solo alcuni frangenti, come se il suo
cervello fosse diventato una radio che non prende bene, che si
rifiuta di ascoltare.
Incidente,
sente; e poi: morti entrambi nell’impatto.
Park
Jimin non si è mai domandato quale sia la reale estensione di
un singolo momento.
Quando
entra nel salotto e una figura che quasi non riconosce gli corre
incontro per abbracciarlo e soffocare il proprio pianto isterico,
quando si guarda attorno e il suo sguardo scorre i volti sconvolti
dei suoi migliori amici, quando il nodo allo stomaco si stringe e la
voce nella sua testa inizia a urlare quei nomi – solo allora
Jimin scopre che un momento può iniziare con una domanda, e
non terminare mai.
- Dove
sono Taehyung e Jungkook? -
The
Length of a Moment
I
giorni passano, ma lui rimane fermo in quell’istante: congelato
nel momento della realizzazione, col peso della verità sulle
spalle.
La
parte peggiore è non avere nessuno da accusare: non l’autista,
non Taehyung e Jungkook rimasti negli studi a esercitarsi fino a
notte fonda, non il camionista che ha perso il controllo del mezzo e
che, come loro, è deceduto nell’incidente. Non esiste un
colpevole, un capro espiatorio a cui rivolgere la rabbia che prova.
Quando
urla, urla contro il cuscino e lo prende a pugni fino a sentirsi
stanco; quando piange, piange in silenzio – e per i giorni
successivi alla loro morte piangono tutti, e spesso. Nei rari momenti
di lucidità non fa altro che osservare la reazione degli
altri, il loro modo di affrontare il lutto. Di tutti, Namjoon è
quello più abile a contenersi – sempre attento agli
altri, sempre presente per sostenerli nei momenti peggiori,
soprattutto per quanto riguarda Seokjin. E se Hoseok si chiude in
silenzi in cui sembra allontanarsi da tutto ciò che lo
circonda, lo sguardo grave perso in un punto distante, il silenzio di
Yoongi è l’esatto opposto: furioso e presente, il caldo
contrasto alla freddezza di Hoseok.
Jimin
non si preoccupa di nascondere le proprie crisi di pianto, e gli
altri fanno lo stesso con lui. Più e più volte si
ritrova tra le braccia di Namjoon senza avere la più pallida
idea di come ci sia arrivato, o di cosa abbia scatenato in lui quella
reazione. Dopo un po’ giunge alla conclusione che non esista
una vera e propria causa scatenante: tutto ciò che lo circonda
– o meglio, tutto ciò che manca –
non fa altro che ricordargli cosa è accaduto.
Il
mondo è una macchia grigia priva di sfumature, un’esperienza
che non sembra più meritevole di essere vissuta.
-
Qual
è stata l’ultima cosa che ha detto loro?
La
domanda lo tiene sveglio la notte più di quanto già non
facciano gli incubi. Una sera, mentre tutti dormono, si alza e in
silenzio cammina fino alla camera che Taehyung divideva con Namjoon,
ormai vuota. Nessuno ha ancora sistemato il suo letto, nessuno ha
pensato di cancellare quella traccia di Taehyung dal mondo: Jimin si
ferma ad osservare la forma sollevata della coperta, l’ombra
sul cuscino – tentando di immaginarlo lì, ad occhi
chiusi, intento a rivolgergli uno dei sorrisi con cui lo svegliava.
“Jiminie, è ora di alzarsi.”
Quando
allunga il braccio per afferrare il suo cuscino la mano gli trema
così forte da spaventarlo. Non si guarda indietro, dopo averlo
preso: cammina rapidamente, correndo quasi, fino alla stanza di
Jungkook; questa volta non si ferma ad osservare lo stato del suo
letto – vi si getta sopra e basta, scivolando sotto la coperta
e stringendo a sé il cuscino che ha rubato e quello già
presente nel letto. Quando chiude gli occhi il loro odore lo
circonda, così distintivo per entrambi – così
forte e reale.
Jimin
sente lacrime calde scendere sulle sue guance. Ricorda di essere
stato l’ultimo a separarsi da loro, la notte dell’incidente
– di essere tornato indietro con una stupida scusa solo per
salutarli con un bacio e di aver esitato, sulla porta della sala da
ballo, guardandoli scherzare e impegnarsi senza vederlo. Ricorda di
non aver dato alcun peso alla questione, non con la certezza che li
avrebbe visti la mattina dopo – non con la certezza che
sarebbero stati loro a baciare lui sulle guance per dargli il
buongiorno, contemporaneamente, solo per schiacciarlo tra loro e
infastidirlo e scoppiare a ridere poi per i suoi versi di protesta e
le sue minacce a vuoto.
Qual
è stata l’ultima cosa che ha detto loro?
Niente.
Non ha detto niente; niente di importante, almeno. Ci sono miliardi
di cose che vorrebbe aver avuto l’occasione di dire, miliardi
di insulti che si rimangerebbe. Può sussurrarli ai cuscini che
non hanno per niente la loro forma, che sono i fantasmi di ciò
che erano – chiudere gli occhi ancora più forte e
scivolare in un sonno esausto, sul petto la sensazione delle loro
braccia intrecciate mentre lo abbracciano assieme.
-
Ci
sono messaggi di solidarietà ovunque, sostegno da parte di
chiunque li conosca personalmente o dalle fan; Jimin lascia correre
lo sguardo sulle parole e le comprende, ma è come se stesse
osservando un velo d’acqua – i suoi occhi scivolano oltre
la carta delle lettere, oltre lo schermo dei computer, e si posano
sull’immagine di un dolore che nessuno, a parte i suoi più
cari amici, può comprendere. Alcune volte il dolore ricambia
lo sguardo. Sono i momenti peggiori.
-
Cosa sarà del gruppo? - Diventa una
domanda ricorrente che nessuno, almeno per i primi giorni, ha il
coraggio di porre ad alta voce. Sembra tutto così superfluo,
in quei momenti; Jimin non riesce a pensare a un singolo motivo per
cui dovrebbero continuare ad esistere.
Poi
arriva la realtà, e si abbatte su di loro con la violenza di
un’onda troppo alta e forte – e il velo d’acqua si
fa sporco e agitato, e osservare il dolore sincero è difficile
attraverso tutti gli impegni, le questioni a cui uomini con meno
sentimenti e più soldi di loro pensano. Arriva il funerale, e
Jimin non è neanche sicuro di esserci stato realmente; crede
di sì a causa del fortissimo odore d’incenso che pervade
i suoi sensi e lo stordisce per ore, ma non ricorda nient’altro.
Ogni
volta che va a dormire nel letto di Jungkook il loro odore è
un po’ più flebile e il suo pianto un po’ più
disperato.
-
Li
vede per la prima volta esattamente sei giorni dopo l’accaduto.
Entra in cucina e loro sono lì – Jungkook seduto
sull’isolotto e Tae di fronte a lui, entrambi concentrati su un
libro tra le mani di quest’ultimo.
- Qui dice di separare il tuorlo dall’albume. - La
voce di Taehyung è reale. Non c’è riverbero, non
un accenno di eco: è presente, palpabile come la sua immagine
– e Jimin sente un gelo di terrore espandersi da un punto
imprecisato dentro il suo corpo, congelarlo completamento. Taehyung
alza lo sguardo su Jungkook. - L’albume è il bianco o il
rosso dell’uovo? -
- È il bianco, scemo. - Risponde Jungkook. Si
volta verso la porta della cucina per nascondere il dubbio sul suo
volto e il suo sguardo si illumina; solleva una mano. - Ehi,
Jimin-hyung! -
Il bicchiere d’acqua tra le mani di Jimin cade a
terra e si rompe. È il rumore a svegliarlo da quella tremenda
illusione, o forse è l’urlo di Yoongi – che
praticamente salta gli ultimi gradini della scala per afferrarlo e
spostarlo dal punto in cui si è fermato. Jimin guarda in
basso, sbatte le palpebre tre volte prima di vedere realmente ciò
che ha davanti: cocci di vetro galleggiano in una piccola pozza
d’acqua sporca di sangue, luccicano dei raggi di luce che li
attraversano, la naturale conseguenza del suo momento di assoluto
panico. È certo che alcune schegge si siano infilate nelle
piante dei suoi piedi – può sentire un dolore acuto che
va facendosi ogni secondo un po’ più forte; in questo
stato confuso, Yoongi afferra le sue spalle e lo scuote senza alcun
riguardo. È come se la bolla di vetro in cui si erano
rinchiusi entrambi si fosse infranta nello stesso momento in cui l’ha
fatto il bicchiere tra le sue mani, e Jimin riesce solo a chiedere
scusa – la voce piegata dalla paura – mentre Yoongi lo
scuote e gli domanda che diavolo gli stia succedendo, capace di
esprimere la propria preoccupazione solo attraverso gesti irruenti.
Non sa quanto passi prima che gli altri intervengano, ma a un certo
punto Hoseok li sta separando e Seokjin lo sta aiutando a sedersi per
terra, ed è tutto così confuso che per un momento, un
momento soltanto, Jimin lascia che la paura abbia la meglio e chiude
gli occhi, perdendo i sensi.
Quando li riapre sono ancora tutti lì, ma è
sceso il silenzio. Seokjin gli sta medicando il piede e Yoongi è
seduto sull’ultimo gradino della scala, la testa tra le mani.
- Mi dispiace. - Mormora; Namjoon è l’unico
che trova la forza di guardarlo in faccia. - Credevo… credevo
che fossero… -
Non riesce a terminare la frase. Osserva le spalle di
Namjoon abbassarsi, la sua espressione farsi più cupa.
- Abbiamo bisogno di aiuto. -
-
Il
dolore è una lenta, costante erosione: è un’unghia
sporca che scava a fondo in piccoli movimenti, infettandolo e
insinuandosi in lui. Anzitutto si prende la sua pelle, il suo guscio,
ciò che gli altri vedono: mangiare richiede uno sforzo
incomprensibile, le nausee sono all’ordine del giorno. Gli
altri continuano a incoraggiarlo, un paio di volte Seokjin o chi di
dovere si preoccupa per lui al punto da fargli trovare una cena
composta esclusivamente dai suoi piatti preferiti; ma non funziona. E
se cercano di aiutarlo col cibo, possono fare poco per l’assenza
di sonno – Namjoon quasi minaccia di far portare via il letto
di Jungkook quando scopre che ormai vi dorme dentro regolarmente, ma
non lo fa, e Jimin comprende che stringere il cuore è il suo
personale modo per affrontare la questione. Non gliene fa una colpa,
come non ha incolpato Yoongi di essersi sfogato con lui dopo
l’incidente della cucina.
Sotto
la pelle ci sono i suoi muscoli, le sue ossa, quella parte di lui
invisibile ad occhio nudo. Non è una deteriorazione fisica
come quella che sta avendo la meglio sul suo volto scavato o sulle
sue occhiaie pesanti, ma qualcosa di più profondo: sono i suoi
gesti, le sue abitudini. Queste tornano lentamente, così come
la vita di tutti i giorni – ma sono eseguite da un pupazzo
privo di vita piuttosto che da una persona piena di passione.
Riprende anche a ballare, dopo un po’: assicura gli altri che
sia tutto a posto, che il dolore al piede sia passato e che può
farcela, fisicamente ed emotivamente. E in parte è davvero
così; ma non c’è grazia a guidare i suoi
movimenti, non c’è amore o forza di volontà. Si
muove per inerzia. A volte è liberatorio. Non sempre.
E
infine, sotto la pelle e i muscoli e le ossa e tutto ciò che
può percepire e comandare, almeno in parte, c’è
la sua mente. Quando l’infezione giunge a quel punto è
troppo tardi perché possa sperare di fermarla: fa parte di lui
ed esistono pochi, dolorosi modi per cacciarla via da sé. Uno
di questi, senza dubbio il più efficace, è lasciarli
andare.
Jimin
non è disposto a farlo.
Una
notte li sente entrambi attorno a sé. Non è un sogno e
non è la sua immaginazione, ma qualcosa di completamente
diverso: più reale, per quanto etereo. Ha gli occhi chiusi
quando succede, perso nel sonno che lo strema ma non riesce mai ad
avere la meglio sugli incubi, e quando il tocco delle loro mani lo
sfiora non li apre e non scatta – al contrario, si rilassa e si
concentra nel conservare quella sensazione dentro di sé.
Saprebbe
distinguerli dal semplice tocco, dal ritmo dei loro respiri. Taehyung
è alla sua destra, le labbra contro la sua tempia e le mani
grandi che stringono quella che Jimin ha posato contro il proprio
petto; e Jungkook, alla sua sinistra, intreccia le gambe alle sue e
bacia piano la sua fronte. Jimin non ha idea di quando sia stata
l’ultima volta che ha pianto per loro, ma in quel momento –
quel momento di assoluta delizia, di pace incrollabile – le
lacrime non arrivano. Forse è meglio così. Non ha mai
amato mostrarsi debole di fronte a loro.
- Mi
mancate da morire. -
Jungkook
si muove: solleva un braccio e carezza i suoi capelli con lenti
movimenti delle dita, com’era solito fare per aiutarlo ad
addormentarsi. Tae si stringe a lui, posando la fronte contro la sua
testa e stritolando la sua mano. - Jiminie. - Sussurra, e Jimin sente
il nodo alla gola che rendeva le sue parole rauche stringersi come un
cappio, impedirgli di respirare. Se prima aveva paura all’idea
di aprire gli occhi e scoprire di star sognando, ora ha la certezza
che non lo farà mai – non finché gli sarà
concesso di rimanere così. Poco importa che sia un’illusione
o che stia succedendo realmente, contro ogni logica conosciuta: sta
bene per la prima volta in due mesi. È nel posto che gli
spetta, tra le due persone che più ha amato in tutta la sua
vita.
Non ha idea di quanto tempo sia passato quando
finalmente sussurra: - Vi amo così tanto. -
E non ha idea di quanto tempo passi prima che entrambi,
a pochi istanti di distanza, rispondano: - Ti amo anch’io. -
-
Svegliarsi
è una sorpresa. Gli occhi pesano come macigni e le sue labbra
sono secche, la lingua impastata dall’assenza di salivazione.
Jimin si solleva seduto piano, sbattendo le palpebre al sole che
entra dalla finestra, una visione a cui non è abituato. Per un
lungo, lungo momento è convinto di star sognando; poi, mentre
si guarda attorno nel letto vuoto, si rende conto di cosa sia
successo.
Ed è
strano: succede tutto improvvisamente, una doccia fredda sulla sua
pelle secca e arida. Osserva le sue mani come le vedesse in
quell’istante per la prima volta, le gira alla ricerca di una
qualunque traccia della stretta di Taehyung – ma quando non la
trova, il suo cuore non affonda. Quando scosta di lato le coperte e
si alza in piedi, il suo corpo non vacilla; quando scende le scale e
sente Seokjin e Hoseok parlare dalla cucina, e sente il profumo del
caffè e la sua pancia brontola per la fame, non c’è
nessun senso di colpa ad abbattersi su di lui.
Quando
si affaccia alla cucina e da loro il buongiorno, sa di non essere
solo.
Il
dolore non se ne va nel giro di una mattinata; non è così
semplice, e ne è perfettamente consapevole. Il macigno sul suo
petto si sgretola piano piano, ogni volta che menziona i loro nomi
senza averne paura, ogni volta che li ricorda e ricorda quanto li
amasse anziché pensare a come li ha persi; ma sentirlo
erodersi un poco alla volta è sempre meglio che ignorarne o
negarne l’esistenza. Le crisi di pianto tornano, di tanto in
tanto – ma trovare conforto è più semplice,
quando lo si cerca. Una notte troppo dolorosa Hoseok, Seokjin,
Namjoon e Yoongi si addormentano circondandolo sul divano del
salotto, troppo stretto per tutti e cinque; non fanno altro che
ricordargli che non è solo, nella gioia e nel dolore. Non
fanno altro che volergli bene, e lui non può che ricambiare.
Comprende
poco a poco che sopravvivere non è far loro un torto; che è
esattamente ciò che avrebbero voluto per lui, ed era
esattamente il motivo per cui li amava entrambi. L’energia che
entrambi mettevano in ogni loro azione, in ogni decisione; non fa più
male pensare alla spensieratezza di Taehyung e alla sua risata
profonda e stupida, agli abbracci stretti e le prese in giro di
Jungkook. Non fa più male pensare ai risvegli dolci e ai baci
sulle guance e ai loro corpi stretti assieme mentre gli mormorano che
lo amano entrambi; e quando invece fa male, va bene così. Ma
non è la loro morte a definire le loro esistenze: è
tutto il resto.
E per
questo, continua a vivere. Nonostante tutto. Continua a sorridere, e
a ballare infondendo in ogni gesto la stessa passione e
determinazione per cui lo amavano, e a sognarli. Continua a provare
dolore, quando necessario, senza soffocare una singola lacrima e
senza smettere di immaginarli accanto a lui.
È
solo una misura temporanea, dopotutto; è solo un lungo momento
che si prolunga per minuti, ore, una vita intera.
E ogni
volta che apre gli occhi e accetta di esistere, Jimin ha nel cuore
l’assoluta certezza che quando sarà troppo stanco per
andare avanti, alla fine di quella strada e al termine di quel
momento, correrà loro incontro per abbracciarli un’altra
volta.
––––––––––––––––––––––––––––––
Questa
è la mia prima fan fiction per il fandom dei BTS...sono un po’
nervosa :’) ormai seguo questi piccini da un mese ma hanno
seriamente rivoluzionato il mio modo di ascoltare il k-pop e il mio
modo di stannare band. Li trovo tutti così dolci...così
tanto che quasi mi dispiace che il mio primo lavoro per loro sia
qualcosa di così tremendo :’’)
Non credo di aver
mai shippato una OT3 come shippo la Vminkook. DIO MIO, QUEI TRE
DEFICIENTI… sono consapevole della situazione con le varie
coppie nel fandom, ma per quanto mi riguarda non riesco a immaginare
uno dei due senza il terzo. Amo tantissimo il loro rapporto.
Vorrei rivolgere un
piccolo pensiero ad Andrea, la persona che mi ha trascinato nel
fandom dei Bangtan MA CHE IO HO TRASCINATO NELLA VMINKOOK CON UNO
SFORZO MINIMO :^} grazie per avermi fatto dato l’ispirazione
necessaria a scrivere questa fic e grazie per avermi fatto conoscere
i BTS (e grazie di esserci, in generale)
Spero che questa
fic vi sia piaciuta, e se vorrete lasciare un commento ve ne sarò
infinitamente grata! Grazie per aver letto :)
Alla prossima,
-Joice
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